CINA -
Arlecchino:
Diario del mio isolamento - 6 (Fine)
Rep: | Hotpot - Cosa bolle in Cina
Mar. 1 dic, 08:06
A me
Hotpot di Filippo Santelli
1° dicembre 2020
Ciao a tutti da Nanchino.
Domenica 18 ottobre, al ritorno in Cina dall’Italia, sono risultato positivo al coronavirus e trasportato in una struttura sanitaria “Covid” della città di Nanchino, dove sono stato chiuso in una stanza di isolamento tre metri per cinque e senza luce naturale. Venerdì scorso, 27 novembre, ne sono uscito, dopo quaranta giorni di isolamento. Questo è il mio diario.
Martedì 24 novembre, trentasettesimo giorno di isolamento: l'attesa
Da quando ho ricevuto il primo espettorato negativo non esiste nient’altro, solo il pensiero delle due triplette di esami negativi che mi servono, solo il pensiero dell’uscita. Una nuda, asfissiante attesa. Ho mollato quasi tutto il resto, lavoro a fatica, perfino avere contatti con i dirimpettai russi, pure simpatici e cordiali, mi disturba. Devono averlo capito anche loro, infatti per un intero giorno tengono il telo davanti alla finestra e non si palesano. È come se nell’equilibrio fragilissimo che mi sono creato qui dentro non ci fosse spazio più per nulla o per nessuno.
Mercoledì 25 novembre: la maglietta
Non sono mai stato scaramantico, ma in queste circostanze ci si attacca a tutto. Del resto il 2020 è l’anno del topo, il mio segno nello zodiaco cinese, e mi avevano avvertito che quello può essere un periodo molto sfortunato. Io ovviamente avevo snobbato, così quando mi sono deciso a indossare un braccialetto rosso scaccia malocchio ormai era troppo tardi: l’anno era iniziato sfigato e sarebbe continuato anche peggio. Dunque, per scaramanzia, tiro fuori dalla valigia la maglietta con un tonno rosso, la mia preferita. E com’è, come non è, la tripletta di test è negativa: ne manca solo una per uscire, di nuovo. Decido anche di saltare la ginnastica, non si sa mai che il fiatone metta in circolo i frammenti del virus. In compenso faccio doppi gargarismi e lavaggi delle narici.
Giovedì 26 novembre, trentanovesimo giorno di isolamento: il messaggio
Ovviamente indosso di nuovo la maglietta con il tonno. Ma arrivano le 12, e la dottoressa Zhou non mi scrive. Poi arrivano le 13. Poi le 13.30. So cosa vuol dire, tutte le volte che il risultato era negativo, una buona notizia, era lei ad avvertirmi. Non quando era positivo. Mi rassegno a farle per l’ennesima volta la stessa domanda, aspettandomi la stessa cattiva notizia. E invece quando vedo i due ideogrammi, yin xing, ho un sobbalzo: sembrano proprio quelli di "negativo". Tremo mentre premo il tasto “traduci” nel timore di essermi confuso tra yin e yang, cioè "positivo", maledetto mandarino. Ma il traduttore conferma: negativo! Faccio un sospiro che dura dieci secondi, in cui butto fuori settimane di acido, tensioni, paure. Chiedo alla dottoressa se posso uscire, lei risponde che un comitato di esperti deve dare l’autorizzazione finale e, se arriverà, domani potrò uscire. Credo che gli esperti siano quelli del Centro per il controllo delle malattie, l’autorità che si occupa della gestione dell’epidemia. Non capisco se si tratta di una formalità oppure se sono ancora possibili sorprese: in Cina le regole possono cambiare all’improvviso, per motivi imperscrutabili. Nel corso della giornata contatto la dottoressa due volte per avere aggiornamenti; la prima mi risponde che Internet non funziona, stanno cercando di farlo ripartire, la seconda, a sera, non dà segno di vita. Vado a dormire di nuovo teso.
Venerdì 27 novembre, quarantesimo giorno di isolamento: Fuori!
Al mattino successivo non ho ancora informazioni e, forse per la prima volta da quando sono qui dentro, perdo davvero il controllo. Quando il primario Zhong entra in stanza e mi dice, ancora una volta, che mi faranno uscire “se non ci sono problemi” vado su tutte le furie. Le dico di non chiudere la porta a chiave, perché altrimenti questa diventa una detenzione, io sono negativo. Lei risponde che deve chiuderla, sono le regole. So benissimo che non le ha scritte lei, che le subisce quanto me, ma non sopporto più la rigidità del sistema e l’assenza di informazioni. Minaccio di chiamare l’ambasciata, dico che tirerò giù la porta a calci. Lei esce e la chiude, io ovviamente i calci non li tiro. Un paio di ore dopo però entra un’infermiera con un foglio di carta: è la lettera di dimissioni, o il suo equivalente cinese. Ora è ufficiale, uscirò. L’ultimo passaggio è disinfettare le mie cose. Si portano via valigia e zaini, degli oggetti più piccoli mi devo occupare io con la lampada a raggi UV che ho in stanza. Alle 15 bussano, posso andare. Lancio un ultimo sguardo alla stanza, breve: la conosco a memoria. Percorro al contrario i corridoi della prima notte, passo davanti allo sgabelletto dove, quaranta giorni fa, l’infermiera mi aveva fatto sedere per misurarmi la pressione. A fianco alla porta c’è un bottone "exit". Lo premo, ringrazio e saluto l’infermiera, esco. Un cielo grigio non mi è mai sembrato così bello.
Sabato 28 novembre, primo giorno di osservazione: la finestra
Non è che sia proprio finita. Nella sua prudenza al limite dell’ossessione la Cina prevede altre due settimane di osservazione in albergo. Eccomi qui al Vienna dunque, hotel di Nanchino che prova a imitare i fasti della capitale austriaca, con moquette ocra, improbabili quadri sulla vita di corte e ancora più improbabili violini disegnati sulle pareti. In sostanza, dopo una lunga deviazione, sono tornato al punto di partenza, alla quarantena in hotel che mi aspettava all’arrivo. Eppure dopo l’ospedale questa camera, la 212, mi sembra un lusso: c’è un vero letto a due piazze, un asciugacapelli, invece che sullo sgabellino alto 50 centimetri posso sedermi su una sedia. Soprattutto, c’è un'ampia finestra da cui entra il sole e da cui io posso guardare fuori. La vista è sul cortile di un complesso residenziale cinese. Ci sono anziani che passeggiano sui vialetti, famiglie che portano i bambini ai giochi, fattorini delle consegne, alberi, uccelli. Due settimane e uscirò anche io: il mio isolamento ha di nuovo un orizzonte.
Fine
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Codice rosso
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Rep: | Hotpot - Cosa bolle in Cina Annulla iscrizione
mar 29 dic 2020, 08:01
a me
Rep: Hotpot di Filippo Santelli
29 dicembre 2020
Ciao a tutti da Pechino e Buone Feste!
Mi scuso per l'assenza non giustificata della newsletter, ma dopo i 55 giorni di isolamento Covid che vi ho raccontato avevo bisogno di staccare per un paio di settimane.
Rieccomi qui però. E purtroppo mi tocca ripartire sempre dallo stesso punto: credevo che con il ritorno a Pechino la mia Odissea epidemica fosse finita, ma non è così. Anzi, si è trasformata in una vicenda kafkiana, che racconto molto della Cina. Oltre un mese dopo essere risultato "negativo" e uscito dall'ospedale di Nanchino, 17 giorni dopo essere tornato a casa nella capitale, per errore la mia app sanitaria segna ancora codice rosso, raccomandando ulteriore "isolamento".
Non è solo un dettaglio burocratico: le app, una per ogni provincia del Dragone, sono il "passaporto" che permette di muoversi liberamente e avere accesso a uffici e locali pubblici, centri commerciali, negozi, ristoranti, perfino complessi residenziali. All'ingresso di ognuno di questi luoghi c'è una guardia o un addetto che controlla il colore del certificato sanitario digitale e solo chi è verde può entrare. Con il mio codice rosso io sono un paria, un fuori casta, mi lasciano fuori.
Perché la app non torna verde? Nessuno me lo sa spiegare ed è qui che la storia diventa kafkiana. Quando sono tornato a Pechino ho trasmesso i miei documenti sanitari, l'ultimo tampone negativo e il certificato di quarantena eseguita, alle autorità del quartiere. Dopo una settimana ulteriore di osservazione in cui ho dovuto inviare la temperatura due volte al giorno, i controlli sono ufficialmente finiti, ma la app è rimasta rossa.
Dal quartiere hanno assicurato di avermi "sbloccato", consigliandomi di rivolgermi al Centro per il controllo delle malattie (Cdc) di Pechino, l'autorità che si occupa dell'epidemia. Dal Cdc mi dicono che è una questione tecnica, ne devo parlare con la società che gestisce la app. Dalla società che gestisce la app mi dicono che sui "rossi" come me loro non sono autorizzati a intervenire, solo il Cdc può. Così il giro ricomincia, il più classico dei rimpalli tra compartimenti stagni della burocrazia cinese, e la app resta sempre rossa. Ovviamente neanche una telefonata all'12345, il centralino amico della città di Pechino, ha aiutato. Del resto la mia assistente mi aveva avvertito: "Lo chiama solo chi ha tempo da perdere". Certo, in teoria avrei sempre le carte della città di Nanchino che certificano, stampato nero su bianco, che sono negativo, ma quasi nessuna delle guardie è disposta a leggere il documento e prendersi la responsabilità di farmi passare, anche perché ormai quel test è vecchio di venti giorni.
In attesa di capire come fare, la mia vita da uomo (non ancora) libero dipende quindi da due fattori: la casualità e gli stratagemmi. Per entrare in un qualunque posto devo sperare che non facciano controlli (a volte succede), che la guardia all'ingresso sia semi addormentata (succede pure quello, in Cina l'abbiocco sul posto di lavoro è un classico) oppure arrangiarmi mostrando da lontano una vecchia foto di quando la mia app era verde, sperando che gli addetti non si accorgano che la data non corrisponde.
Il problema è che a Pechino il livello di allerta si sta di nuovo alzando. Negli ultimi giorni in città è stata rilevata una dozzina di casi di coronavirus, proprio mentre si avvicina la migrazione di massa del Capodanno lunare. Le autorità hanno raccomandato di limitare gli spostamenti fuori città e di rafforzare i controlli all'interno. In pratica rischio di non poter più entrare da nessuna parte, neanche al supermercato.
Al di là delle mie vicissitudini personali, tutto questo conferma una volta in più quanto sia poco intelligente il sistema delle app sanitarie introdotte dalla Cina. Le applicazioni non comunicano tra diversi telefoni, quindi non servono per il tracciamento dei casi, e si basano in gran parte su informazioni inserite manualmente dagli operatori. Non è certo attraverso la tecnologia, il tanto temuto Grande Fratello hi-tech, che la Cina è riuscita ad azzerare la circolazione il virus, bensì attraverso una mobilitazione di massa di personale in carne ed ossa e una moltiplicazione dei punti di controllo. Il codice sanitario è uno di questi cancelli e io non riesco più a passare.
Scrivetemi su Twitter e Instagram.
Buon Hot Pot a tutti e buona fine di questo tragico 2020. Qualsiasi cosa verrà dopo sarà meglio.
Filippo
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Arlecchino:
Xi Jinping continua a disertare i vertici internazionali: non lascia la Cina da 21 mesi
Posta in arrivo
ggiannig <ggianni41@gmail.com>
16:17 (1 ora fa)
a me
https://www.lastampa.it/esteri/2021/10/31/news/xi_jinping_continua_a_disertare_i_vertici_internazionali_non_lascia_la_cina_da_21_mesi-363177/
Arlecchino:
La Cina secondo l'Ue
Alla fine, l’atteso summit tra Unione europea e Cina c’è stato. Breve, e molto poco operativo, a giudicare dalla durata delle riunioni – prima col premier cinese Li Keqiang poi con il presidente cinese Xi Jinping, con cui Ursula von der Leyen e Charles Michel, rispettivamente presidente della commissione europea e presidente del Consiglio europeo, hanno parlato circa un’ora. Nessun comunicato congiunto, e una conferenza stampa con domande dai giornalisti alla presenza solo della parte europea.
Il punto è che Pechino voleva arrivare al Summit, dopo mesi di relazioni molto complicate con l’Ue, per parlare di business.
L’Ue invece voleva parlare di Ucraina, di quello che von der Leyen ha definito “una guerra, e non un conflitto”, riguardo alla quale “non ci può essere neutralità”. Come ha scritto Stuart Lau su Politico, Bruxelles e Pechino restano su posizioni “opposte” sulla guerra, e il dialogo è stato “difficile”, ha detto una fonte diplomatica europea a Lau.
Esattamente come hanno fatto già i funzionari americani, i vertici dell’Ue hanno avvertito la leadership cinese che ogni tentativo di minimizzare l’impatto delle sanzioni internazionali contro la Russia avrà delle conseguenze. Non si tratta quindi di far passare la Cina “dalla nostra parte”, come qualcuno dice, ma semplicemente di avvertire (implorare?) la Cina: non sostenere una guerra che potrebbe crearti molti casini. Non a caso von der Leyen durante la conferenza stampa di ieri ha sottolineato che tra Ue e Cina passano merci e servizi per il valore di due miliardi di euro, ogni giorno. Il volume degli scambi della Cina con la Russia non supera i trecento milioni di euro. Qui c'è l'articolo di David Carretta da Bruxelles.
Dopo un primo momento di sospetto spaesamento relativo alla guerra russa – come abbiamo scritto più volte, forse Pechino si aspettava qualcosa di molto più contenuto, un’offensiva sui territori del Donbas e basta – adesso si comincia a intravedere in che modo la Cina ha intenzione di capitalizzare la crisi internazionale: mostrandosi la potenza responsabile che non si intromette e spinge al dialogo e alla pace. Praticamente Xi sembra il Papa.
Una cosa interessante successa ieri è che Pechino ha pubblicato quello che in gergo si chiama readout, cioè il sunto della conversazione, ancor prima che la videochiamata tra Xi Jinping e l’Ue fosse terminata. Era già successo con il vertice tra il presidente americano Joe Biden e Xi, ha ricordato qui Francesca Ghiretti del Merics. Secondo diversi analisti, in questo modo la Cina vuole arrivare prima sulle breaking news internazionali, insomma fare i titoli dei giornali (un po’ come quando Giuseppe Conte parlava subito prima dei tg delle 20).
E cosa ha detto Xi Jinping? Che tutta la colpa è della Nato e dell’America, che l’Europa deve essere più indipendente nella sua politica estera: “La crisi ucraina deve essere gestita adeguatamente”, ha detto secondo quanto riportato dal Quotidiano del popolo, “e non può vincolare il mondo intero alla questione, per non parlare di far pagare un prezzo pesante ai cittadini di tutti i paesi a causa di questo” – tradotto: è un conflitto regionale che devono risolvere loro due, e non bisogna per forza prendere una posizione, ma occhio perché non soffre solo la popolazione ucraina, dice Xi, con le vostre sanzioni illegali soffrono anche i russi.
CINA
Una serie di attacchi hacker che avrebbero subìto istituzioni ucraine come il ministero della Difesa nei giorni tra la fine delle Olimpiadi di Pechino e l’inizio dell’invasione russa sono riconducibili al governo di Pechino. E’ uno scoop del Times, che riferiscono fonti dell’agenzia di spionaggio ucraina e confermato anche da alcune fonti d’intelligence americana. Gli hacker cinesi avrebbero tentato di rubare dati ed esplorato modi per fermare o interrompere alcune linee di difesa vitali e infrastrutture civili. Potrebbe essere un’impronta digitale, un segno di complicità di Pechino.
Del resto, come ricorda Ghiretti nell’intervista a Formiche citata prima, per la Cina il fattore economico potrebbe essere molto importante, ma lo è anche quello politico – e la superamicizia con la Russia sancita il 4 febbraio scorso tra Xi e Putin.
L’economia è fondamentale perché attualmente le cose stanno andando parecchio male, nonostante l’annunciato target di crescita al 5 per cento. Non c’è solo la guerra e le sue variabili (sanzioni, inflazione) ma c’è pure il Covid, ancora il Covid. E tutto a pochissimi mesi dal Congresso del Partito comunista cinese che dovrebbe lanciare Xi Jinping per un terzo, inedito mandato.
Pechino non ha mai cambiato la sua politica Zero Covid, Shanghai è ancora in lockdown e sebbene le autorità non abbiano dichiarato nuovi morti a causa del coronavirus, diversi media tra cui la Bbc parlano di situazioni drammatiche negli ospedali. Un po’ ovunque nel mondo, nelle ultime settimane, c’è stato un aumento di casi di Covid eppure, se pensate all’Italia, grazie alla campagna vaccinale ricoveri e forme gravi sono drasticamente diminuiti. La situazione in Cina – di cui sappiamo molto poco, ovviamente, sempre per quel fatto del tutto trascurabile che non c’è trasparenza nei paesi autoritari – è molto grave. Mentre i paesi occidentali hanno adattato la politica da attuare a seconda dei dati e dell’analisi della fattibilità, costi economici, umani, andamento della campagna vaccinale, a Pechino invece la politica “Zero Covid” è stata politicizzata. “Non è più solo un dibattito su quale approccio funziona meglio”, ha detto a SupChina Yanzhong Huang, “Si tratta più di una competizione tra due ideologie, due insiemi di sistemi politici e persino, a giudicare da un recente articolo pubblicato su un quotidiano di Shenzhen, una competizione tra due civiltà”.
Ma torniamo ai rapporti tra Cina e Ucraina. Vi ricordate la storia dei cittadini cinesi che non erano stati evacuati dall’Ucraina per tempo, cioè prima del 24 febbraio? Prima l’ambasciata cinese a Kyiv diceva: tranquilli, fate un po’ di scorte e rimanente in casa, se uscite fatelo con una bandiera cinese esposta. Subito dopo, per settimane, i funzionari cinesi hanno cercato un modo per portarli via, e c’era stata addirittura una telefonata tra il ministro degli Esteri Wang Yi e il suo omologo ucraino Dmytro Kuleba. Per il Partito comunista cinese una delle priorità da sempre è quella di proteggere i cittadini cinesi all’estero e questo sembrava proprio un fallimento tremendo. Più o meno tutti i seimila sono adesso tornati in Cina dopo un lunghissimo viaggio, e ora devono sottoporsi alla quarantena. Il South China Morning Post è andato a raccontare le loro storie: non sembrano molto felici.
Ma torniamo alla politica, che è sempre la priorità a Pechino. Dicevamo: uno dei modi con cui Pechino vuole capitalizzare la crisi ucraina è cercare di mostrarsi al mondo come modello alternativo di risoluzione delle crisi. Lo ha esplicitato in modo molto evidente qualche giorno fa, quando ha organizzato nel distretto di Tunxi un dialogo tra i paesi confinanti con l’Afghanistan, ed è il primo di questo genere a cui partecipano anche i vertici dei talebani (vi ricordate? Wang Yi è stato a Kabul una settimana fa). Primo giorno summit con Cina, Russia, Pakistan, Iran, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Ospiti? Qatar e Indonesia – in quanto paesi a maggioranza musulmana che si sono impegnati a aiutare economicamente Kabul. Secondo giorno: una “troika allargata” pure con Tom West, inviato speciale sull’Afghanistan della Casa Bianca, ma sono uscite pochissime notizie su questa parte del summit.
Questo modello di dialogo con la Cina al centro piace parecchio ai paesi autoritari e a quelli in via di sviluppo, perché il messaggio è chiaro: Pechino vi sostiene politicamente e non vi chiede niente in cambio su democrazia e diritti umani. Non vi giudica. Vuole solo la vostra anima – più o meno.
Prima di ottenere il riconoscimento formale, ha detto Wang Yi, il governo ad interim dei talebani deve dimostrare qualcosa in più “nella sua lotta al terrorismo”.
Durante il vertice sull'Afghanistan c'è stato pure un bilaterale molto chiacchierato tra Wang Yi e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, il primo sin dall'inizio dell'invasione russa in Ucraina. E' stata la pietra tombale su chiunque si aspettasse, prima o poi, una presa di distanza o una mezza condanna da parte di Pechino. Ne ho scritto qui.
Una notizia che abbiamo anticipato la scorsa settimana qui, quella di un prof a contratto del Politecnico di Milano che dice a un suo alunno che non può dirsi taiwanese, ci ha dato modo di tornare su un argomento che ci sta molto a cuore. E cioè la presenza della Cina, e dei finanziamenti cinesi, nelle università italiane. Non parliamo soltanto degli Istituti Confucio, di cui abbiamo scritto moltissimo. Secondo i dati ufficiali del ministero dell’Università e della Ricerca e della Farnesina, il Politecnico di Milano, dal 2010 a oggi, ha firmato 65 accordi con università della Repubblica popolare cinese. Per fare un paragone, il Polimi ne ha soltanto 16 con università degli Stati Uniti. Un lungo articolo, qui.
DA LEGGERE
Si parla ormai da tempo, a volte perfino a sproposito, del nuovo scontro tra America e Cina - che supera addirittura quello attuale con la Russia. Sarebbe molto interessante, quindi, se qualche editore italiano traducesse questo libro, scritto da Rush Doshi che è, oltre che il fondatore della Brookings China Strategy Initiative, l'autore della politica sulla Cina di Joe Biden. Sono riuscita a finirlo solo ora, e oltre a dare dei dettagli che già conoscevamo, porta avanti quest'idea di fondo di una potenza da contenere - è probabilmente proprio questo quello a cui si riferiscono i funzionari cinesi quando parlano di "mentalità di Guerra fredda". Tra gli americani si parla spesso di questa teoria e il suo "adattamento", diciamo così, alle circostanze di oggi. Che potrebbe non voler dire un totale annullamento della potenza americana di formare delle catene di sicurezza per arrivare alla coesistenza. E' un dibattito tutto interno all'America, e se volete qui c'è una puntuale critica di Ethan Paul.
GIAPPONE
Il ministro degli Esteri giapponese Hayashi Yoshimasa è volato in Polonia come inviato speciale del primo ministro Kishida per la questione Ucraina. Da lì coordinerà le evacuazioni in Giappone.
Nel 2003 il governo di Tokyo, per cercare una soluzione diplomatica e pacifica con la Russia, aveva smesso di definire i cosiddetti Territori del nord “illegalmente occupati” dalla Russia. Ecco, l’espressione sarà molto probabilmente reintrodotta.
A proposito di rapporti tra Giappone e Corea del sud. Ha riaperto la mostra chiamata “Non Freedom of Expression” a Tokyo, dopo le polemiche che aveva suscitato qualche anno fa a Nagoya. Perché tra le opere c’è una statua che simboleggia le “comfort women” sudcoreane.
Nel frattempo, il Covid. Il Giappone sta cercando di alzare la quota di cittadini stranieri che possono entrare nel paese a 10 mila al giorno, ma nel frattempo i casi sono di nuovo in aumento. Le Abenomask, le mascherine riutilizzabili che Shinzo Abe voleva mandare nelle case dei cittadini giapponesi, sono quasi tutte in magazzino.
DA VEDERE
Divertente e incredibilmente interessante per temi e realizzazione. C'è su Netflix "Zero to Hero" del regista Jimmy Wan. Ci sono voluti dieci anni per farlo, ha detto Wan. La storia è ispirata alla vera vita di So Wa-wai, atleta paraolimpico e leggendario di Hong Kong. E' interessante notare che la diagnosi terribile che fanno al giovane protagonista avviene nella Cina continentale degli anni Ottanta (magnificamente descritta) e poi la famiglia si ritrova qualche anno dopo nella colonia inglese, dove il padre era andato a lavorare. E' una storia universale sulla tenacia e l'accettazione, magnificamente descritta - anche per chi ha nostalgia di Hong Kong.
PENISOLA COREANA
Il governatore della provincia di Mykolaïv, in Ucraina si chiama Vitaliy Aleksandrovich Kim. E il suo cognome non mente: come ha scritto Micol Flammini, ha origini coreane. E siccome volevo saperne di più di queste origini coreane di uno dei volti della resistenza a Putin, ho fatto un po' di ricerche. C'è un solo articolo sulla stampa sudcoreana che parla di lui. Vitaliy dice di parlare un po' di coreano, che gli è stato insegnato dai genitori, che a loro volta lo avevano imparato dai loro genitori. La famiglia è infatti originaria di Primorsky Krai, cioè il confine con la Corea del nord, a pochi chilometri dalla città nordcoreana di Rason. Negli anni Trenta, durante le migrazioni forzate dell'Unione sovietica, la famiglia fu ricollocata in Ucraina. Oggi lui difende il suo paese contro l'invasione russa, negli anni Cinquanta furono i sudcoreani a difendersi dall'invasione nordcoreana formalmente nota come "guerra per la riunificazione".
Da giorni circolano voci sulla possibilità che la Corea del nord si stia preparando a testare una bomba nucleare. Sarebbe il primo test atomico da quattro anni e mezzo. Le immagini satellitari mostrano che sono ripresi i lavori del tunnel numero 3 dell'impianto nucleare di Punggye-ri, scrive 38th North.
Ma c'è un altro mistero, forse ancora più strano, che riguarda la Corea del nord in questi giorni. Il 24 marzo scorso la Corea del nord ha eseguito un test missilistico intercontinentale, il primo di questo tipo sin dal 2017. Ne abbiamo scritto qui. Il giorno dopo l'agenzia di stampa governativa, la Kcna, ha scritto che il leader Kim Jong Un aveva dato il via al test di uno Hwasong-17, il missile più potente mai posseduto da Pyongyang - e lo ha fatto con un video particolarmente hollywoodiano che ha fatto il giro del mondo.
Qualche giorno dopo, però, il ministero della Difesa sudcoreano ha detto che quello che il Nord aveva testato il 24 marzo non era uno Hwasong-17, ma lo Hwasong-15, che già conosciamo perché Pyongyang l'ha già testato nel 2017. Perché mentire sulla tecnologia? Probabilmente per strategia di deterrenza ed enfatizzare la capacità missilistica.
Nel frattempo, il capo del Joint Chiefs of Staff sudcoreano, il generale Won In-choul, e il suo omologo americano, il generale Mark Milley, hanno firmato ieri alle Hawaii la Direttiva sulla pianificazione strategica, cioè un aggiornamento dei piani congiunti d'emergenza in caso di guerra.
Tornando alla politica sudcoreana. L'attuale presidente in carica, Moon Jae-in, e il presidente eletto Yoon Suk-yeol hanno avuto il loro primo incontro operativo per la transizione. Non deve essere stato facile, dato che i due continuano a litigare un po' su tutto (è personale). Una delle prime cose per cui è finito sulle cronache internazionali da presidente eletto riguarda il trasferimento degli uffici presidenziali dalla Casa Blu ad altra sede - probabilmente perché la Casa Blu è considerata "maledetta". In realtà, Yoon non è il primo a dire di voler essere il "presidente del popolo" e di voler abbandonare la Casa Blu, che è un compound particolarmente sicuro su una specie di collinetta. Anche Moon l'aveva promesso durante la sua campagna elettorale, poi non se n'era fatto niente perché i costi stimati del trasloco si aggirano attorno ai 40 milioni di dollari.
In settimana Yoon ha parlato al telefono con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e anche questa è una notizia importante perché mostra come il presidente eletto sudcoreano voglia essere molto più presente sulla politica internazionale in supporto all'America.
C'è però un problema in questa roadmap di cambio radicale della postura internazionale di Seul. Anche se il presidente eletto vuole ricucire i legami con il Giappone, le relazioni tra i due paesi non torneranno alla normalità dall'oggi al domani "a causa di irritazioni storiche di lunga data, secondo gli osservatori".
Il governo sudcoreano sta valutando la possibilità di revocare tutte le norme sul distanziamento sociale ad eccezione dell'uso della mascherina, ma solo se venisse confermato il calo dei casi giornalieri di Covid nelle prossime due settimane.
ALTRE COSE
"Al buio anche per 13 ore al giorno, con imprese e servizi che vanno bloccandosi per la mancanza di combustibile e fondi insufficienti ad acquistare quello necessario. Lo Sri Lanka sta sperimentando la peggiore crisi economica dall’indipendenza". Così racconta Stefano Vecchia su Avvenire la situazione che sta vivendo lo Sri Lanka, da giorni piegato da una crisi energetica e un'inflazione record al 17,5 per cento, con una classe politica guidata dalla famiglia Rajapaksa che è sempre più simile a un regime e accusata da chi sta protestando.
Negli ultimi anni lo Sri Lanka, sotto la guida dei Rajapaksa, ha abbracciato il modello di aiuto infrastrutturale della Cina per rilanciare la sua economia, ma è andato tutto male. Anche per questo adesso l'India accusa Pechino di aver fatto cadere Colombo nella sua "trappola del debito" e vorrebbe intervenire.
Allo stesso tempo l'India non si trova in una buona posizione con gli alleati tradizionali, l'America e l'alleanza "del mondo libero", perché non ha ancora condannato l'azione militare russa e probabilmente non lo farà mai. Daleep Singh, viceconsigliere per la Sicurezza nazionale americana per l'economia internazionale, durante una visita a Delhi ha detto che "gli amici non stabiliscono linee rosse", aggiungendo però che i suoi partner in Europa e in Asia erano stati esortati a ridurre la loro dipendenza da "un fornitore di energia inaffidabile" e che Washington non vuole che l'India acceleri le sue importazioni energetiche dalla Russia.
Febbraio 1986. Centinaia di migliaia di filippini scendono in strada per la prima volta, per quattro lunghi giorni, contro il regime autoritario del presidente Ferdinand Marcos. E' una novità assoluta per l'Asia, e dopo elezioni democratiche ma con risultato dubbio, costringe Marcos a scappare alle Hawaii con la famiglia. Al suo posto arriva Cory Aquino, vedova di Benigno Aquino Jr., assassinato nel 1983 dai militari di Marcos in quanto dissidente.
Più di trent'anni dopo, nell'ottobre 2021, il figlio del defunto dittatore, Ferdinand "Bongbong" Marcos Jr., 64 anni, ha annunciato la sua intenzione di diventare il prossimo presidente delle Filippine. Ha lavorato con la figlia del presidente uscente, Sara Duterte, che si candida a vicepresidente. Insieme sono una squadra formidabile, molto più avanti degli altri candidati nei sondaggi d'opinione. Parte da qui un lungo ritratto pubblicato dal Time firmato da Chad de Guzman.
Manca poco più di un mese alle elezioni nelle Filippine e questo ritorno al passato - autoritario, pieno di ferite aperte, per giunta dopo sei anni di governo dal pugno di ferro di Rodrigo Duterte - è qualcosa di molto poco comprensibile qui da noi. Per capirci qualcosa di più bisogna seguire Rappler, il giornale del premio Nobel Maria Ressa.
E a proposito di messaggi e segnali da mandare alla Cina, qualche giorno fa sono iniziate le Balikatan, le più grandi esercitazioni militari congiunte tra Filippine e America degli ultimi anni. E' un segnale per niente scontato, perché dal 2016, quando Duterte è arrivato a governare il paese, sembrava che Manila stesse prendendo una posizione molto più mediana tra Washington e Pechino, addirittura Duterte aveva detto che era "solo carta" la sentenza del tribunale arbitrale che dava ragione alle Filippine sulle rivendicazioni cinesi nel Mar cinese meridionale. Ma recentemente l'assertività di Pechino ha fatto alzare sempre di più la guardia anche alle Filippine.
Gli Stati Uniti e l'Australia rafforzeranno la cooperazione per la sicurezza nello spazio e nel dominio informatico per contrastare la Cina. L'hanno annunciato durante un incontro a Pine gap, base segretissima in Australia.
Da - https://mailchi.mp/ilfoglio/la-cina-secondo-lue?e=fbfc868b87
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