SOCIALESIMO. Perchè.
Admin:
Un commento lusinghiero di Domenico Proietti, Segretario confederale della UIL
Coniugare la coesione sociale con la ripresa economica del Paese
Auguri di buona strada al rinvigorito Avanti. Non solo perché rappresenta una testata storica del giornalismo italiano, un patrimonio di idee di cui il Paese sente il bisogno per innalzare il livello del dibattito, ma anche per le sue analisi che permettono di avere un canale lungimirante di informazione.
Ne è un esempio la recente previsione su come si sarebbe concluso il confronto sul blocco dei licenziamenti, che ha anticipato l’intesa poi siglata tra Governo e Parti sociali. Complimenti al direttore Claudio Martelli che aveva indicato subito una strada di buonsenso e di razionale praticabilità, che coniugava la coesione sociale con la ripresa economica del Paese. Sono certo che l’Avanti continuerà a svolgere questo importante ruolo su tutti i più significativi temi del Paese a cominciare dalla riforma delle politiche attive del lavoro.
Nel consolidare una preziosa collaborazione, buon lavoro all’Avanti! e a Claudio Martelli.
Domenico Proietti,
Segretario confederale UIL
DA avanti.it
Admin:
PANZIERI, Raniero in "Dizionario Biografico"
Posta in arrivo
ggiannig <ggianni41@gmail.com>
12:11 (3 ore fa)
a me
https://www.treccani.it/enciclopedia/raniero-panzieri_%28Dizionario-Biografico%29/
Admin:
Pier Paolo Pasolini, Eretico & Corsaro
( "Vie nuove",15 settembre 1971)
"La cosa si racconta in due parole: mia madre, mio fratello ed io eravamo sfollati da Bologna in Friuli, a Casarsa. Mio fratello continuava i suoi studi a Pordenone: faceva il liceo scientifico, aveva diciannove anni. Egli è subito entrato nella Resistenza. Io, poco più grande di lui, l'avevo convinto all'antifascismo più acceso, con la passione dei catecumeni, perché anch'io, ragazzo, ero soltanto da due anni venuto alla conoscenza che il mondo in cui ero cresciuto senza nessuna prospettiva era un mondo ridicolo e assurdo. Degli amici comunisti di Pordenone (io allora non avevo ancora letto Marx, ed ero liberale, con tendenza al partito d'azione) hanno portato con sé Guido ad una lotta attiva. Dopo pochi mesi, egli è partito per la montagna, dove si combatteva. Un editto di Graziani, che lo chiamava alle armi, era stata la causa occasionale della sua partenza, la scusa davanti a mia madre. L'ho accompagnato al treno, con la sua valigietta, dov'era nascosta la rivoltella dentro un libro di poesie. Ci siamo abbracciati: era l'ultima volta che lo vedevo.
Sulle montagne, tra il Friuli e la Yugoslavia, Guido combatté a lungo, valorosamente, per alcuni mesi: egli si era arruolato nella divisione Osoppo, che operava nella zona della Venezia Giulia insieme alla divisione Garibaldi. Furono giorni terribili: mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più. Cento volte egli avrebbe potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi: perché era un ragazzo di una generosità che non ammetteva nessuna debolezza, nessun compromesso. Invece era destinato a morire in un modo più tragico ancora.
Lei sa che la Venezia Giulia è al confine tra l'Italia e la Yugoslavia: così, in quel periodo, la Yugoslavia tendeva ad annettersi l'intero territorio e non soltanto quello che, in realtà, le spettava. Mio fratello, pur iscritto al partito d'azione, pur intimamente socialista (è certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non poteva accettare che un territorio italiano, com'è il Friuli, potesse essere mira del nazionalismo yugoslavo. Si oppose, e lottò. Negli ultimi mesi, nei monti della Venezia Giulia la situazione era disperata, perché ognuno tra due fuochi. Come lei sa, la Resistenza yugoslava, ancor più che quella italiana, era comunista: sicché Guido venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c'erano anche degli italiani, naturalmente le cui idee politiche egli in quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la politica immediata, nazionalistica.
Egli morì in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: è morto per correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Credo che non ci sia nessun comunista che possa disapprovare l'operato del partigiano Guido Pasolini. Io sono orgoglioso di lui, ed è il ricordo di lui, della sua generosità, della sua passione, che mi obbliga a seguire la strada che seguo. Che la sua morte sia avvenuta così, in una situazione complessa e apparentemente difficile da giudicare, non mi dà nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella convinzione che nulla è semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze: e che quello che conta soprattutto è la lucidità critica che distrugge le parole e le convenzioni, e va a fondo nelle cose, dentro la loro segreta e inalienabile verità'.
(Pier Paolo Pasolini, Le belle bandiere, Dialoghi 1960-1965, a cura di Giancarlo Ferretti, Editori Riuniti, Roma 1996. )
Da Fb del 15 agosto 2021
Admin:
Jouhatsu (蒸発)
Il nuovo termine del nostro lessico tematico giapponese è jouhatsu (蒸発), letteralmente “evaporazione” (il verbo “evaporare” si scrive jouhatsu-suru, 蒸発する), cioè le persone che spariscono e non si fanno più trovare per anni. Se ci pensate, si dice più o meno così anche in italiano: “Non l’hanno più trovato, è come se fosse evaporato”. Tuttavia, il termine più appropriato in italiano è “svanire”, che ha un sapore diverso da quello giapponese; anzi, l’assenza di sapore, dato che l’evaporazione lascia dei residui, mentre lo svanire no.
Chi sono, allora, gli “evaporati” in Giappone? Di solito sono quelli che non reggono più la pressione della società, gli impegni, le regole, le gerarchie, e decidono di scomparire, darsi alla macchia, andare da un’altra parte (del Giappone) e rifarsi una vita. O quelli che si vergognano molto per un licenziamento, un matrimonio fallito, una dipendenza, una vita condotta in modo disordinato e disonorevole.
Attenzione, quelli che scompaiono quasi sempre non lo fanno da soli: ci sono delle aziende che aiutano queste persone a scomparire in modo discreto. Le aziende si occupano di quelli che vengono chiamati “traslochi notturni“.“traslochi notturni“. Altra bella immagine, ma è una libertà del traduttore della Bbc: in giapponese si dice yonige-ya (夜逃げーや) che vuol dire (agenzia per la) “fuga di notte”. Fanno “volare via” la gente: gli spostano le cose (la parte del trasloco) ma si occupano anche della rilocalizzazione, di trovare nomi alternativi, identità false ma plausibili, storie che aiutino uno straniero a rifarsi una vita in un altro contesto, ma sempre all’interno del Giappone. Non si va romanticamente a vivere in montagna o in qualche atollo, però. Si finisce invece in un quartiere abbandonato alla gestione della mafia giapponese o in una delle piccole cittadine fuori dal radar, fatte per i paria e i senza casta, vivendo di lavoretti più o meno legali, pagati per contanti e avendo a che fare con un sistema sanità informale da ambiente criminale. Si evapora ma non si scompare: si va altrove, un po’ più in là, a sopravvivere, vivendo d’espedienti.
La polizia sostanzialmente non interviene, a meno che non ci siano incidenti o crimini, perché in Giappone la privacy delle persone è difesa in maniera ossessiva, rendendo la scomparsa un po’ più facile. L’unico modo che quelli rimasti hanno per scoprire cosa è successo a chi scompare è assumere un investigatore privato, cosa che apre tutto un altro giro di considerazioni e valutazioni, inclusa (per noi) la differenza culturale che ha l’investigatore privato nella società giapponese rispetto alla nostra. Materia per altri lemmi tematici.
La pratica di fare jouhatsu è nata negli anni Sessanta ed è il modo con cui si è cristallizzato un concetto altrimenti non sostenibile dagli individui nella cultura tradizionale giapponese: fuggire da un matrimonio infelice o dalla sofferenza e disonore di un divorzio. Con lo scoppio della bolla degli anni Ottanta e il crash finanziario dell’economia giapponese che ne è seguito, fare jouhatsu è diventato il modo per rendere socialmente accettabile quello che da noi sarebbe l’atto di licenziarsi e lasciare il lavoro. Noi sogniamo di aprire il ciringuito sulla spiaggia, l’AirB&B in Toscana o il locale hipster in centro a Milano, loro che non si potevano licenziare o perdere il lavoro, senza un buon motivo (non certo la felicità) dovevano inventarsi una via di uscita. Diversa dalla strada tradizionale per uscire dagli obblighi sociali, che un tempo sarebbe stato il suicidio.
Evaporare è divenuta un’alternativa più ragionevole e al tempo stesso comprensibile per tutti. A pensarci bene, è una versione meno tossica e più vitale della pratica dell’hikikomori (“ひきこもり” oppure “引きこもり”), letteralmente “staccarsi e stare in disparte”, cioè gente che scappa dalla società chiudendosi letteralmente e fisicamente in sé stessa, cioè chiudendosi fisicamente in casa, o meglio, nella propria stanza dalla quale non esce più.
Si capisce allora la vitalità positiva dell’evaporare. È un atto comprensibile, a condizione però di rispettare un altro tabù sociale: così come non si parla di suicidio, in Giappone non si parla pubblicamente neanche di jouhatsu.
Da - https://www.ilpost.it/antoniodini/2021/06/09/jouhatsu-%e8%92%b8%e7%99%ba/
Admin:
Non si doveva e non si deve investire sui fannulloni!
Lo Stato deve sollecitare la parità retributiva, ma non lasciando a carico delle imprese il costo della maternità e delle conseguenti necessità della donna!
ggiannig
Navigazione