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Autore Discussione: LIETTA TORNABUONI  (Letto 59662 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Agosto 19, 2010, 03:09:23 pm »

19/8/2010 - PERSONE

Frittura di paranza
   
LIETTA TORNABUONI


Nel marasma politico attuale, certo non nuovo ma difficile da negare o da risolvere con una dichiarazione, torna alla mente un’espressione che pareva tramontata, logora come una vecchia formula burocratica ormai dimenticata tanto da apparire priva di senso:conflitto di interessi.

Il presidente del Consiglio, capo del partito di maggioranza, direttamente o indirettamente controlla le due aziende televisive più importanti, pubblica e privata, del Paese: oltre sei reti tv con relativi telegiornali. È proprietario delle due maggiori case editrici italiane, una generalista e l’altra sofisticata, Mondadori e Einaudi. Possiede un quotidiano, settimanali popolari pettegoli oppure no, emittenti radio.

Non si vuol dire che ogni riga da essi pubblicata o pronunciata venga dettata dal presidente-proprietario: ma la consonanza di idee, il senso di opportunità e l’ovvietà fanno sì che questi mezzi di comunicazione siano ispirati alle posizioni della maggioranza, con sfumature di diversità tra loro che vanno dall’eventuale ironia alla intolleranza aggressiva. Se càpita che temporaneamente il bersaglio siano il presidente della Repubblica o il presidente della Camera, i colpi insistenti e spesso immaginari che li raggiungono sono unanimi e finiscono con il minare la loro autorevolezza.

Si capisce che, in simili condizioni, la battaglia politica diventi come un duello tra un duellante armato di pistola o di spada e un altro duellante disarmato a mani nude: nessuna circostanza esprime con più chiarezza e forza quanto il conflitto di interessi sia sempre più ingiusto e dannoso, quanto arrivi a falsare i termini della dialettica democratica.

E non ha poi troppa importanza che il conflitto di interessi possa presentarsi apparentemente diversificato e formato da componenti differenti: è come al ristorante la frittura di paranza, che dovrebbe contenere pesci assai diversi e che finisce spesso per essere fatta soprattutto di calamari.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7722&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #106 inserito:: Settembre 17, 2010, 02:20:04 pm »

17/9/2010 - MINIMA

Comprati e svenduti
   
LIETTA TORNABUONI

Il modo in cui si parla e si scrive di compravendita di deputati da parte del presidente del Consiglio, di un suo sperato «montepremi», di mercato, offerte, prezzi eccetera, è vergognoso. Naturalmente potrebbe essere una faccenda di linguaggio, l’adozione di una maniera di parlare sbrigativa e priva di ogni ipocrisia, l’uso di una disinvoltura magari brutale però schietta: ma non è così. I termini esprimono esattamente quanto si vuol dire, corrispondono a concrete certezze. L’ipocrisia c’entra poco: il punto è che evidentemente si considerano i voti parlamentari una merce acquistabile come tante altre, si ritiene che in politica (e non soltanto in politica) tutti possano essere comprati & venduti. E’ vero? Non è vero affatto: è un’idea che appartiene esclusivamente a un gruppo e che può contagiare la gente. E’ vero invece che s’è perduta una sensibilità democratica, che si è acquistato un disprezzo della morale.

Il ministro Gelmini, ad esempio, se deve parlare di una fascia di lavoratori della scuola che si oppone alle sue iniziative, dice di non farne alcun conto «perché sono politicizzati». E allora? E’ un’accusa? Vanifica l’opinione? Chi è politicizzato è perciò stesso una persona non credibile, disonesta, le cui idee valgono nulla? Se i governanti hanno della politica una simile considerazione, cosa bisognerebbe pensare dei ministri e del loro presidente, che esercitano la politica per professione? Bisogna credere che per loro sì, va bene, mentre per chiunque altro fare politica è una colpa sociale?

Sono queste le cose che contribuiscono a rendere i governanti impossibili da stimare, che legittimano i qualunquismi, che sottosviluppano il Paese anziché svilupparlo. Subito dopo la Seconda Guerra mondiale, estirpare le idee fasciste che erano state impiantate durante un ventennio nel cervello della gente fu un’impresa dura: in certi casi fu necessario il passare delle generazioni, il mutare della cultura, l’aspro svincolarsi dai luoghi comuni. E adesso si dovrebbe ricominciare?

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7842&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #107 inserito:: Settembre 23, 2010, 05:08:43 pm »

23/9/2010 - PERSONE

La fatica delle donne non è un giro di parole
   
LIETTA TORNABUONI

A un corso istituito in provincia di Latina si sono presentati soltanto una ventina di italiane e italiani, nessuno straniero: da questa notizia si dovrebbe desumere che i nostri connazionali si rassegnano adesso a fare quel genere di lavori che non volevano fare più e che erano diventati caratteristici degli immigrati asiatici, europei, africani. Sarà. Vorrà dire nel caso che la crisi economica è ancora lontana dall’essere superata, cosa di cui moltissimi sono certi. Dalla notizia si viene a conoscere pure l’ennesima mutazione di un termine, di una definizione tra le più trasformiste: la penultima trovata è «assistente domestica».

All’inizio stava serva, servo, servitore, servente e (più affettuoso o piccante, riservato magari alle bambine o ragazze molto giovani) servetta. Poi si è passati a «cameriera» o cameriere. Poi a domestica, domestico. Poi alla cauta perifrasi «la persona che lavora in casa mia». Più tardi ancora a «collaboratrice domestica», abbreviato in «colf». Adesso la collaborazione si trasforma in assistenza e il prestatore d’opera diventa assistente: come accade in quegli uffici dove la definizione «segretaria» o segretario sembra troppo diminutiva, quasi mortificante, mentre il termine «assistente» comporta qualcosa di soccorrevole e indispensabile, prevede una mancanza di autosufficienza nel datore di lavoro.

Si capisce che il linguaggio evolve attraverso il tempo, però la sostanza del lavoro non cambia. Naturalmente, si ricordano i tempi in cui «la donna» (pure questa era una definizione corrente) era nutrita diversamente dalla famiglia (loro bistecca, lei uovo), dormiva in sgabuzzini angusti senza finestra, non di rado era molestata dagli uomini di casa e veniva bersagliata da osservazioni maligne se per uscire un pomeriggio alla settimana metteva come la signora le calze trasparenti. Le condizioni sono oggi ovviamente diverse, nessuno più considera umiliante quel compito pagato quanto l’insegnamento, ma il lavoro è sempre quello: pulire, fare i letti e il bucato, stirare, cucinare, eventualmente comprare, badare ai bambini e ai vecchi, mettere in tavola eccetera. Nessun nominalismo, nessun prudente o ipocrita giro di frase, nessun trucco verbale nobilitante, nessun assistente riuscirà mai a eliminare quella che soprattutto resta la fatica delle donne.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7862&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #108 inserito:: Ottobre 01, 2010, 03:47:47 pm »

1/10/2010

Tony Curtis "Troppo bello troppo giovane troppo ebreo"
   
LIETTA TORNABUONI

C’è una frase di Tony Curtis molto significativa, molto citata. Dice: «Quando ho cominciato dovevo stare attentissimo perché ero ebreo, perché ero giovane, perché ero bello. Tanta cautela m’ha reso sarcastico, eccentrico e paranoide come sono.

Sempre in guardia». Una gran fatica, nel tumulto della sua esistenza: se nella vita privata ha avuto sei mogli per non parlare del resto, al cinema, lavorando almeno sino alla fine dei Novanta quando ancora non aveva ottant’anni, ha fatto imparzialmente di tutto: commedie brillanti con sottovesti o cinture di castità, western, film in costume, Spartaco e il figlio di Ali Baba, il principe ladro, il vichingo e Taras Bulba, il conte di Montecristo e lo strangolatore di Boston, Manitù, il trapezista e l’Uomo Rettile. Di essere bravo oppure no gli importava poco, non metteva nel conto che i film gli dessero celebrità, prestigio o soddisfazione. Il suo modo di divertirsi e di stare al mondo era un altro: non il lavoro.

Forse non è giusto ricordarlo per A qualcuno piace caldo di Billy Wilder, dove era brillante e sfrontato, ambiguo e magnifico come uomo e come donna. Forse il film in cui si espresse con bravura assoluta è un altro, Piombo rovente di Mackendrick, (in inglese Il dolce profumo del successo), in coppia con Burt Lancaster, esemplare immagine di un tipo di giornalismo americano. Lancaster impersonava un famoso giornalista megalomane, tronfio detentore d’una rubrica seguita da sessanta milioni di lettori. Tony Curtis era un assistente da lui incaricato di montare uno scandalo per danneggiare l’avversario. Una jena. Senza scrupoli, abile, veloce, spietato. Solo a tratti aveva attimi di solitaria malinconia, seduto sul suo letto, con la faccia e le spalle abbandonate come per infinita stanchezza mentre il crepuscolo avanzava: meraviglioso.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7904&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #109 inserito:: Ottobre 07, 2010, 11:13:15 pm »

7/10/2010 - PERSONE

Il codice della scaletta
   
LIETTA TORNABUONI

Si potrebbero racchiudere nei monosillabi «Mah» o «Boh» quasi tutte le discussioni politiche di questi giorni, in tv, su carta, per radio o a viva voce che siano. Della domanda specifica («Si vota o no? E quando?») come della curiosità generica («Come finirà?») nessuno conosce la risposta, naturalmente. Ma tutti vengono ovunque interrogati lo stesso, tutti rispondono a vanvera secondo il proprio stile, i maestrini tipo Frattini, i ruvidi alla Maroni, gli emiliani come Bersani; persino Mieli, Cacciari e Della Loggia, così intelligenti, penetranti e brillanti, a richiesta di Serena Dandini rispondono vaghezze, insulsaggini. Si capisce: la situazione non consente opinioni nette, e nella testa di Berlusconi c’è soltanto Berlusconi.

Sarebbe forse meglio lasciar perdere? Sicuramente, se fosse possibile fermare i diluvi di chiacchiera a cui siamo abituati, sui quali è strutturata la comunicazione all’italiana, dai quali alcuni continuano patetici ad aspettarsi notorietà o persistenza. L’Italia è un Paese antico e bellissimo, ma quanto vi accade non nutre certo decine di talk show settimanali o («Porta a porta») plurisettimanali: ripetizioni, banalità, presenze sempre uguali oppure irrilevanti sono inevitabili, specialmente in situazioni come quella attuale. Non solo: ma vige pure, sviluppatosi nel tempo, il dominio della scaletta. La scaletta, si sa, è l’ordine rigoroso di una trasmissione, indicato di solito su un foglio che il conduttore tiene in mano. Dapprima riservata, ora è diventata pubblica e impositiva. Così in politica: ogni talk show intende dire la sua (che è identica a quella di tutti gli altri, anche per prudenza e opportunismo), nell’ordine stabilito (discussione, pubblicità, grafica di dati e numeri, scontro vivace, pubblicità, il tempo è terminato, grazie ai nostri ospiti), senza sgarrare di un secondo da inutilità e tedio.

Davvero sarebbe meglio seguire la regola più semplice: quando c’è nulla da dire, non si dice. Tanto più che, ancor più in assenza di concretezza, si dà prova di quel linguaggio di casta o gergo di mestiere così decisivi per distaccare i politici dagli elettori.
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« Risposta #110 inserito:: Ottobre 14, 2010, 12:02:43 pm »

14/10/2010 - PERSONE

Lo spavento quotidiano
   
LIETTA TORNABUONI

Ogni volta che esce di casa, una signora mette un nuovo paio di guanti di plastica trasparente, di quelli in uso nei mercati o negli ospedali: pensa di doversi difendere dalle infezioni, dai contagi, dalla sporcizia, dai batteri.

Se prende l’autobus o il tram, prima di sedere estrae dalla borsa alcol e cotone idrofilo, pulisce accuratamente il sedile: teme di venir danneggiata dalla sudiceria altrui. Se una busta cade in terra, non la raccoglie neppure se contiene un assegno. Se per caso finisce al pronto soccorso, anche per una piccola cosa, è un disastro: esige che sotto i suoi occhi vengano disinfettati tutti gli strumenti, citando con forza i 700.000 pazienti infettati ogni anno in Italia «in ambito nosocomiale». Naturalmente chi la conosce la considera una matta, al minimo una fissata, una maniaca: ma le sue paure non sono soltanto sue.

I batteri, per dire, sembrano diventati i nuovi nemici. La pubblicità anti-batteri si moltiplica: rappresenta gli avversari in modo piuttosto ripugnante, come vermetti in movimento occulti ma presenti sugli indumenti, sui pavimenti. Alleati naturali dei b atteri sono i germi, a loro volta dipinti come mostri bicefali verdi particolarmente schifosi. Delle paure alimentari, meglio non parlare:fare la spesa è diventato per tanti (sempre più numerosi)una vera Via Crucis. Per paura di venire intossicati, si dovrebbe leggere tutte le etichette, controllare il colore e la consistenza della frutta, notare se la mozzarella è asciutta o emette una goccia di latte, fare attenzione alla data di scadenza delle uova, alla freschezza o meno del raspo dell’uva.

Così, senza che quasi ce ne accorgiamo, la nostra vita s’impasta di una serie di paure che ci impediscono di renderci conto delle paure autentiche che dovremmo avere, risulta amareggiata e incupita dagli spaventi,dai timori. Non si intende dire che la prudenza sia sciocca, ma farsi dominare e intristire dalla paura è quasi peggio. Si finisce per non pensare ad altro:per distrarci, non possiamo che seguire alla tv, per giorni e giorni, a tutte le ore, da «Uno Mattina» a «Bontà loro», da «La vita in diretta» a «Porta a porta», lo strazio della povera Sarah.

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« Risposta #111 inserito:: Ottobre 19, 2010, 11:50:28 am »

19/10/2010

Servillo sa riempire il set da solo
   
LIETTA TORNABUONI


Si moltiplicano i film italiani di gruppo, le storie corali che raccolgono due o tre protagonisti di altrettante vicende, i cinesupermarket che allineano sui loro scaffali diverse specie di emozioni e caratteri. Per non parlare di tutti quelli precedenti, solo questa settimana se ne presentano tre: Figli delle stelle di Pellegrini, Manuale d’amore 3 di Veronesi, Maschi contro femmine di Brizzi. Nel cinema nostro i film corali o a episodi non sono mai mancati, ma adesso sembrano prendere con impeto il sopravvento.

A volte sono necessari: se Mario Martone racconta in Noi credevamo il Risorgimento delle delusioni, si capisce che dovrà farne un affresco con molti personaggi. Altre volte i film corali sono un tentativo di rappresentare la società italiana attuale, con i suoi tanti personaggi e situazioni: è l’aspirazione più alta o, diciamo, meno bassa. Più spesso riflettono un calcolo commerciale molto contemporaneo: variando e diversificando l’offerta, stipando in un film attori e personalità differenti, è possibile che l’insieme risulti più interessante, che la clientela abbocchi più facilmente e più numerosa. Insomma, si teme che un’unica coppia di interpreti di un’unica storia non sia di sufficiente richiamo, oppure si teme che gli attori disponibili e non tanto costosi siano troppo modesti per sostenere un intero film sulle proprie spalle. Spesso è vero: quando vedi il solo Toni Servillo in Gorbaciof, ti rendi conto di come stiano davvero le cose.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7973&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #112 inserito:: Ottobre 28, 2010, 05:18:36 pm »

28/10/2010 - PERSONE

Le lacrime di coccodrillo
   
LIETTA TORNABUONI


La storia del ragazzo Stefano Cucchi è di quelle che mettono paura: somiglia alle vicende e leggende sulle carceri africane o turche, a quegli incubi di violenze, inedia, sporcizia, malvagità narrati dai reduci traumatizzati quando siano riusciti a restare in vita. Stefano Cucchi non c’è: è morto nel reparto detenuti dell’ospedale Pertini dopo essere stato gravemente malmenato, non curato, abbandonato, dopo aver smesso di mangiare e bere perdendo in pochi giorni una inverosimile quantità di peso. Per la sua morte sono accusati medici, infermieri, agenti della polizia penitenziaria, un funzionario amministrativo. Ma forse la ragione principale della morte e della strenua lotta della famiglia per ottenere giustizia sta nel fatto che il ragazzo faceva uso di droghe.

Una retorica speciale che ignora la realtà ha stabilito da noi che il drogato non è una persona, da trattare e rispettare come tutte le persone: è un dannato, un subumano, un essere estraneo alla comunità, uno che non può essere creduto qualsiasi cosa dica, un rifiuto. Campagne condotte magari con le migliori intenzioni, con descrizioni tanto raccapriccianti quanto irrealistiche, hanno contribuito a formare una simile immagine. Questa immagine non è diversificata, non prevede differenze tra chi prende una pasticca il sabato sera e chi spaccia, mette in conto soltanto il nemico della società ordinata e almeno formalmente normale (ammesso che «normale» voglia dire qualcosa), l’oppositore di ogni ragionevolezza, l’assassino che sopprime la nonna per levarle i soldi di una dose, il reietto. E’ un’immagine distorta, alterata, drammatizzata, estremizzata spesso a scopi pedagogici: raramente come sappiamo convince i giovani, mentre sembra autorizzare altri alle peggiori crudeltà, alle più incivili indifferenze. Il caso Cucchi pare, se non isolato, minoritario: ma è tragico e vergognoso che sia avvenuto, come sono gravi le lacrime di coccodrillo che dà l’occasione di spargere.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8009&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #113 inserito:: Novembre 25, 2010, 04:40:57 pm »

25/11/2010 - PERSONE

Il re dello show
   
LIETTA TORNABUONI

Che spettacolo, l’altra sera, la telefonata nervosissima di Berlusconi a «Ballarò». Non era la prima volta: è già successo al presidente del Consiglio di mettere bocca in modo imprevisto durante trasmissioni televisive, e in particolare a «Ballarò» deve aver identificato un punto di debolezza, di passività, oppure una smania di visibilità. Più in generale, magari non s’è ancora abituato all’idea che la televisione (qualsiasi tipo di televisione) non sia di sua proprietà, che qualcuno possa parlare di lui (non bene) senza che lui lo rimbecchi o lo metta a tacere: eppure sono diversi anni ormai che frequenta la politica. L’altra sera insolenze, accuse, rinfacci, paroloni («mistificatori»), telefono chiuso in faccia: in ogni caso lo spettacolo non è mancato, e ha permesso di sperare in altre esibizioni.

Ci è già stato raccontato che Berlusconi sta adesso nuotando in un mare di nuova grafica: nuovi loghi, nuovi nomi, nuovi slogan per un nuovo partito in vista di prossime elezioni. Pare ce ne siano alcuni che non prevedono altri nomi o bandiere, soltanto «Berlusconi presidente», come nei referendum: ma forse non basta. Sarebbe spettacolarmente interessante vederlo saltar fuori in costumino da una maxitorta; ammirarlo in panni rossi da Babbo Natale in nuovi spot partitici; ascoltarlo cantare canzoni politiche, come quando da ragazzo intratteneva i croceristi con melodie francesi o napoletane; apprezzarlo nella improvvisazione di sketch comici, magari avendo come spalla Salemme, Schifani o Banfi, tutti alti come lui; sentirlo recitare poesie politiche, o addirittura alcune scene di fiction commoventi con bambini piccoli, cani e nonni. Sarebbe interessante che il presidente del Consiglio si abbandonasse ai propri gusti o alle proprie abilità, che saziasse la sua segreta rivalità per la gente di spettacolo.

Almeno, gli elettori capirebbero alla fine con la massima chiarezza la sua autentica natura, e ne terrebbero forse conto al momento del voto.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8129&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #114 inserito:: Dicembre 09, 2010, 10:59:06 am »

9/12/2010 - PERSONE

A misura di bambino


LIETTA TORNABUONI

Eduardo De Filippo diceva: «Mi rimbambinisco continuamente». Allora era uno scherzo. Adesso sembra una realtà: tutto risulta a misura di bambino. Il Natale non poi così imminente c’entra, si capisce. La pubblicità si colma di fuochi artificiali, bambini buoni che cantano buone cose, neve, albero (presepio, mai), panettoni intaccati da morso infantile, pandori coccolati da imprenditore demente.

Alle televisioni (prima rete Rai, prima serata) fanno «Cenerentola» o «Biancaneve» di Disney; per settimane e settimane vecchie canzoni d’amore vengono cantate da bambini sorvegliati da tata Clerici; si esibiscono cose da mangiare, soprannominate «eccellenze italiane» anche quando si tratta d’un pomodoro o d’un bicchiere di vino, pigne o noci dorate e argentate «low cost» per ornare l’albero o la tavola. In politica, Berlusconi annuncia, come se il Paese fosse di sua proprietà e come se non esistessero leggi né Parlamento ma soltanto monarchie ereditarie o l’imperatore folle delle favole: «Quando deciderò sceglierò io il mio successore». Al cinema escono film melensi, brutta comicità, cartoni animati, avventure e giochi elettronici, tutto ciò che tiene lontano chi abbia più di tredici anni. Si allineano i dolci: non torte golose e lussuose ma caramelle, merendine, torroncini, cioccolatini, cosette così.

Si capisce che Natale è una festa d’infanzia. Prima domanda: perché il comune adulto deve sentirvisi un intruso? Seconda domanda: perché dare inizio ai festeggiamenti con tale anticipo che il 18 dicembre già non se ne può più, stremati come siamo dai preparativi? Terza domanda: perché il nostro mondo dove ne succedono d’ogni genere, dove le fiabe nere per adulti raccontate ogni giorno da tutte le televisioni sono quelle di Yara e di Sarah, deve fingersi puerile, sagomato a misura di bambino? Quarta domanda: si potrebbe farla finita?

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8181&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #115 inserito:: Gennaio 11, 2011, 04:10:47 pm »

11/01/2011 -

Addio a Lietta Tornabuoni

S'è spenta a Roma, aveva 80 anni

Grande critico cinematografico ha seguito per "La Stampa" gli eventi più importanti accaduti in 50 anni nel mondo della celluloide

RAFFAELLA SILIPO

ROMA
E’ mancata questa notte al Policlinico di Roma la nostra collega e grande critico cinematografico de La Stampa Lietta Tornabuoni.
Era stata ricoverata in ospedale poco prima di Natale, dopo che si era sentita male a una proiezione cinematografica, ma le sue condizioni non avevano mai destato preoccupazione fino a un improvviso aggravarsi ieri.

Il suo vero nome era Giulietta, e avrebbe fra qualche mese compiuto ottant’anni: era infatti nata a Pisa il 24 marzo 1931 sotto il segno dell’Ariete da un’antica famiglia aristocratica, figlia di un militare e sorella di Lorenzo, noto pittore: si era sposata giovanissima e trasferita a Roma, dove aveva intrapreso appena diciottenne la carriera giornalistica, che è stato sempre il suo vero grande amore.

E' stata testimone dei fatti nazionali e internazionali più importanti degli ultimi cinquant’anni. Aveva cominciato la professione nel 1949 a «Noi Donne», il settimanale dell'Udi, passando nel 1956 a «Novella» poi all’«Espresso»e all’«Europeo».

Alla Stampa era arrivata nel 1970 dove ha continuato a lavorare fino a oggi, tranne un breve intervallo dal 1975 al 1978 al «Corriere della sera». Tra i suoi libri: «Sorelle d’Italia», «Album di famiglia della tv», «Era Cinecittà» e l’annuale appuntamento di «Al cinema», il volume che periodicamente raccoglie le sue recensioni.

http://www3.lastampa.it/spettacoli/sezioni/articolo/lstp/383210/
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