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Autore Discussione: Il Tribunale di Ravenna ha assolto con formula piena Pierluigi Bersani . . .  (Letto 139 volte)
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« inserito:: Novembre 08, 2024, 12:40:47 am »

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Gioele Joel
 
Il Tribunale di Ravenna ha assolto con formula piena Pierluigi Bersani dall’accusa di diffamazione nei confronti del generale ed eurodeputato della Lega, Roberto Vannacci, perché il fatto non sussiste. Durante un'intervista in occasione della Festa dell'Unità di Ravenna, nel settembre 2023, l'ex leader del PD aveva definito Vannacci "un coglione", reiterando poi l'offesa in un'altra intervista televisiva.

Una decisione prevedibile, quella del Tribunale, che non dovrebbe stupire più di tanto nessun penalista degno di essere definito tale. Io stesso dissi, il giorno stesso in cui uscì la notizia della decisione di Vannacci di sporgere querela, che l'esito - l'assoluzione di Bersani - era pressoché scontato.
Il più delle volte, una parolaccia o un insulto fa scattare l’offesa e quindi l’ingiuria (ora depenalizzata, ma rimane pur sempre illecito civile), qualora venga rivolta in faccia alla vittima (presupponendo quindi la presenza fisica di quest'ultima). Al contrario della diffamazione che, invece, consiste nella lesione dell'onore e della reputazione della vittima nell'ambito di una comunicazione offensiva con più persone, che si sia svolta in assenza della persona offesa. Infine, c'è il turpiloquio, che consiste nel pronunciare parolacce in luogo pubblico, depenalizzato anch'esso, ma rimane comunque un illecito amministrativo (punito con una sanzione pecuniaria da 5.000 a 10.000 €).
Tuttavia, secondo la giurisprudenza, alcuni insulti, per quanto inurbani e poco educati, ormai sono entrati a far parte del lessico comune, per cui possono ritenersi consentiti. In particolare, ci sono 5 insulti "legali", che possono essere liberamente pronunciati senza rischiare nulla: né diffamazione, né ingiuria né tantomeno  turpiloquio. E sono i seguenti:
1) Il primo è, per l'appunto, quello relativo al caso di Vannacci: "coglione".
Come ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione (sentenza 34.442/2017), se a questa parola si vuole dare il significato di "ingenuo", "sprovveduto" e non invece di "scemo", "deficiente", "demente" et similia, non si commette nessun reato. Quindi, dire di una persona che è "un coglione" non è diffamazione. Come infatti ha stabilito nel caso di specie anche il Tribunale di Ravenna, in ossequio ad un orientamento giurisprudenzale ormai ben consolidato e che qualunque penalista serio dovrebbe conoscere.

2) "Vaffanculo": secondo la Cassazione (sentenza 27.966/2007), il "vaffanculo" è una frase ormai ricorrente nell'uso del linguaggio comune (ancorché qui, va detto, non manchino pronunce di segno opposto). Non è quindi ingiuria mandare a fanculo una persona e tantomeno diffamazione dire che qualcuno "se ne deve andare a fanculo" alle sue spalle, comunicando con più persone.

3) "Rompipalle": anche questo termine, per quanto inurbano e poco elegante, significa semplicemente né più né meno che "seccatore", sicché, dice la Cassazione (sentenza 22.887/2013), non ha nessuna valenza offensiva. Quindi se uno va a dire in giro di una persona che è una "rompipalle", non lo si può denunciare per diffamazione.

4) "Mi hai rotto i coglioni": secondo la Cassazione (sentenza 19.223/2013), dire a qualcuno "mi hai rotto i coglioni" non è ingiuria, perché significa semplicemente "smettila di infastidirmi".

Infine l'ultima chicca:
5) "N€gr0 di merda": come potete agevolmente immaginare, sono in diversi nella dottrina penalistica a considerare questa come una vera e propria lacuna legislativa. L'odio razziale infatti, ad oggi, non è un autonomo titolo di reato a sé, bensì soltanto un'aggravante: si deve cioè "innestare" su un ulteriore e diverso reato (ad esempio, minacce o violenza), solo in tal caso rileva, andando ad aggravare ulteriormente la pena per il reato base commesso. Ma se quel reato non c'è, la discriminazione verbale in sé e per sé non è punibile. Quindi, dire a uno "n€gr0 di merda", senza commettere nei suoi confronti altri reati (come appunto minacce o violenza), non è reato e quindi non è passibile di denuncia (come ha chiarito la Cassazione nella sentenza 40.014/2019).

Ora, ci sta che Vannacci non sappia queste cose. Ma che non le sapesse il suo avvocato, bè, questo invece è grave. Ma, più verosimilmente, l'avvocato le sapeva benissimo, semplicemente è stato Vannacci, in maniera forse un po' troppo ostinata ed infantile, ad insistere a tutti i costi per presentare la querela, nonostante gli avvertimenti del suo avvocato che sarebbe stata destinata a cadere nel vuoto, con certezza pressoché assoluta.

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