«Il sindacato rappresenta anche i fannulloni»

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Sul governo: «Il suo mestiere è creare problemi a imprenditori» «Il sindacato rappresenta anche i fannulloni»

Montezemolo a tutto campo, la frase più dura fa discutere: «Il sindacato rischia di diventare espressione della pubblica amministrazione, dei pensionati e anche di qualche fannullone»   


REGGIO EMILIA - Un attacco durissimo e su più fronti: il sindacato in primo luogo, ma anche governo e opposizione. Il presidente di Confindustria, Luca di Montezemolo, davanti agli industriali di Reggio Emilia, non ha risparmiato accuse. Ma certamente la frase che farà più discutere è quella sul sindacato, proprio nel giorno del gelo fra il ministro dell'Economia e i sindacati sull'uso del tesoretto e le pensioni. «Le nostre proposte sono più popolari fra i lavoratori che nel sindacato» che ci sembra rischi di «diventare espressione della pubblica amministrazione, dei pensionati e anche di qualche fannullone».

GOVERNO - Ma il numero uno di Confindustria è duro anche con il governo: «C'è una classe di governo che ha come mestiere creare problemi agli imprenditori».
Governo che Montezemolo vede incapace di affrontare i temi della sicurezza: «Non ci sono piaciuti i tempi e i modi in cui si è affrontata la sostituzione dei vertici delle forze dell'ordine» aggiunge il presidente della Fiat, commentando l'avvicendamento ai vertici della Guardia di Finanza e le modalità di decisione di sostituzione del capo della polizia Gianni De Gennaro. «Se la ripresa c'è stata questa dipende fondamentalmente, se non esclusivamente dalle imprese, eppure il paese fa fatica a fare il tifo per le imprese. C'è un'inaccettabile cultura anti industriale» ha aggiunto ancora Montezemolo.

OPPOSIZIONE - A Montezemolo non piace nemmo questa opposizione, in particolare chi ha attegiamenti propagandistici, con un riferimento esplicito alla Lega: «In Italia serve un'opposizione che faccia meno propaganda e abbia un progetto politico. A noi non piace vedere show come quelli delle forze politiche (la Lega nord a Montecitorio ndr) che invadono i banchi del Governo. Quando il centrodestra era al governo - ha aggiunto il presidente di Confindustria - abbiamo sentito tante volte parlare i suoi esponenti del taglio dell'Irap. Non abbiamo visto un euro di Irap tolta. È necessario tagliare la propaganda e avere un progetto politico».

TASSE - Poi Montezemolo è tornato anche sul tema dell'imposizione fiscale: «Le tasse diminuiscono a tre condizioni, la prima è che le paghino tutti, perchè chi non le paga fa concorrenza sleale. La seconda è non pensare a recuperare l'evasione facendo accertamenti solo a quelli che le pagano. La terza, infine, è non fare una politica economica solo con le entrate senza tagliare mai la spesa pubblica. In Italia ci sono 18.000 membri di cda di società pubbliche. Tagliando la loro spesa si potrebbe reperire denaro per investimenti».

PENSIONI - Il presidente di Confindustria tocca successivamente anche il tema della previdenza: «Per quanto riguarda le pensioni, noi diciamo con chiarezza due cose. La prima è che la riforma Dini e la riforma Maroni consentono di raggiungere obiettivi di stabilitá finanziaria del sistema che non possono essere messi in discussione». «La seconda - conclude Montezemolo - è che bisogna guardare a cosa accade negli altri paesi europei: non possiamo essere il paese con la vita media più alta e quello dove si va in pensione prima di tutti gli altri. C'è il rischio che, tra poco più di venti anni, ogni lavoratore debba mantenere un pensionato. non è così che possiamo costruire il nostro futuro».

LA REPLICA DELLA CGIL - Molta irritazione viene espressa dalla Cgil dopo le affermazioni di Montezemolo. Fonti vicine alla segreteria generale definiscono il leader degli industriali, alla luce di quanto detto stasera, «il nuovo capo populista», che tenta di delegittimare il sindacato dopo averci provato con il sistema politico.

22 giugno 2007
 
da repubblica.it

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Nodo pensioni: accordo possibile se c'è serietà nelle trattative «Troppe tensioni, Napolitano ha ragione»

Il premier Prodi replica all'allarme lanciato dal capo dello Stato sul declino delle istituzioni italiane.

E su Montezemolo: non rispondo 
 

BRUXELLES (Belgio) - «Le preoccupazioni del Presidente Napolitano sono preoccupazioni serie, già tante volte avevo osservato anch'io con preoccupazione le tensioni esistenti. Mi impegno e mi impegnerò il più possibile per ammorbidire la situazione e creare la possibilità di scambi e di cooperazione che sono sempre necessari per la gestione di un Paese democratico». Lo ha affermato il presidente del Consiglio, Romano Prodi, rispondendo da Bruxelles alle domande dei giornalisti sull'allarme istituzionale lanciato giovedì dal presidente della Repubblica sullo stato delle istituzioni italiane.

SILENZIO SU MONTEZEMOLO - Pur incalzato dai cronisti, Prodi non ha voluto invece commentare gli attacchi al sindacato e al governo lanciati sempre giovedì dal presidente degli industriali italiani, Luca Cordero di Montezemolo. Alla domanda se avesse intenzione di rispondere al leader di Confindustria il presidente del Consiglio a risposto con un secco «no».

IL NODO PENSIONI - Il capo del governo ha poi affrontato il nodo pensioni. «La trattativa l'ho cominciata, aiutata e costruita - ha evidenziato Prodi -. E spero proprio che la si possa portare a termine». E a chi gli chiedeva se alla fine si troverà un'intesa tra le parti il premier ha risposto: «Dipenderà dalla serietà con cui si lavora».

22 giugno 2007
 

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Critiche anche dal centro.

L'unico d'accordo è Capezzone

La sinistra: Montezemolo è un black bloc

Insorge l'ala più radicale della coalizione di governo.

Giordano: è prigioniero di gabbia di ricchezza, non capisce il mondo del lavoro
 
 
ROMA -L'attacco frontale sferrato dal presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, contro il governo e contro i sindacati, accusati di tutelare anche i fannulloni, non è piaciuto in particolare all'area della sinistra cosiddetta radicale, ma non soltanto a quella. Le parole del capo degli industriali sono suonate come un affronto al ruolo del sindacato e come un ulteriore tentativo da parte del mondo delle imprese di attaccare il lavoro dipendente e le fasce più deboli della popolazione.

Prodi ha detto di non voler commentare mentre il segretario di Rifondazione comunista, Franco Giordano, non ha dubbi: «Quando si è prigionieri della mondanità e della ricchezza - spiega in un'intervista all'agenzia di stampa Agr - si ha difficoltà a rompere quella gabbia dorata e vedere le vere difficoltà del mondo di lavoro. Ma non tutte le imprese per fortuna la vedono così». Decisamente più duro il capogruppo del Prc al Senato, Giovanni Russo Spena, che arriva a definire Montezemolo il «black bloc della politica italiana» perché «non perde occasione per cercare di sfasciare tutto». Secondo Russo Spena l'uscita del presidente di Confindustria risponde ad una precisa strategia: «Sfruttare la cosiddetta crisi della politica per esercitare il massimo della pressione ricattatoria e imporre politiche sempre più unilateralmente favorevoli agli interessi delle aziende».

Il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, che di Rifondazione comunista è espressione, dice di non voler «scivolare in una polemica» ma precisa che fannulloni e lavoratori sono due «termini imparagonabili». Bertinotti ha parlato a margine di una visita alla Syntess di Bollate, nel Milanese. E ha preso spunto proprio dai lavoratori che lo stavano attorniando in quel momento: «Alcuni di questi operai» - ha detto guadagnano 800 euro al mese e vorrei che si riflettesse sullo scarto tra questa retribuzione e la qualità del prodotto, la qualità industriale e la qualità umana e politica di questi lavoratori. È una comunità che vive con orgoglio questa esperienza».

«Il leader di una grande organizzazione quale è Confindustria dovrebbe essere più prudente - è invece l'opinione del senatore Verde, Natale Ripamonti - e pesare le parole con più senso di responsabilità, dal momento che ogni sua affermazione produce effetti nelle relazioni sociali e politiche». Secondo Ripamonti, Montezemolo dimentica che le organizzazioni sindacali «rappresentano il più grande presidio democratico del nostro Paese attraverso i milioni di iscritti tra i lavoratori, i pensionati, le donne e gli immigrati. Bisogna reagire, ognuno dalla sua parte, per impedire che dopo questi attacchi il Paese possa subire un arretramento nel funzionamento delle istituzioni democratiche».

Critiche a Montezemolo sono però arrivate anche dagli ambienti più moderati della coalizione di governo. Il ministro della Giustizia e leader dell'Udeur, Clemente Mastella, ha voluto esprimere «solidarietà al sindacato rispetto a questa sciocca considerazione». «I fannulloni - ha aggiunto - sono ovunque: tra gli imprenditori, tra i politici, tra i sindacalisti e tra i cittadini. Esiste da sempre questa storia di dividere la società politica da quella civile e ritenere quest'ultima migliore».

Persino dall'opposizione si avverte un certo fastidio per le parole di Montezemolo: «Non condividiamo certi giudizi nei confronti dei sindacati - sottolinea il coordinatore di Forza Italia, Sandro Bondi - , perchè anche se non concordiamo con loro su alcuni temi, non esprimeremmo mai giudizi sprezzanti su organizzazioni che sono parte fondante della nostra democrazia».
L'unica voce politica che ha mostrato esplicito apprezzamento per l'intervento di Montezemolo è stato quello di Daniele Capezzone, presidente della commissione Attività produttive della Camera: «ha ragione tre volte: sui sindacati, sul governo e sull'opposizione. Vedo che, evidentemente punti sul vivo, in molti reagiscono nervosamente alle parole del Presidente di Confindustria Montezemolo. Secondo me - prosegue Capezzone - fanno male, perchè i problemi posti da Montezemolo sono reali, e non possono essere, per così dire, esorcizzati, ma andrebbero affrontati nella loro gravità.

22 giugno 2007
 
da corriere.it

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Scilla, Cariddi e Pensioni

Ferdinando Targetti


La stabilità di un sistema pensionistico poggia su due principi: la stabilità finanziaria e l’equità intergenerazionale. Se non è soddisfatta la prima condizione, a motivo di un mutamento del trend di crescita dell’economia e/o delle condizioni demografiche, il sistema può essere equo, ma è destinato a collassare, perché chi è al lavoro deve pagare quote sempre più alte del proprio reddito per mantenere delle pensione agli anziani tanto generose quanto quelle che quegli anziani avevano pagato quando erano giovani ai vecchi di allora.

Se non è soddisfatta la seconda condizione si può avere un sistema che finanziariamente regge, ma che collassa per la rivolta sociale che deriva dal fatto che via via che il tempo passa i nuovi pensionati si rendono conto che ottengono pensioni via via minori rispetto a quelle ottenute dai pensionarti più vecchi alla cui pensione essi avevano contribuito con il reddito del proprio lavoro. Certo ci sono paesi, come il Cile, nel quale il passaggio da un sistema finanziariamente instabile ad uno stabile (un sistema tutto privato e a capitalizzazione) è stato intrapreso in breve tempo facendo pagare il prezzo a quella generazione di mezzo che perdeva il vecchio sistema e non aveva accumulato risparmi per il nuovo sistema, ma perché questa “riforma” potesse essere realizzata c’è voluta una repressione sanguinosa del dissenso e l’instaurazione di una dittatura feroce.

In Italia, prima della riforma Amato-Dini-Prodi-Maroni, il sistema era a ripartizione (con pensioni pagate in base all'ultimo stipendio), era generoso e aveva una certa equità intergenerazionale, ma la riduzione del tasso di crescita del reddito e l’invecchiamento della popolazione non consentivano che il sistema reggesse dal punto di vista finanziario e il rischio del collasso si avvicinava di anno in anno. È stata quindi intrapresa quella pluriennale riforma che è consistita nel passaggio al calcolo contributivo (pensione in base ai contributi versati), nell’estensione del calcolo anche al settore pubblico, nell’allungamento dell’età delle pensioni di anzianità. (Prescindiamo qui di trattare la questione del passaggio, equo, necessario anche se costoso, dallo “scalone Maroni” agli “scalini Damiano”).

Oggi ci troviamo però di fronte ad un ulteriore allungamento delle attese di vita e ad una conseguente necessità di rivedere i parametri in base ai quali il sistema, seppur riformato, sia finanziariamente sostenibile. Ma se compiamo questa necessaria operazione ci allontaniamo dalla Scilla dell’instabilità finanziaria, ma ci avviciniamo alla Cariddi dell’iniquità intergenerazionale, perché la revisione dei coefficienti della Dini significa che le pensioni di coloro che andranno in pensione dal 2015 in poi con pensioni interamente calcolate con il metodo contributivo, saranno assai più magre di quelle che oggi essi contribuiscono a pagare con il loro lavoro ai loro padri.

Questo è il dilemma che sta alla base delle considerazioni del bel libro di Giuliano Amato e Mauro Maré «Il gioco delle pensioni: rien ne va plus?» (Il Mulino, Bologna, 2007, euro 9,50). Si può sperare che le cose migliorino da sole? No. Perché affinché questo avvenga ci dovrebbe essere una tendenza del mercato del lavoro che veda un numero di forme di lavoro stabili e regolari crescente, quando invece si prospettano forme di lavoro più flessibili che comportano profili temporali di lavoratori con crescenti periodi di inattività. Un aiuto potrebbe venire dai flussi migratori di lavoratori, ma, pur a prescindere dagli squilibri sociali di un eccesso di immigrazione, non sembra una cosa così scontata che l'immigrazione si traduca in un regolare flusso di contribuzione previdenziale. Per Amato e Maré la soluzione al dilemma tuttavia esiste. Essa va ricercata in una politica basata su tre cardini. Il primo è dato dallo sviluppo della previdenza complementare, che è l’altra gamba della riforma del sistema pensionistico ideata negli anni ‘90. I fondi pensione presentano in Italia dei rendimenti alquanto elevati e possono quindi consistere in una buona integrazione della previdenza obbligatoria. Tuttavia la previdenza complementare in Italia, a differenza che in altri paesi più maturi, non è ancora decollata. Il secondo cardine consiste nell’innalzamento dell'età pensionabile: oggi mediamente le casse dell’Inps devono pagare ad un 57 enne che va in pensione di anzianità una ventina d'anni di pensione, calcolata, per una larga quota con il metodo a ripartizione, cioè prescindendo da quanto il lavoratore ha versato lungo la sua vita contributiva. In futuro quando il sistema a contribuzione sarà a regime il problema perderà di rilevanza perché ciascuno sceglierà il mix «età di pensionamento-livello di pensione» che preferirà. Il terzo cardine è l'idea innovativa del libro che a me pare di grande rilevanza.

Se l’evoluzione del mercato del lavoro è quello che descrivevamo più sopra, se la quota dei lavoratori con redditi bassi, molto bassi, non è destinata a scendere, se crescerà la quota di lavoratori che non potranno convertire in previdenza complementare il Tfr, perché non ce lo avranno (lavoratori autonomi o irregolari), se tutte queste realtà spiacevoli, ma molto probabili, si verificheranno, le persone che non saranno in grado nella propria vita di mettere da parte un adeguato risparmio da consentire loro di accedere alla previdenza complementare sono destinate ad essere numerose. Nei confronti di queste persone rimarrebbe irrisolto il problema della equità intergenerazionale: quei futuri pensionati (oggi giovani) avrebbero pensioni insufficienti a consentire loro una dignitosa vecchiaia. Per queste categorie di persone, questa è l’idea di Amato e Maré, devono essere previste forme di solidarietà redistributiva sottoforma o di ammortizzatori sociali (contributi figurativi nei periodi di inattività lavorativa) o di integrazione pensionistica. A mio parere, poiché il sistema contributivo non deve essere “sporcato” con l'introduzione di coefficienti finti (situazione che si avrebbe oggi se, come vogliono i sindacati, non si intervenisse sui coefficienti di trasformazione come previsto dalla legge Dini) questa operazione di redistribuzione dovrebbe essere posta finanziariamente a carico della collettività e cioè della fiscalità generale. A mio parere questo intreccio tra previdenza e fiscalità ha una sua ratio per il fatto che quella categoria di persone per le quali le prime due gambe (pubblica a ripartizione e privata complementare) non sono sufficienti a creare una pensione dignitosa si trova in quella condizione per le caratteristiche di flessibilità del mercato del lavoro, che sono richieste per dare maggiore dinamismo all’economia generale del Paese.

Pubblicato il: 23.06.07
Modificato il: 23.06.07 alle ore 15.18   
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Secondo il sottosegretario Letta l'intesa è ormai a portata di mano

Epifani: sì a un compromesso «intelligente»

Pensioni, il segretario generale della Cgil si dice pronto a firmare un accordo con il governo prima del Dpef. Ma ad alcune condizioni


ROMA - La riforma del sistema previdenziale potrebbe essere a portata di mano. Lo sostiene il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Enrico Letta, che si dice «ottimista» e che esorta a «fare di tutto per smussare gli spigoli e per fare un passo avanti per chiudere l’accordo. Vogliamo dare risposte ai pensionati di oggi e a quelli di domani». Letta lo ha detto a margine della Festa nazionale della Cisl a Levico Termine. E a strettissimo giro di replica gli risponde dalla stessa sede il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, che si dice pronto a valutare le proposte dell'esecutivo, spiegando però che il sindacato sarà disponibile ad accettrare un compromesso solo se questo sarà giudicato «intelligente».

«SUPERARE LO SCALONE» - Epifani fa sapere che la Cgil è pronta a chiudere l’intesa sulle pensioni prima del Dpef. «Se si vuole fare l’accordo - ha spiegato Epifani - bisogna lavorare per un compromesso aperto e intelligente, che tenga conto di ciò che dice il sindacato. Altrimenti, è difficile arrivare a un risultato». Epifani ha sottolineato che la sua organizzazione firmerà «il miglior accordo possibile per la gente. Noi siamo impegnati a superare lo "scalone" e nel complesso a fare un accordo che dia risposte ai lavoratori e ai pensionati. Ci muoveremo in questa direzione - ha aggiunto - anche perché c’è troppo malessere tra la gente».

PENSIONAMENTO RITARDATO - Il nodo da sciogliere resta dunque quello del cosiddetto «scalone», ovvero dell'innalzamento dell'età pensionabile previsto dalla riforma Maroni già a partire dal prossimo anno: dal primo gennaio, in assenza di interventi legislativi, sarà portata da 57 a 60 l’età per le pensioni di anzianità fermo restando il requisito minimo dei 35 anni dei contributi versati. Dalle aree più a sinistra della coalizione, oltre che dal mondo sindacale, giungono sollecitazioni affinché il brusco passaggio al nuovo sistema venga cancellato o quantomeno attenuato il più possibile. L'operazione non sarebbe però facilmente sostenibile economicamente visto che la cancellazione del pensionamento ritardato comporterebbe maggiori onteri immediati a carico del bilancio dello Stato.
 
«SERVE BUON SENSO» - Sulla necessità di giungere presto ad un'intesa è tornato ad esprimersi anche il «padrone di casa» della festa di Levico, il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni: «Sarebbe un segnale positivo - ha commentato -: penso solo ai problemi che si possono risolvere con gli ammortizzatori sociali, con la rivalutazione delle pensioni minime, con il secondo livello di contrattazione che permette di avere più salario per i lavoratori. Su tutti questi temi che sono importanti è bene che si arrivi ad una intesa, vedo però che ci sono alcuni che cercano di smarcarsi da un lato o dall'altro. La politica deve fare il suo dovere, ora serve buon senso, basta con questo caos e con questa confusione».
I DUBBI DI CONFINDUSTRIA - Perplessa, invece, Confindustria, che attraverso il proprio direttore generale, Maurizio Beretta, a sua volta presente alla kermesse cislina, sottolinea come «ci sono leggi esistenti che stanno dando risultati positivi e coerenti con quanto si muove in Europa» e per questo «non c’è bisogno di intervenire, modificando la situazione esistente». La priorità, secondo Beretta, dovrebbe piuttosto essere quella di «non aggravare la situazione della finanza pubblica».

24 giugno 2007
 

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