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Autore Discussione: SOCIALESIMO. Perchè.  (Letto 39569 volte)
Arlecchino
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« Risposta #30 inserito:: Ottobre 31, 2021, 05:56:25 pm »

Il liberalismo sociale è nel DNA del socialismo turatiano.
Gli esordi alla Critica Sociale
 
Il ricordo di Francesco Forte, allievo  scelto dal Maestro alla sua successione in  Scienza delle Finanze a Torino
 
di Francesco Forte

Il 30 ottobre del 1961, 60 anni fa moriva Luigi Einaudi. La notizia mi giunse mentre aprivo una sua lettera, in cui mi comunicava che la mia chiamata di successore, nella cattedra nell’Università di Torino era stata votata all’unanimità. Poiché si sentiva poco bene la sua relazione era stata scarna. Me ne chiedeva venia. Nel febbraio del 1961 nella telefonata in cui mi si annunciava che ero stato scelto da Einaudi come suo successore, mi si informava che la delibera sarebbe stata posticipata all’autunno , perché l’estate a Torino, per lui, era tropo calda e lui voleva essere il relatore. Nel frattempo, Einaudi desiderava incontrarmi a Roma. Io ero da poco rientrato in Italia dagli USA con mia moglie Carmen, incinta. Avevo 31 anni e Carmen 29 Da due anni accademici risiedevamo negli USA, ove insegnavo come professore associato all’Università di Virginia Avevamo accolto con grande gioia la notizia che Einaudi mi aveva scelto come suo successore. Egli mi ricevette a Roma, in estate, nella villetta a due piani con giardino, in una zona verde, distante dal centro. La signora Ida, la gentildonna moglie di Einaudi, che controllava le giornate del marito, onde non si affaticasse, aveva stabilito che l’incontro sarebbe durato un’ora. Einaudi per darmi il “benvenuto” mi ricevette, in piedi, appoggiato al bastone, sulla soglia del giardino. Sorridendo mi disse “sono un mostro di 87 anni”. Poi si sedette su una poltrona, a fianco della porta, nel verde. Il primo dovere a cui avrei dovuto adempiere, era di risiedere a Torino con la mia famiglia Non dovevo fare la spola da altre città, come spesso fanno i professori. La residenza della famiglia a Torino mi era richiesta anche perché dovevo dirigere Laboratorio di economia politica, in cui la presenza del direttore è necessaria anche nelle giornate in cui egli non insegna, ma coordina le ricerche e le riunioni. Nelle mielezioni io non avrei dovuto usare il suo libro di testo di “Scienza delle finanze”. Non era riuscito a fare un’opera sistematica. Ci aveva supplito con saggi e libri su singoli temi (a me venivano in mente soprattutto i “Miti e Paradossi della Giustizia tributaria”, il volumetto sull’Unione europea, Le “Lezioni di politica Sociale”, “le Prediche inutili) . A me il compito di fare un manuale sistematico. Poi aggiunse che alcuni suoi colleghi avevano obbiettato alla sua scelta del successore, che io non ero un puro studioso, facevo anche il giornalista. Einaudi disse che, per lui, quello non era un difetto, Lui aveva fatto il giornalista, sin dall’inizio della sua carriera., come me. E continuava a farlo, con gli articoli domenicali nel “Corriere della Sera”, intitolati “Prediche della domenica”. Facendo il giornalista, il professore a dà alle teorie un’applicazione pratica, comprensibile alla gente comune, come le prediche del parroco. Mi venivano in mente due “Predica della domenica” del gennaio, che avevo letto su “Il Corriere” quando ero in America, che riguardano la città brutta e la città bella. La città brutta è fatta di casermoni, in cui vivono individui che non formano una comunità perché ci sono imposte patrimoniali sull’edilizia, che rincarano i centri abitati e mancano strade e piazze in cui ritrovarsi. Invece nella città bella, ove le tasse sulle case sono moderate e ci sono buoni servizi, c’è una comunità. di persone. Donna Ida Einaudi mi disse che l’ora era terminata. E poi solo la lettera breve, del 30 ottobre per riaprire il dialogo che io da allora continuo, con Einaudi.

Economista, opinionista e uomo politico, Einaudi aveva ben chiaro che quella fra crescita e rigore è una falsa dicotomia. Contro l’inflazione keynesiana egli proponeva una politica di stabilità monetaria.
Desiderava un pareggio di bilancio attuato attraverso il taglio delle spese improduttive, l'eliminazione delle bardature all’economia e con il freno all'aumento di imposte, un ostacolo a risparmio e produttività. Per la capacità produttiva inutilizzata Einaudi proponeva investimenti, non una generica espansione dei consumi. Al contrario, l’idea di raggiungere il bilancio in pareggio con elevati aumenti fiscali, come accaduto in Grecia, è essa stessa un tributo al pensiero di Keynes.

Dal confronto emerge come sia più attuale la visione complessiva di Luigi Einaudi e come il suo pensiero ha ancora molto da insegnarci.

da - l'Avanti
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« Risposta #31 inserito:: Ottobre 31, 2021, 05:59:20 pm »

Responsabile socialista del nucleo universitario di Torino scrisse per 10 anni
 
La formazione di Einaudi crebbe nella Critica Sociale

 
Stefano Carluccio

Nel marzo del 1894 Luigi Ei- naudi firma il suo primo arti- colo: si tratta di un pezzo per Critica Sociale. Il teorico del liberismo italiano, europeista ante-litteram, l’uomo che seppe far vivere costantemente la cultura in scelte quotidiane, allora era solo uno studente. Un giovane che, come egli stesso ebbe a dire, “si dedicava furiosamente alla lettura di migliaia di cose sociali ed economiche”.

A Milano, come molti altri giovani, suoi coetanei, egli aveva conosciuto Anna Kuli- scioff e Filippo Turati: la casa dei due sociali- sti era quasi una tappa d’obbligo per quanti s’interessavano di cose sociali ed economiche. Di quell’incontro in un suo scritto egli ricorda “il tremore reverenziale con cui entrò nel fa- moso sacrario dei portici settentrionali di Piazza Duomo” e il sorriso dietro cui “celava l’im- barazzo del giovane che si trovava davanti a due personaggi tra i primi del movimento so- cialista non solo italiano, ma anche europeo”.

La collaborazione di Einaudi alla Critica Sociale dura circa un decennio e prosegue fino al 1903 quando si distacca dai socialisti assu- mendo posizioni sempre più liberiste. Sono gli anni che segnano il primo decollo industriale italiano. Già da allora gli interessi del futuro Presidente della Repubblica (l’altro “collabo- ratore” della Critica Sociale che poi divenne Presidente della Repubblica fu Giuseppe Sa- ragat, anch’ egli piemontese) erano ben deli- neati.

La Critica Sociale già nel 1893 aveva fatto menzione di Einaudi in un articolo dal titolo “Epistolario di studenti” a proposito di una sua lettera sul Congresso dei giovani socialisti di Ginevra. La questione riguardava la polemica sorta a seguito della mancata adesione del Cir- colo socialista pavese all’appello degli studen- ti parigini per un Congresso internazionale. La posizione del rappresentante pavese ebbe una vasta eco poiché sembrava porre in discussio- ne la “intima alleanza del proletariato intellet- tuale con quello manuale”, cosa che scanda- lizzò moltissimo. In realtà egli intendeva l’ esatto contrario, ovvero l’ inutilità del Congresso per l’ inutilità dei Circoli universitari, essendo “socialisti” solo se redenti nel mescolarsi con gli operai. Interviene anche Einaudi, di cui la Critica Sociale riferisce la posizione quale dirigente del Circolo socialista di Torino: “Da Torino, Luigi Einaudi, studente (beato lui!) in attività di servizio – scrive la Critica - entra nello stesso ordine di idee (di un certo Pasquale Rossi di Cosenza che sosteneva come il socialismo degli studenti derivasse dallo studio e non da ristrettezze economiche, ndr). Anch’egli ritiene che un’organizzazione auto- noma degli studenti socialisti non possa servi- re ad una forte e determinata azione politica e professionale. Cionondimeno – prosegue il re- soconto della Critica – crede all’utilità dei Cir- coli socialisti universitari come strumento di selezione «per trarre i migliori giovani dalla neghittosità e dall’apatia a cui gli ordinamenti scolastici e la vacua vita universitaria predi- spongono gli studenti», per chiamarli «all’in- vestigazione scientifica del problema sociale» e farne degli apostoli convinti ed armati di pre- ciso materiale scientifico, che porteranno poi nelle sezioni del partito”. Un precoce elogio dell’autonomia della cultura dalla disciplina di partito, un Vittorini (vs. Togliatti ) ante-litteram.

Un anno dopo scrisse il suo primo articolo per la Critica Sociale, nella forma di una lettera al Direttore, sulla questione della propaganda socialista “nei paesi di piccola proprietà terriera”, un articolo presentato da Turati come degno di attenzione perché la divulgazione so- cialista nella piccola proprietà agricola era quanto mai difficoltosa. Per questo, nel pre- sentare lo scritto di Einaudi (“un egregio e col- to giovane di Dogliani (Cuneo) nostro abbo- nato”), la Direzione della Critica rivela come esso rimase “alcune settimane sul tavolino” per avere la meritata e ragionata risposta della Rivista.

A proposito di quel primo articolo  Einaudi ha scritto: “Non mi parve vero di mandare qualcosa di mio alla rivista che si intitolava al socialismo scientifico”.

La sua collaborazione più significativa e vi- stosa è stata una serie di saggi sulla politica ferroviaria italiana pubblicati del 1903, e uno studio sulla politica commerciale uscito in di- verse puntate tra il 1902 e il 1903: entrambi i lavori, fatti in collaborazione con Attilio Cabiati (*). Pur costatando gli indubbi vantaggi che sono derivati allo sviluppo dell’ industria dal protezionismo (inaugurato nel 1878 e raf- forzato nel 1887), Einaudi ne mette a fuoco i limiti e l’inefficienza in un mutato clima eco- nomico e sociale: “La politica doganale –af- ferma – ha garantito all’industrie manifatturie- re il mercato interno e i fabbricanti del Nord hanno su queste basi eretto industrie grandio- se”, ma aggiunge, “si è cagionato però un dan- no irreparabile all’industria agraria”.

“Gli operai – scrive Einaudi - come consu- matori hanno interesse a volere una politica doganale che ribassi il costo dei manufatti. Come produttori hanno interesse che i dazi protettori non indirizzino i capitali verso im- pieghi poco produttivi, e che i trattati di com- mercio siano negoziati in modo da aprire il più ampio mercato possibile all’ estero all’ agricol- tura e all’industria”, afferma dopo una minuziosa analisi della politica commerciale attuata in Italia dall’Unità ai suoi giorni.

Con i nuovi “Trattati di commercio” i dazi, infatti, hanno cessato di produrre i loro bene- fici a protezione delle manifatture in generale, per avvantaggiare solo pochi guppi di indu- striali del nord e, in agricoltura, i cereacultori, a causa di una errata – a suo giudizio – politica commerciale che sottopone l’Italia alla Ger- mania e all’Austria. Einaudi non vede obiezio- ni alla misura, che sollecita, della loro aboli- zione neppure “se consideriamo la cosa dal punto di vista della convenienza e dell’equità”. La lunga protezione concessa “alle nostre in- dustrie manifatturiere ha raggiunto pienamen- te il suo scopo: inutile quindi il conservarla”.

Per Einaudi il miglioramento delle condizioni sociali dei lavoratori è strettamente col- legato all’obiettivo del risanamento economi- co. “Coloro che vogliono seriamente intende- re ad una politica seria di elevazione delle condizioni del nostro proletariato – scrive sul- la Critica Sociale – devono soprattutto avere in mira questi due scopi: accrescere la produ- zione nazionale e ristabilire l’equilibrio fra i fattori di produzione”.

E, sotto questo profilo, date le nuove circostanze, sostiene che “un altro problema di equi- tà, non meno grave (dello sviluppo delle indu- strie manifatturiere favorite con i dazi, ndr) urge al pensiero degli italiani: e questo è il problema meridionale. Orbene, come ha dimostrato il prof. De Viti De Marco alla Camera e nel suo denso discorso di Lecce, la questione del Mezzogiorno non è questione di lavori pubbli- ci; ma è essenzialmente questione d’ imposte, di libertà commerciale e di tariffe doganali. Il Mezzogiorno, privo d’ industrie e travagliato da una terribile crisi, ha bisogno per vivere di vendere i suoi prodotti: e per vendere ha biso- gno che cessi questa tutela degli interessi dei pochi, che ora, per le indirette dichiarazioni dei più intelligenti tra quei pochi stessi, non avrebbe più ragione di essere, a meno che non si ritenga dovere dello Stato di stringere contratti per la garanzia di elevati profitti a favore degli industriali. Del resto, questi stessi riconoscono che è per essi questione di primaria importanza l’avere un Mezzogiorno ricco, che continui a comprare i loro prodotti”.

Detto questo, tuttavia non dimentica il necessario sviluppo dell’industria, ma collocato su un nuovo piano di conquista di mercati esteri di cui, in previsione di un certo contrac- colpo negativo a causa dell’auspicata abolizio- ne dei dazi, gli industriali del nord “essi subito si avvantaggerebbero dei grandi benefici nella nuova posizione favorevole dell’ Italia sui mer- cati internazionali, ed in particolare verso l’Argentina e la Russia”, partner più vantag- giosi per l’Italia rispetto allo scambio commer- ciale con la Germania e dell’Austria.

Che il teorico del liberalismo inizi la sua carriera su una rivista socialista non è assurdo: innanzitutto il liberalismo che cova nella for- mazione giovanile di Einaudi sembra trovarsi in sintonia con il socialismo di Turati che, dal canto suo, vede l’emancipazione dei lavoratori solo se partecipi, economicamente e politica- mente, dello sviluppo capitalistico dell’Italia, ma in un quadro di maggiori libertà democra- tiche, sia istituzionali che sociali, ispirate al “collettivismo”, che intendiamo oggi per as- sociazione, autogoverno, non comunismo. Fin qui la visione dei due è assai simile.

In secondo luogo in quegli anni l’Italia, da poco unificata in un unico Stato, sta diventan- do nazione europea attraverso lo sviluppo e la crescita di una società industriale, e la Critica Sociale promuove ed ospita un ampio e vivace dibattito tra differenti prospettive sulle misure da prendere in economia, in campo sociale, di libertà politiche e civili, e – sul piano teorico - insiste sul ruolo del movimento dei lavoratori all’interno dello sviluppo capitalistico del Pae- se e sulla condivisione e l’utilizzo della demo- crazia rappresentativa di matrice liberale da parte dei socialisti. L’ Italia sta diventando adulta a vent’ anni dal compimento risorgi- mentale, con Roma capitale. E l’intreccio tra progresso economico e progresso sociale è per Einaudi – come per Turati – inestricabile. Ciò vale per gli altri autori di scuola liberalsocia- lista della Critica Sociale, in primis Monte- martini, Cabiati, Griziotti, Vanoni (un filone oggi proseguito, anche nel governo Craxi, da Francesco Forte).

E’ questo il fondo del sentimento nazionale che si elabora nei decenni successivi al 1861 per realizzare il sogno dei democratici (socia- listi, liberali, repubblicani) per una società mo- derna e unita che si affacci, al pari delle altre grandi nazioni europee, nel Novecento.

Luigi Einaudi, come è noto, fu titolare della cattedra di Scienze delle Finanze all’Università di Torino, ruolo alla cui successione so- stenne il giovane Francesco Forte, il quale ora ha promesso di curare con un suo saggio in- troduttivo la pubblicazione degli scritti di Ei- naudi sulla Critica Sociale in occasione dei 120 anni della Rivista. Il prof. Forte ci assicura che tale scritti non sono compresi nelle Opere e dunque possono considerarsi inediti e, scien- tificamente, “una scoperta”. Sarà, è l’impegno comune, il primo di una serie di volumetti su- gli economisti liberalsocialisti e l’ economia pubblica nelle origine del capitalismo italiano, tratti dalla Critica Sociale e comparato con l’ altro grande filone europeo, quello tedesco dell’Economia sociale di mercato, entrambi in più punti affini e tutt’oggi utili a comprendere la realtà italiana e a governarla.

 
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« Risposta #32 inserito:: Novembre 02, 2021, 12:22:52 pm »

Sarà che è novembre

Sarà che è novembre. Sarà che ho un’indole malinconica e una questione non ancora risolta coi congedi, che altri vedo affrontare con tenace fiducia nel futuro, beati loro. Sarà che la prospettiva di trascorrere i prossimi tre mesi a discutere di Berlusconi presidente della Repubblica (ci crede davvero? È un bluff che ci distrae dalla vera partita? Vuole solo essere il king maker di un candidato che poi dirà essere suo, e naturalmente anche di Matteo Renzi suo alleato?) insomma sarà che mi appassiona così poco ormai la prevedibilità dell’imprevedibile – in politica - che mi sono incantata nei giorni scorsi sui dettagli dell’ultimo viaggio di Angela Merkel.

Scusate. Lo so che è molto odiata, simbolo indiscusso della supremazia tedesca con tutta l’eco pesante che comporta nelle nostre familiari biografie, lo so che non è una romantica rivoluzionaria da stampare sulle magliette. Però dopo aver letto la biografia di Tonia Mastrobuoni sono diventata più indulgente, con lei: quel che voleva fare l’ha fatto partendo con handicap da zero, lo dico ai populisti anticasta. Certe volte costa fatica. Mi sono incantata, dicevo, su un paio di foto.

La prima, quella in cui alla Fontana di Trevi si china a toccare l’acqua. Lo fa solo lei, tra i leader, lo avrei fatto anche io.
Come si fa a non toccare l’acqua, come hanno fatto gli altri?
La seconda, quella in cui il marito scruta una cartina di Roma. Una cartina di carta, scusate il bisticcio. Che coppia.

Che ultima uscita noncurante, e ciao.

Ai più importanti bivi della nostra vita non c’è segnaletica, ho letto ieri nel congedo di Lia Capizzi, una brava giornalista che lascia. Davvero. Ai bivi importanti si torna quelli che siamo sempre stati.

DA - https://invececoncita.blogautore.repubblica.it/articoli/2021/11/02/sara-che-e-novembre/
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« Risposta #33 inserito:: Novembre 05, 2021, 11:43:33 pm »

CATEGORIA: NEOS LEX

Perché il federalismo senza responsabilità fiscale non funziona

  scritto da Econopoly il 05 Novembre 2021
NEOS LEX

Post di Andrea Pradelli, laurea magistrale in Economia e Scienze Sociali all’Università Bocconi, e PhD student in Economics and Management all’Università di Trento –
Politica valutata: Riforma federale belga (1993) e accordo Lambermont (2001)

Obiettivo: Transizionare con successo ad uno Stato federale.

Impatto: La riforma del 1993, che attribuiva agli enti locali autonomia di spesa ma non potere di riscossione delle imposte (Vertical Fiscal Imbalance), ha avuto un impatto negativo sulla crescita economica. Dopo la riforma del 2001, che attribuiva responsabilità fiscale agli enti locali, questo impatto negativo è svanito; anzi, l’accordo Lambermont sembra avere avuto un effetto positivo sulla crescita economica.
Dagli anni ’80 il federalismo è entrato di prepotenza nel dibattito pubblico italiano, prima con l’ascesa delle Leghe, poi con la discussa riforma del Titolo V del 2001. Nonostante ciò, una vera transizione da stato unitario a stato federale non è mai avvenuta. Nel frattempo, si è iniziato a parlare di federalismo anche a un livello superiore, auspicando un’Europa unita come federazione di stati. Dare un giudizio sul federalismo è complicato: per i sostenitori la concorrenza fra territori genererebbe efficienza e avvicinerebbe la politica ai bisogni dei cittadini, per i detrattori il federalismo favorirebbe la spesa clientelare e romperebbe la solidarietà fra regioni più ricche e regioni più povere.

Per rispondere a questa domanda, Alessio Mitra e Anastasios Chymis (2021) hanno analizzato l’unico Paese OCSE che negli ultimi 60 anni ha effettuato la transizione da Stato unitario a Stato federale: il Belgio. Paese multietnico e trilingue, in cui si parlano francese, olandese (fiammingo) e tedesco, il Belgio ha sempre faticato a trovare un’identità unitaria. Gli sforzi per trasformare il Belgio in un Paese federale iniziarono alla fine degli anni ’80: l’Atto Speciale dell’Agosto 1988 devolveva agli enti locali responsabilità su istruzione, sviluppo e spese per investimenti. La vera svolta, però, arrivò nel 1993, quando il primo ministro Jean-Luc Dehaene cambiò la Costituzione per trasformare il Belgio in uno stato federale. L’articolo uno del nuovo testo recita: “Il Belgio è uno stato federale composto da Comunità e Regioni”. La riforma portò all’elezione diretta dei parlamenti delle Comunità e delle Regioni e a un aumento della loro autonomia di spesa. Secondo il Comparative Political Data Set (Armingeon et al., 2020), il Belgio passò da “no federalism” a “strong federalism”.
La riforma, però, aveva un potenziale difetto: attribuiva ampia autonomia di spesa agli enti locali, ma senza responsabilità fiscale. In poche parole, Comunità e Regioni potevano scegliere come spendere, ma i loro fondi provenivano da trasferimenti dallo Stato centrale. Questa situazione in cui la spesa è decentrata e la tassazione è centralizzata si chiama Vertical Fiscal Imbalance (VFI). Con la riforma del 1993 la percentuale della spesa locale non finanziata da gettito fiscale locale arrivò al 70%. Nel 2001 il governo presieduto da Guy Verhofstadt tentò di correggere la rotta approvando l’Accordo Lambermont, che assegnava alle Regioni la responsabilità per la gestione e l’applicazione di 12 tasse regionali, prima di competenza di Bruxelles.

Nel paper “Federalism, but how? The impact of vertical fiscal imbalance on economic growth. Evidence from Belgium”, Mitra e Chymis hanno studiato l’impatto della riforma del 1993 e dell’Accordo Lambermont sulla crescita del PIL. Per farlo, hanno adottato un metodo relativamente nuovo, il Synthetic Control Method (SCM). Semplificando, questa strategia permette di paragonare l’andamento del PIL pro-capite belga (treated unit) prima e dopo la riforma del 1993 con quello di un gruppo di Paesi simili al Belgio per popolazione, economia e cultura, che non hanno effettuato la transizione federale (synthetic control unit). L’obiettivo è simulare quale sarebbe stato l’andamento del PIL belga senza la riforma del 1993, per condurre un’analisi controfattuale.
 
Belgio e gruppi di controllo hanno un andamento simile prima del 1993, ma dopo la riforma il gruppo di controllo ha risultati migliori di quelli del Belgio, soprattutto dopo le prime elezioni post-riforma, tenutesi nel 1995. Questo significa che senza la riforma federale il Belgio sarebbe cresciuto più rapidamente. Dopo l’accordo Lambermont, che ha ridotto la Vertical Fiscal Imbalance, l’effetto negativo della riforma è svanito, anzi, l’accordo ha avuto un effetto positivo sulla crescita del PIL, seppur meno consistente di quello della riforma.
 
Secondo gli autori, questi risultati confermerebbero che a frenare la crescita del PIL non sia stato il federalismo in sé, quanto la Vertical Fiscal Imbalance: l’effetto sparisce una volta che il governo interviene per correggere la VFI. Infatti, se le Regioni sono libere di spendere autonomamente ma non di finanziarsi con le tasse raccolte sul territorio, si crea il cosiddetto “common pool problem”: i benefici di un programma di spesa pubblica sono limitati agli abitanti della regione, ma i costi sono sopportati da tutto il Paese. In questo modo si crea un fortissimo incentivo alla spesa clientelare e improduttiva, spesso per scopi elettorali.
Il controllo dei cittadini sui politici, uno dei cavalli di battaglia dei sostenitori del federalismo, viene meno: i cittadini, infatti, “vedono” solo i benefici delle spese regionali, non i costi. Allo stesso tempo i politici sono consapevoli che, indipendentemente dai risultati economici del loro governo, potranno sempre contare sugli stessi trasferimenti dallo stato centrale. L’unica soluzione per rompere questo circolo vizioso è rendere le regioni capaci di autofinanziarsi. In questo modo, le regioni potranno spendere (al netto di eventuali trasferimenti di solidarietà) solo quanto ricavato dalle tasse regionali raccolte sul territorio. Questo, per gli autori, creerebbe un incentivo a spendere in maniera oculata, perché solo politiche favorevoli alla crescita possono aumentare i proventi della regione.

I risultati di Mitra e Chymis possono essere estesi ad altri Paesi federali, come Svizzera, Germania e Austria, che hanno avuto problemi nel controllo della spesa pubblica locale a causa del VFI e hanno provato a correggerli con riforme simili all’Accordo Lambermont. Allo stesso tempo, il caso del Belgio deve suonare come monito per tutti i Paesi dove una parte dell’opinione pubblica chiede la transizione al federalismo, come Italia e Spagna, ma anche per i sostenitori dell’Europa federale: il federalismo senza responsabilità non funziona. La sfida per i federalisti nazionali ed europei sarà disegnare un sistema in cui le entità subnazionali siano in grado di autofinanziarsi con i proventi delle tasse locali, senza che questo porti a divari regionali troppo ampi. Il federalismo è un’opportunità da non sprecare.
Twitter @neosmagazine

DA - https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2021/11/05/federalismo-tasse-locali-belgio/?uuid=96_1d7xsCXU
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« Risposta #34 inserito:: Novembre 09, 2021, 03:33:11 pm »

Né la cattiva politica, né gli italiani assonnati anche dal post virus lo meriterebbero, ma Il Presidente Mattarella deve donarci il suo sacrificio, di alto valore, ancora per almeno un anno.

ciaooo

---

Letta dice: tutto bloccato sino all’elezione del presidente (sic!)

Un motivo in più per chiedere al Presidente Mattarella la proroga del suo impegno, per almeno un anno.
Questi politici non si rendono conto che il "tutto bloccato" pesa sulla vita di tutti gli Italiani!
L'unico "tutto bloccato" che sarebbe accettabile, da noi cittadini, sarebbe quello per andare a votare il più presto possibile!
ciaooo

Io su Fb il 9 novembre 2021


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« Risposta #35 inserito:: Novembre 13, 2021, 09:06:11 pm »

La dignità professionale della categoria medica e di ogni medico va premiata ma anche castigata se lo merita.

Ogni mollezza verso le loro manchevolezze e ogni oppressione portata a loro dal potere sanitario-politico e da loro subita passivamente, si scarica sulla salute dei malati!!

ciaooo
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« Risposta #36 inserito:: Novembre 21, 2021, 11:23:58 pm »

OLTRE IL LEADERISMO, PIU’ PARTECIPAZIONE E PIU’ DEMOCRAZIA- di Oreste De Pietro - Politica Insieme

Posta in arrivo

ggiannig <ggianni41@gmail.com>
sab 20 nov, 14:31 (1 giorno fa)
a me

https://www.politicainsieme.com/oltre-il-leaderismo-piu-partecipazione-e-piu-democrazia-di-oreste-de-pietro/
 
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« Risposta #37 inserito:: Novembre 24, 2021, 10:06:25 pm »


Gli Sfascisti cercano e vogliono lo SFASCIO dell'Italia, i Novax sono solo una parte di loro.
L'iceberg dell’Essere “Contro” e dello Sfascio, ha un sommerso più grande della parte visibile.


Ma il consenso allo Sfasciare non è ampio come appare dai Media Padronali.

I nostri Greggi degli scontenti di sé e i nostri Branchi dei cattivi naturali, non sono tutti completamente inconsapevoli che andare in guerra contro le Istituzioni comporta morti e feriti, tra le loro schiere ma non solo.
I carnefici di tutte quelle vittime, saranno i Virus, ma soprattutto i Predoni nostrani che intendono indebolire la nostra Democrazia.

Democrazia che intendono indebolire soprattutto:

per farne loro preda come stanno facendo,

per infiltrarla con capitali riciclati come stanno facendo,

agendo da sponda ad espansionisti, economici e dei poteri stranieri, come stanno facendo,

non ultimo, preparandosi con la pratica della cattiva politica, a farla conquistare dal miglior offerente tra i due (per ora) competitori stranieri oggi in gara.   

Il tutto tra la miopia della fantasiosa Europa quella dei “tanti parenti serpenti” portati dentro casa e la
pluri-deflorata, da Trump e repubblicani, realtà americana che fugge dai problemi che ha provocato, per risanare quelli in casa.

Ma a differenza dell’Europa zoppa, gli Usa i problemi li risolveranno in fretta GUADAGNADOCI!
 
ggiannig ciaooo
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« Risposta #38 inserito:: Dicembre 16, 2021, 09:22:36 pm »

Ci sono iniziative che il sindacato si potrebbe apprestare a portare avanti, per una strategia del cambiamento.

Cambiamento del comportamento sociale, nella situazione attuale in cui si è compresa la necessità di rivedere il modo di pensare al benessere dei cittadini (che sono anche disoccupati e non lavoratori).

ggiannig ciaooo
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« Risposta #39 inserito:: Dicembre 16, 2021, 09:25:05 pm »

Enrico Letta, come sempre tra tatticismo e candore, dice una cosa importante sulla scelta del prossimo Presidente della Repubblica quando osserva che mai al Quirinale è salito un leader proveniente dalla guida di un partito o di una forza politica organizzata. È la storia della Presidenza della Repubblica a indicare questa prassi e la stessa Costituzione, nella definizione un po’ incompleta sia del ruolo sia del modo di elezione del presidente, pende a favore della figura, come si dice, istituzionale, di garanzia, lontana dallo scontro politico quotidiano. Sergio Mattarella è stato il risultato perfetto di questi criteri. Governava Matteo Renzi e già aveva il suo da fare per compensare le anomalie del suo governo e della sua maggioranza, creata con mosse coraggiose ma mettendosi contro anche a parti rilevanti del suo stesso partito. Certo non poteva permettersi strappi anche sul Quirinale e scelse aderendo nel modo più canonico possibile alla prassi della figura che abbiamo descritto prima. E nel genio storico e costituzionale italiano ci deve essere davvero qualcosa di buono perché poi di Mattarella l’opinione pubblica italiana se ne è davvero innamorata, vedendoci esattamente il garante delle istituzioni, delle regole e anche dell’operatività, se così si può dire, delle camere e del governo. Grazie a questo prestigio e al rispetto convinto del paese Mattarella ha potuto sovraintendere, nelle forme costituzionalmente corrette, alla nascita, alla vita, alla sostituzione di governi che avevano a che fare con il Parlamento più pazzoide visto nella storia repubblicana. Insomma, quei criteri funzionano anche oltre quanto ci saremmo aspettati. E c’è una logica nell’invocarli da parte di Letta. Solo che ora si tratta di rinnovare un po’ il campo dei quirinabili, perché si capisce bene che Mattarella è stato, con ogni probabilità, l’ultimo esponente di una classe politica che aveva origini nella cosiddetta Prima Repubblica. L’Italia bipolare, per quanto e per come lo sia stata, cioè l’Italia post 1994, non ha più potuto produrre figure quirinabili secondo il vecchio criterio, perché anche i ruoli istituzionali sono stati consumati dal gioco delle contrapposizioni. Prima o poi questa questione andrà affrontata, ma più probabilmente sarà la logica delle cose a creare un passato bipolare condiviso, qualcosa che tiene insieme le forze che si sono lacerate negli scontri tra berlusconiani e prodiani, per dirla all’ingrosso. Ma ancora non è aria. Ora, insomma, non sarebbe facile cavarsela come se la cavò Renzi, ma il punto di partenza dev’essere simile a quello con cui l’allora segretario del Pd si trovò a dover affrontare l’elezione del presidente. Non ci sono scelte della destra o della sinistra o del centro che tengano, né ci sono pallini o primazie. Bisogna andare dritti dove porta la nota prassi e non ci si sbaglia. Figura di garanzia, non leader di partito, capace di avere rispetto e prestigio tali da imporre ai governi di esistere e di governare (il problema in Italia non è la smania di potere, ma la fuga dalle responsabilità e, di conseguenza, la preferenza per governi deboli o intenti ad altro). Si va dritti e senza altre scorciatoie al nome di Mario Draghi, come il Foglio dice da giorni.

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« Risposta #40 inserito:: Dicembre 18, 2021, 01:00:06 pm »

Libertà e Giustizia
Due decenni di vita, tante vittorie alle spalle e, in cantiere, progetti e iniziative per dare voce alla società civile. Libertà e Giustizia, presieduta da Sergio Labate, succeduto a Paul Ginsborg, Tomaso Monatari e Nadia Urbinati, si muove tra politica e urgenza di democrazia. Libertà e Giustizia promuove convegni, incontri, appelli.
L’associazione si presenta al pubblico il 18 novembre 2002, al Piccolo Teatro Studio di Milano, tenuta a battesimo da un gruppo di garanti di altissimo livello: Gae Aulenti, Giovanni Bachelet, Enzo Biagi, Umberto Eco, Alessandro Galante Garrone, Claudio Magris, Guido Rossi, Giovanni Sartori e Umberto Veronesi. Nel corso della serata viene presentato il manifesto costitutivo: “Libertà e Giustizia vuole intervenire a spronare i partiti perché esercitino fino in fondo il loro ruolo di rappresentanti di valori, ideali e interessi legittimi. Vuole arricchire culturalmente la politica nazionale con le sue analisi e proposte.
Libertà e Giustizia vuole essere “l’anello mancante fra i migliori fermenti della società e lo spazio ufficiale della politica”.
Lucca, Roma, Venaria Reale, Poggibonsi, Genova, Torino: i seminari annuali di LeG sono per i soci momento di approfondimento di alcuni temi fondamentali: la libera informazione, la democrazia, l’etica, i maestri, il ruolo della società civile. I seminari a tema, momenti di studio, come la due giorni sulla Giustizia a Fiesole, confronto tra professori, magistrati, avvocati e politici, che produce un documento in parte recepito dal programma dell’ultimo governo Prodi.
Dal 2004 LeG comincia la sua lunga battaglia in difesa della Costituzione. A febbraio parte la campagna “L’Italia è anche mia” con la vignetta che Altan regala a LeG. Il 15 ottobre parte il coordinamento per il referendum confermativo, presieduto da Oscar Luigi Scalfaro. Nel giugno 2006 la grande vittoria dei no, che demolisce il progetto del Polo di scardinare la nostra Carta fondante.
All’inizio del 2010 comincia il grande lavoro per la messa in opera del nuovo sito che oltre a una nuova impostazione grafica e a una più ricca organizzazione dei contenuti, propone innumerevoli novità legate all’interazione tra l’associazione, i suoi soci e i lettori. L’attività online di Libertà e Giustizia non si ferma quindi al solo sito web, ma è arricchita dalla sua presenza nelle più frequentate piazze virtuali da Facebook a Twitter, da Flickr a YouTube.
Oltre a LeG nazionale la maggior parte dei Circoli ha oggi un affaccio su FB, il logo di Libertà e Giustizia campeggia sul popolare social network. L’attività delle sedi locali è molto intensa, incontri, dibattiti, presentazioni di libri che raccontano le anomalie del paese, dall’emergenza giustizia alle battaglie per la legalità, la libertà d’informazione, i diritti della persona, nuove anche le forme di comunicazione. Oltre trenta i Circoli sparsi in tutta Italia.
A fronte di una domanda sempre più urgente di “cultura politica” continua la missione civile di Libertà e Giustizia, attraverso le sue Scuole di formazione politica. Nel settembre 2012 al castello dei Conti Guidi di Poppi (Arezzo) una tre giorni curata dallo storico Franco Sbarberi su Segreto, ipocrisia, menzogna e corruzione – La democrazia vilipesa.

A gennaio del 2013 due giorni di lezione a Perugia sui temi bioetici. Pavia, che iniziò i suoi corsi nel 2007 sotto la guida di Salvatore Veca, direttore di tutte le Scuole di LeG, a marzo e aprile 2013 ha tenuto la sua settima edizione dedicata al lavoro. Ad ottobre si è tenuta la prima Scuola di LeG di Messina per favorire l’analisi e la conoscenza delle condizioni sociali, politiche, economiche e culturali che caratterizzano oggi il mezzogiorno.
La voce di LeG, dopo il manifesto “Rompiamo il silenzio” che nel 2009 denunciò il torpore della classe politica, è tornata a farsi sentire nel febbraio 2010 con una pagina pubblicata su Repubblica e su alcune testate locali del gruppo Espresso, con un nuovo documento. “Il vuoto” denuncia la paralisi su cui si è avvitato il sistema Paese e propone ai cittadini di creare una “Comunità contro il degrado”, di costruire insieme una diga per arginare lo sfascio istituzionale, politico, sociale cui stiamo andando incontro. In giugno, con il suo presidente onorario Gustavo Zagrebelsky, anticipa e indirizza il dibattito politico lanciando l’appello “Mai più alle urne con questa legge” che chiede l’abolizione del Porcellum.
A metà ottobre 2010, a Firenze, il convegno “Società e Stato nell’era del Berlusconismo”.  Tre giorni partecipatissimi, in cui intellettuali, storici, sociologi e giornalisti hanno fatto il punto – è la prima volta – sugli effetti del berlusconismo in campo sociale, economico e culturale, oltre che politico. Tra i tanti Paul Ginsborg, Gustavo Zagrebelsky, Marco Revelli, Ezio Mauro e Marco Travaglio. Gli atti del seminario sono stati pubblicati dall’editore Laterza.
Dopo l’esplosione del caso Ruby e l’inchiesta della Procura di Milano, il 14 gennaio 2011 anticipando tutti, partiti e movimenti, LeG chiede le dimissioni di Silvio Berlusconi. Il 17 con un documento scritto in inglese da Paul Ginsborg e firmato da Gustavo Zagrebelsky e Sandra Bonsanti a nome di tutta l’associazione, “Resignation”, si appella al mondo intero perché il nostro Paese non sia lasciato solo. Gli attestati di solidarietà fioccano a centinaia e la raccolta firme, rilanciata anche dal sito di Repubblica, raccoglie migliaia di adesioni.

Sabato 5 febbraio grande manifestazione al Palasharp di Milano, con Umberto Eco, Paul Ginsborg, Roberto Saviano e Gustavo Zagrebelsky e tanti altri esponenti della società civile per cominciare insieme a ricostruire l’Italia, il nostro Paese, e per riappropriarci di parole che la storia e il sacrificio di milioni di italiani hanno reso eterne e inviolabili: libertà, giustizia, democrazia, repubblica, uguaglianza, lavoro, Costituzione.
Dopo l’ennesimo attacco ai Magistrati, alla Consulta, e l’annuncio dell’ennesima riforma, che non serve ai cittadini ma solo a risolvere i problemi giudiziari di Berlusconi, LeG lancia l’appello “La riforma della Giustizia non la fanno gli imputati (né i loro avvocati)!”.
Settembre 2011, LeG parte con la raccolta firme per abolire la legge elettorale Porcellum. Ne raccoglierà oltre 60mila.
L’8 ottobre 2011, grande manifestazione a Milano all’Arco della Pace. “Ricucire l’Italia” per restituire dignità al Paese, dal manifesto omonimo di Gustavo Zagrebelsky, (elaborato nel corso della Scuola estiva a Poppi, nel Casentino).
Il 23 febbraio 2012 esce il manifesto “Dissociarsi per riconciliarci. Dipende da noi”. di Gustavo Zagrebelsky, che raccoglie migliaia di firme. Un drammatico e appassionato appello alla classe politica affinché intraprenda la via del rinnovamento.
Il 12 marzo presentazione al Teatro Smeraldo di Milano, Con Gustavo Zagrebelsky, Roberto Saviano, Sandra Bonsanti, Lella Costa e Concita De Gregorio, con la partecipazione di Giuliano Pisapia.

Il 24 novembre 2012 al Forum di Assago, la grande manifestazione di LeG dopo il “passo indietro” di Berlusconi, con il nuovo manifesto di Gustavo Zagrebelsky “Per una stagione costituzionale “.
Il 2 giugno 2013 in piazza a Bologna con oltre 100 associazioni, per dire che la Costituzione “Non è cosa vostra”. Gli atti della manifestazione sono stati pubblicati da EncycloMedia Publisher.
Il 12 ottobre 2013 manifestazione a Roma in piazza del Popolo, per difendere e finalmente attuare la nostra Carta fondante. “La via maestra” da non perdere mai di vista. Con Lorenza Carlassare, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky.

Da - http://www.libertaegiustizia.it/chi-siamo/
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« Risposta #41 inserito:: Dicembre 20, 2021, 06:17:33 pm »

Non contro il Governo, ma chiediamo di più
 
La voce di un'Italia che è rimasta indietro, esclusa dal racconto che "tutto va bene
 
Ora è il momento di cambiare per ricostruire un Paese più giusto. Non contro il governo, ma chiediamo di più
 
di Pierpaolo Bombardieri
 
Riportiamo alcune dichiarazioni del segretario generale della Uil alla vigilia e nel corso  dello sciopero di oggi 16 dicembre, che ne spiegano le ragioni e gli obiettivi.
Come diceva Petro Nenni. “Ogni rivendicazione è sempre politica. Politique d’abord”.
 
“Noi non scioperiamo né contro il governo Draghi né contro i partiti. Secondo noi ci sono alcuni temi importanti sui quali servono risposte più incisive : fisco, pensioni, lavoro precario, delocalizzazioni, responsabilità sociale d’impresa, povertà in aumento, diseguaglianze. Lo sciopero dà voce a chi sta male e questo per costruire un’Italia migliore, più giusta ed equa”.
 
“Noi chiediamo che la ricostruzione del Paese sia un’occasione di cambiamento. Lo sciopero è per questo: per chiedere di cambiare davvero e sulle cose concrete. Innanzitutto dobbiamo superare la precarizzazione del lavoro e dare risposte serie ai nostri giovani. Se chiedete a un giovane precario se avrà una pensione, vi risponderà che non l’avrà. Non vede un futuro.
Occorre costruire un futuro per i giovani. Occorre poi redistribuire in modo più equo in questo paese per affrontare i temi del welfare, di un rafforzamento delle pensioni delle donne, più attenzione a chi rischia di perdere la vita sul posto di lavoro.
Queste sono le motivazioni che ci hanno spinto a dire: “Non ci fermiamo, continuiamo a chiedere al governo e alla politica di costruire un paese diverso”.
E lo abbiamo fatto sentendo e raccogliendo le tante storie che ci hanno raccontato durante un mese di mobilitazione nelle piazze e nei posti di lavoro. Con lo sciopero di oggi, attraverso un diritto garantito dalla Costituzione, intendiamo di spiegare a chi racconta che oggi “va tutto bene” che invece c’è un’Italia che rimane indietro e alla quale occorre dare una risposta”
 
“Con lo sciopero di oggi abbiamo costretto il Paese ad interrogarsi sulla narrazione del "va tutto bene". Ma si erano dimenticati di tutte le persone che sono qui oggi in piazza!
Di tutte le persone che non sono potute venire perché restano sui posti di lavoro per senso di responsabilità in tempo di pandemia! Oggi siamo nella piazza del Popolo per tutta l'Italia che soffre e alla quale dobbiamo dare risposte diverse! “

 
Da – Avanti CENTRO INTERNAZIONALE DI BRERA
via Formentini 10, Milano, MI, 20121
avanti@centrobrera.it
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« Risposta #42 inserito:: Gennaio 06, 2022, 05:40:29 pm »

Francesco Forte
Il cordoglio del Senato per la scomparsa

Il presidente Elisabetta Casellati: "Un riferimento della cultura liberale e riformista"

"Mi rattrista profondamente la scomparsa di Francesco Forte, economista e politico, senatore per due legislature, che nella sua lunga e poliedrica attività di parlamentare, ministro, accademico, editorialista, è stato un punto di riferimento della cultura liberal-riformista in Italia. Le sue analisi, mai scontate, erano lucide e originali elaborazioni della realtà, che univano il rigore della scienza delle finanze alla capacità visionaria e idealista, con un respiro che travalicava i confini nazionali. Esprimo la mia vicinanza alla famiglia". Così il presidente del Senato Elisabetta Casellati.
Per raccontare Francesco Forte, c'è bisogno di una enciclopedia che raccolga la sua ricchissima biografia di studioso e di politico.

Basti ricordare la designazione di Luigi Einaudi negli anni '70 alla successione nella cattedra di Scienza delle Finanze di Torino, già incarico occupato dall'ex Presidente della Repubblica che iniziò la sua carriera giornalistica e politica tra i socialisti di Palazzo Campana e sulle colonne di Critica Sociale con Turati ai primi del '900.
E il suo rapporto di amicizia con il Nobel Oliver Williamson che inaugurò negli Usa la disciplina cosiddetta "Law and Economics" (Analisi economica del diritto") che intreccia la dinamica economica con il progresso delle norme e delle istituzioni pubbliche fino a giungere a forme di autogoverno: supposta l’idea-tipo della concorrenza perfetta tale disciplina viene impiegata per comprendere i fallimenti del mercato e il ruolo del diritto nel risolvere o nel generare tali fallimenti.

Non va assolutamente dimenticato la dedizione di Forte per Ezio Vanoni, tra gli estensori, con Pasquale Saraceno, del cosiddetto "Piano" di ricostruzione dell'Italia nel dopoguerra, frutto degli studi del gruppo di Camaldoli, promosso dall'allora segretario di Stato vaticano, Montini, e fucina della rinascita della DC. Vanoni fu chiamato ad elaborare il progetto finanziato dal piano Marshall pur essendo cresciuto nelle fila del socialismo di Turati e Matteotti per la sua competenza derivata dalla scuola liberalsocialista della Critica Sociale. Come diceva ridendo Francesco Forte, Vanoni si ritrovò così a "buscarle dai fascisti e dai comunisti" allo stesso tempo. Socialdemocratico, non aderì al Fronte voluto da Nenni.

Al momento della sua morte Francesco Forte aveva definito un Comitato scientifico di prim'ordine per il rilancio di Critica Sociale a cui era particolarmente legato per la sua stessa formazione, come fu la Rivista scuola anche per la formazione del suo maestro, Einaudi.
Nulla può esaurire la esposizione della sua vastissima esperienza e cultura.
È necessario almeno ricordare che partecipò e contribuì alla stesura del Rapporto per la riduzione del debito del Terzo Mondo per conto di Bettino Craxi incaricato dall'ONU per questo progetto giunto al suo termine, purtroppo, alla vigilia della fase storica opposta, ovvero alla vigilia della globalizzazione che si nutrì di debito pubblico internazionale.

Nel trigesimo sarà nostra cura promuovere un convivio del Comitato scientifico di Critica Sociale da lui costituito e presieduto con la adesione di numerosi studiosi, molti dei quali ordinari di economia, storia e scienze politiche delle Accademie italiane, per un seminario sulla sua opera e sul suo pensiero.
Va anche detto che la sua scomparsa ci priva di un "bon-bon", ovvero del puro piacere mentale di creare con la logica applicata all'esperienza, soluzioni spesso irrealizzabili ma non inverosimili su cui era uno spasso intrattenersi con Franceso nelle interminabili conversazioni personali o telefoniche. Un tratto umano inscindibile dalle sue straordinarie capacità di analisi e genialità creativa.
 
stefano carluccio
   
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CRITICA SOCIALE
Rivista fondata nel 1891 da Filippo Turati
Alto Patronato della Presidenza della Repubblica

Direttore responsabile: Stefano Carluccio

Reg. Tribunale di Milano n. 646 del 8 ottobre 1948
edizione online al n. 537 del 15 ottobre 1994

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Biblioteca di Critica Sociale e Avanti!
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Da critica sociale on line 2 gennaio 2022
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« Risposta #43 inserito:: Gennaio 14, 2022, 03:18:35 pm »

La democrazia senza un pezzo
•   13 gennaio 2022

Naturalmente è opportuno e utile che oggi Francesco Costa abbia spiegato – nel podcast Morning – alcune dinamiche legate all’elezione del presidente della Repubblica, e che abbia voluto smontare l’idea che il criterio della scelta sia la “qualità” del candidato rispetto al ruolo: qualità che da un lato è un criterio in gran parte soggettivo, e che dall’altro viene richiesta in una quota piuttosto accessibile (l’unico candidato finora, e per niente debole, è Silvio Berlusconi: per dire).
I grandi elettori, ha spiegato Costa, votano il Presidente della Repubblica in base a una serie di criteri che sono di interesse personale – legittimo – o di interesse del loro partito, e legati alle implicazioni e ricadute per se stessi e per il proprio partito di quell’elezione: è in questo senso che vanno ipotizzate e capite le scelte, e come dice Costa sarebbe ingenuo non averlo presente.
È un’ingenuità che molti di noi non hanno, anche se a volte per amor dell’argomento trascuriamo di considerarlo, e proponiamo X che “sarebbe un ottimo presidente della Repubblica”, prima che qualcuno ci ricordi che “non lo voteranno mai”.
Però distinguerei tra assenza di ingenuità e rassegnazione: questo stato di cose, ovvero, non è un buon funzionamento della democrazia, e lo ricorderei. Non è una straordinaria ed encomiabile applicazione della Costituzione cosiddetta “più bella del mondo” e di un sistema di rappresentanza che sosteniamo quotidianamente di voler difendere. Un pezzo importante dei meccanismi di eventuale funzionamento della democrazia è fatto dalle persone: le persone che eleggono e le persone che vengono elette. E al corretto promemoria di Costa sugli interessi in gioco – dei grandi elettori e dei loro partiti – aggiungo il chiarimento di quello che dovrebbe essere il principale: ovvero quello del paese.
Inciso. Perdonatemi la tromboneria dell’espressione “interesse del paese”, chiamatelo “bene comune” o “comunità”; ma non voglio dire “i cittadini”, “la gente”, che sono termini di ruffianeria populista che trasmettono l’idea di tanti interessi singolari, di nuovo. Quello per cui vengono eletti i “grandi elettori” non sono gli interessi miei, tuoi, della mia vicina di casa e così via fino a fare sessanta milioni di interessi: sono gli interessi complessivi e lungimiranti di una comunità e di un paese, che dovranno esistere ancora quando saremo morti. Fine dell’inciso.
Insomma, non è una democrazia nobile né ben funzionante quella in cui i rappresentanti non fanno l’interesse di ciò che rappresentano, e in cui i cittadini – qui sì, ciascuno di noi – hanno eletto rappresentanti che non lo fanno. Usciamo da giorni di celebrazione e rispetto per l’impegno devoto all’Europa e al ruolo di David Sassoli, e dobbiamo vivere come normale un parlamento di persone e leader politici che scelgono il presidente della Repubblica senza pensare a cosa sia meglio per i prossimi sette anni dell’Italia? Dobbiamo, sì, non siamo ingenui: ma non va bene, nemmeno nel cinico e stupido 2022. Eleggere una brava persona col senso del ruolo e della responsabilità e l’intelligenza politica necessaria, apprezzata o tollerata da una estesa quota del paese, non sarebbe un impegno così sbagliato, a essere ingenui. Criteri in parte soggettivi, ma in gran parte no (vedi Berlusconi, solo per tornare sull’unico esempio).
Nel 2023 andrebbe fatto uno sforzo di rieducazione di candidati ed elettori, sulle loro responsabilità nel funzionamento della democrazia. A essere non ingenui, ma neanche rassegnati.

Da - https://www.wittgenstein.it/2022/01/13/la-democrazia-senza-un-pezzo/
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« Risposta #44 inserito:: Gennaio 20, 2022, 03:22:13 pm »


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