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Autore Discussione: 25 novembre, che cosa vogliono le donne  (Letto 5113 volte)
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« inserito:: Novembre 25, 2020, 01:12:32 pm »

25 novembre, che cosa vogliono le donne

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ggiannig <ggianni41@gmail.com>
08:08 (5 ore fa)
a me

Giornata contro la violenza sulle donne. Per contrastare le discriminazioni e gli stereotipi di genere bisogna scardinare le radici di una società patriarcale. Serve un investimento nell'educazione alle differenze. Non per cancellarle, ma per metterle a valore garantendo uguali diritti a tutte e a tutti. Altrettanto fondamentali sono l'emancipazione economica e le politiche per la conciliazione tra vita e lavoro

https://www.repubblica.it/dossier/cronaca/giornata-contro-la-violenza-sulle-donne/2020/11/24/news/25_novembre_2020_giornata_contro_la_violenza_sulle_donne_che_cosa_vogliono_le_donne-275654303/
 
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 25, 2020, 01:14:43 pm »


La Scozia è la prima nazione a rendere gratuiti i prodotti mestruali - The New York Times

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ggiannig <ggianni41@gmail.com>
08:17 (4 ore fa)
a me

https://www.nytimes.com/2020/11/24/world/europe/scotland-free-period-products.html
 
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 25, 2020, 01:36:54 pm »


Prima delle botte il male può iniziare da una parola

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ggiannig <ggianni41@gmail.com>
08:08 (5 ore fa)
a me

Le testimonianze delle donne, raccolte in un video, sul sito di Repubblica.

https://www.repubblica.it/dossier/cronaca/giornata-contro-la-violenza-sulle-donne/2020/11/25/news/la_violenza_comincia_prima_dello_schiaffo-275659762/
 
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« Risposta #3 inserito:: Dicembre 10, 2020, 06:05:36 pm »

10 Dicembre 2020

Ricercatrici

Cara abbonata, caro abbonato,
eccoci ancora assieme con un nuovo numero della newsletter sul gender gap che, se vorrai, troverai ogni giovedì nella tua mail. Una newsletter che fa parte dell'abbonamento digitale a Repubblica (per iscriversi qui il link).
Per suggerimenti, storie e riflessioni mi trovate su Twitter qui e potete scrivere a o.liso@repubblica.it.

 
Buona lettura,

Oriana Liso

No, non sono “angeli della ricerca”, sono ricercatrici. Non sono “le signore del microscopio”, ma sono biologhe, scienziate, virologhe. Sono le donne che scelgono facoltà scientifiche e tecnologiche, ingegneria, matematica. Nell’anno accademico 2018/2019 le donne erano oltre il 55% degli iscritti all’università, ma solo il 37% di loro aveva scelto una facoltà Stem: su 100 ragazze, insomma, 82 hanno scelto lettere, filosofia, giurisprudenza e soltanto 18 ingegneria, matematica, biologia.

C’era stato un balzo nell’anno accademico 2017/2018, poi i dati si sono fermati: nel 2018/2019 solo il 18,3% delle studentesse ha scelto corsi Stem. Negli ultimi cinque anni – sono i dati dell’ultima ricerca sul gender gap dell’Osservatorio Talents venture e STEAMiamoci – il numero dei ragazzi che hanno scelto queste facoltà è cresciuto più velocemente (del 7,8%) rispetto a quello delle ragazze (6,9). La ricerca, promossa da Assolombarda, racconta che ci sono dei segni positivi: in Lombardia negli ultimi cinque anni le iscrizioni di ragazze sono state del 17%, dei ragazzi del 15%, e dati incoraggianti arrivano anche da Molise, Emilia-Romagna e Piemonte. E’ un peccato: perché poi le analisi dicono che sono le donne a laurearsi più in fretta e con perfomance migliori. Poi, però, a un anno dalla laurea il tasso di occupazione – comunque molto alto – è lievemente maggiore per gli uomini, così come la retribuzione mensile netta (1.428 euro le donne contro i 1.510 degli uomini).

Ci sono periodicamente – anche in queste settimane – richiami alla necessità di incentivare la scelta Stem per le donne, e anche questo capitolo è stato sfiorato, accennato, nei discorsi sul Recovery Fund e sull’utilizzo che l’Italia dovrà fare dei fondi europei per l’emergenza coronavirus. Oggi, allora, parliamo con una donna Stem, che proprio sulla ricerca legata alla pandemia sta lavorando.

Testo alternativo
Un piccolo rullo di cotone da passare sotto la lingua. E da processare, poi, esattamente come si fa con i tamponi naso-faringei che ci stiamo abituando a conoscere, per avere quella risposta che cambia la quotidianità – quando si è asintomatici – e molto di più quando invece si hanno già sintomi: positivo o negativo. Il tampone salivare potrebbe essere, a breve, un’alternativa – che si affianca, perché nella scienza non c’è un’esclusione – ai tamponi che, a decine di migliaia si fanno ogni giorno in Italia, a milioni nel mondo, per scoprire la positività al coronavirus. Meno invasivo, perché non ha quel bastoncino da infilare nella gola e nel naso, e meno costoso per il sistema sanitario, perché non richiede un operatore specializzato per farlo.

Elisa Borghi, Daniela Carmagnola, Claudia Dellavia e Valentina Massa sono biologhe, microbiologhe e odontoiatre che lavorano all’Università Statale di Milano. Insieme – e con il coordinamento di Gian Vincenzo Zuccotti, professore di Pediatria e preside della facoltà di Medicina e Chirurgia – nei mesi scorsi, hanno messo a punto il tampone salivare molecolare che adesso è nella fase di sperimentazione. Con Daniela Carmagnola, odontoiatra, parliamo di come è nata questa idea. E di come si può sviluppare.

“L’estate scorsa eravamo da poco usciti dal primo lockdown ma già si iniziava a capire che una nuova stagione pesante era in arrivo. Con Claudia, la collega che lavora nel dipartimento di Scienze biomediche, chirurgiche e odontoiatriche, abbiamo iniziato a ragionare sui test salivari, così abbiamo fatto una ricerca in università per capire se altri ricercatori ci stessero già lavorando. Lì abbiamo incrociato Elisa e Valentina che, nel dipartimento di Scienze della Salute, avevano avuto lo stesso pensiero e stavano mettendo a punto un’applicazione di un protocollo dell’Università di Yale disponibile in open science: questo per dire che non abbiamo inventato qualcosa dal nulla, ma grazie alla circolazione dei saperi siamo partite da una metodologia”.

Come avete lavorato, a quel punto, in squadra?
“Le diverse competenze sono fondamentali. Perché quella metodologia andava ovviamente applicata e adattata ai nostri laboratori. Prova dopo prova abbiamo visto che funzionava, man mano abbiamo affinato il tipo di raccolta per arrivare a una saliva più pura e quindi a un risultato più preciso. Per questo abbiamo pensato al rullo salivare: a quel punto ci siamo rese conto che l’esame aveva una buona sensibilità e una buona concordanza con il tampone naso-faringeo: come detto, non sono perfettamente sovrapponibili, ma è uno strumento in più e forse più sensibile specialmente per il tracciamento”.

Quando potrebbe essere utilizzato il vostro tampone?
“Ora stiamo lavorando a protocolli sperimentali, per capire in quali situazioni abbia più senso utilizzarlo: abbiamo chiesto le approvazioni ai comitati etici e cominciato a sperimentarlo in adulti e bambini, persone sintomatiche e asintomatiche. Nelle prossime settimane avremo a disposizione i dati dei campioni che abbiamo fatto, a quel punto inizierà l’iter burocratico con Regione e Ats per proporne l’utilizzo”.

Testo alternativo
Daniela Carmagnola

Un mese fa, quando si è parlato per la prima volta del vostro test, si è anche evidenziata una particolarità: in quattro avete 11 figli. Quanto ha contato nel rivolgere la vostra ricerca verso questo genere di progetto?

“Siamo tutte genitori, ed è stato naturale partire da un’osservazione che possiamo fare ogni giorno. Anzi: più osservazioni. C’è quella più immediata: il fastidio che i tamponi naso-faringei danno a tutti, ancor di più ai bambini, ma è ovvio che c’è di peggio. Poi c’è la questione degli operatori che devono farli: non è solo una questione di costi che si moltiplicano, ma anche di rischi maggiori per gli operatori stessi che, per quanto abbiano protezioni, sono sempre a contatto con potenziali contagiati. E infine la terza valutazione, che si ricollega ai bambini: ogni volta che c’è un caso sospetto in una scuola tutta la classe – bambini, insegnanti, operatori scolastici – viene messa in quarantena per due settimane circa. Se si potesse fare sorveglianza attiva sui contatti, l’isolamento potrebbe essere notevolmente ridotto. Quanto li vogliamo tenere a casa da scuola questi figli?

Ovviamente parliamo di mandarli a scuola in sicurezza, e a questo può essere utile questo tipo di test. Bambini e ragazzi sono già ormai da molti mesi sottoposti a un cambiamento radicale delle loro vite, della socialità, delle forme di apprendimento e condivisione. E tutto questo sta mettendo ancora più in luce le differenze tra chi può e chi non può, le differenze socio-economiche tra chi a casa ha strumenti e possibilità e chi non li ha sono enormi. Se c’è uno strumento che ci permette di monitorare i contatti di positivi con esami non invasivi e facilmente ripetibili, non è un vantaggio per tutti?

Questo test può essere fatto a domicilio, abbiamo preparato anche un tutorial per l’autoprelievo, il materiale per la raccolta costa pochissimo. E pensiamo anche ai disabili e agli anziani, che così potrebbero avere un tampone meno invasivo e fatto da un parente, da una persona conosciuta, con meno timore”.

I suoi figli sono a scuola, adesso?
“Uno frequenta le elementari e quindi ha continuato in presenza, l’altro la seconda media, ha ripreso la settimana scorsa quando la Lombardia è uscita dalla zona rossa”.

Testo alternativo
Il prototipo del tampone salivare

Diverse ricerche nel mondo stanno evidenziando un dato: con la pandemia gli studi firmati da ricercatrici, scienziate, stanno diminuendo rispetto a quelli firmati da uomini, e questo viene collegato al maggior impegno di cura familiare che viene richiesto in questo momento alle donne.

“Faccio sempre fatica a confrontarmi con modelli maschili e femminili: ho una vita intensa, due figli, lavoro tanto. Forse ho scelto un compagno e un contesto favorevole, ho una famiglia in cui tutti fanno la propria parte, non è che aiutino me. Capisco la necessità delle quote rosa, anche se non sono una fan di questo tipo di provvedimenti. Soprattutto credo sia importante valorizzare le nostre differenze: l’accudimento è una caratteristica femminile importante, lo sguardo diverso tra uomini e donne è importante. Quando abbiamo iniziato a lavorare sul tampone salivare abbiamo pensato sì ai nostri figli, ma anche ai disabili, agli anziani nei centri diurni, agli operatori a rischio: questa è cura”.

C’è un altro tema che traccia questi mesi di pandemia: il precariato. Abbiamo imparato a conoscere i volti e i nomi di tante ricercatrici precarie che hanno isolato per prime il coronavirus, che hanno fatto studi di valore. Ma sono precarie.

“In Italia mi sembra tutto un po’ precario. Ma avendo fatto esperienze di lavoro in Svezia e in Olanda vedo una differenza: quello che lì viene giustamente chiamato e incentivato come mobilità, qui diventa precariato. Credo sia giusto non dover pensare per forza a un posto a tempo indeterminato, ma il nostro problema è quello di non dare valore alle esperienze a tempo, di non dare strumenti validi per poter fare al meglio un compito che non dura per sempre”.

E in Svezia?
“Io ci sono andata dopo la laurea, volevo fare una breve esperienza di studio, poi ho vinto un dottorato e ci sono rimasta cinque anni, perché la mia figura è stata ritenuta quella giusta per quel ruolo. Parliamo della Svezia, che è un Paese molto attento alla questione dei diritti e dell’equità, ma poi se vai a vedere anche lì nei posti apicali ci sono soprattutto uomini. Certo, se parliamo di misure di sostegno alla famiglia e alla genitorialità è un altro mondo. Il mio capo dell’epoca, quando iniziai il dottorato, mi chiese scherzando: “Non penserai ora di rimanere incinta e di restare a casa troppo?”.

La battuta in realtà non era rivolta a me, ma al mio collega, maschio: aveva tre figli, e a ogni gravidanza sua moglie era rimasta a casa dal lavoro solo un mese. I lunghi congedi paternità li aveva presi tutti lui”.

Il collega di Daniela Carmagnola che prende il congedo per stare a casa con i figli mentre sua moglie limita allo stretto indispensabile l’assenza dal lavoro porta alla decisione comunicata da Zalando nei giorni scorsi: l’amministratore delegato Rubin Ritter, 38 anni, lascia dopo 11 anni per occuparsi della famiglia. “Mia moglie ed io abbiamo convenuto che per i prossimi anni le sue ambizioni professionali dovrebbero avere la priorità”, si legge nella nota ufficiale.

Come racconta Tonia Mastrobuoni su Repubblica, la moglie di Ritter, una giudice, ha da poco partorito il loro secondo figlio, così in famiglia hanno deciso che chi resterà a casa sarà lui, non lei. Al settimanale Zeit due anni fa l’ad del colosso dell’e-commerce aveva detto che per sua moglie “il lavoro è importante quanto per me”.

Un mese fa, in questa newsletter, avevamo parlato della questione della condivisione del carico di cura in una coppia, il mio collega Raffaele Ricciardi aveva raccontato cosa vuol dire per una coppia giovane far quadrare gli impegni di entrambi. E come dicevamo già allora: forse la speranza è negli under 40.

 
Me lo segno

I consigli di lettura scelti per voi questa settimana:

Uno studio del New England Journal of Medicine dà una nuova lettura del divario salariale tra medici uomini e donne: non è che le seconde lavorano meno dei primi, ma trascorrono più tempo con i singoli pazienti. Una tesi a cui si è arrivati esaminando i dati delle cartelle cliniche elettroniche di oltre 24 milioni di visite ambulatoriali di 8,5 milioni di adulti negli Stati Uniti nel 2017. Degli 8.302 medici, poco più di un terzo (36,4%) erano donne. Qui lo studio.

Per questa settimana è tutto, grazie per la vostra attenzione.
La newsletter Scusi, Lei torna la prossima settimana.

Per suggerimenti, storie e riflessioni scrivete a o.liso@repubblica.it

e a @Orialiso

Grazie, Oriana Liso


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