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Autore Discussione: Andrea Ferrario La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina continua a ...  (Letto 127 volte)
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« inserito:: Ottobre 10, 2025, 07:51:09 pm »

Andrea Ferrario

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina continua a rimodellare gli equilibri dell'economia globale, mentre entrambe le superpotenze imperialiste si affrontano in uno scontro che va ben oltre le semplici tariffe doganali. Un Meme circolato di recente sintetizza efficacemente la situazione: Trump dice a Xi Jinping "ho in mano le carte", e il leader cinese risponde "le carte sono state fabbricate in Cina". Questa battuta racchiude la complessità di un confronto in cui nessuno dei due contendenti può davvero prevalere, nonostante le apparenze.
Molti osservatori occidentali tendono a sovrastimare la forza della posizione cinese, interpretando la capacità di Pechino di resistere alla pressione americana come un segno di vittoria. In realtà, il regime del Partito Comunista cinese sta semplicemente applicando una tattica dilatoria già sperimentata durante la prima amministrazione Trump, trascinando i negoziati di città in città nella speranza che le elezioni di metà mandato del 2026 indeboliscano la posizione del presidente americano. Questa strategia però ha un costo altissimo: durante l'attuale tregua tariffaria, le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti affrontano tariffe medie del 51 percento, contro il 20 percento precedente al ritorno di Trump alla Casa Bianca. La quota cinese del PIL mondiale è scesa dal picco del 18,5% nel 2021 al 16%, mentre quella americana è salita dal 24,8% al 26,2% nello stesso periodo.
Il quadro economico cinese è drammaticamente peggiore di quello dipinto dalle narrazioni ufficiali di Pechino. Il regime di Xi Jinping continua a manipolare i dati economici per nascondere una situazione disastrosa, caratterizzata da deflazione, crollo della domanda interna e una crisi immobiliare che ha cancellato risparmi familiari in misura quasi doppia rispetto alla crisi bancaria americana del 2008. La strategia di compensare la perdita dei mercati occidentali attraverso un aumento massiccio delle esportazioni verso il Sud del mondo sta mostrando tutti i suoi limiti strutturali. Con il 30% della produzione manifatturiera globale, l'economia cinese è semplicemente troppo grande per seguire un modello di crescita trainato dalle esportazioni senza provocare onde d'urto deflazionistiche nei mercati di destinazione.
Trump dal canto suo sta esercitando il potere imperiale americano nella sua forma più brutale e scoperta, imponendo agli alleati termini che ricordano i trattati ineguali dell'era coloniale. L'Unione Europea ha accettato in Scozia un accordo umiliante che prevede tariffe doganali del 15% sulle esportazioni europee verso gli Stati Uniti a fronte di zero tariffe nella direzione opposta. La Corea del Sud ha promesso investimenti per 350 miliardi di dollari, il Giappone per 550 miliardi. Questi accordi rappresentano più propaganda della Casa Bianca che trattati formalmente ratificati, eppure rivelano l'enormità della pressione che Washington è in grado di esercitare. I governi dei paesi del “fronte occidentale” continuano a sottomettersi perché l'alternativa rappresentata da Cina e Russia appare ancora peggiore.
Le politiche di Trump non seguono alcuna logica economica razionale nel lungo periodo. L'obiettivo non è reindustrializzare l'America secondo un piano coerente, bensì estrarre il massimo vantaggio immediato sfruttando il peso superiore degli Stati Uniti. Questo approccio otterrà successi tattici nel breve termine, come dimostrano le capitolazioni di Taiwan, dell'Unione Europea e di numerosi altri paesi. Tuttavia, nel medio e lungo periodo queste politiche mineranno catastroficamente il sistema di alleanze costruito in ottant'anni, eroderanno il ruolo del dollaro come perno del sistema finanziario globale e danneggeranno gravemente l'economia americana stessa, aggravandone il debito e preparando nuove crisi finanziarie.
Pechino non è riuscita a capitalizzare sugli errori strategici di Trump nella misura che ci si sarebbe potuti aspettare. Nonostante le prepotenze americane abbiano alienato numerosi governi, questi ultimi rimangono legati a Washington perché percepiscono la minaccia geopolitica ed economica cinese come ancora più grave. La Cina ha ottenuto un limitato riavvicinamento economico con l'Australia laburista e ha consolidato la propria posizione di leader del Sud globale, ma questo capitale politico non si è tradotto in guadagni economici tangibili. Il regime di Trump ha inoltre cominciato a prendere di mira i paesi terzi che fungono da canali per aggirare le tariffe doganali americane, come dimostra il caso del Messico che ha recentemente imposto dazi del 50% sulle automobili cinesi.
La questione TikTok rappresenta una battaglia cruciale in questo conflitto più ampio. Trump ha promesso di salvare l'applicazione "per i ragazzi" e sta cercando di portarla sotto controllo aziendale americano attraverso un consorzio guidato dal miliardario Larry Ellison. Xi Jinping sembra aver dato il via libera alla vendita, ma i dettagli rimangono controversi. Il regime cinese insiste che ByteDance manterrà il controllo dell'algoritmo secondo le leggi cinesi, mentre Trump proclama che l'algoritmo sarà al "100 percento MAGA". Questa contraddizione rivela come TikTok sia diventata uno strumento di ricatto reciproco: Pechino spera di usarla per ottenere concessioni tariffarie e tecnologiche, mentre Washington vuole trasformarla in un servizio di propaganda politica. La vicenda si inserisce anche nelle lotte di potere interne al Partito Comunista Cinese, dove elementi militari potrebbero voler limitare il potere di Xi, ma non al punto di compromettere l'unità del regime nel confronto con Trump. Questo scontro tra le due maggiori potenze imperialiste rappresenta il sintomo più evidente di un sistema economico mondiale in estrema difficoltà, che offre soltanto regressione, attacchi ai diritti democratici e una lotta feroce tra giganti per soggiogare economicamente il resto del pianeta.
(da materiali pubblicati da China Worker)
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