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Autore Discussione: "Per paura di perdere il lavoro si accetta tutto"  (Letto 3879 volte)
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« inserito:: Dicembre 08, 2007, 05:24:18 pm »

CRONACA

L'azienda era in ritardo su una commessa: per non pagare penali ricorreva a maxi straordinari.

"Per paura di perdere il lavoro si accetta tutto"

Quei turni infernali di 12 ore "E chi rifiutava perdeva il posto"

di PAOLO GRISERI

 
TORINO - Davanti al cancello dell'Unione industriale di Torino è l'ora della rabbia. Quella che ti viene dopo una notte e un giorno di paura, quella che prende il posto dello shock perché, in fondo, "là dentro avrei potuto esserci io". Giuseppe, 27 anni, non pensa solo a se stesso. Pensa all'amico "che si è licenziato un mese fa. Uno che non ce la faceva più. Aveva già ricevuto due richiami scritti dalla Thyssen perché si era rifiutato di fare lo straordinario".

Uno che si è salvato, non solo dal licenziamento. Si chiama Ermido, anche lui ha 27 anni: "Mi sono licenziato il mese scorso, per evitare guai peggiori. Ho lavorato cinque anni alla Thyssen, facevo i turni in finizione. Mai un richiamo, mai un rimprovero. Poi, da settembre, la musica è cambiata. Ci chiedevano straordinari a go go, turni su turni. Io non volevo, c'erano ancora i miei compagni in cassa, dicevo: "Riprendete uno di loro". Un giorno mi sono rifiutato. Mi hanno mandato la lettera a casa. Dopo la seconda volta ho deciso di uscire da quel posto. Non vivo da solo. Sono ancora con i miei, ho potuto permettermelo. Ma tanti miei compagni che hanno famiglia facevano i turni di 12 ore".

Gli operai attendono la fine dell'incontro tra i sindacati e l'azienda. Incontro breve. Il tempo di guardarsi in faccia e dirsi che "oggi non c'è spazio per una trattativa normale". I sindacati chiedono solo "che l'Asl ispezioni tutta la fabbrica prima di riprendere il lavoro". "Devi capire - dice Giuseppe - che noi non siamo una fabbrica normale. Noi siamo tutti ragazzi. Siamo amici, giochiamo a pallone insieme, andiamo in discoteca, turni permettendo. E adesso ci ritroviamo qui a contare i morti".

E' dura morire proprio quando sta per morire la fabbrica. O forse proprio perché la fabbrica è in disarmo. E' come per un atleta cadere all'ultima curva. La storia recente della Thyssen di Torino è la storia di tante debolezze. Ciro, delegato di stabilimento, fa il mea culpa: "Certe volte, per paura di perdere i posti di lavoro, a noi siderurgici può capitare di monetizzare la salute". Come dire che certe volte anche i sindacalisti chiudono gli occhi. Chi poteva fare il difficile durante il fuggi fuggi? Perché dopo l'estate la fuga dalla Thyssen è stata massiccia: "I più qualificati, i manutentori, sono andati tutti alla Teksfor di Avigliana, un'acciaieria a pochi chilometri da qui. Da troppi che eravamo, siamo diventati improvvisamente troppo pochi".

Ciro aggiunge: "Scapperebbe chiunque sapendo che stanno per chiudere la tua fabbrica". Il piano concordato con Fim, Fiom e Uilm prevede la fine delle produzioni torinesi il 30 settembre 2008. Ma il reparto 5, quello dell'incidente, avrebbe comunque chiuso a febbraio. La tragedia ha anticipato i tempi di due mesi e mezzo.

Il fuoco di giovedì notte si è portato via l'élite della laminazione a freddo ("è solo un modo di dire - avverte Ciro - il forno va a mille gradi"). Se n'è andato subito Antonio Schiavone, l'unico "primo addetto" della linea, una specie di capomacchina nel gergo siderurgico. Ieri mattina al Cto è morto il suo sostituto, Roberto Scola. A Genova lotta per sopravvivere il terzo nella gerarchia del reparto, Rosario Rodinò. Figure preziose di operai qualificati in una fabbrica che si sta svuotando.

La chiusura programmata della Thyssen di Torino sarà la salvezza dello stabilimento di Terni. Una scelta forse inevitabile nella guerra tra poveri che sempre si scatena nelle ristrutturazioni aziendali. Eliminare l'acciaieria di Terni, 3.500 dipendenti, sarebbe stato come far sparire Mirafiori a Torino. Così, un anno e mezzo fa, i sindacati hanno accettato lo scambio: salvare Terni e chiudere la fabbrica da 400 addetti nel capoluogo piemontese. Mors tua, vita mea. Nel passaggio di consegne qualcosa non ha funzionato. La storia la racconta Giorgio Airaudo, segretario della Fiom torinese: "A Terni si è rotto un treno di laminazione. Non si poteva pagare al cliente la penale per la mancata consegna del materiale. Così l'azienda è tornata a utilizzare a pieno ritmo Torino".

Questo spiega forse il ricorso agli straordinari forzati delle ultime settimane. Ma far marciare a pieno ritmo una vecchia auto perché la nuova è dal meccanico, può presentare dei rischi.

Tutte cose che si scoprono sempre dopo, con l'inutile senno del poi. Storie che si raccontano davanti ai cancelli della fabbrica, in fondo a corso Regina, dove i viali di Torino finiscono e diventano tangenziale. Dove anche ieri i compagni delle vittime sono rimasti tutta la giornata. Per stare insieme, per capire che cosa succede, per vigilare. All'ora di pranzo un furgone tenta di varcare il cancello. E' un attimo. Il passa parola raduna tutti davanti al parabrezza. Ciro urla: "È il furgone della ricarica degli estintori", proprio quelli che si sono dimostrati inutili.

Gli operai chiamano i carabinieri: "C'è un'inchiesta in corso e vogliono cancellare le prove". Tutto si chiarisce in fretta. L'uomo scende dal furgone e si avvia a piedi in fabbrica. Era stato convocato dal magistrato.


(8 dicembre 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 10, 2007, 04:53:32 pm »

Le parole non bastano più

Guglielmo Epifani


Ormai è strage. Lo ripetiamo ogni volta, dopo ogni morte, cioè quasi tutti i giorni. Perché quotidiano è lo stillicidio dei morti sul lavoro, una conta che diventa intollerabile quando a condizionare, se non a determinare, queste morti è l’assenza delle condizioni minime di sicurezza, il mancato rispetto delle norme. La magistratura chiarirà le cause del devastante incidente di Torino, ma al di là delle responsabilità in questo caso, fra i più terribili degli ultimi anni, resta il fatto che il tema della sicurezza sul lavoro è un’emergenza, e quindi una priorità, nazionale.

È anche un immenso lutto e per esprimerlo, con Bonanni e Angeletti, abbiamo chiesto che tutti i lavoratori portino domani, quando Torino si fermerà, un segno, una fascia nera al braccio. Una modo simbolico per essere vicini alle vittime, ai feriti, alle famiglie che hanno subito perdite tanto gravi. Altre iniziative le proporremo nei prossimi giorni.

È stato osservato in queste ore che il tema della sicurezza non è solo questione di criminalità: è anche, è soprattutto il diritto a lavorare senza rischiare ogni giorno la vita e la capacità di garantire condizioni di sicurezza ai propri cittadini lavoratori è un indicatore del grado di civiltà di un paese. È un tema ben presente al Presidente della Repubblica che anche in questo caso, come in tanti altri, come in occasione del suo stesso insediamento, ha espresso con intensità partecipazione e preoccupazione per un fenomeno sempre più grave. È una sensibilità, quella del Presidente, della quale siamo grati e che accomuna anche altri vertici delle istituzioni.

Tuttavia le parole non sono più sufficienti.

Non possiamo ignorare come il tema della sicurezza si intrecci troppo spesso con lo sfruttamento dei lavoratori immigrati, le catene di appalti e sub-appalti, la precarietà, il lavoro nero. Non è il caso di Torino. Non sappiamo ancora niente di ufficiale sulle cause dell'incidente, ma le ipotesi che circolano parlano di estintori vuoti, telefoni non funzionanti, turni di straordinari fuori dalle regole. Sarebbe particolarmente grave se in una azienda antica, importante, autorevole come le acciaierie ThyssenKrupp fosse stata una tale violazione delle norme ad aver provocato una simile devastazione.

Ma al di là di questi episodi clamorosi c’è il bollettino quotidiano di morti sui cantieri, nelle piccole fabbriche, sulle strade, e in questo caso spesso la questione della sicurezza sul lavoro si intreccia con il problema del lavoro nero e dello sfruttamento di immigrati, tante volte clandestini. Altre volte le responsabilità è nell’insufficiente ruolo di vigilanza e controllo, nello scarso coordinamento delle strutture pubbliche preposte. In verità il problema è diventato troppo esteso e pervasivo: è ora che ognuno si assuma le proprie responsabilità, ciascuno per la propria parte.

Per il sindacato il capitolo della sicurezza, naturalmente, è da sempre una priorità netta: su questo tema abbiamo aperto il 2007 con una grande assemblea nazionale unitaria; alla sicurezza e alle vittime del lavoro abbiamo dedicate molti momenti delle celebrazioni del Primo maggio; tante sono le iniziative nelle categorie, nei territori, nei luoghi di lavoro. Si dovrà fare ancora di più: la sicurezza deve tornare ad essere un tema centrale della contrattazione perché è troppo spesso i rischi sono legati ai carichi e all'organizzazione del lavoro, agli orari, agli straordinari.

Quanto alla politica alcune cose sono state fatte in questo ultimo anno, a cominciare dall'approvazione del Testo unico sulla sicurezza. Ora è necessario varare al più presto i decreti attuativi e coordinare meglio le attività di controllo fra i diversi livelli amministrativi, avviare un Piano nazionale, articolato nelle Regioni, di prevenzione e promozione della salute e sicurezza nel lavoro. Serve un'azione coordinata, un confronto a tutti i livelli con chi rappresenta le lavoratrici e i lavoratori.

Una grande responsabilità compete a Confindustria. È ora che l'organizzazione degli imprenditori, che ha compiuto scelte coraggiose in Sicilia decidendo di espellere le aziende che non denunciano il taglieggiamento del pizzo, si faccia garante a tutti i livelli del rispetto delle norme di sicurezze nelle proprie associate. E per questo apprezziamo la volontà di Montezemolo di affrontare il problema in un incontro con il sindacato e il governo.

Infine, grande è la responsabilità dei media. Malgrado nell’ultimo anno si sia manifestata, qua e là, una maggiore sensibilità sui temi degli infortuni sul lavoro, l'attenzione dei mezzi di informazione è ancora troppo sporadica, troppo legata a episodi gravi. I riflettori si accendono solo sulle stragi e comunque si spengono in fretta: ma non fa a notizia, al di là di qualche “breve”, lo sgranarsi di morti quotidiane.

Invece ogni singola morte, ogni infortunio, è un fallimento: fino a che non saremo tutti consapevoli di questo la battaglia contro le morti bianche sarà più difficile e più lunga.

Pubblicato il: 09.12.07
Modificato il: 09.12.07 alle ore 8.21   
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