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Autore Discussione: Salvatore Tropea - Dieci anni fa moriva Giovanni il figlio di Umberto Agnelli  (Letto 3802 volte)
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« inserito:: Dicembre 13, 2007, 04:11:04 pm »

La Dinasty interrotta

Dieci anni fa moriva prematuramente il figlio di Umberto Agnelli, erede designato dell´impero Fiat

L´atroce destino di Giovanni III il delfino che non divenne re

Salvatore Tropea


Gli studi negli Usa, il servizio militare nei carabinieri definito "una lezione di rigore" e l´apprendistato in fabbrica alla Comau
Poi una rara forma tumorale ha portato via un ragazzo che non viveva mai sopra le righe, con la linearità dei predestinati  «Gli ho già messo un piede nella porta e gli ho detto che si deve preparare». La designazione avviene proprio così. Con un´intervista al settimanale francese Nouvel Economiste il presidente della Fiat Giovanni Agnelli indica il «delfino» al quale al momento giusto affidare l´azienda di famiglia. È l´estate del 1993. Nulla lascia presagire che quella porta non si aprirà mai e che il delfino non diventerà mai re. L´Avvocato si appresta allora a lasciare la presidenza del Lingotto e, salvo le previste parentesi, vale ancora la battuta di Enrico Mattei secondo la quale in casa Fiat le successioni si susseguono regolari e scontate come l´avvicendarsi delle stagioni.

Giovannino, come viene chiamato familiarmente Giovanni Alberto, figlio di Umberto e della prima moglie Antonella Bechi Piaggio, sarebbe stato il terzo Agnelli a sedere sul trono della più potente dinastia industriale italiana dopo il bisnonno capostipite e lo zio Giovanni. All´epoca non ci sono altre alternative per assicurare la continuità. O almeno così sembra. L´unico erede maschio dell´Avvocato, Edoardo, è fuori dalla partita: le sue condizioni di salute lo hanno da tempo escluso dalla rosa dei candidati.

Edoardo non è l´uomo forte in grado di assumere il comando dell´impero e lo sa. Ne soffre, ma se ne è fatta una ragione. Giovanni Alberto Agnelli ha invece le qualità che fanno difetto al cugino. Nella sua vita c´è - o almeno sembra esserci - la linearità dei predestinati. Nato a Milano nel 1964, fin da piccolo si segnala per un understatement piuttosto raro tra i rampolli del jet set. Forse sulla scia del padre sceglie, quasi naturalmente, la «normalità», per dire un modello di vita mai sopra le righe. Come lui frequenta il Collegio San Giuseppe, l´istituto torinese guidato dai Fratelli delle Scuole cristiane, e, dopo il divorzio dei genitori, segue in America la madre che si è risposata col conte Uberto Visconti di Modrone. Negli Usa entra alla Mc Callie Academy di Chattanooga, nel Tennessee, per poi proseguire gli studi alla Brown University di Providence, nel Rhode Island.

Rientrato in Italia per il servizio militare, opta per l´arma dei carabinieri, un´esperienza che definirà «una lezione di rigore». Per l´apprendistato in Fiat si orienta verso il più classico degli anonimati: entra in fabbrica, alla Comau, come l´operaio Rossi. È un Agnelli ma nessuno lo sa. Di lui circolano poche fotografie e meno indiscrezioni da gossip. Il passo successivo è l´ingresso alla Piaggio, ancora una volta sulle tracce della madre, erede del gruppo di Pontedera famoso per la mitica Vespa: tirocinio nella sede spagnola e poi approdo alla presidenza. Il ruolo lo costringe ad accettare qualche compromesso con i media: a Londra inforca l´ultimo modello di scooter Piaggio e si fa fotografare in una posa che rievoca il Gregory Peck di Vacanze romane.

Quando vado a intervistarlo a Pontedera, nel luglio del 1995, la sua designazione a futuro presidente di Fiat è nell´aria. «E perché proprio io e non un signor Rossi?» sorride rispondendo all´inevitabile domanda. «Lo so che molti pensano che sarà così. Diciamo che non rimuovo la questione ma non me ne faccio neppure un tormento quotidiano. Se mi sarò proposto prenderò in esame la cosa con molta cura, ma oggi il mio compito è vendere ciclomotori». Chiude così: «Mi hanno insegnato che si deve finire sui giornali soltanto due volte nella vita, quando si nasce e quando si muore». E insistere non serve: «Su di me non c´è molto da dire».

Proprio in quell´estate di dodici anni fa arriva la proposta. D´accordo col fratello Umberto, l´Avvocato dischiude la porta attraverso la quale il giovane presidente della Piaggio è destinato a passare per diventare Giovanni Agnelli III. E invece un anno e mezzo più tardi quella porta si apre su una corsia d´ospedale. Un giorno d´aprile del 1997 quella che si pensava sia una brutta peritonite si rivelerà come una rara forma tumorale. E sarà lui stesso a dare notizia della sua malattia: «Perché questi sono problemi che si devono affrontare e risolvere in prima persona, anche per evitare informazioni distorte».
Il 16 novembre del 1996 sposa Avery Howe dalla quale nascerà una bambina che lui farà appena in tempo a vedere. Il 13 dicembre del 1997 Giovannino muore all´età di 33 anni. In Fiat è arrivato a sedere soltanto nel consiglio di amministrazione, al posto cui ha rinunciato il padre Umberto. Alla presidenza del Lingotto c´è da un anno Cesare Romiti e a lui sarebbe seguito Paolo Fresco. Poi, nel 2003, la morte dell´Avvocato avrebbe riconsegnato il trono a un altro Agnelli che però avrebbe regnato per poco più di un anno.

Nel decimo anniversario della morte di Giovanni Alberto Agnelli ci si accorge che nessuno avrebbe potuto scrivere una simile sceneggiatura per la Fiat Dinasty. La lettura di questi dieci anni rendono incongrua la domanda su come sarebbe stata la Fiat senza quella prematura scomparsa. Si dice che la storia non si fa con i se e con i ma e questo vale ancor di più quando di mezzo c´è anche quell´evento ineluttabile che è la morte. Di fronte al quale anche quella profonda crisi che per qualche anno ha scosso dalle fondamenta la Fiat sembra un accadimento secondario.

L´ex «ragazzo della Piaggio» è stata una sfortunata meteora. Oggi avrebbe avuto 43 anni, un´età in cui si può essere presidenti anche della Fiat in un´epoca in cui si è abbassata la soglia anagrafica per l´assunzione di importanti responsabilità. La storia della Fiat procede ora su un altro binario tracciato dall´Avvocato con l´adozione del nipote John Elkann come suo erede di riferimento. Forse senza la serie di lutti che hanno funestato la dinastia di Villar Perosa nell´ultimo decennio non ci sarebbe stata neppure la poco elegante contesa ereditaria attualmente in corso nella famiglia dell´Avvocato. Ma anche questo è uno scenario privo di senso.

(13 dicembre 2007)

da espresso.repubblica.it
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