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Autore Discussione: FABIO MARTINI.  (Letto 125251 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Gennaio 07, 2012, 11:24:51 am »

Politica

07/01/2012 - retroscena

Ma Parigi resta fredda sull’offensiva italiana

La stretta di mano fra il premier francese Nicolas Sarkozy e il presidente del Consiglio Mario Monti

Il leader francese dice: "Monti ispira fiducia".

Ma sui dossier resta cauto

Fabio Martini
inviato a Parigi

Le parole-chiave, quelle che segnalano un cambio di passo e anche di umore, il professor Monti le pronuncia di prima mattina a Matignon, il palazzo che ospita lo studio del primo ministro francese: «Non è più sufficiente che ogni Paese faccia bene i suoi compiti a casa, è necessario rafforzare la credibilità di azione della zona euro».

Nei due incontri formali con i leader della politica francese - il primo ministro François Fillon e (ben più importante) il presidente Nicolas Sarkozy Mario Monti ha cambiato tono e - sia pure con garbo - si è presentato con un approccio diverso rispetto a quello da "scolaretto" col quaderno vuoto, che lui stesso si era imposto, appena 43 giorni fa, durante il trilaterale di Strasburgo con Sarkozy e con la Merkel. Il messaggio della "nuova Italia" è cambiato: gli italiani hanno imparato la lezione, hanno fatto i compiti in tempi record e ora pretendono un cambio di passo anche dai Paesi leader dell’Europa.

E perché tutti capissero e il messaggio non restasse confinato al mondo diplomatico, Monti lo ha voluto esplicitare nel suo terzo appuntamento parigino, in questo caso un consesso pubblico di alto livello. Durante un convegno, davanti a capi di governo, ministri, economisti di mezza Europa, il presidente del Consiglio italiano è stato chiaro, come non lo era mai stato: «L’Italia ha fatto uno sforzo senza pari tra gli Stati dell’Unione, nel 2013 arriverà al saldo zero di bilancio, ma ora gli italiani hanno bisogno di vedere che il quadro europeo evolva», in modo che si producano «benefici in termini di riduzione dei tassi di interesse». Monti è stato chiaro nel far capire a quel raffinato pubblico che si rivolgeva in primis a Francia e Germania: «Non è in discussione ciò che la Bce fa, o non fa, ma i governi hanno il dovere di apprestare tutte le misure» per uscire assieme dalla crisi. Mentre Monti parlava, in platea c’era anche uno dei suoi ministri di punta, Corrado Passera che, poco prima, era stato ancora più esplicito: «Abbiamo molte ragioni per essere delusi su come è stata gestita la crisi a livello europeo: il sistema di governance non si è dimostrato all’altezza».

E così, cinquantuno giorni dopo aver preso la guida del governo italiano e a due settimane dall’approvazione della durissima manovra di Capodanno, Mario Monti ha deciso di cominciare a farsi sentire. E non soltanto perché lo spread continua a galleggiare sopra il livello di guardia. Se Monti ha deciso di cambiare il tono è soprattutto perché si rende conto che, se nei prossimi due mesi non interverranno modifiche nel testo del nuovo Trattato sulla disciplina di bilancio (la firma è prevista a marzo), l’Italia sarà chiamata a fronteggiare una raffica di manovre da 30-40 miliardi l’anno che la sprofonderebbero in una recessione memorabile. Certo, le notizie che l’ambasciatore presso la Ue Ferdinando Nelli Feroci ha trasmesso ieri a Monti sulla riunione del gruppo di lavoro che sta lavorando alla bozza sono incoraggianti, i tedeschi per il momento non hanno proposto veti rispetto alla posizione italiana, che punta ad introdurre correttivi nel calcolo del debito e nella data di vigenza.

Quel che contava, per il Presidente del Consiglio italiano, era sentire il "polso" di Sarkozy, capire se il presidente francese fosse disponibile ad impegnarsi a fianco dell’Italia per ammorbidire la rigidità tedesca. Durante l’ora di colloquio all’Eliseo pare che Monti abbia parlato più lungamente del suo interlocutore, che Sarkozy abbia annuito rispetto ad alcune istanze italiane, ma al termine dell’incontro, l’esternazione del Presidente francese è stata tanto affettuosa quanto generica: «Monti ispira fiducia negli altri capi di Stato europei». Un affetto che si trasformerà in azione? Da quel che trapela da fonti dell’Eliseo, Sarkozy ha apprezzato l’azione di Monti, ha ascoltato con interesse le nuove misure in gestazione e ha considerato significativo l’impegno italiano ad approvare «prima del tempo» il Piano nazionale delle riforme. Ma la stima per Monti, da quel che trapela, per ora non si traduce in un impegno formale francese a dar battaglia su grandi dossier (Fondo salva Stati, operatività della Bce), anche perché a Parigi tutti sanno che Sarkozy non può permettersi il lusso di rompere con la Germania alla vigilia delle presidenziali della primavera 2012. E visto che tutte le elezioni si vincono con dosi più o meno forti di demagogia, chissà se è stata casuale la battuta finale del Professore al convegno: «Parla un primo ministro che non ha affrontato elezioni, altrimenti si sarebbe ben guardato dal candidarsi...».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/437196/
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« Risposta #61 inserito:: Gennaio 13, 2012, 05:15:34 pm »

Politica

13/01/2012 - il caso

E il coro dell’Antipolitica riconquista le strade del Web

Il «no» al referendum della Consulta e il «no» della Camera all'arresto di Nicola Cosentino hanno risvegliato la rabbia contro la «casta»

Il Pdl festeggia il no all'arresto di Cosentino

La lunga giornata della piazza virtuale parte dalla bocciatura della Corte: si salva solo Monti

Fabio Martini
Roma

Sulla Rete i primi fuochi si sono accesi all’ora di pranzo, non appena si è diffusa la notizia della bocciatura dei referendum, ma un’ora più tardi il no della Camera all’arresto di Nicola Cosentino ha fatto divampare un ben più vasto incendio. Proteste, rabbia, insulti. Certo, il mondo del web è sfaccettato e ogni giorno vi si agitano dentro umori e pareri contrapposti, ma in certi frangenti è come se saltassero tutte le paratie e l’ira finisce per concentrarsi su quelli che la massa indica come i “colpevoli”: per tutta la giornata di ieri il fuoco è stato indirizzato verso la Lega (presa di mira dai siti di sinistra, di centro e dagli stessi leghisti), sui Radicali e - un po’ meno ma non tanto - sui politici in generale. Le raffiche più micidiali sono da parte di (ex?) simpatizzanti. Sulla pagina Facebook di “Radio Padania Libera”, Lilli D’Agostino scrive: «Abbiamo votato Lega, ma dopo questa giornata chiediamo scusa all’Italia», mentre il comasco Davide Virga sintetizza così: «Salvare Cosentino è una vergogna, se dovesse succedere qualcosa io sto con Maroni». Idem su Radio Radicale: «Grazie radicali, spero di non rivedervi più in Parlamento nei prossimi cento anni».

Ma l’ira spesso soffia verso un unico mucchio, colpisce tutto e tutto. Talora con furore, come nel messaggio di Lorenzo F. sul visitatissimo sito di Beppe Grillo: «La sorpresa sarà quando qualche matto farà saltare la testa del primo di questi farabutti e loro stessi si accorgeranno, dalla gente che festeggia per strada, che qualcosa è definitivamente saltato». Ma sullo stesso sito “arrabbiato” - ecco la sorpresa - Paola Bassi deposita un commento anodino («Certo non si può pretendere di cambiare l’Italia in due mesi») che accende i riflettori sul grande assente tra le proteste: Mario Monti. «E’ vero e questo dato è curiosissimo - nota Mario Adinolfi, uno dei più blogger più noti, reduce dai suoi quotidiani 90 minuti in diretta webcam, ieri con 5.485 contatti - è come se ci fosse una paralisi del sentimento negativo nei confronti di un personaggio che si vuole resti alieno, che non è avvertito come “uno di loro”».

Certo, in poche ore dai palazzi del potere costituito sono partiti verso l’opinione pubblica due messaggi molto forti: un parlamentare (davanti alla richiesta di arresto da parte della magistratura) è più “uguale” di un cittadino qualunque; possono non bastare un milione e duecentomila firme raccolte in 25 giorni per ottenere la possibilità di giudicare con un sì o con un no la legge elettorale. Due messaggi letti in modo non uniforme nei social network e nei siti, ma che hanno finito per trasformarsi in un coro.

In particolare contro i leghisti c’è una valanga di proteste, quasi ovunque. Curiosamente i commenti più saporiti sono depositati su “Radio Padania libera”, anche se come è scritto sul sito, non si tratta di un profilo ufficiale. Scrive Simone Nacci: «Tosti e duri con gli immigrati, collusi e baciamani con i camorristi». Altri “taroccano” alcuni dei più celebri slogan leghisti: «Camorra ladrona, la Lega oramai perdona». Piero Di Pierro dice di aver votato per il Carroccio, ma di «essere schifato» e dunque: «Scordatevi il mio voto».

Diverso il rapporto degli utenti con “Radio Radicale”, da sempre apertissima al dissenso dei tanti critici. E dunque, è difficile distinguere tra nemici e delusi. «Vergogna», scrive un utente. E ancora: «E’ vero che adesso Cosentino vi permetterà di trasmettere stereo in Campania?», «siete disgustosi». I radicali rappresentano il bersaglio preferito sul sito dell’Unità, frequentato da un pubblico genericamente di sinistra. E qui fioccano gli insulti. Come fa Patty: «I radicali, cani che mordono la mano di chi li ha sfamati».

Eppure, se leghisti e radicali sono i più “gettonati” nella fiera dell’esecrazione, non si scherza neppure con la “casta” nel suo complesso. Per Biagio, sempre sull’Unità, «il voto di oggi ha sancito in maniera definitiva che il Parlamento è un covo di mafiosi», mentre per Bruno Cinque (Grillo), «la chiamavano democrazia, ma questa è mignottocrazia, usurocrazia». E alla fine, girando tra un sito e l’altro, comincia a rincorrersi una proposta. Sostiene Carmelo Di Stefano: «Beppe, perché non organizzi una manifestazione di massa? Se riuscissi a portare tre milioni in piazza, allora sì che verrebbe abolito il Porcellum tutto di un colpo».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438020/
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« Risposta #62 inserito:: Gennaio 23, 2012, 03:39:01 pm »

Politica

23/01/2012 - GOVERNO - LA SFIDA DEL WELFARE

Oggi il tavolo sulla riforma del lavoro

Fornero vuole cause di lavoro-lampo

Incontro governo-parti sociali, l'idea dell'esecutivo è quella di rendere standard gli indennizzi

FABIO MARTINI
Roma

È la terza tappa. Ma il Professore la considera strutturale esattamente come le prime due (il «Salva» e il «Cresci-Italia») e dunque già da qualche giorno Mario Monti aveva informalmente disposto un’«apparecchiatura» da grandi occasioni per il tavolo che stamattina aprirà la trattativa per ridisegnare il mercato del lavoro nel nostro Paese.

Una settimana fa il presidente del Consiglio aveva informato i ministri di «volere essere presente» all’avvio della discussione e di voler aprire non solo simbolicamente il tavolo attorno al quale si ritroveranno le parti sociali. E dunque si parte a palazzo Chigi, alle 10, nella Sala Verde (l’ampio salone dalla tappezzeria e dalle sedie verdi, dove si svolgono le riunioni più affollate) con un’introduzione del presidente del Consiglio, che poi lascerà la riunione per trasferirsi all’Eurogruppo di Bruxelles, il summit dei ministri economici dell’Eurozona e lì potrà ragionevolmente annunciare di aver appena aperto una trattativa che si concluderà anche questa - come i due decreti già approvati - con la terza riforma strutturale del suo governo.

A discutere con le parti sociali, Monti lascerà ben quattro ministri, secondo un format che sempre lui ha chiesto: oltre ad Elsa Fornero, titolare della materia in discussione, ci saranno anche il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, il ministro dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo, il viceministro Vittorio Grilli. Una squadra che corrisponde alla filosofia che Monti stesso ha tenuto a sottolineare durante l’intervista televisiva rilasciata a Lucia Annunziata in «Mezz’ora». Alla giornalista che insisteva per avere una risposta da «titolo» sulla questione dell’articolo 18, Monti ha replicato che in qualche modo la «notizia» l’aveva già data, collegando la questione lavoro alla crescita: «Tutto si lega, perciò più noi agiamo sugli altri fattori e meno abbiamo bisogno di agire sul lavoro. Ma attenzione: rimane vero che il lavoro resta comunque una quota molto, molto grande nei costi di produzione».

Dunque, una riforma urge e si farà. Naturalmente la trattativa nelle prossime settimane sarà condotta dal ministro del Lavoro e delle politiche sociali Elsa Fornero, di cui Monti apprezza la forte personalità e la proverbiale competenza, ma il forte investimento del premier sulla questione è come se aprisse la strada, quantomeno nella vulgata giornalistica, ad una doppia attribuzione, una sorta di riforma Monti-Fornero. Nella prima riunione il ministro Fornero si limiterà ad indicare gli obiettivi generali della riforma, ascolterà le parti e concluderà la riunione, aprendo tre tavoli, uno sulle assunzioni, uno sulla formazione, uno sugli ammortizzatori sociali.

Non è oggi che matureranno sorprese. Ma dietro le quinte stanno maturando novità. La più interessante finora inedita - la stanno elaborando il ministro Fornero e i suoi tecnici. E riguarda i lunghi contenziosi susseguenti alle cause da licenziamento regolate dall’articolo 18. Si sta studiando la possibilità di formalizzare procedure accorciate che consentano di abbreviare drasticamente i tempi delle cause da lavoro, che attualmente si possono prolungare fino a 5-6 anni. Con costi per le aziende e incertezze per il lavoratore. E dunque, si va verso tempi e risarcimenti standardizzati, non è ancora chiaro se affidando il contenzioso a sezioni specializzate della magistratura. Una soluzione che, sulla base dei primi contatti informali con le parti sociali, potrebbe andar bene sia alle imprese che ai sindacati.

Ma a palazzo Chigi sanno bene che su tutto questo dossier ci saranno i fucili puntati, oltreché delle parti sociali, anche dei due principali partiti della maggioranza. Dice Giuliano Cazzola, pdl, nei giorni scorsi consultato informalmente dal ministro: «Al governo consiglio di non dimenticare che esiste una Delega ancora aperta, nel Collegato lavoro, che consente all’esecutivo di fare qualsiasi riforma, risparmiandomesi di attività legislativa. E sconsiglio di abbandonarsi alla retorica del contratto unico: situazioni lavorative differenti non possono essere ricondotte ad un’unica fattispecie». Sostiene Paolo Nerozzi, senatore Pd, già alto dirigente Cgil: «Attenzione, stavolta la piattaforma sindacale oltreché credibile è realmente unitaria: non si dimentichi che, da Amato a Dini, con la concertazione siamo andati in Europa, senza ne stavamo uscendo».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/439350/
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« Risposta #63 inserito:: Febbraio 12, 2012, 07:36:54 pm »

Esteri

12/02/2012 - retroscena

Gli Stati Uniti e i timori sul ritorno della “vecchia Italia”

Il premier rassicura: la disponibilità dei partiti non è a termine

FABIO MARTINI
inviato a New York

Equando a Roma torneranno a governare i partiti, tornerà anche la «vecchia» Italia? Il presidente degli Stati Uniti d’America e il segretario generale delle Nazioni Unite sono personaggi che non hanno motivi per interferire nelle vicende politiche italiane, ma la curiosità espressa sulla grande coalizione nei colloqui con Mario Monti, ha indotto il presidente del Consiglio a tornare indirettamente sull’argomento. Fino a che, nella conferenza stampa finale prima di ripartire per l’Italia, Monti ha dedicato alla questione un inciso breve ma altamente significativo: «Con piena convinzione ho spiegato che è prova di grande senso di responsabilità quella dimostrata dai partiti italiani e non si vede perché non possa durare anche oltre» la durata limitata di questo governo.

Se si considerano la sapienza politica e la prudenza lessicale già dimostrate da Mario Monti, l’inciso diventa eloquente: nei colloqui politici e soprattutto in quelli con gli ambienti finanziari, una delle domande - dirette e indirette - che più è circolata, riguarda proprio il sistema politico: una volta esaurito il governo tecnico, torneranno le vecchie usanze? In parole povere, anche se nessuno si è espresso così brutalmente, l’enigma che ha circolato in questi giorni riguarda proprio i partiti italiani. Enigma che, paradossalmente, assai più che i politici, coinvolge gli ambienti finanziari americani, che nell’orientare i propri investimenti, sono interessatissimi a capire la tenuta del sistema-Italia.

Ecco perché Mario Monti ha voluto rassicurarli, dedicando alla questione un passaggio interessante della sua intervista televisiva alla rete specializzata Nbc, quando riferendosi alle riforme strutturali varate del suo governo, il premier ha spiegato: «La ragione per cui di quelle riforme si è parlato molto senza chefossero introdotte, era il costo politico. Ma il costo politico per un governo non politico è irrilevante e quando i partiti torneranno a formare un governo, non avranno interesse a tornare indietro». Altamente significative sia le domande americane che le risposte di Monti: un tempo, fuori confine preoccupava l’instabilità politica, oggi l’indecisionismo. E a tal riguardo, la visita negli Stati Uniti, così gratificante a tutti i livelli, restituisce un Monti «più determinato che mai», per usare le sue parole, scandite prima di rimetter piede sull’aereo che lo avrebbe riportato in Italia.

Tanto più che nell’incontro con Barack Obama, il presidente del Consiglio si è visto riconoscere un doppio ruolo: di leadership europea, alla guida dei Paesi che spingono verso la crescita; ma si è sentito anche chiedere consigli, in particolare «su come interagire con la Germania». Tra gli argomenti affrontati nei 40 minuti dell’incontro ObamaMonti, infatti si è cercata l’idea giusta per «stanare» l’orso tedesco, per cercare di capire come farne una delle leve della ripresa e della crescita di tutto il mondo occidentale.

Ad un certo punto Monti ha provato a sintetizzare la sua opinione al riguardo con una battuta apprezzata da Obama: «Vede Presidente, io penso che in Germania l’economia è vista come era prima di Adamo Smith, un ramo della filosofia morale». In altre parole, come poi ha spiegato Monti, con una lettura politico-culturale inusuale in un capo di governo, «non si può perforare il cuore dell’opinione pubblica e del governo tedeschi con la suggestione macroeconomica della locomotiva, perché in Germania tutte le politiche economiche sono passate attraverso un filtro particolare, quello della moralità dei comportamenti» e dunque «nella loro visione la crescita è il premio di comportamenti virtuosi microeconomici: il micro più grande che ci sia è lo Stato con il suo bilancio e il più piccolo che ci sia sono la famiglia con il suo risparmio e l’azienda con il suo profitto». La ricetta proposta da Monti ad Obama? «Se la Germania è poco sensibile agli argomenti di domanda aggregata o ad avere un disavanzo un po’ superiore che pure si può permettere, ma può essere invece persuasa a liberalizzare di più il suo mercato dei servizi», con ciò aiutando la ripresa anche dei partner. Mercoledì, nuova tappa della leadership europea di Monti: parlerà davanti al Parlamento di Strasburgo. Un’occasione, anche, per ricucire uno dei tanti strappi di Silvio Berlusconi, che nel 2003 diede del «kapò» al capogruppo socialista Martin Schulz, che di quel Parlamento, tre settimane fa, è diventato il presidente.

da - http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/442183/
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« Risposta #64 inserito:: Febbraio 21, 2012, 11:41:58 pm »

21/2/2012

L'Europa che passa dall'Italia

FABIO MARTINI

Sembravano prediche inutili, stanno diventando proposte tangibili e condivise da tanti leader europei, ansiosi di scovare il prima possibile le ricette giuste per uscire da una crisi epocale. Per anni Mario Monti, da stimato professore, aveva dispensato consigli, scritto ponderosi rapporti per i capi di governo europei, ma ora che lui stesso è diventato leader di uno dei Paesi fondatori dell’Unione, quelle proposte stanno entrando, di «peso», in documenti fatti propri da avanguardie, gruppi di Paesi più sensibili su alcuni dossier.

Ieri è stato reso noto un documento, firmato da 12 Paesi e promosso da Italia e Regno Unito, una lettera indirizzata ai vertici dell’Unione, ma che in realtà si rivolge ai due Paesi-guida dell’Ue, Germania e Francia, sinora i più tenaci nella difesa dei «campioni nazionali», soprattutto nel campo dell’energia e dei servizi. In questo senso, nella lettera c’è un passaggio esplicito, nel quale gli estensori hanno rinunciato all’algido lessico di Bruxelles, preferendo un’ironia «montiana»: «Non sempre i Paesi più grandi e più forti sono anche i più virtuosi». Un documento che in diversi passaggi riprende proposte e suggestioni del rapporto Monti, realizzato nel 2010 su richiesta della Commissione europea. Ma contemporaneamente - e qui sta la novità della strategia italiana - già da tempo si sta lavorando sotto traccia per un’altra Dichiarazione, in questo caso di forte rilancio del processo europeista. Ma questa volta Roma gioca di sponda con Germania e Francia.

Certo, il lavorio degli sherpa è ancora embrionale, un primo incontro a livello di ministri degli Esteri e di Politiche comunitarie potrebbe tenersi il 20 marzo a Berlino e il punto di approdo dovrebbe essere il Consiglio di Bruxelles di giugno.

Le due iniziative, complementari ma non sovrapponibili, prefigurano una strategia italiana del «doppio pedale»: assieme agli inglesi, liberisti per vocazione e tradizione, Monti spinge la leva del completamento del mercato interno, del superamento di barriere e difese nazionaliste; assieme a tedeschi e francesi, Paesi fondatori dell’Unione (e col consenso di «medie potenze» come Polonia e Spagna), si spinge per un rilancio energico del processo di integrazione, per un’Europa comunitaria e non solo a parole.

La volatilità dei mercati e la profondità dei debiti rendono friabili le strategie di medio periodo, compresa quella italiana.

Ma è pur vero che Mario Monti, senza complessi di inferiorità, ha iniziato a comporre i tasselli del suo piano, appena arrivato a Palazzo Chigi. Ai primi di gennaio, quando è rimasto a tu per tu con Nicolas Sarkozy all’Eliseo, Monti ha chiesto al presidente francese se non fosse il caso di far rientrare gli inglesi nel gioco. E quando Sarkozy ha fatto capire che lui non era di quell’avviso, Monti gli ha risposto senza perifrasi: «Ma questo è un errore». In quel colloquio si sono creati i presupposti, politici e psicologi, del documento italo-inglese sul mercato interno, al quale hanno dato un contributo anche gli olandesi.

Ma stimoli significativi sono venuti a Monti anche nel corso dell’incontro con Barack Obama. Il 9 febbraio, nello studio Ovale della Casa Bianca, il presidente americano aveva chiesto l’opinione di Monti su come stanare l’«orso tedesco», così insensibile alla crescita dell’Unione e il premier aveva risposto che era del tutto inutile immaginare che i tedeschi possano allentare i vincoli sul disavanzo, mentre un effetto indotto sulla crescita può essere prodotto, «inducendoli a liberalizzare di più il loro mercato dei servizi».

Il documento reso noto ieri e quello in gestazione spiegano anche alcune decisioni di politica interna. L’annuncio della futura separazione tra Eni e Snam, nella vulgata dei mass media letta come una delle tante decisioni del governo, in realtà colpisce al cuore uno dei colossi nazionali. Monti aveva bisogno di quello «scalpo» anche per essere più credibile in Europa. Anche perché l’1 e 2 marzo, al Consiglio europeo di Bruxelles, si compie una nemesi lunga 20 anni: nel 1992, a Maastricht, quando si fece l’euro, la Germania cedette agli altri partner la sua sovranità sul marco, la prossima settimana, col fiscal compact, saranno gli altri 16 Paesi a cedere la sovranità sul proprio bilancio per compiacere la Germania. Pagato pegno, l’«altra Europa» spera di ritrovare voce e argomenti.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9798
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« Risposta #65 inserito:: Febbraio 23, 2012, 11:26:12 am »

Politica

23/02/2012 - CENTRODESTRA LA LUNGA CORSA AL VOTO

Monti a Berlusconi: "Il mio impegno finisce nel 2013"

Il presidente del Consiglio Mario Monti. Sembra non essere interessato a una candidatura alle prossime elezioni

Il Cavaliere non rinuncia all’idea di candidarlo

FABIO MARTINI
Roma

Due ore e cinquanta minuti per un pranzo possono sembrare un’enormità, ma non quando a tavolo sono seduti due commensali loquaci come il presidente del Consiglio Mario Monti e il suo predecessore Silvio Berlusconi. E’ accaduto ieri mattina, nella sala da pranzo di palazzo Chigi: tra i due è stato il secondo incontro nell’arco di due mesi, una frequenza rafforzata dai continui contatti telefonici. Centosettanta minuti trascorsi in un’atmosfera di cordialità, «in qualche momento in un clima di amicizia», come tiene a far sapere uno dei partecipanti. Anche se non sono mancati momenti di incomprensione sulle questioni che personalmente stavano a cuore a Berlusconi. Come si conviene in queste occasioni, i due principali protagonisti erano accompagnati: il presidente del Consiglio dal sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà, ma anche dalla moglie Elsa, a conferma del clima informale; con Silvio Berlusconi c’erano Angelino Alfano, il delfino designato (a parole) alla successione del Cavaliere e Gianni Letta, l’eminenza grigia che dunque resta in sella come ambasciatore.

Un incontro nel corso del quale, sia pure a volo d’uccello e senza impegni vincolanti da parte di Monti, sono stati affrontati svariati argomenti delicati: la governance della Rai e le frequenze tv, la riforma della giustizia e il destino dei processi di Berlusconi, gli scenari del dopo-2013 e la riforma del mercato del lavoro. Tema sul quale il Pd sta entrando in affanno e sul quale Berlusconi ha consigliato di procedere senza tabù e Monti ha risposto al Cavaliere: «La mia intenzione è di andare avanti».

Da qualche giorno Berlusconi - uomo dagli umori cangianti - aveva fatto trapelare l’ orientamento in lui prevalente in questa fase: quello di proporre a Monti di restare a palazzo Chigi anche nella prossima legislatura. Una proposta che il Pdl potrebbe lanciare, “prenotando” il professore prima che lo faccia il Pd: un investimento che, in Berlusconi, corrisponde anche ad un calcolo di convenienza politica. Col professore in campo e il Pdl colonna anche del futuro governo, il Cavaliere resterebbe il “dominus”, rinviando il momento della successione e provando ad arginare le batoste giudiziarie da leader della maggioranza salva-Italia. Una linea che trova d’accordo (o ispiratore?) Giuliano Ferrara che nel numero oggi in edicola di “Panorama” scrive un editoriale dal titolo inequivocabile: «Temo che anche dopo Monti ci sarà ancora bisogno di Monti». Scrive tra l’altro Ferrara: «Il disdoro in cui è precipitata la stima pubblica dei partiti è tale che la metodolgia tecnocratica sembra una risorsa per oggi, domani e dopodomani. L’unica». Da quel che trapela, accenni in questa direzione sarebbero stati fatti nel corso del colloquio di ieri e Monti si sarebbe sottratto, ribadendo il suo impegno a lasciare il campo non appena si concluderà la legislatura. Ma il presidente del Consiglio prova a tenersi “buoni” tutti. A “Panorama” che gli ha chiesto 42 pensieri sui primi cento giorni di governo, Monti ne ha dedicato uno a Berlusconi: «Gli sono molto riconoscente perché il suo atteggiamento è stato di grande responsabilità verso il Paese». Chiusa calda: «Lo sento spesso ma non lo disturbo su ogni cosa».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443634/
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« Risposta #66 inserito:: Marzo 22, 2012, 04:05:09 pm »

Economia

22/03/2012 - Retroscena



"Mi rivolgo a tutto il Parlamento". E Camusso dribbla l’isolamento

FABIO MARTINI
Roma

Doveva essere il giorno del bunker. Dell’assalto contro il governo dei licenziatori. Susanna Camusso, la socialista massimalista che guida la Cgil, ha rispettato il copione ma con una variante. Non banale.

Certo, Camusso si è fatta votare dal Direttivo della Cgil un corposo pacchetto di ore di sciopero, una «paccata» di 16 ore, ma, intuendo che fuori il vento stava girando, si è presentata in sala stampa e, a sorpresa, si è rivolta con toni misurati «a tutto il Parlamento». Tutto il Parlamento significa non solo il Pd, ma anche la Lega, l’Idv, i futuristi finiani e i tanti parlamentari dubbiosi del centrodestra. E così, assieme a tante accuse taglienti rivolte al governo (quelle sì, «dovute» e scontate), la segretaria generale ha lasciato trapelare concetti di altro tenore. Distillando un linguaggio da «vecchia» Cgil, diverso da quello del leader della Fiom Maurizio Landini, Camusso ci ha tenuto a spiegare che la sua è «una organizzazione tranquilla e rigorosa», che la «partita non è chiusa».

Certo, la finestra per un accordo sull’articolo 18 che tenesse dentro tutti e tre i sindacati si era aperta qualche giorno fa e in quella circostanza Camusso si era affacciata, per poi richiudere rapidamente le ante. Tra giovedì e venerdì scorsi l’accordo sul cosiddetto «modello tedesco» era ad un passo, alla maggioranza della Cgil quella soluzione andava bene, ma il suo segretario generale non era uscita allo scoperto, non se l’era sentita di sfidare coram populo i «conservatori» della Fiom che infatti - intuendo la possibile svolta di Camusso - ripetevano: l’articolo 18 non si tocca e la segretaria non ha il mandato per farlo. Poi, due sera fa, la Cgil sembrava sull’orlo di una crisi da isolamento. Anche per effetto di un decisionismo che il presidente del Consiglio aveva dispiegato con toni poco «montiani». Con quell’invito ai rappresentanti delle parti sociali a «stringere». E più tardi, a tavolo sparecchiato, il presidente del Consiglio si era presentato in conferenza stampa, dando la pratica della riforma già conclusa: «Ho tenuto a chiudere prima della partenza per l’Asia».

Per qualche ora, per la Cgil è sembrato riapparire lo spettro dell’isolamento. Una di quelle crisi che ciclicamente colpiscono il più antico sindacato italiano. Come accadde dopo la sconfitta alla Fiat. Come accadde dopo la sconfitta nel referendum sulla scala mobile. Certo, in 106 anni di storia, accanto alla Cgil massimalista dell’occupazione delle fabbriche, si è alternata la Cgil capace di pensare anche ai destini del Paese, la Cgil di Di Vittorio del 1945-46, quella di Luciano Lama del 1978, quella di Bruno Trentin del 1992-93. Difficile capire come finirà stavolta, ma ieri mattina nel palazzo ex fascista di corso Italia, hanno capito subito che l’isolamento poteva esser forzato. Lo hanno capito dopo l’intervento ad «Agorà» di Fabrizio Barca, un economista che è anche uno dei ministri più stimati da Monti. Il ministro per la Coesione territoriale ha sostenuto l’impossibilità, per un lavoratore licenziato per motivi economici, di tutelare il proprio diritto, nel caso si senta discriminato. Poi, il crescendo di pesanti dichiarazioni anti-riforma da parte di esponenti del Pd, il pasticcio sull’applicazione della riforma anche agli statali, il perdurante silenzio di Palazzo Chigi sullo strumento legislativo col quale presentare la riforma in Parlamento, hanno fatto capire alla Camusso che il vento stava girando.

Alle sei della sera la segretaria si è presentata nella sala stampa della Cgil. Lì, c’era attesa per uno show e d’altra parte le premesse c’erano: la Cgil sola contro tutti, la Camusso nel bunker, la Fiom che predica l’arma bianca. La segretaria si è presentata col suo look casual, ma non troppo: maglione blu «lupetto» a doppio collo, jeans col risvolto, scarpe tipo Hogan rosso vinaccio. Si è seduta, ha incrociato le dita delle due mani e senza quasi muovere il corpo, ha iniziato a parlare. Con quell’appello, così politico, al Parlamento. Con l’annuncio di un’azione di logoramento, che non prevede neppure la Grande Manifestazione unica. Dunque, niente bis, 10 anni dopo, dei tre milioni del Circo Massimo. E con l’idea - tenuta coperta - di fare lo sciopero generale poco prima dell’estate, tra Imu e Iva. Per incanalare un malcontento che si immagina destinato a lievitare.

da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/447337/
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« Risposta #67 inserito:: Marzo 29, 2012, 05:23:33 pm »

Politica

29/03/2012 -

Monti il professore interventista prepara il suo futuro politico


Un partito del Presidente? Decisione dopo le amministrative

Fabio Martini

Tokyo

Nel design minimalista della sala del gruppo editoriale Nikkei, dietro un cubo di faggio e su un fondale di velluto nero, Mario Monti propone la sua special lecture a cinquecento tra manager, banchieri, diplomatici giapponesi, che apprezzano con sorrisi, cenni del capo e applausi la lezione del professore. E lui - in questo contesto che più giapponese non potrebbe essere - a sorpresa si produce in ripetute incursioni sulla realtà politica italiana. Scandisce frasi impegnative, a cominciare da quella sui sondaggi che danno il governo più popolare dei partiti e poi il professore ne deposita un’altra - meno notata - ma curiosa: «Noi dovremmo essere e saremo una breve eccezione». Il dovremmo, effettivamente, contiene una piccola dose di ambiguità, non esclude un bis sempre negato ed è una ambiguità insolita in un personaggio come Monti che si serve di un linguaggio ricco e preciso.

Diverse ore più tardi, in un contesto diversissimo, la residenza dell’ambasciatore italiano in Giappone, Monti riferisce dei suoi colloqui con le autorità giapponesi e parlando della proverbiale instabilità dei governi locali, propone un breve resumé di quelli italiani: «Dal 1996 ci sono stati diversi governi Prodi, diversi Berlusconi, D’Alema e Amato». Un giornalista: «E avremo molti Monti...». E lui, di rimando e ridendo: «Quello deve completare ancora una volta...». Sfumature, certo. Ma è come se fosse in corso un piccolo slittamento semantico, dal «non possumus» iniziale ad un approdo ancora tutto da definire. A Monti piacerebbe «salire» al Quirinale, oppure - come pare - potrebbe essere intrigato di più a restare altri cinque anni a palazzo Chigi?

Di certo, nei primi tre giorni della sua missione asiatica, Mario Monti - riscattando l’ipocrisia dei premier italiani che quando vanno in giro per il mondo ripetono che all’estero non si parla di Italia, salvo poi farlo quando gli fa comodo - sta richiamando continuamente temi controversi della politica domestica e lo fa ripetendo, in forme diverse, un concetto micidiale per i partiti: io, il consenso non lo cerco, ma ce l’ho; loro lo cercavano e l’hanno perso. Di più: Monti non solo cita i sondaggi, come faceva Berlusconi, ma ci va “dentro”, li legge, sottolinea quello spread tra il gradimento a lui e quello riservato ai partiti. Tanto è vero che da Roma, un importante ex ministro del governo Prodi fa notare sottovoce: «Monti sembra lavorare per essere la vittima dei partiti “cattivi” e fondarne uno “buono”, nuovo».

Subito dopo le amministrative di maggio, effettivamente, la questione del «partito di Monti» è destinata a farsi più concreta. Per il momento, ad ascoltare le confidenze di chi gli è amico veramente e gli ha parlato, «non c’è nulla, né un progetto né una rete» e questo è un dato di fatto significativo. Ma è altrettanto significativa la reazione di Monti al quasi accordo tra i partiti sulle riforme istituzionali. A chi gli chiedeva un parere, il presidente del Consiglio ha risposto di «non aver letto i giornali», ma da quel che trapela da fonti autorevoli, in realtà Monti avrebbe confidato di essere rimasto sfavorevolemente colpito dall’iniziativa dei partiti, perché - questo è il punto - l’avrebbe letta come reazione alle sue esternazioni. E naturalmente ad un politico, dimostratosi sapiente come Mario Monti, non sfugge l’importanza delle regole che porteranno all’elezione del prossimo Parlamento. Chiamato a due scelte che potrebbero interessarlo molto: eleggere il Capo dello Stato e «suggerire» il prossimo presidente del Consiglio.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/448230/
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« Risposta #68 inserito:: Aprile 01, 2012, 12:09:38 pm »

Politica

29/03/2012 -

Monti il professore interventista prepara il suo futuro politico


Un partito del Presidente? Decisione dopo le amministrative

Fabio Martini

Tokyo

Nel design minimalista della sala del gruppo editoriale Nikkei, dietro un cubo di faggio e su un fondale di velluto nero, Mario Monti propone la sua special lecture a cinquecento tra manager, banchieri, diplomatici giapponesi, che apprezzano con sorrisi, cenni del capo e applausi la lezione del professore. E lui - in questo contesto che più giapponese non potrebbe essere - a sorpresa si produce in ripetute incursioni sulla realtà politica italiana. Scandisce frasi impegnative, a cominciare da quella sui sondaggi che danno il governo più popolare dei partiti e poi il professore ne deposita un’altra - meno notata - ma curiosa: «Noi dovremmo essere e saremo una breve eccezione». Il dovremmo, effettivamente, contiene una piccola dose di ambiguità, non esclude un bis sempre negato ed è una ambiguità insolita in un personaggio come Monti che si serve di un linguaggio ricco e preciso.

Diverse ore più tardi, in un contesto diversissimo, la residenza dell’ambasciatore italiano in Giappone, Monti riferisce dei suoi colloqui con le autorità giapponesi e parlando della proverbiale instabilità dei governi locali, propone un breve resumé di quelli italiani: «Dal 1996 ci sono stati diversi governi Prodi, diversi Berlusconi, D’Alema e Amato». Un giornalista: «E avremo molti Monti...». E lui, di rimando e ridendo: «Quello deve completare ancora una volta...». Sfumature, certo. Ma è come se fosse in corso un piccolo slittamento semantico, dal «non possumus» iniziale ad un approdo ancora tutto da definire. A Monti piacerebbe «salire» al Quirinale, oppure - come pare - potrebbe essere intrigato di più a restare altri cinque anni a palazzo Chigi?

Di certo, nei primi tre giorni della sua missione asiatica, Mario Monti - riscattando l’ipocrisia dei premier italiani che quando vanno in giro per il mondo ripetono che all’estero non si parla di Italia, salvo poi farlo quando gli fa comodo - sta richiamando continuamente temi controversi della politica domestica e lo fa ripetendo, in forme diverse, un concetto micidiale per i partiti: io, il consenso non lo cerco, ma ce l’ho; loro lo cercavano e l’hanno perso. Di più: Monti non solo cita i sondaggi, come faceva Berlusconi, ma ci va “dentro”, li legge, sottolinea quello spread tra il gradimento a lui e quello riservato ai partiti. Tanto è vero che da Roma, un importante ex ministro del governo Prodi fa notare sottovoce: «Monti sembra lavorare per essere la vittima dei partiti “cattivi” e fondarne uno “buono”, nuovo».

Subito dopo le amministrative di maggio, effettivamente, la questione del «partito di Monti» è destinata a farsi più concreta. Per il momento, ad ascoltare le confidenze di chi gli è amico veramente e gli ha parlato, «non c’è nulla, né un progetto né una rete» e questo è un dato di fatto significativo. Ma è altrettanto significativa la reazione di Monti al quasi accordo tra i partiti sulle riforme istituzionali. A chi gli chiedeva un parere, il presidente del Consiglio ha risposto di «non aver letto i giornali», ma da quel che trapela da fonti autorevoli, in realtà Monti avrebbe confidato di essere rimasto sfavorevolemente colpito dall’iniziativa dei partiti, perché - questo è il punto - l’avrebbe letta come reazione alle sue esternazioni. E naturalmente ad un politico, dimostratosi sapiente come Mario Monti, non sfugge l’importanza delle regole che porteranno all’elezione del prossimo Parlamento. Chiamato a due scelte che potrebbero interessarlo molto: eleggere il Capo dello Stato e «suggerire» il prossimo presidente del Consiglio.

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« Risposta #69 inserito:: Aprile 05, 2012, 10:34:54 am »

Politica
05/04/2012 - DOPO MONTI L’INCERTEZZA DELLA POLITICA

Grande coalizione, il silenzio dei partiti

Palazzo Chigi Mario Monti ha escluso una sua candidatura a premier per il 2013, ma se nessuna coalizione riuscirà ad ottenere la maggioranza in Parlamento potrebbe essere chiamato a guidare una Grande coalizione

Lo scenario ipotizzato nell’intervista del premier inquieta i politici alla ricerca di una strategia

FABIO MARTINI
Roma

In una politica ciarliera come quella nostrana, il compatto silenzio che è seguito alle riflessioni di Mario Monti su una possibile prosecuzione della Grande Coalizione rappresenta a suo modo una notizia, il segno di un generale spiazzamento tra i partiti e i leader, tutti in altissimo mare nell’immaginare cosa sarà di loro fra 10-12 mesi. Non è certo un caso se, nella consueta raffica di dichiarazioni quotidiane, nessuno dei leader e neppure dei colonnelli abbia detto mezza parola sulla suggestione montiana. Eppure la novità contenuta nell’intervista rilasciata due giorni fa a “La Stampa” dal presidente del Consiglio non era stata di poco conto. Per la prima volta Monti si era affacciato sullo scenario che si aprirà dopo le elezioni del 2013, sostenendo che «se la situazione lo richiederà ancora, immagino che i partiti saranno anche disposti a mettere a frutto l’acquisita capacità di dialogo per pensare a grandi coalizioni». Certo, Monti aggiungeva che «sarà bello guardare tutto questo dal di fuori», ma intanto metteva il suo prestigio a sostegno di una soluzione politica “hard”. Ma un così diffuso silenzio ha una spiegazione che va oltre la quotidianità. Sostiene Francesco Boccia, pd, già capo del dipartimento per lo sviluppo economico nel governo Prodi: «Quando si rendono esplicite verità nascoste, per chi le teme e per chi le auspica, la cosa migliore è il silenzio». Conviene un battitore libero di altro orientamento come Giorgio Stracquadanio, pdl: «Diciamo la verità: siamo tutti spiazzati, in Parlamento c’è un autentico deserto di idee, tanto più se strategiche, uno stato d’animo che potrebbe riassumersi così: capisco che il mio polo sta andando a picco, ma non ho nulla da mettermi addosso...».

In realtà tutti i principali leader coltivano un disegno ma nessuno finora ha avuto la forza di esporlo chiaramente. L’unico ad esprimersi è stato Casini, che più volte ha sostenuto il suo auspicio: che l’attuale coalizione prosegua anche per la prossima legislatura. Nell’Udc, per ora, lo schema di gioco per la campagna elettorale è deciso: larga coalizione, Casini candidato leader, ma anche indicazione di Monti come possibile premier nel caso in cui nessuna coalizione dovesse superare il 51% dei seggi. Ancora Monti premier? Annuisce Bruno Tabacci, libero pensatore dell’area Terzo polo: «Condivido in pieno la sua intervista e auspico che il presidente del Consiglio resti esterno, ma non troppo!».

Quanto al Pd, l’incertezza regna sovrana. Nei prossimi giorni il partito di Bersani, in vista delle amministrative di maggio, stringerà alleanze locali con i partiti che più lo osteggiano, l’Idv di Di Pietro e Sel di Vendola, ma poiché nessuno sa con quale legge si voterà, il segretario del Pd su Monti si è espresso così: «Voterei Monti? Sì, se si presentasse col centrosinistra». Quanto a Silvio Berlusconi, in una recente esternazione aveva auspicato un Monti-bis, poi si era corretto. Alla fine, per dirla con un simpatizzante del premier come il senatore pd Giorgio Tonini, «il magistero di Monti è chiaro: dopo la “cura”, i partiti continuino ad avere un dialogo da matura democrazia occidentale, sia nel caso di una auspicabile alternanza, sia nel caso si dovesse replicare una Grande Coalizione, scenario inevitabile se dalle elezioni non dovesse uscire un governo plausibile». Ipotesi probabile se dovesse passare la riforma elettorale, ad alto tasso proporzionale, attualmente in gestazione da parte dei tre partiti di maggioranza.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449106/
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« Risposta #70 inserito:: Aprile 15, 2012, 11:37:18 am »

Politica

15/04/2012 -

Monti prepara con un decreto il “piano sviluppo Italia”

Al lavoro Il presidente del Consiglio, Mario Monti, sta preparando, probabilmente con un decreto, il pacchetto sviluppo per stimolare la crescita economica dell’Italia

Il premier resta a Roma e non parteciperà al G20 di Washington

FABIO MARTINI

Roma

Certo, venerdì 6 aprile Mario Monti era rimasto assai infastidito per l’articolo del Wall Street Journal - che dopo averlo in precedenza paragonato alla Thatcher, aveva bruscamente ritirato l’elogio - ma poi nella replica al giornale il professore aveva fatto ricorso all’humour: «Non ho mai cercato essere la Thatcher di Italia, quindi non ho obiezioni se ritirerete quel titolo». Certo il giornale americano aveva stressato il termine di paragone, facilitando la risposta di Monti, eppure in quella replica c’è tutta la filosofia economica di un personaggio che non è mai stato un liberista ultrà, ma semmai un sostenitore dell’economia sociale di mercato. E’ anche per questo motivo che Mario Monti, nei mesi scorsi, in Europa ha contrastato il rigorismo monodimensionale della signora Merkel e per lo stesso motivo, ben comprendendo l’urgenza di dare una scossa alla depressa economia italiana, in queste ore il Presidente del Consiglio ha preso una decisione importante: preparare un corposo pacchetto per la crescita, pieno di stimoli di varia natura, un provvedimentoomnibus che dovrebbe essere varato, entro questa settimana, in occasione di un Consiglio dei ministri straordinario, convocato ad hoc.

Un appuntamento al quale Monti attribuisce un significato politico molto importante e che aiuta a capire anche perché il presidente del Consiglio abbia deciso di rinunciare a partecipare al G20 dei ministri dell’Economia in programma nel fine settimana a Washington, in concomitanza con il summit di primavera del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale. Appuntamenti ai quali Monti, per la sua formazione, non rinuncerebbe mai, tanto più che sarebbe stata un’occasione per incontrare madame Christine Lagarde, la presidente del Fmi, che in una intervista proprio al Wall Street Journal, ha elogiato il presidente del Consiglio per la «velocità» e l’efficacia delle sue riforme, compresa quella controversa sul mercato del lavoro.

Non è ancora stato deciso lo strumento legislativo, ma il pacchetto per lo sviluppo potrebbe addirittura prendere la forma del decreto-legge, anche se a palazzo Chigi non si esclude il ddl e neppure un più soft Documento di indirizzo. Dettagli significativi, di cui Monti intende parlare con i leader dei partiti della sua maggioranza in occasione del vertice già convocato per martedì sera. Un’occasione nella quale Monti presenterà le linee guida del pacchetto-sviluppo, ma pronto ad ascoltare consigli e proposte dai leader della maggioranza e al tempo stesso concorderà in modo definitivo l’iter della riforma del lavoro. Argomento sul quale Elsa Fornero, anche in queste ore, ben interpreta il pensiero del presidente del Consiglio: l’impianto complessivo e l’equilibrio tra le diverse parti del provvedimento non si toccano.

Ma il piatto forte della settimana, in qualche modo una sorpresa, sarà proprio il provvedimento unico per lo sviluppo. Già da alcuni giorni Monti ha chiesto ai ministri di prima linea, a cominciare da Corrado Passera, di preparare dossier e misure da mettere in cantiere da qui alla fine dell’anno. Se ne parlerà lunedì, in occasione di uno dei consueti summit interministeriali periodicamente convocati da Monti e che pure stavolta sarà chiamato ad assumere decisioni operative. Il provvedimento che Monti ha in testa deve essere ancora scritto, ma i titoli sono pronti: scongelamento di un pacchetto di infrastrutture ferme al Cipe, sblocco entro l’anno di un ulteriore tranche (forse il 20%) nei pagamenti alle imprese degli arretrati della Pubblica amministrazione, varo del fondo taglia-tasse finalizzato alla riduzione delle imposte, agenda digitale, asta delle frequenze digitali (venerdì scade il termine), fluidificazione delle procedure di alcune spese per gli enti locali, riduzione delle bollette energetiche per le famiglie a basso reddito.

Misure che devono letteralmente fare i conti con un problema molto serio, al quale è chiamato a dare risposta il Documento di economia e finanza che sarà varato dal Consiglio dei ministri di domani. Il Def confermerà la recessione in atto, con un Pil in calo dell’1,3-1,5%, dunque un punto in più rispetto allo 0,4% annunciato dal governo a dicembre. Ma al tempo stesso si capirà come il governo abbia deciso di fronteggiare la contrazione del Pil, che in linea teorica comporterebbe la necessità di un aggiustamento dei conti di circa lo 0,5%, in parole povere tra i 7 e gli 8 miliardi. Monti ha già detto di ritenere sufficiente il margine di scostamento definito quattro mesi fa, quando si valutò la spesa per interessi nel triennio sulla base di un differenziale Bund-Btp di oltre 500 punti, dunque molto peggiore dell’attuale.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450170/
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« Risposta #71 inserito:: Aprile 16, 2012, 03:30:03 pm »

Politica

16/04/2012 -

Pacchetto sviluppo in tre tappe

Monti cerca l'accordo con i partiti

La Road map del premier: trattativa serrata per un nuovo patto con le forze politiche

FABIO MARTINI
Roma

Al termine della settimana più difficile della sua vita politica, Mario Monti ha deciso la road map con la quale provare ad uscire dal tunnel: trattativa serrata con i leader della maggioranza, ma evitando qualsiasi forzatura, in modo da stringere con i partiti un nuovo patto. Obiettivo principale: arrivare al varo di un provvedimento per lo sviluppo prima delle elezioni amministrative di maggio. Certo, la ventidueesima domenica a palazzo Chigi è stata anche la meno gratificante per Mario Monti. Il presidente del Consiglio, che conosce i fondamentali dell’economia domestica e il difficile contesto internazionale assai meglio dei suoi detrattori (ogni giorno in aumento), ha avuto un giro di contatti informali, nel corso dei quali ha trasmesso la sua preoccupazione per la situazione economica e finanziaria, ma ha anche stabilito un percorso, che dovrebbe consentirgli di produrre il quinto pilastro della sua “curaurto”, un provvedimento-omnibus per lo sviluppo prima delle Amministrative del 6 maggio.

Non è stato ancora deciso se sarà un decreto-legge o un ddl, ma è stato idealmente tracciato il percorso per arrivarvi.

Un percorso in tre tappe, da percorrere con un’idea di fondo: con i partiti Monti ha deciso di evitare strappi, fluidificando al massimo il rapporto con i leader della maggioranza, farli ragionare sulle difficoltà oggettive, raccogliere indicazioni e poi decidere e, una volta deciso, non fare più retromarce.

La prima tappa si consumerà oggi pomeriggio, in occasione di un Consiglio dei ministri straordinario, chiamato ad approvare la delega fiscale (a suo tempo rinviata) e nel corso del quale, oltre ad azzerare il beauty contest e avviare l’asta delle frequenze digitali, il governo potrebbe sbloccare un dossier che Monti sinora ha preferito congelare: il Fondo per lo Sviluppo nel quale sono destinate a confluire le entrate fiscali derivanti dalla lotta all’evasione fiscale, ma anche le risorse che via via affluiranno dagli effetti della spenging review, la revisione globale della spesa pubblica in corso sotto la regia del ministro Pietro Giarda. Il Fondo per lo sviluppo, se Monti supererà i suoi dubbi, è destinato a diventare il contenitore che, non subito, potrebbe contribuire ad abbattere l’aliquota più basse delle imposte. Ma nel governo si agitano visioni diverse sull’utilizzo delle risorse che andranno a formare il Fondo, per esempio il ministro dello Sviluppo e delle Infrastrutture Corrado Passera lascia intendere che quel “serbatoio” potrebbe stimolare le spese per investimenti.

Nel Consiglio dei ministri di oggi, secondo quanto scrive l’ordine del giorno ancora presente ieri sera sul sito del Governo, si sarebbe dovuto discutere e approvare anche il Documento di Economia e Finanza, col quale il governo è tenuto ogni anno a comunicare al Parlamento e alla Commissione europea le sue tabelle e la sua visione dell’economia nazionale nell’anno in corso e nei tre successivi. Ma per una serie di ragioni - la complessa elaborazione dei dati da parte della Ragioneria, la necessità di una completa “digestione” da parte del Presidente del Consiglio, l’attesa dei “numeri” della Banca d’Italia - il varo del Def è stato rinviato ad un ulteriore Consiglio dei ministri, che dovrebbe essere convocato per mercoledì e che certificherà il peggioramento delle prospettive italiane.

Questo significa che Monti sarà in grado di illustrare in anteprima ai leader della maggioranza i numeri fondamentali dell’economia italiana. Domani sera infatti il presidente del Consiglio si incontrerà a palazzo Chigi col segretario del Pd Pier Luigi Bersani, con quello del Pd Angelino Alfano e col leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini, nel corso di una cena che si preannuncia lunga, si affronteranno i tanti dossier sui quali non c’è ancora un accordo: Rai, Imu, esodati, mercato del lavoro e naturalmente il premier ascolterà tutte le proposte utili a rendere efficace il provvedimento di maggio per lo sviluppo.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450253/
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« Risposta #72 inserito:: Maggio 21, 2012, 05:45:06 pm »

Politica

19/05/2012 - retroscena

Monti cerca di mediare con Parigi e Berlino

Il premier Mario Monti arriva negli Stati Uniti

Il premier: servono maggiori investimenti ma non per tutti i Paesi

FABIO MARTINI
inviato a Camp David


Tra i bungalow di Camp David, nell’atmosfera rustico-lussuosa della residenza di campagna dei presidenti degli Stati Uniti, Mario Monti stringe le mani degli altri capo di governo del G8 con la proverbiale, affettata cortesia.

Con il nuovo presidente francese Hollande si intrattiene più a lungo, in un vis-à-vis di approccio, visto che i due non si conoscevano, mentre il colloquio più cordiale è col padrone di casa, Barack Obama.

Soltanto gli storici, fra qualche anno, potranno ricostruire il ruolo preciso del presidente degli Stati Uniti nella «intronizzazione» di Mario Monti nell’autunno del 2011, sta di fatto che in occasione del G8, iniziato ieri sera con una cena, proprio al premier italiano è stato affidato da Obama l’incarico di aprire la sessione iniziale di questa mattina con una relazione sullo stato dell’economia globale.

Una relazione, quella del premier italiano, in qualche modo concordata e sicuramente condivisa dagli americani, secondo un preciso schema di gioco che si è dipanato nella giornata di ieri: in mattinata Obama e Hollande, affiancati alla Casa Bianca, si sono prodotti in dichiarazioni molto esplicite nell’auspicio che l’Europa si dia una scossa, scuotendosi dall’austerità di marca tedesca; questa mattina Monti, al G8, si rivolgerà, non solo idealmente alla Cancelliera Merkel con gli argomenti che lui, nell’approccio con i tedeschi, conosce meglio di ogni altro.

E gli argomenti di fondo, Monti li ha anticipati in una intervista molto importante rilasciata alla Cnn, nel corso della quale ha esplicitato la «dottrina» sulla quale stava lavorando da tempo e grazie alla quale confida di contribuire a favori e una svolta nella drammatica, epocale crisi che stanno vivendo i Paesi dell’Occidente.

Intervistato da uno dei più famosi anchormen americani, Fareed Zakaria, Monti ha detto: «Dobbiamo recuperare la nozione di domanda, quella che punta a rimuovere i colli di bottiglia all’offerta di beni e servizi» e dunque «dovremmo guardare alla domanda di investimenti più positivamente di quanto facciano le autorità europee più conservatrici».

Oppure più «prudenti», secondo una sfumatura diversa del termine «conservative» usato dal premier italiano, ma che non cambia il senso di un’espresssione insolitamente sferzante. In altre parole, per Monti, occorre sfidare l’eccessiva prudenza della plancia di comando europea (la Commissione guidata da Barroso, il Paese-guida dell’Unione, la Germania), senza però cadere nell’eccesso opposto, con politiche generalizzate per tutti i Paesi che giustificherebbero le resistenze tedesche.

Sostiene Monti: «Se da un lato la domanda da investimenti va valutata più positivamente di quanto facciano le istituzioni europee più prudenti, dall’altro credo che di fronte a una crociata su tutta la linea per una maggiore domanda, le riluttanze tedesche non sarebbero del tutto infondate».

Di più Monti non ha detto, ma quasi certamente lo farà questa mattina parlando davanti ai leader del G8: ferma restando la disciplina fiscale cara alla Merkel, per ridare ossigeno all’ansimante economia europea, occorre però pensare - ecco la novità - a misure pro-crescita differenziate, non necessariamente eguali per tutti, che tengano conto delle condizioni specifiche delle diverse realtà e del ciclo.

E’ dentro questo ragionamento che Monti colloca la sua proposta della golden rule, lo scorporo degli investimenti «buoni» dal computo del debito, in questo modo recuperando una battaglia avviata a suo tempo da Jacques Delors e proseguita (con altrettanto insuccesso) dalla Commissione Prodi.

In altre parole, consapevole dell’appoggio di Obama e di Hollande, forse percependo una persistente resistenza tedesca, alla viglia del G8 Monti ha dunque indicato una strada, anche se il premier italiano - pur consapevole dell’enorme gravità del momento - ci tiene a valorizzare la strada fatta in quattro mesi dalla “sua” Italia: «Vengo a rappresentare un’Italia con le carte in regola e che quindi ha le sue posizioni da esprimere con forza: l’Italia chiede che ci sia a livello mondiale ed europeo una crescita molto più vigorosa che consentirà anche di mantenere nel tempo quegli equilibri di bilancio pubblico che l’Italia per prima e con tanta fatica ha raggiunto e intende mantenere in un quadro di crescita».

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/454816/
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« Risposta #73 inserito:: Maggio 22, 2012, 04:07:07 pm »

22/5/2012

Il volto umano del premier tecnico

FABIO MARTINI

Ci sono momenti nei quali i calcinacci, il sangue e le lacrime di un popolo non possono restare soli, lo Stato deve esserci, mostrare un’anima: Mario Monti, congedandosi anticipatamente dai leader dell’Occidente riuniti al vertice Nato di Chicago e dismettendo l’algido aplomb indossato per sei mesi, ieri ha partecipato ai funerali di Melissa e oggi in EmiliaRomagna toccherà con mano macerie, paura, dolore. Passaggi doverosi per un capo di governo. Ma con i tempi che corrono, non era scontato l’applauso che nella chiesa di Mesagne ha salutato l’evocazione del presidente del Consiglio.

Per il premier tecnocrate, quell’applauso spontaneo, la decisione di «sporcarsi» il vestito e di guardare in faccia l’angoscia sembrano essere il preannuncio di una «svolta emozionale». Mario Monti ha deciso di ribaltare una critica non esplicita ma che era nell’aria: quella di essere sprovvisto di empatia, della capacità cioè di «sentire» lo stato d’animo dei suoi concittadini. Qualche settimana fa il rappresentante di tutti i sindaci d’Italia, Graziano Delrio, padre di nove figli, primo cittadino di Reggio Emilia, usò un’espressione a prima vista un po’ corriva: «Il presidente Monti deve aprire gli occhi, badare alla signora Angela, ma anche alla signora Maria». Eppure, quella battuta ha finito per dar voce ad una sensazione diffusa. Il gap di «presenza» sul campo dei ministri tecnici ha sicuramente segnato la stagione iniziale dell’esecutivo tecnico, come hanno imparato per primi gli abitanti dell’Isola del Giglio, che dopo esser stati protagonisti involontari di un evento di cui hanno parlato i notiziari di tutto il mondo, hanno visto apparire il primo rappresentante del governo alcune settimane dopo la tragedia. Per non parlare dell’approccio, prevalentemente contabile, al fenomeno dei suicidi.

Certo, la storia recente anche in altri Paesi racconta di una capacità di «interpretare» le catastrofi che, in alcuni casi, diventa arte comunicativa, capacità di trasformarsi in consenso. Come dimostrano gli indimenticabili stivaloni del cancelliere Schroeder in mezzo alle acque dell’Elba. Da noi, come sappiamo bene, ci vuol poco a trasformare la necessaria vicinanza dello Stato in spettacolo, la necessaria empatia in professionismo del dolore. Confini che Mario Monti non sembra esser capace di valicare: appena entrato a Palazzo Chigi, aveva dimostrato di interpretare l’umore del suo popolo, facendo della sobrietà la sua bandiera. Incoraggiato dai successi e dal consenso iniziali, Monti ha poi alzato un muro concettuale, sostenendo che sono state proprio le «ragioni del cuore», quelle che hanno portato l’Italia sull’orlo del baratro. E dunque, se i partiti sono stati troppo buoni, tocca a lui fare la parte del «cattivo». E’ il ruolo che Monti si è preso per passare alla storia come il «salvatore» dell’Italia, ma ora anche il professore della Bocconi sembra aver compreso che l’arte del governare comprende anche la capacità di creare una sintonia emozionale con la gente comune.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10131
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« Risposta #74 inserito:: Agosto 22, 2012, 10:11:15 pm »

Politica

22/08/2012 - la crisi, le prossime mosse

Monti, rush finale in otto dossier

Investimenti per i giovani, fisco, crescita e norme anti-casta

Fabio Martini
Roma

Un rush finale che lasci il segno. Venerdì 24, nel primo Consiglio dei ministri dopo le brevi vacanze, Mario Monti metterà alla prova questa sua ambizione, ascoltando, uno dopo l’altro, tutti i suoi ministri chiamati a proporre liberamente, col metodo del brainstorming, idee e progetti di loro competenza, ma soprattutto indotti a tirar fuori dai cassetti i progetti “chiavi in mano” o comunque attuabili nell’arco di alcune settimane. Scorrendo il calendario, a palazzo Chigi si sono resi conto che da settembre fino al termine della legislatura i giorni parlamentari per tradurre in pratica i buoni propositi non sono molti: sessanta, al massimo settanta. Certo, molto dipenderà da quando il Capo dello Stato deciderà di sciogliere le Camere, ma poiché la data è destinata ad oscillare tra fine gennaio e metà febbraio, le settimane utili non sono molte più di venti. In questo arco di tempo il governo cercherà di attuare quella che potrebbe essere definita l’Agenda Monti di fine legislatura: al momento sono almeno otto i grossi progetti “cantierabili”, cioè in avanzato stato di elaborazione e quasi pronti per essere sintetizzabili in un testo e portati in Consiglio dei ministri.

Con una novità in più: Monti intende produrre uno sforzo dichiarato e tangibile per i giovani. Per dirla con le parole del Professore, «il 2013 deve essere l’anno degli investimenti in capitale umano», l’anno nel quale «tutto il Paese si mobilita, scommettendo sui propri giovani, sulle loro competenze, sui loro talenti». Non si tratta ancora di un progetto organico e dunque non è possibile etichettare il dossier (come spesso fanno giornali) in qualcosa definibile come “Piano Monti per i giovani”. Si tratta piuttosto di una serie di stimoli, a partire da misure legate al mondo della scuola e dell’Università (nuove opportunità di lavoro all’estero per gli studenti, accordi tra mondo della scuola e associazioni professionali, nuove modalità di reclutamento e formazione degli insegnanti, potenziamento dell’istruzione professionale, la «rivoluzione del merito», annunciata dal ministro Profumo), anche se il governo immagina che gli stimoli più strutturali all’occupazione giovanile debbano venire dalla riforma del mercato del lavoro e da alcune nuove misure contenute nel prossimo piano per la crescita.

Nel Consiglio dei ministri di dopodomani Monti, dopo aver preso atto che il mese di agosto non ha prodotto emergenze e non ha richiesto interventi-tampone e anzi ha indotto per la prima volta le agenzie di rating ad “investire” sull’Italia, cercherà soprattutto di capire in quali tempi sarà possibile portare oltre la linea del traguardo i progetti più ambiziosi già messi in cantiere. Il presidente del Consiglio intende far partire il prima possibile il secondo piano per la crescita del ministro Passera, che dovrebbe essere diviso in due pacchetti: il primo, da varare entro i primi di ottobre, prevede agenda digitale, semplificazioni e start up per le imprese. Il progetto più ambizioso riguarda la cosiddetta agenda digitale, con la decisione di realizzare nelle regioni del Sud Italia una serie di “Data Center”, centri per immagazzinare dati digitali provenienti da diversi siti: dalla Pubblica amministrazione, ma anche dalle aziende impegnate nel Made in Italy ed interessate ad entrare a far parte di una rete capace di fluidificare le esportazioni. Di questa “agenda” fa parte un progetto di più lunga lena: il tentativo di azzerare entro il 2013 il cosiddetto “digital divide”, dotando tutto il Paese della banda larga di Internet. Per quanto riguarda le imprese, in dirittura d’arrivo le norme sulla semplificazione (autorizzazioni e procedure più semplici), sullo start up (modalità più semplici per avviare un’attività imprenditoriale) e lo sportello unico per le aziende straniere interessate ad investire in Italia, che attualmente sono costrette a sopportare un centinaio di adempimenti prima di poter avviare una propria attività. Il secondo pacchetto del progetto-crescita dovrebbe (ma il condizionale è d’obbligo) avviarsi nelle ultime settimane della legislatura (tra novembre e gennaio) ed è centrato su un nuovo piano energia, col varo di progetti estremamente ambiziosi: il potenziamento della produzione di idrocarburi sul territorio nazionale, con l’obiettivo di coprire in prospettiva il 20% del fabbisogno energetico grazie al petrolio “tricolore”; la progressiva trasformazione dell’Italia nell’hub europeo del gas; il sostegno alla realizzazione di quattro nuovi rigassificatori. Progetti impegnativi, almeno quanto lo sono provvedimenti di natura diversissima dai precedenti, a cominciare dalla grande incompiuta tra le riforme del governo Monti: quella fiscale, attualmente ferma alla Commissione Finanze della Camera, dove è approdata il 15 giugno. L’obiettivo, dichiarato dal governo al suo insediamento, resta quello di un sistema più trasparente e più equo. E ancora: la riforma del catasto, con la revisione delle rendite e del valore patrimoniale degli immobili; il tentativo di avviare il capitolo dismissioni di patrimonio pubblico, mobiliare immobiliare. Infine le riforme “anti-casta”: il taglio delle Province e il “piano Amato” per la riduzione dei contributi ai partiti.

In questo contesto di “cantiere aperto” appare significativo l’appuntamento che il presidente del Consiglio ha dato il 5 settembre alle associazioni degli imprenditori e delle banche, chiamate a palazzo Chigi per fornire, a loro volta, suggerimenti e stimoli per contribuire alla tanto declamata ripresa della crescita.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466106/
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