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Autore Discussione: Marco ZATTERIN. Troppi tabù nella campagna elettorale.  (Letto 5196 volte)
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« inserito:: Febbraio 08, 2018, 06:48:22 pm »

Troppi tabù nella campagna elettorale

Pubblicato il 08/02/2018

Marco Zatterin

In questa Repubblica fondata sulla memoria corta, la campagna elettorale amplifica la disattenzione per le partite che minacciano il futuro dell’economia e il benessere collettivo: l’esigenza di un percorso coerente di riforme che corrobori una crescita ancora «modesta», la cura del mostruoso debito, le banche «fragili» coi loro conti incerti. Chiunque non ne parli, o non ragioni seriamente su come affrontarle, tradisce gli elettori. Insieme con la sicurezza e i migranti, sono le bombe che - se non si correrà ai ripari e se non si dialogherà appassionatamente coi partner europei - potranno far saltare le vite degli italiani in un futuro prossimo.

La Commissione Ue, istituzione che vigila affinché gli Stati tengano fede agli obiettivi che si sono dati, e la stessa che ha regalato 19 miliardi di flessibilità contabile all’Italia, certifica che stiamo crescendo. Nel giudizio è compresa la consapevolezza che potremo fare di più se continueremo a mettere le mani negli ingranaggi della macchina che produce la ricchezza nazionale. È implicito che quanto fatto sinora va bene. È esplicito che non si deve scartare dal sentiero intrapreso, pena lo strangolamento d’una ripresa non portentosa. Ovvero: chi parla di riforme e controriforme elettorali senza copertura danneggia anche voi. Ditegli di smettere.

Stavolta Bruxelles ha deciso di non pronunciarsi sul debito. Forse perché «chi sa, sa; e chi non sa, non vuol sentire». Lo farà in maggio, quando nulla sarà cambiato. Ogni cento euro di ricchezza abbiamo 130 euro di scoperto, 35 mila euro pro capite di «buffi» che ci costano 4 punti di pil l’anno coi tassi zero (per ora), dunque oltre 60 miliardi tolti a Sanità, pensioni, asili e così via. Bruxelles suggerisce di essere «prudenti» ed è il minimo. Di qui a quattro mesi Roma dovrà convincere la Commissione che la finanza di Stato è sotto controllo. Si richiede una classe dirigente che comprenda la situazione e i pericoli, che sia concentrata sul fine ultimo: la riduzione del passivo contro il rischio di un suo incremento con ulteriore deficit. Se cresciamo poco è colpa di cattiva amministrazione e infrastrutture spesso vischiose più che dell’euro o dell’inevitabile virtuosismo fiscale.  

Qui entrano in scena le banche. «Fragili», si diceva, secondo Bruxelles. E la partita si fa doppia. Perché da un lato il sistema creditizio e finanziario ha bisogno di una sonora svegliata, per salire di dimensione, efficienza e approccio globale. E dall’altro, si porta sul groppone oltre 100 miliardi di sofferenze nette. La Bce ha annunciato il suo famigerato addendum che riscrive e stringe le regole di gestione dei crediti deteriorati per fine marzo, prospettiva che i banchieri italici sentono come aceto sulle ferite. Vuol dire ricapitalizzare. Andare sul mercato col rischio d’ingorgo. Vendere le partite incagliate con una fretta che non aiuta. Ed è vero che le banche tedesche e francesi sono pure a rischio di instabilità, tuttavia è una magrissima consolazione.

Al Tesoro, come in Banca d’Italia e in altri quartieri romani, è diffuso il timore che il team della vigilante Madame Nouy vada oltre il rigore necessario nel valutare i nostri istituti. C’è chi paventa una attività di lobby tedesca contro il sistema italiano, fautrice di un «blitz» ispirato da «un furore quasi ideologico» che vede nelle nostre debolezze allo sportello il principale ostacolo all’Unione bancaria. Stando così le cose, «il nuovo quadro rischia di essere molto doloroso per noi», è la constatazione diffusa e non peregrina.

È nella politica che tutto si tiene. È la politica, il nuovo Parlamento e il governo che esprimerà, che deve favorire le soluzioni per il benessere comune, tagliare il debito, far funzionare le riforme, creare le condizioni perché le banche siano all’altezza delle loro competenze. È la politica che deve argomentare a Bruxelles a che punto siamo e negoziare la flessibilità mai negata che si guadagna rispettando le regole. È la politica che deve premere perché la voce potenzialmente forte dell’Italia sia intesa, anche coi francesi e i tedeschi che vogliono essere l’albero motore di tutto. È la politica che deve spiegarsi con Francoforte. È la politica che deve rendere l’Italia affidabile e credibile. Ma se non se ne parla in campagna elettorale, se non chiediamo che succeda e lo imponiamo col voto, è facile che se ne parli poco dopo le elezioni. Il calice sarà amaro se non faremo come si deve. Ma sarà peggio se, potendo agire, resteremo a guardare e cercheremo alibi che, ben presto, potranno rivelarsi vuote illusioni da ignavi impenitenti e impoveriti.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/02/08/cultura/opinioni/editoriali/troppi-tab-nella-campagna-elettorale-sO7zswEIrqBnPjk9tdYYkJ/pagina.html
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