LA LEGA.
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INCHIESTA
Esclusivo: anche Matteo Salvini ha usato i soldi rubati da Bossi
L’attuale leader della Lega e Bobo Maroni hanno utilizzato una parte dei 49 milioni di euro frutto della truffa orchestrata dal Senatur e dall’ex tesoriere. Lo dimostrano le carte del partito tra la fine del 2011 e il 2014 che abbiamo consultato
DI GIOVANNI TIZIAN E STEFANO VERGINE
02 ottobre 2017
Esclusivo: anche Matteo Salvini ha usato i soldi rubati da Bossi
Cinque anni fa, quando tutto ebbe inizio, Umberto Bossi usò un’immagine biblica per spiegare il suo intento. «Ho fatto come Salomone: non ho voluto tagliare a metà il bambino», disse mentre si apprestava a lasciare le redini del partito a Roberto Maroni.
Erano i giorni in cui i giornali pubblicavano le prime notizie sullo scandalo dei rimborsi elettorali leghisti, quelli incassati gonfiando i bilanci e usati per pagare le spese personali del Capo e della sua famiglia, come la laurea in Albania del figlio Renzo o le multe del primogenito Riccardo.
Il senso della metafora bossiana era chiaro: piuttosto di dividere la Lega tra chi sta con me e chi contro di me, il Senatùr si diceva pronto a lasciare pacificamente il potere al suo storico rivale. Da allora in poi l’intento di chi è succeduto a Bossi, prima Maroni e oggi Salvini, è sempre stato quello di differenziarsi, di creare compartimenti stagni tra il partito dell’Umberto e quello di oggi, tanto che all’ultimo raduno di Pontida al fondatore non è stato nemmeno concesso il tradizionale discorso dal palco.
Soldi della Lega, ecco i documenti che incastrano Matteo Salvini
Una lettera di diffida. Un file del Senato. E i rendiconti interni al partito. Pubblichiamo le carte che smentiscono la versione del ministro sullo scandalo che fa tremare il Carroccio
Gli immigrati al posto dei meridionali, il nazionalismo in sostituzione del secessionismo. Pure un nuovo marchio, Noi con Salvini, dotato di satelliti sparsi dal Centro al Sud e rappresentato da personaggi della destra, come in Calabria, o vecchi democristiani votati all’autonomia, come in Sicilia. Nuovi volti (per modo di dire) e nuovi ideali sostenuti con forza proporzionale all’incedere delle inchieste giudiziarie sui fondi elettorali.
Se è vero che negli ultimi anni molto è in effetti cambiato all’interno del Carroccio, c’è qualcosa che è rimasto segretamente invariato. Roberto Maroni preferisce non dirlo, Matteo Salvini lo nega categoricamente. Insomma, gli eredi del Senatùr sostengono di non aver visto un euro di quegli oltre 48 milioni rubati da Bossi e Belsito. «Sono soldi che non ho mai visto», ha scandito di recente l’attuale segretario federale commentando la decisione del Tribunale di Genova di sequestrare i conti correnti del partito dopo la condanna per truffa di Bossi.
I documenti ottenuti da L’Espresso dimostrano però che esiste un filo diretto tra la truffa firmata dal fondatore e i suoi successori. Tra la fine del 2011 e il 2014, infatti, prima Maroni e poi Salvini hanno incassato e usato i rimborsi elettorali frutto del reato commesso dal loro predecessore. E lo hanno fatto quando ormai era chiaro a tutti che quei denari rischiavano di essere sequestrati.
Per scoprire i retroscena di questo intrigo padano bisogna tornare al 5 aprile del 2012. E tenere a mente le date. Quel giorno, a poche ore dalla perquisizione della Guardia di Finanza nella sede di via Bellerio, a Milano, Bossi si dimette da segretario del partito. È la prima scossa del terremoto che sconvolgerà gli equilibri interni alla Lega.
A metà maggio diversi giornali scrivono che a essere indagato non è solo il tesoriere Francesco Belsito, ma anche il Senatùr. Il reato ipotizzato è quello di truffa ai danni dello Stato in relazione ai rimborsi elettorali. Il primo di luglio Maroni viene eletto nuovo segretario del partito. E quattro mesi dopo, il 31 ottobre, passa per la prima volta alla cassa. Come certifica un documento inviato dalla ragioneria del Senato alla Procura di Genova, quel giorno l’attuale governatore della Lombardia riceve 1,8 milioni di euro. È il rimborso che spetta alla Lega per le elezioni politiche del 2008, quelle vinte da Berlusconi contro Veltroni. Il primo di una lunga serie. Da qui in poi a Maroni verranno intestati parecchi bonifici provenienti dal Parlamento.
A fine 2013, cioè al termine del mandato di segretario, Bobo avrà così ricevuto 12,9 milioni di euro. Tutti rimborsi relativi a elezioni comprese tra il 2008 e il 2010, quando a capo del partito c’era Bossi e a gestire la cassa era Belsito. Insomma, proprio i denari frutto della truffa ai danni dello Stato.
Che cosa cambia quando Salvini subentra a Maroni? Niente, se non le cifre. A metà dicembre del 2013 Matteo viene eletto segretario del partito. L’inchiesta sui rimborsi elettorali intanto va avanti, e a giugno del 2014 arrivano le richieste di rinvio a giudizio: i magistrati chiedono il processo per Bossi. Un mese e mezzo dopo, il 31 luglio, Salvini incassa 820mila euro di rimborsi per le elezioni regionali del 2010. Perché allora il segretario della Lega e aspirante candidato premier per il centro-destra continua a sostenere che lui quei soldi non li ha mai visti? E se li ha visti, come poteva non sapere che erano frutto di truffa?
Due mesi dopo aver incassato gli oltre 800 mila euro, Salvini e la Lega si costituiscono infatti parte civile contro i compagni di partito. Si sentono vittime di un imbroglio, di una truffa che ha sfregiato il vessillo padano. E vogliono essere risarciti. La nuova dirigenza è dunque consapevole della provenienza illecita del denaro accumulato sotto la gestione di Bossi. Ma il 27 ottobre, solo venti giorni dopo l’annuncio di costituirsi parte civile, Salvini fa qualcosa che appare in netta contraddizione con quella scelta: ritira altri soldi. Questa volta la somma è piccola, poco meno di 500 euro: l’ultima tranche di rimborso per le elezioni regionali del 2010.
La sostanza però non cambia. Sono denari ottenuti con la rendicontazione gonfiata firmata da Belsito. Fatto di cui a quel punto è dichiaratamente convinto anche Salvini. Il quale, due giorni dopo l’ultimo prelievo, riceve persino una lettera dallo storico avvocato di Bossi, Matteo Brigandì. «Ti diffido dallo spendere quanto da te dichiarato corpo del reato», si legge nella missiva con la quale la vecchia guardia lancia un messaggio chiaro al nuovo gruppo dirigente: voi ci accusate di aver rubato quattrini, allora sappiate che i soldi che avete in cassa sono il profitto della truffa, e usarli vuol dire diventare complici del reato.
Il denaro, più che l’ideologia, è dunque il collante tra l’epoca di Bossi, l’interregno di Maroni e il presente firmato Salvini. Le tre età del partito della Padania intrecciate attorno a una vicenda che tutti vogliono dimenticare in fretta. Talmente in fretta da ritirare persino la costituzione di parte civile davanti al giudice.
Già, perché solo un mese dopo essersi dichiarato vittima della truffa targata Bossi-Belsito, Salvini fa marcia indietro. Come a dire: chiudiamola qua, scordiamoci il passato e andiamo avanti. Una scelta travagliata, non da tutti condivisa. All’interno della Lega, infatti, nei primi mesi del 2014, c’era chi voleva mostrare pubblicamente la rottura col passato. Altri, invece, parteggiavano per la politica della rimozione. In questo contesto matura l’accordo di conciliazione “con l’avvocato di Bossi, nel quale la Lega rinuncia a costituirsi parte civile. A un patto però: il legale di fiducia del Senatùr avrebbe dovuto accantonare ogni pretesa di denaro che il partito gli doveva, circa 6 milioni di euro. Infine, a Bossi sarebbe andato un lauto vitalizio.
Tutto risolto, dunque? Macché. Salvini e Maroni vengono meno al patto. E danno mandato all’avvocato Domenico Aiello, legale del governatore lombardo, di procedere con la costituzione di parte civile. Uno smacco al vecchio amico Bossi, a cui poco dopo segue un altro colpo di scena. A novembre durante l’udienza preliminare contro B&B, Aiello ritira l’atto di costituzione. In pratica la Lega non chiede più i danni per la truffa. Un’idea di Salvini, motivazione ufficiale: «Non abbiamo né tempo né soldi per cercare di recuperare soldi che certa gente non ha», spiegò l’europarlamentare appena eletto segretario del Carroccio. Una mossa che sorprese persino il governatore della Lombardia, Maroni, che con Aiello aveva fatto il possibile per chiedere i danni agli imputati leghisti.
La sensazione di chi il partito lo frequenta da venti e passa anni è che sia stata una ritirata strategica, per rappacificare le opposte fazioni ed evitare rivelazioni scomode. Soprattutto in merito ai soldi lasciati in cassa da Bossi, quelli finiti al centro delle inchieste di tre procure.
Francesco Belsito
I bilanci della Lega raccontano, infatti, meglio di qualsiasi dichiarazione politica che cosa è successo in questi anni ai soldi dei Lumbard, o meglio di tutti i contribuenti italiani. Il primo dato evidente è che le cose andavano molto meglio, almeno dal punto di vista finanziario, quando sulla plancia di comando c’era Bossi. Con lui al vertice i bilanci degli ultimi anni si sono infatti chiusi sempre in positivo. Le cose cambiano nel 2012, quando arriva Maroni: per la prima volta la Lega chiude i conti in rosso, con una perdita di 10,7 milioni di euro. L’anno seguente, il primo interamente firmato da Bobo, le cose vanno persino peggio: il bilancio evidenzia una perdita di 14,4 milioni. Colpa della diminuzione dei rimborsi elettorali e del calo delle donazioni private, si legge nei resoconti padani. Ma non è solo questo.
Nonostante i dipendenti diminuiscano, i costi sostenuti dalla Lega aumentano. In particolare alcune voci, come quella denominata “spese legali”, per cui il partito arriva a sborsare oltre 4,3 milioni di euro tra il 2012 e il 2014. Un bella somma, oltretutto senza neppure essersi costituita parte civile nel processo contro Bossi e Belsito.
Com’è possibile allora aver speso tutti quei soldi in avvocati? I bilanci non lo spiegano, ma un documento ottenuto da L’Espresso aiuta a capire meglio come sono andate le cose. È un contratto datato 18 aprile 2012. Bossi si è dimesso da due settimane e il Carroccio è retto dal triumvirato Maroni-Dal Lago-Calderoli. Sono loro ad affidare la consulenza legale allo studio Ab di Domenico Aiello, già avvocato personale di Maroni e in ottimi rapporti con il magistrato milanese che sta seguendo l’inchiesta, Alfredo Robledo. Nel contratto si specifica che la consulenza riguarderà proprio i procedimenti penali che coinvolgono Bossi e i rimborsi truccati. Si tratta delle indagini in corso a Milano, Napoli, Genova e Reggio Calabria, ciascuna segnalata con il relativo numero di fascicolo.
Un lavoro ben pagato: per Aiello la tariffa sarà di 450 euro all’ora, costo che sale a oltre 650 euro se si aggiungono - come da prassi - spese generali, contributi previdenziali e imposte. Insomma non male per l’avvocato calabrese che, qualche anno dopo, Maroni piazzerà nel consiglio d’amministrazione di Expo, mentre la moglie, Anna Tavano, finirà per un periodo in Infrastrutture Lombarde, società controllata direttamente dalla Regione.
Va detto che Aiello, così come la moglie, ha un curriculum di tutto rispetto. Tra i suoi clienti più celebri, oltre a Bobo Maroni spicca l’ex presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua. Poi ci sono gli incarichi negli organismi di vigilanza: Consip, Siemens, Conbipel, Veolia e la Sparkasse di Bolzano. In quest’ultima banca il presidente del Consiglio di amministrazione si chiama Gerhard Brandstätter. Brillante avvocato del Sudtirolo, che con Aiello, nel 2011, ha fondato lo studio associato AB, lo stesso scelto dalla Lega.
Con Maroni traghettatore, le camice verdi apriranno anche un conto “easy business” e un conto deposito presso la banca altoatesina, depositando in totale qualche milioncino. È il periodo in cui si tentava di mettere al sicuro il patrimonio del partito, dalle cordate bossiane e forse anche dai giudici. Matura così l’idea, poi tramontata, di creare un trust in Sparkasse per blindare quasi 20 milioni.
I bilanci non confermano solo questo. Spiegano anche perché oggi i conti del partito sono a secco. E quale la strategia scelta per evitare il sequestro effettivo dei soldi. Nel 2015, quando è Salvini a comandare, la ricchezza della Lega cala, infatti, vistosamente. Il patrimonio netto passa da 13,1 milioni dell’anno precedente a 6,7 milioni. Il motivo è spiegato chiaramente nella relazione sulla gestione finanziaria: i soldi del partito sono stati trasferiti alle sezioni locali, 13 in tutto, dotate nel frattempo di codici fiscali autonomi.
È così ad esempio che due giorni prima di Natale la sezione Lombardia, fino ad allora sprovvista di risorse finanziarie, diventa titolare di un patrimonio da 2,9 milioni di euro. Custoditi per lo più su conti correnti bancari e postali. Una partita di giro, insomma. Il risultato? Al termine del 2016 la Lega aveva una disponibilità liquida di soli 165mila euro, mentre le sue 13 sezioni locali messe insieme registravano somme per 4,3 milioni. La nuova architettura finanziaria non ha però impedito ai magistrati di sequestrare le ricchezze del Carroccio. Come ha dichiarato lo stesso Salvini, al momento non è stato bloccato il conto corrente della Lega nazionale, ma quelli delle sezioni locali. «Un punto su cui daremo battaglia in sede legale», assicura una fonte del Carroccio che non vuole essere nominata.
C’è però ancora una questione da risolvere. Il tribunale di Genova, nei giorni scorsi, ha deciso di bloccare il sequestro. I giudici hanno annunciato di aver congelato poco meno di 2 milioni. Eppure, come detto, alla fine dell’anno scorso sui conti della Lega c’erano 4,3 milioni. Mancano dunque all’appello oltre 2 milioni. Possibile che la Lega li abbia spesi in questo 2017. O anche che siano stati trasferiti su altri conti. Un’ipotesi, questa, impossibile da verificare. Perché “Noi con Salvini”, il movimento creato tre anni fa dal nuovo leader del Carroccio per conquistare il Centro-Sud, non ha mai pubblicato un bilancio.
Dubbi e interrogativi sollevati dai nemici interni del leader in felpa. Salvini potrà dire che a lui certe questioni “politichesi” non interessano e che preferisce parlare di immigrazione, euro, lavoro. Ma all’interno del suo partito i bossiani non dimenticano. E i mal di pancia iniziano a diventare veri e propri tumulti silenziosi. Pare che siano persino pronti a muoversi autonomamente per le prossime elezioni politiche. Una forza che ruberebbe al Capitano il 2-3 per cento.
Del resto non è facile disfarsi del Senatur, fu il primo a dare avvio a una tipica usanza leghista: scaricare i compagni di partito che osavano mettere in dubbio la sua autorità. Bossi fece così con l’ideologo della secessione Gianfranco Miglio. Con la stessa moneta lo hanno ripagato Maroni e Salvini. E ora sotto a chi tocca.
© Riproduzione riservata 02 ottobre 2017
Da - http://espresso.repubblica.it/inchieste/2017/09/28/news/esclusivo-salvini-ha-usato-i-soldi-della-truffa-di-bossi-1.311009
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Gli errori nel cartello di Salvini sui morti nel Mediterraneo
Il ministro dell'Interno ha affermato a 'Porta a Porta' che dall'inizio dell'anno è stato recuperato un solo cadavere in mare
Di PAGELLA POLITICA DI AGI 22 marzo 2019, 07:07
Migranti numero sbarchi morti in mare
Il 20 marzo, ospite a Porta a Porta su Rai 1, Matteo Salvini ha commentato (min. -1:20:51) i recenti fatti di San Donato Milanese, dove un cittadino italiano di origini senegalesi ha incendiato un autobus con 51 bambini a bordo, e lo sbarco di 49 migranti a Lampedusa dalla nave “Mare Ionio”, della Ong italiana Mediterranea.
Secondo il ministro dell’Interno, quest’anno si stanno vedendo i risultati del suo operato in tema immigrazione anche in un ridotto numero di vittime di naufragi. Salvini ha infatti detto che «i cadaveri recuperati nel Mediterraneo centrale quest’anno sono stati solo uno».
Il leader della Lega ha ribadito il concetto anche tramite il suo account Twitter, dove ha scritto: «Cadaveri recuperati nel Mediterraneo Centrale nel 2019? Con la politica del “meno partenze, meno sbarchi, meno morti”: UNO».
Davanti alle telecamere, come già fatto in passato, Salvini ha anche mostrato un cartello, contenente il dato sopracitato, che – come vedremo – è però sbagliato.
Nonostante i dati sugli sbarchi siano corretti, la tabella contiene un altro errore e un’omissione: in generale, il ministro dell’Interno veicola un messaggio fuorviante, ossia che il numero dei morti nel Mediterraneo equivalga a quello dei cadaveri recuperati. I due dati però non coincidono.
Ma andiamo con ordine.
I corpi recuperati nel Mediterraneo centrale sono più di uno
La rotta del Mediterraneo centrale è il tragitto che i migranti cercano di percorrere per raggiungere l’Italia partendo dalla Libia e dalla Tunisia. Negli ultimi anni, questo tratto è stato quello più utilizzato per arrivare in Europa.
Secondo Salvini, che cita dati del Ministero dell’Interno, in questa porzione di mare è stato recuperato un solo corpo. Abbiamo contattato il Viminale che ci ha spiegato come il ministro faccia riferimento al ritrovamento del cadavere di un migrante iracheno disperso in uno sbarco avvenuto nel crotonese, in Calabria, a gennaio 2019. Questo ritrovamento, ha chiarito il Ministero, è stato in effetti l’unico avvenuto in Italia nel 2019.
Ma le statistiche sul Mediterraneo centrale non possono limitarsi ai ritrovamenti lungo le coste italiane. In totale, infatti, i corpi di migranti morti recuperati lungo questa rotta sono stati più di uno, come dimostrano i monitoraggi dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) – la principale organizzazione intergovernativa nel mondo in ambito migratorio, collegata alle Nazioni Unite.
Per esempio, il 14 febbraio tre corpi sono stati recuperati a ovest di Sirte, in Libia; altri due corpi il 22 febbraio e uno il 9 marzo, sempre lungo le coste dello Stato nordafricano. Il caso più recente riguarda il ritrovamento del cadavere di un bambino al largo della Libia, dopo un naufragio avvenuto il 19 marzo.
Riassumendo: soltanto nell’ultimo mese, ci sono stati almeno sette corpi lungo nella rotta del Mediterraneo centrale, e non solo uno come nel cartello mostrato dal ministro.
Stesso discorso vale per i dati degli anni precedenti, che rispetto all’«uno» del 2019 fanno inoltre riferimento a statistiche annuali e non dei primi due mesi e mezzo dell’anno.
In ogni caso, anche questi dati, come confermato da fonti del Viminale, parlano dei cadaveri recuperati nelle acqua di competenza italiana, come i 23 dell’anno scorso.
In questa particolare statistica, così come in quella degli sbarchi, si è effettivamente registrato un calo negli ultimi anni, ma si tratta solo di una parte dei corpi recuperati in un tratto che coinvolge anche Libia e Tunisia. Basti pensare che nel 2018, tra il NordAfrica e l’Italia, l’Oim ha stimato circa 1.300 morti per naufragi.
Al 31 dicembre 2018, secondo l’Ufficio del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, in Italia sono ancora 1.730 i cadaveri recuperati e non identificati connessi al fenomeno migratorio.
I dati dell’Unhcr riguardano anche i morti
Nella terza riga della tabella, Salvini riporta quelli che secondo lui sono i dati sui “dispersi” dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). Secondo il ministro dell’Interno, quest’anno «i dispersi dichiarati dalle Ong» sono stati 279.
Salvini non specifica se stia ancora facendo riferimento al Mediterraneo centrale o al Mediterraneo in generale. Ad ogni modo, anche in questo caso il dato è riportato in maniera fuorviante.
L’Unhcr pubblica infatti periodicamente report sugli sbarchi relativi ai singoli Paesi e al Mediterraneo. Accanto al numero degli arrivi, l’agenzia delle Nazioni unite fornisce anche una stima che include non solo i dispersi, ma anche i morti in mare – particolare omesso da Salvini.
L’aggiornamento più recente sull’Italia e la rotta del Mediterraneo centrale (17 marzo 2019) parla di 149 tra morti e dispersi in questo tratto di mare, su un totale di 282 tra morti e dispersi in tutto il Mediterraneo. Quest’ultimo dato si avvicina a quello citato da Salvini.
Non è vero inoltre che queste statistiche siano quelle «delle Ong»: l’Unhcr utilizza infatti diverse fonti, tra cui quelle governative (guardie costiere e ministeri), delle organizzazioni umanitarie, dei sopravvissuti e dei media.
I dati dell’Oim
Un lavoro simile a quello dell’Unhcr viene condotto anche dall’Oim, che dal 2013 – dopo il naufragio al largo di Lampedusa del 3 ottobre, dove morirono quasi 370 persone – ha avviato il progetto Missing Migrants per monitorare e documentare tutti i casi di migranti morti o dispersi nel mondo.
Come spiega l’Oim stessa, raccogliere dati in questo ambito non è per nulla semplice. Nel caso del Mediterraneo, basti pensare che si sta parlando di naufragi: una parte delle morti o delle scomparse avviene senza che nessuno ne sappia nulla, mentre spesso i cadaveri vengono ritrovati dopo diverso tempo e non vengono segnalati alle autorità.
Per rendere le sue stime le più affidabili possibili, l’Oim ha strutturato una metodologia basata sull’uso di più fonti: le statistiche vengono anche in questo caso dalle autorità nazionali (come i ministeri), dalle missioni sul campo dell’Oim, dai giornalisti e i media, dalle strutture di accoglienza e dalle organizzazioni non governative.
Nel database dell’Oim (qui scaricabile), a ogni o naufragio viene inoltre assegnato un numero da 1 a 5, che indica la qualità della fonte sul numero dei morti accertati (source quality).
Secondo i dati di questa organizzazione, al 21 marzo 2019 si stima che nel Mediterraneo siano morti da inizio anno 282 migranti, 152 dei quali nel Mediterraneo centrale – la rotta di cui parla Salvini, che omette di citare questi numeri.
Il verdetto
A Porta a porta su Rai 1, Matteo Salvini ha mostrato un cartello sui migranti morti nel Mediterraneo che contiene almeno tre errori.
Non è vero che i corpi recuperati nella rotta centrale (quella dal NordAfrica all’Italia) sono stati soltanto uno: in Italia è stato in effetti uno, ma altri sono stati ritrovati ad esempio in Libia.
Il messaggio del ministro dell’Interno è comunque fuorviante, perché lascia intendere che il numero dei morti equivalga a quello dei corpi recuperati. Stiamo però parlando di naufragi, dove spesso è impossibile recuperare i cadaveri di chi ha perso la vita in mare.
Oltre alle statistiche citate da Salvini, ci sono anche quelle dell’Oim, che fornisce le stime più affidabili per quanto riguarda i morti nel Mediterraneo. Secondo l’organizzazione internazionale, questi sarebbero a oggi oltre 280, a fronte di un sensibile calo degli sbarchi.
Come abbiamo spiegato in una nostra precedente analisi, questo vuol dire che gli arrivi calano e così anche il numero dei decessi totali, ma aumenta il tasso di mortalità, ossia il rapporto tra i due dati.
In sostanza, in concomitanza delle politiche di deterrenza del nuovo governo, attraversare il Mediterraneo è più pericoloso rispetto al passato.
Se avete delle frasi o dei discorsi che volete sottoporre al nostro fact-checking, scrivete a dir@agi.it
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it.
Se invece volete rivelare informazioni su questa o altre storie, potete scriverci su Italialeaks, piattaforma progettata per contattare la nostra redazione in modo completamente anonimo.
Da - https://www.agi.it/fact-checking/migranti_numero_sbarchi_morti_in_mare-5183818/news/2019-03-22/
Arlecchino:
08 aprile 2019
Europee, Salvini apre campagna elettorale e attacca ancora Di Maio: "Stanco del dibattito fascisti-comunisti"
Da sinistra: Olli Kotro del Finn Party, Jörg Meuthen di Alternativa per la Germania, Matteo Salvini, Anders Vistisen, leader del partito del Popolo danese (ap)
Il leader del Carroccio alla presentazione del simbolo cita papa Giovanni Paolo II: "Gli unici nostalgici stanno a Bruxelles. Europa ha senso se riconosce identità, storie e culture"
"Non ci sono al tavolo nostalgici, estremisti e reduci. Gli unici nostalgici sono al potere a Bruxelles oggi". Così Matteo Salvini risponde alle critiche del vicepremier Luigi Di Maio, preoccupato "dell'alleanza della Lega con chi nega l'Olocausto", introducendo a Milano i suoi ospiti di Alternativa per la Germania, Finn Party e Partito del Popolo danese, nel corso della presentazione del simbolo della Carroccio per le europee di maggio e dell'apertura ufficiale della campagna elettorale.
Salvini si dice "stanco" del dibattito fascisti contro comunisti. "Non ci appassiona lo lasciamo agli storici", afferma. E aggiunge: "Il trattato di Maastricht aveva obiettivi, come il rispetto dell'identità, traditi dalle burocrazie europee. L'Europa ha senso se riconosce le identità. Se il pensiero unico è il business e la finanza, allora sarà l'incubo che stiamo vivendo".
"Noi guardiamo al futuro e lo facciamo - spiega Salvini - con movimenti che sono alternativi a chi ha comandato in Europa in questi decenni. L'accordo tra democratici e socialisti ci ha portato in questa situazione di povertà, di incertezza, di litigio. È un'alleanza che guarda al futuro. Da oggi questa famiglia punta ad allargarsi, a coinvolgere movimenti con cui non abbiamo mai collaborato, abbiamo ovviamente delle differenze". Cita poi papa Wojtyla: "Riparto dal sogno europeo di cui parlava papa Giovanni Paolo II che riconosceva le diverse identità, le diverse culture, le diverse nazioni. Non penso si possa accusare San Giovanni Paolo II di essere un sovranista, un estremista".
"Il nostro obiettivo - ha continuato - è essere forza di governo e cambiamento, per portare nuova linfa in Europa. Coi nostri alleati abbiamo valori comuni come controllo dei confini, lotta al terrorismo e agli estremismi".
Da - https://www.repubblica.it/politica/2019/04/08/news/europee_salvini_presentazione_simbolo-223539850/?ch_id=sfbk&src_id=8001&g_id=0&atier_id=00&ktgt=sfbk8001000&ref=fbbr&fbclid=IwAR2cHoGt62s07BRpliPnn3atkQe4kRG_5ZcvZtFxP54E0cz_tgsU8sNApcY
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"Il mio greco è la lingua veneta", Zaia si racconta su Fb
Pubblicato il: 13/04/2019 18:24
"Il mio greco è la lingua veneta". E' quanto scrive sul suo profilo Fb Luca Zaia, governatore del Veneto da 9 anni. Appassionato di mountain bike, laureato in Veterinaria, iscritto giovanissimo alla Lega Nord, Zaia è nato il 27 marzo 1968 a Conegliano (Treviso) ed è sposato con Raffaella dal 1998. Figlio di Carmela, ultima di undici figli, e Giuseppe, meccanico. "La mia - scrive su Fb - è una famiglia agricola e legata alla terra, a partire da mio nonno Enrico, nato in Brasile nel 1896, emigrato negli Stati Uniti a 19 anni e infine rientrato nel Trevigiano. Dopo il diploma alla Scuola enologica 'Cerletti' (la più antica d’Europa) mi sono iscritto all'università di Udine laureandomi alla Facoltà di medicina veterinaria in Scienze della produzione animale".
IL LAVORO - "L’etica della mia famiglia - scrive Zaia - è sempre stata incardinata nel valore del lavoro. Sono tante le estati che ho trascorso nell’officina di mio padre, ore di attività che mi sono servite per guadagnarmi quelle del divertimento e per imparare la manualità. La prima partita Iva l’ho aperta a diciotto anni per pagarmi gli studi. Anni in cui ho fatto di tutto, perché tutti i lavori sono dignitosi: cameriere, uomo delle pulizie, muratore, docente privato di chimica, istruttore di equitazione, operaio in un’impresa di pellami, pr in discoteca e organizzatore di feste. Dal punto di vista formativo, una tappa essenziale è stato il mio servizio civile ad Altivole (Treviso), portando i pasti ai bisognosi casa per casa, facendo con loro periodi di vacanza, lavorando con gli anziani del paese e con alcuni bambini sofferenti".
LA POLITICA - "Mi sono iscritto - si racconta - giovanissimo alla Lega Nord. Nel 1993 la mia prima campagna elettorale, alle amministrative per il Consiglio comunale di Godega di Sant’Urbano dove sono eletto con 61 preferenze e capogruppo. Nel 1995 sono stato eletto in Consiglio provinciale a Treviso con 3.961 preferenze, e sono diventato assessore all’agricoltura. Nel 1998, con una campagna elettorale in cui la Lega Nord Liga Veneta si è presentata 'solista' sono stato eletto Presidente della Provincia di Treviso, il più giovane d’Italia (rieletto poi nel 2002 con 240.211 preferenze)".
"Nel 2005 sono stato nominato vicepresidente della Regione del Veneto con delega all’agricoltura e al turismo, incarico che ho lasciato nel maggio del 2008 per diventare Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. Ho assunto come mio obiettivo di rimettere 'l’azienda agricola italiana' al centro dell’agenda nazionale; di difendere il made in Italy e la biodiversità da un malinteso principio liberista e globalista; di avere tolleranza zero verso le frodi alimentari; di incentivare la tracciabilità dei prodotti; di ridurre il peso della burocrazia sulle aziende agricole".
"Come ministro - continua Zaia - ho firmato il decreto di stop che, per la prima volta, proibiva la coltivazione di un mais OGM in Italia. Mondadori ha pubblicato il mio saggio 'Adottare la terra per non morire di fame' nella collana Strade blu. Nel marzo del 2010 sono stato eletto presidente della Regione del Veneto, votato da oltre il 60% degli elettori, risultando il candidato che in quella tornata elettorale ha ricevuto più voti di tutti in Italia. Alle elezioni del 31 maggio 2015, sono stato riconfermato col record di oltre il 50% dell’elettorato votante (risultando nuovamente il governatore eletto con il numero di voti più alto). Al referendum del 22 ottobre 2017 mi è stato assegnato da oltre 2.300.000 veneti il compito di portare avanti la trattativa col Governo per l’autonomia della nostra regione; un risultato storico, com’è storica la partita che si è aperta per il Veneto".
LE MIE PASSIONI - "Amo lo sport in generale, pratico (per quanto possibile) la corsa, corro in mountain bike, amo il mare. Una mia passione da sempre - sottolinea su Fb - sono i cavalli, la storia e tutto quanto ricorda il passato della mia terra. Ho a cuore la sua lingua, il veneto. A riguardo cito spesso il mio libro preferito, le 'Memorie di Adriano' di Marguerite Yourcenar: 'Ho governato in latino, ma in greco ho pensato, in greco ho vissuto'. Ecco, il mio greco è la lingua veneta".
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Zaia: "I miei 9 anni alla guida del Veneto"
Pubblicato il: 13/04/2019 15:07
Di Dario Converso
"Il bilancio è positivo. Va considerato che abbiamo preso in mano la Regione nel 2010 in un momento non facile, era appena iniziata la crisi per cui, come diremmo biblicamente, abbiamo dovuto occuparci degli anni delle vacche magre e non delle vacche grasse. Comunque sono stati anche anni entusiasmanti perché ci hanno consentito e permesso di guardare dentro ai processi e alla gestione, di riformare la spesa, di rendere virtuoso questo ente". Cosi in un'intervista all'Adnkronos Luca Zaia traccia un bilancio di nove anni da presidente del Veneto, sottolineando come il momento più bello sia stato il risultato del referendum sull'autonomia.
"Abbiamo pagato tutti i fornitori che era da anni che avanzavano i soldi, due miliari di euro, abbiamo sistemato i conti della sanità, insomma abbiamo fatto un sacco di cose. E soprattutto abbiamo dato il via alla grande stagione delle riforme: la riforma sanitaria, che oggi porta il Veneto ad essere la prima regione in Italia per sanità e molto altro ancora. È stato un grande impegno, l’impegno di una squadra che ha lavorato e si è trovata non poche emergenze -spiega-. Ricordo che ho esordito, ad esempio, con l’alluvione del 2010 quando 235 Comuni sono stati alluvionati con 10.040 famiglie e imprese con l’acqua in casa o in azienda. Abbiamo iniziato con quello per trovarci con il terremoto nel 2012 e, infine, con la tempesta Vaia nel 2018".
"Il mio greco è la lingua veneta", Zaia si racconta su Fb
"Si va avanti sempre con obiettivi sfidanti - sottolinea Zaia - sono stati gli anni dell’autonomia e delle grandi riforme . La riforma della sanità ha permesso di ridurre le aziende sociosanitarie da 21 a 9, ma soprattutto non abbiamo mai applicato l’addizionale Irpef sulla sanità dimostrandoci regione tax free, garantendo che circa un miliardo e 200 milioni di euro ogni anno rimanessero nelle tasche dei Veneti. Abbiamo chiuso accordi per avviare il progetto del nuovo policlinico universitario di Padova e già avviati i lavori per la nuova Cittadella della Salute di Treviso".
"Per quanto riguarda i Pfas - prosegue - abbiamo fatto raggiungere il parametro zero nei livelli dell’acqua, dato il via alla realizzazione del nuovo acquedotto e avviato il più grande screening sanitario della storia d’Italia, nel silenzio colpevole del Governo di centro-sinistra. Abbiamo messo in campo il grande progetto Anas per rifare tutta la viabilità regionale, per quanto riguarda la rete ferroviaria stiamo elettrificando tutto il Cadore ed entro il 2021 abbiamo raggiunto un accordo con Trenitalia per avere tutti treni nuovi".
Il governatore ribadisce quindi che "nonostante la crisi, abbiamo confermato la nostra posizione di Regione italiana con la percentuale più bassa di disoccupati e migliore regione per processi di reinserimento nel mondo del lavoro. Abbiamo investito 400 milioni di euro per portare la Banda Ultra Larga e la connessione veloce a tutte le imprese e le famiglie. Siamo la Regione record nel turismo con 70 milioni di presenze con 17 miliardi di fatturato e lavorato per superare il nostro record. Vorrei solo ricordare che, oltre all’impegno messo in campo per la candidatura alle Olimpiadi Milano-Cortina 2026, abbiamo ottenuto l’assegnazione dei Mondiali di sci a Cortina 2021".
E sui traguardi di fine mandato il governatore del Veneto spiega che "Gli obiettivi sono sempre quelli della virtuosità, la madre di tutte le battaglie resta l’autonomia. Abbiamo risolto tanti problemi: penso ai temi delle alluvioni, dei grandi cataclismi, ma anche aver sbloccato la pedemontana Veneta, la più grande opera oggi in cantiere in Italia: 2 miliardi 258 milioni di euro per 94,5 km in 36 Comuni ed un totale di 14 caselli. L’abbiamo sbloccata con un’operazione di alta trasparenza, coinvolgendo le istituzioni pubbliche: la Corte dei Conti, l’Avvocatura dello Stato, l’Autorità Nazionale Anticorruzione e nominando, ad esempio, per la Pedemontana, come Commissario il Vice-avvocato Generale dello Stato. E poi la grande sfida dell’autonomia che resta ancora irrisolta, ma per quale continuiamo a lavorare. Ricordo che per l’autonomia 2 milioni 328 mila Veneti sono andati a votare".
Quindi sul cambiamento del Veneto in questi nove anni Zaia sottolinea che "il Veneto resta il Veneto identitario che guarda però sempre più alla modernità, al progresso, alle nuove tecnologie. Siamo passati da un Veneto analogico ad un Veneto digitale in questi nove anni. È un Veneto che nel 2010 non conosceva internet così a fondo, non conosceva i social media, né i social network. Insomma un Veneto che è cambiato molto, che vede anche una nuova generazione affacciarsi, ma mantenendo un proprio profilo identitario. È un Veneto che guarda sempre più alla globalizzazione, mantenendo radici profonde e solide nella sua storia. È un Veneto che ha saputo, durante questi anni di crisi, riammodernarsi, ristrutturarsi, che esce anche dopo questi nove anni con 205.000 azionisti che hanno perso tutto nelle partite della Popolare di Vicenza e della Veneto Banca".
Nove anni di presidenza con momenti belli e brutti che il presidente ricorda così: "Il momento più bello, direi in assoluto, è stato il risultato del referendum perché corona l’impegno di una vita e ho pensato a tutti quei veneti, che hanno sempre sognato questo momento e non ci sono più. I momenti più critici sono stati l’alluvione del 2010 e la tempesta Vaia, che sono stati due catastrofi per la nostra comunità. Per Vaia siamo già in campo con oltre 350 cantieri in avvio, mentre per quanto riguarda l’alluvione del 2010 abbiamo messo in atto un piano idrogeologico con circa mille cantieri in tutta la Regione e 2 miliardi e mezzo di euro per realizzare il Piano D’Alpaos. Interventi grazie ai quali, nonostante l’eccezionalità della tempesta Vaia, i fiumi hanno tenuto".
Quindi sulle sfide da raggiungere prima di fine mandato il presidente del Veneto annuncia che "prima della fine del mandato abbiamo quattro dossier importanti aperti: il primo è la Pedemontana Veneta, con i cantieri da chiudere entro il 31 dicembre 2020, già adesso facciamo la consegna di un primo tratto. Il secondo è il dossier Milano-Cortina: spero proprio che il 24 giugno ci veda premiati ed arrivi la candidatura. Il terzo è un dossier che stiamo seguendo da dieci anni ed è è quello delle Colline del Prosecco Patrimonio dell’Umanità. A luglio a Baku, nell’Azerbaigian, anche qui avremo il verdetto e, quindi, la risposta. E, infine, l’autonomia. Non si può chiudere il mandato senza aver chiuso la partita dell’autonomia, averla impostata e avere già le carte in mano. È una partita laboriosa, complicata, ma servono provvedimenti ufficiali. E spero proprio che prima di chiudere il mandato arrivino".
Un Luca Zaia che proprio pochi giorni fa è risultato per la terza volta di seguito il presidente di regione più amato dai suoi cittadini secondo la classifica de Il Sole 24 Ore e che ovviamente si dice più che "soddisfatto. I sondaggi lasciano il tempo che trovano, ma un elemento credo lo si possa evincere. Penso che questo è un successo che condivido con la mia squadra. Dopo di che spero che i Veneti, sapendo anche che noi governiamo da qualche anno, abbiano apprezzato anche il fatto che si lavora con il cuore. Si cerca di fare il meglio per il Veneto. Si può sbagliare, perché quando si lavora si può anche sbagliare, ma una cosa deve essere chiara: quando diciamo una cosa la facciamo".
È anche per questo il presidente del Veneto assicura di non aver mai avuto la tentazione di tornare a fare il ministro: "Direi decisamente di no. Sono talmente concentrato sulla partita della Regione che non ho neanche tempo di distrazioni, non soltanto eventuali tentazioni a tornare a fare il ministro. L’impegno che abbiamo a livello regionale è un impegno importante ed è soprattutto una responsabilità nei confronti di 5 milioni di Veneti. Ovvio che resta sempre l’amore per l’agricoltura".
Infine, sul suo futuro Zaia spiega: "Sono un fatalista e lo sono sempre stato. Non mi sono mai posto il problema di cosa farò. Sono abituato a guardare la quotidianità e, quindi, a governare come fosse sempre l’ultimo giorno in maniera tale da dare sempre di più".
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TAG: Luca Zaia, Veneto, governatore, autonomia, indipendenza
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