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Autore Discussione: LIETTA TORNABUONI  (Letto 59543 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Maggio 06, 2010, 11:56:48 pm »

6/5/2010 - PERSONE

Forchette e forchettoni
   
LIETTA TORNABUONI

Appartiene al passato della propaganda politica antidemocristiana il termine «forchettoni». Indicava i grandi divoratori, i robusti mangiatori dei soldi dello Stato e di prebende varie: un disegno satirico di Scarpelli mostrava la breve marcia di tre leader democristiani (De Gasperi, Gonella, Scelba) con forchetta, cucchiaio e coltello portati a spalla come un’arma, accompagnati dal motto «Per l’onestà contro la corruzione»; un altro disegno satirico mostrava una forchetta reggente, come un’asta, le bandiere dei partiti al governo sforacchiate e ridotte in brandelli con lo slogan «Via il governo della forchetta». Insomma le parole forchetta e forchettoni avevano perduto il loro significato per diventare simboli dei politici mangiatori. I bersagli non se la prendevano troppo, non ricorrevano alla protesta o alla censura. Replicavano su un tono simile: il manifesto con mani grondanti sangue, l’allusione a forche e lavori forzati sovietici, l’invito «Lavatevi le mani prima di votare!». Non erano tempi delicati né democraticamente dialettici, erano contrapposizioni forti, dure, di quelle che non piacerebbero al presidente Napolitano: ma erano pure altri tempi.

In ogni caso, non si ricorreva alla censura né alla lagna, rispetto alla satira e alla propaganda politica. Non sempre, almeno. Quando, dopo l’uccisione di molti lavoratori da parte della polizia, venne affisso un manifesto che mostrava la faccia del ministro dell’Interno Scelba campeggiante su un paesaggio di croci cimiteriali, con lo slogan democristiano «Vita!» ferocemente contraddittorio, per strapparlo via dai muri cittadini vennero mobilitati drappelli di agenti. In genere non accadeva. Lo si dice perché due episodi si ripresentano adesso (già, non tutto è cambiato) e lasciano temere brutti interventi: il caso Scajola, con le dimissioni del ministro e le sue acrobazie intorno alla proprietà di un appartamento romano con vista sul Colosseo; e il film di Sabina Guzzanti «Draquila» sugli interventi dopo il terremoto d’Abruzzo. Per quest’ultimo è già cominciata, con le proteste di Guido Bertolaso («Farà fare brutta figura al Paese all’estero, al festival di Cannes»). Attenzione.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7306&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #91 inserito:: Maggio 08, 2010, 02:51:34 pm »

Adulteri senza qualità

di Lietta Tornabuoni

Il film di Soldini 'Cosa voglio di più' sembra apparentemente convincente oltre che bene interpretato dalla coppia Favino-Rohrwacher. Ma il sapore che resta di questa storia di passioni  e baci rubati, è quello di uno stereotipo degli anni '50
 
Silvio Soldini, ammirato regista italiano, a 52 anni passa da film poetici con tocchi di anticonformismo ed eccentricità, a uno stile quasi documentaristico di grande intensità. 'Cosa voglio di più' attacca nel titolo (che sembra alludere allo spot pubblicitario dell'Amaro Lucano) le vite comuni troppo anguste, povere e ripetitive. Nel film arriva l'amore-passione a sconvolgere la routine di due 34enni sposati, a dilatare il desiderio, a far pretendere altro.

Con tutti i relativi momenti: le scene di sesso niente affatto voyeuristiche o estetizzanti ma belle nel brutto motel a ore alla periferia di Milano, i baci rubati in ufficio o nei portoni, le telefonate, l'amore urgente mezzo vestiti, il vedersi poco tra rispettivi lavoro e famiglia, le frasi attese e pronunciate ("Vorrei averti incontrato prima"), i giorni dell'ira ("Ti devo parlare", "Vaffanculo"), lei che spia la moglie di lui, una volta a ballare, le reciproche bugie, una breve vacanza a Tunisi al termine della quale lei se ne va da sola chissà dove trascinando il suo trolley rosso, e piange. Ogni tanto, un paesaggio di Milano col cielo trafitto dalla gru dice quanto la città vada estendendosi.

Come tutti, i protagonisti Alba Rohrwacher molto brava e Pierfrancesco Favino sono, dice il regista, anime divise in due: lacerate tra la voglia di buttarsi a vivere la passione e la paura, il senso di responsabilità, la famiglia. Vicenda nota ma davvero toccante. Fatta benissimo, eppure c'è qualcosa che non va.

Forse tutto sta nel punto di partenza: l'impiegatina milanese zelante, il bravo lavoratore, il buon marito dalle mani d'oro, la moglie nervosa, non esistono. Non sono persone del mondo in cui viviamo: evocano piuttosto 'L'uomo di paglia' di Pietro Germi dei Cinquanta. Sono stereotipi, adottati per giustificare e mandare avanti la storia.

Cosa voglio di più di Silvio Soldini con Alba Rohrwacher, Pierfrancesco Favino, Giuseppe Battiston

(30 aprile 2010)
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« Risposta #92 inserito:: Maggio 14, 2010, 12:25:22 am »

13/5/2010 - PERSONE

Indifferenza generale

LIETTA TORNABUONI

Con la sua penetrante intelligenza politica, Rosy Bindi ha detto una cosa interessante, l’altra sera a «Ballarò». Parlavano di corruzione, di politici scorretti, di case quasi regalate, e lei ha detto che, paragonato a Tangentopoli, il periodo attuale è peggiore perché, diversamente da allora, nella gente sembra mancare ogni reazione di sdegno o di esasperazione, perché qualsiasi cosa accada viene accolta dalla tetra atonia dell’assuefazione e della sfiducia, perché l’abitudine o la stanchezza paiono aver sostituito lo scandalo.

Per caso o per lavoro, mi sono trovata davanti all’hotel Raphaël di Roma la sera in cui una piccola folla aspettava che Craxi uscisse e quando lo vide cominciò a bersagliarlo di monetine, a sventolare banconote di piccolo taglio cantando sarcasticamente in coro «Vuoi pure queste? Vuoi pure queste?». Era una scena piuttosto feroce ma schietta: cantando, sventolando, lanciando, la gente pareva divertita dalla propria trovata, sollevata come chi trova sfogo alla propria indignazione ed è contenta di fare qualcosa per esprimerla. Per lavoro o per caso, mi sono trovata a Milano in mezzo alla gente che costituiva i gruppi di sostegno ai magistrati di Tangentopoli, che al buio, di sera, restava in mezzo alla strada per far capire che c’era, che era solidale e speranzosa, che era pronta a offrirsi come baluardo.
Era gente decisa, ferma, lieta di poter partecipare a quanto accadeva, persino entusiasta al pensiero che qualcuno si stesse muovendo. Naturalmente erano azioni organizzate: e tuttavia spontanee, sentite.

Cose del genere non capitano, adesso.

Sembra che il sentimento delle persone riesca oggi a esprimersi soltanto nelle fiaccolate notturne, nei cortei giovanili aperti dallo striscione «Ammazzateci tutti», nelle riunioni commemorative: tutte cose giuste e meritorie, ma un poco funebri, popolate di persone che camminano piano con le facce meste, trascinando i piedi, e non sembrano affatto sollevate. La scritta che precedeva una di queste sfilate diceva: «Indifferenza generale».

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7342&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #93 inserito:: Maggio 22, 2010, 05:44:55 pm »

20/5/2010 - PERSONE

Quel giro di miliardi
   
LIETTA TORNABUONI


Fra Tangentopoli 2 (600, 900 mila euro, chissà quanto altro), Sanità nel Lazio (400 milioni e più da tagliare per riequilibrare i conti), Santoro e la sua liquidazione Rai (si parla di circa 10 milioni), evasori fiscali con conti in Svizzera (sono per ora 7000), il giro di miliardi si fa ogni giorno più fulgente e vorticoso. La gente, quella che nei supermercati ogni giorno tenta d’arrangiarsi coi grammi, coi centesimi e con gli sconti, ci sta male. Non per invidia sociale (si può provarla soltanto per i propri simili) ma per un sentimento di ingiustizia.

Le persone squattrinate non trovano giusto che ci siano in giro tanti soldi, anche illegali, mentre per loro anche cinquanta euro sono una somma e oltre non arrivano. Da chi parla male dell’avidità di qualche politico, senti dire che quando c’erano i democristiani pure loro mangiavano, però anche il povero aveva da mangiare: tra Europa, euro, aiuti alla Grecia, tagli di situazioni in rosso, feste ad Abu Dabi o legittimi compensi non fanno differenza, non gliene importa nulla, l’unico fatto che interessa è che altri hanno euro a palate e loro sono senza soldi. E’ un atteggiamento rozzo, elementare, ma nessuno al mondo si preoccupa della funzione diseducativa che l’ostentato giro di miliardi può avere, dell’esasperazione che può generare.

Cosa si possa fare, chi sa: la temperie (checché il governo creda) non è calma né benevola, se mai lo è stata. Intorno al giro di miliardi si crea un fenomeno di psicologia di massa, di frustrazione e umiliazione primaria difficile da cancellare. L’aria che tira non è di atona passività, è rabbiosa, revanscista, e non può che peggiorare: ogni azienda pubblica e privata cerca di cavare sangue dalla rapa, moltiplica trappole, multe e bollette, rende i rapporti più esigenti e crudi, mentre salari e stipendi restano gli stessi perdendo potere d’acquisto. Se Berlusconi dicesse ancora che gli italiani viaggiano, vanno al ristorante e in vacanza, si comprano molti telefonini e molte tv piatte al plasma, la risposta sarebbe facile: non è che in Italia ci sia molto benessere, è che ci sono molti ladri.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7373&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #94 inserito:: Maggio 27, 2010, 04:39:11 pm »

27/5/2010 - PERSONE

Fermo posta Palazzo Chigi
   
LIETTA TORNABUONI

In un ospedale in Serbia c’è un nuovo reparto di neonatologia, tutto lustro, moderno e ben tenuto. All’ingresso, una targa con tricolore dice in inglese: dono del governo italiano. E perché «del governo»? Nel caso, sarà un dono dell’Italia o degli italiani, ma il governo davvero c’entra nulla. Eppure, anche in questi giorni in cui la cosiddetta manovra da 24 miliardi impoverisce i più miseri e numerosi in assoluto (pensionati, dipendenti statali) mentre non vengono affrontate in alcun altro modo iniziative che potrebbero procurare soldi sanando sprechi e cattiva amministrazione, il governo trafficante è sempre all’opera.

Se si guarda bene la «pubblicità istituzionale» della Rai, si vede che ogni inserzione non si rifà ai singoli ministeri interessati ma alla sede della presidenza del Consiglio, Palazzo Chigi a Roma. Si constata che certi programmi diurni utili e molto seguiti risultano dilatati da interventi governativi: «Tutto benessere» ha acquistato una coda a cura del ministero della Salute; a «Linea Verde» s’è unita una sorta di prefazione, «Linea Verde Orizzonti» a cura del ministero delle Politiche Agricole; agli esemplari servizi di informazione sulla Mitteleuropa trasmessi dalla terza rete della Rai la domenica mattina, s’è aggiunto un programma superfluo e a volte sciocco, «Mediterraneo».

Niente di male, si dirà, anzi qualcuno (la Rai o i ministeri) risparmierà qualche euro. Fino a un certo punto. Si capisce che le trasmissioni legate ai ministeri non diranno una parola critica sulle filiere alimentari o farmaceutiche, sugli eventuali interessi conculcati dei consumatori: si limitano a enfatiche esaltazioni delle «eccellenze» italiane (come se gli scandali del vino al metanolo, dell’alterazione dell’olio extravergine d’oliva con oli di semi vari oppure della mozzarella fatta con caglio egiziano o mediorientale non fossero avvenuti in Italia), a convegni, a ministri in blu gessato in giro per il mondo. Insomma, all’informazione sostituiscono la propaganda.

Non è un danno da poco. Favorisce la tendenza, da noi già forte, a ignorare la realtà e a imbottirsi di retorica; favorisce la presunzione e la vanità, la futilità irresponsabile di atteggiamenti e comportamenti; aiuta a pensare che esista un unico punto di riferimento nazionale, la presidenza del Consiglio, Palazzo Chigi, Berlusconi.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7406&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #95 inserito:: Giugno 03, 2010, 04:36:14 pm »

3/6/2010 - PERSONE

Lo spot scopre un uomo nuovo
   
LIETTA TORNABUONI

Arriva la pubblicità per uomo fragile. Uno spot mostra una coppia a letto: l’aria mortificata e delusa di tutt’e due, la dolcezza consolatoria di lei, lasciano capire che lui non ce l’ha fatta; la promozione riguarda infatti un prodotto che facilita l’erezione. Un altro spot, più severo, senza figure, esorta gli ultracinquantenni a visite di controllo, perché il tumore alla prostata è sempre in agguato e la prevenzione rappresenta l’unico rimedio.

Sembra una stupidaggine, è invece una novità rilevante. Sinora il bersaglio della pubblicità sono state soprattutto le donne: erano loro ad avere il dovere di controlli almeno annuali all’utero, alla mammella, alle ossa; loro a emanare odori imbarazzanti («avevo timore a entrare in ascensore con altri»), loro a subire piccole perdite maleodoranti; erano le donne a doversi curare di irritazioni da sfregamento, pancia gonfia, alito cattivo, flatulenze e altre sgradevolezze. Gli uomini, quando risultavano protagonisti della pubblicità, erano specialmente delegati ai piaceri (vini, automobili, liquori), allo sport (maratone o andirivieni con macchine ginniche); l’eventualità che avessero e perdessero la pancia («La pancia non c’è più!») era remota, espressa non come una realtà ma come uno scherzo esagerato e buffo. L’uomo consumatore d’un certo olio volteggiava leggero superando facilmente una staccionata; adesso l’uomo con la pancia dorme supino, aspettando che una crema prodigiosa lo smagrisca nel sonno.

Certo non sono segni di progresso, ma appena adeguamenti alla realtà o ampliamenti ulteriori del mercato in tempo di crisi. Però stringe il cuore pensare che mentre la società civile compie i suoi piccolissimi passi, in sedi ufficiali la classe dirigente si accanisce a volere una legge come quella sulla intercettazioni telefoniche; ed i politici ricorrono a una legge-bavaglio che, senza avere nulla a che vedere con la privacy dei cittadini, è destinata a permettere loro di dire al telefono quello che vogliono senza preoccuparsi di poter essere ascoltati da nessuno. Altro che mafia, mai una parola al telefono e sempre «pizzini», biglietti scritti consegnati a mano.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7432&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #96 inserito:: Giugno 10, 2010, 05:29:00 pm »

10/6/2010 - PERSONE

Quella falsa parità
   
LIETTA TORNABUONI

Parlare di parità tra donne e uomini a proposito di pensioni è una menzogna sfacciata, e magari anche una gran porcheria. Eppure con aria virtuosa, convinti di dire qualcosa di equo, civile, moderno, tutti sembrano d’accordo: fissare l’età pensionabile a 65 anni per le lavoratrici pubbliche è un nuovo passo sulla via della parità; del resto corrisponde a un ordine europeo, non ci sono rimedi, bisogna farlo ed è giusto così.

Ma dovremmo sapere tutti che le indicazioni europee non sono mai state considerate ultimatum o diktat (altrimenti i conti pubblici, nostri e altrui, sarebbero in altre condizioni): sono appunto indicazioni, con le quali si può patteggiare, rinviare, limitare e arrangiarsi, almeno nel Paese delle pensioni baby. Dovremmo sapere tutti che le indicazioni europee diventano imperiose e impossibili da non rispettare soltanto quando convengono ai governi, quando rappresentano un buon pretesto per fare quanto serve ai governi e far sì che siano i cittadini a pagarne il prezzo. Quanto alla parità, è vergognoso usare una causa giusta per ottenere un risultato ingiusto. Nel lavoro, tra i due sessi non esiste parità. Semplicemente, gli uomini svolgono un compito, le donne ne svolgono due. Oltre le fatiche d’ufficio o di fabbrica, le donne debbono infatti affrontare contemporaneamente le fatiche domestiche (la spesa, cucinare, spazzare, fare i letti, spolverare, il bucato, stirare): oppure i nostri governanti credono che, come a casa loro, per lavori simili ci siano le domestiche, le cuoche, il personale di servizio? Insieme con le fatiche domestiche, alle donne sono riservate le fatiche della maternità: non soltanto mettere al mondo figli ma anche occuparsi di loro, comprenderli, aiutarli e curarli, dargli una mano con i compiti, educarli e istruirli: dato che in genere i padri li ignorano. Tutti dicono infine che a sessant’anni le donne sono in gamba, che le aspettative di vita si sono allungate, che le cifre della vecchiaia sono cambiate: questo sarebbe vero, ma due lavori svolti con relative responsabilità per venti anni e più stroncherebbero chiunque.

Quando si sente una notizia, alla televisione o altrove, specie se riguarda gli altri (se ci riguarda personalmente, lo sappiamo già) sarebbe meglio rifletterci con attenzione: e non farsi prendere in giro.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7458&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #97 inserito:: Giugno 17, 2010, 09:18:40 am »

17/6/2010 - PERSONE

Le false difese dei diritti
   
LIETTA TORNABUONI

Rispettare la privacy del comune cittadino italiano? Sarà. Potrebbe succedere, ma in anni e anni di intercettazioni telefoniche non è mai successo che di un comune cittadino onesto, incolpevole di ogni reato, siano state rese pubbliche telefonate indiscrete oppure oscene.
Non è mai accaduto (sarà stato un caso?), mentre le intercettazioni telefoniche riguardavano truffatori o ladri pubblici, politici scorretti, manager mascalzoni e compagnia, insomma componenti la classe dirigente. Perciò è molto strano che si ostenti virtuosamente di preoccuparsi dei diritti altrui anziché dei propri comodi.

In più, lascia increduli il fatto che questi componenti la classe dirigente risultino incapaci di controllarsi e di tenere a freno la lingua quando parlano al telefono. Ci riescono tutti, se hanno il sospetto di venir ascoltati dai genitori, dai parenti o da altri. Ci riuscivano le madri di famiglia tanto tempo fa, nell’inverno 1943 dell’occupazione nazista di Roma. Quando i telefoni erano sorvegliati a caccia di clandestini o di reati annonari, le donne chiamavano «fiori» le uova e «polvere» la farina, mentre dei nascosti per sfuggire ai tedeschi o alla leva repubblichina parlavano chiamandoli «capricciosi», come i bambini di casa. Ma gli attuali politici o dirigenti, no. Non sono capaci di non dire al telefono, di avvertire del loro rientro una signora e di raccomandarle di «mettere il perizoma ben stretto», non arrivano a tacere al telefono gli affari sporchi né a discuterne in termini fumosi.

Quel che si vuole salvaguardare con la legge sulle intercettazioni telefoniche sono i propri comodi. Altro che privacy del comune cittadino: vogliono invece sia rispettato il fatto di poter parlare loro al telefono di qualsiasi cosa, truffaldina o ribalda che sia, senza venir ascoltati da nessuno tranne l’interlocutore e senza che nessuno possa rendere pubbliche le loro parole. Tutti i casini in atto da anni, le discussioni infinite in Commissione e in Parlamento, le divisioni tra maggioranza e opposizione, le false difese dei diritti, le nobili elucubrazioni, servono soltanto a questo. Davvero sarebbe ridicolo se non fosse vergognoso.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7483&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #98 inserito:: Luglio 01, 2010, 12:10:19 pm »

1/7/2010

L'immagine delle notizie
   
LIETTA TORNABUONI

Come al tempo della struggente invocazione «Moviola sul campo!», si torna a discutere di errori degli arbitri e della possibile tecnologia per evitarli almeno ai Mondiali, trascurando forse un fatto buono e uno cattivo. Quello buono è che risulta ormai pronta la legge che vieta ai venditori di fare telefonate pubblicitarie se l’eventuale cliente non vuole.

La faccenda è un po’ complicata per la nostra pigrizia, bisogna iscriversi a uno speciale Albo o Registro di persone che preferiscono non essere disturbate e alle quali è quindi proibito fare telefonate pubblicitarie: comunque, vale la pena. E’ un bel sollievo sapere che non si sarà costretti a rispondere (di solito alle ore dei pasti, sempre in momenti incomodi) a telefonate insistenti di interlocutori non disinteressati che pretendono di venderti una piccola cantina di vini scelti o un’enciclopedia sopraffina, che vorrebbero farti cambiare società telefonica oppure darti lezioni d’inglese, che lodano una palestra o un ristorante. Non si sarà più obbligati a dare spiegazioni («Ma perché dice di no?»), a rispondere in modo sbrigativo e brutale per poi pentirsene al pensiero dei giovani disoccupati che sono tra i telefonisti più temibili.

Il fatto cattivo è la moltiplicazione durante i telegiornali Rai di filmati di cronaca realizzati da questure o comandi dei carabinieri. Vi si vedono in genere auto che sgommano, persone fermate che si coprono la faccia col golf o col giornale, targhe delle strade dove un arresto è stato compiuto, agenti che entrano in edifici forse sospetti; ma, soprattutto, le immagini predilette sono tavolate di ufficiali e funzionari al microfono (il regista in divisa li considera glamour come star), oppure scrivanie su cui stanno bene ordinati pistole, coltelli di varia misura e altri oggetti criminali. Insomma immagini non interessanti, anzi prettamente insignificanti: per di più, realizzate da una parte in causa, pronta a dare della cronaca la propria versione. Non è questo che si intende per informazione giornalistica: la Rai avrà pure bisogno di non spendere come tutti noi, ma questo tipo di risparmio che tratta così le notizie di cronaca non è corretto.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7545&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #99 inserito:: Luglio 08, 2010, 10:53:28 am »

8/7/2010

Non parlare al manovratore
   
LIETTA TORNABUONI

La manovra economica e il suo manovratore, il governo, hanno offerto e offrono uno spettacolo molto interessante.

Si poteva pensare che per una nazione rimediare 24 miliardi non fosse poi una «mission impossible»: se no cosa dovrebbe fare la Francia, che di miliardi deve tirarne fuori cento? Ma non è così: intorno a quei 24 miliardi è montato un disordine imprevedibile.

Il governo manovratore è riuscito a scontentare tutti, a provocare forti reazioni promettendo tagli alle categorie più diverse e inopportune: poliziotti, disabili, professori, che già guadagnano meno di un gatto.

Le reazioni sono risultate tanto vive che quei tagli sono stati subito ritirati e si è andati a tagliare altrove. Il primo manovratore, il presidente del Consiglio, non ha voluto ricevere i rappresentanti degli enti locali, che se ne sono assai impermaliti.

E perché, poi? Timore, fastidio, paura di lasciarsi convincere? Ma non sarebbe il suo lavoro? Altre idee luminose: far pagare i ticket autostradali anche a chi fa il raccordo anulare romano per andare a casa a mangiare, tagliare le pensioni di invalidità con relativo accompagnamento, tassare auto e moto.

Insomma, una variante del caos davvero ingiustificata: anche cercando di rifletterci su, non si riesce a capire il perché di comportamenti tanto ricchi di gaffes, tanto improvvidi e confusi.

È certo vero che ogni categoria colpita dai tagli avrebbe ed ha reagito male: ma questo è normale, non si può opporvisi con un andirivieni di «taglio te, no taglio lui», né finir per trasferire i tagli sulle famiglie meno portate alle proteste.

Il fatto è che spesso i manovratori non sono agguerriti professionisti della politica, sono invece usi a scaricare su altri ogni responsabilità: sistema reso piuttosto facile dal «ghe pensi mi» presidenziale, dalla visione blindata del ministro dell’Economia, dalla scarsità di contatti con i cittadini. E dalla poca autorità riconosciuta a ministri che del resto se ne infischiano: a luglio basta che c’è ‘sto sole, basta che c’è ‘sto mare.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7572&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #100 inserito:: Luglio 15, 2010, 10:47:29 pm »

15/7/2010 - PERSONE

Se mi lasci non vale
   
LIETTA TORNABUONI

Se in questo periodo mariti, ex mariti o amanti ammazzano una donna al giorno (perlopiù a coltellate), i pragmatici dicono che è colpa del grande caldo che scatena furori o fa sprofondare nelle depressioni, che lascia sentire con maggiore strazio la solitudine estiva e fa desiderare con più struggimento un poco di felicità.

Gli psicologi facili dicono che la morte è la secolare risposta degli uomini all’abbandono; che se a venire lasciati sono i mariti, insieme con la moglie perdono la casa, i figli, i pasti cucinati, l’assistenza in caso di malattia, la condivisione della vita, le camicie pulite, e non sanno come fare.

Secondo gli studiosi di sociologia, questa epidemia di sangue dipende dalla nuova fragilità maschile, da una ipersensibilità da adolescenti perenni, da una frustrazione che non permette loro di sopportare il vedersi rifiutati, il dover considerare un fallimento tutto ciò che avevano costruito magari con sacrificio.

Per i moralisti cattolici, la colpa degli assassinii sta nella leggerezza con cui viene vissuto il rapporto donna-uomo, nel matrimonio o in altro tipo di relazione. Per gli analisti laici, gli uomini colpevoli di assassinio sono bruti che hanno capito nulla, che non si sono resi conto dei cambiamenti avvenuti negli anni, del diverso atteggiamento di libertà delle donne.

Forse è tutto vero. Ma forse nessuna di queste ipotesi è vera. Si valutano infatti gli avvenimenti della cronaca con un’ottica deteriore: se accadono fatti tra loro simili, non si tratta per niente d’un fenomeno sociale, benché gli elementi esteriori sembrino analoghi.

Sarebbe interessante se gli episodi consentissero un giudizio comune: darebbe l’occasione di prevenire ed evitare i fatti di sangue, con grande vantaggio individuale e collettivo.

Però non è così: è da bambini fare della psicologia spicciola su gente che non s’è mai vista né si conosce, mentre ogni fatto occulta le proprie motivazioni, le ragioni per cui accade, il carattere dei diversi protagonisti, le pulsioni respinte o quelle a cui ci si abbandona. E, soprattutto, non si continuerebbe a definire i gesti di morte delitti passionali.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7594&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #101 inserito:: Luglio 23, 2010, 11:11:53 am »

22/7/2010 - PERSONE

La cautela del pessimista
   
LIETTA TORNABUONI

Un quartiere di Milano è intossicato dall’acqua inquinata. La capitale del mondo occidentale, New York, è assediata dalle pulci che mordono e succhiano il sangue all’essere umano. Si preannunciano, sui rapporti tra governi italiani e mafia, rivelazioni disastrose alle quali forse la politica non sarà in grado di resistere. Altre decine di appartenenti calabresi alla ’ndrangheta vengono arrestati: ma quanti saranno, quanti possono essere? Eppure, i cosiddetti pessimisti ancora vengono considerati ingombranti jettatori, persone senza cuore che non credono a nulla né a nessuno.

Nella tradizione classica, alla Cassandra, i pessimisti sono appunto ritenuti portatori di sventura, annunciatori di guai: e non risultano mai simpatici. In tempi meno remoti, i pessimisti sono semplicemente avversari politici che, increduli delle affermazioni governative, prevedevano crisi e situazioni difficili in genere. Ancora più recentemente, i pessimisti diventano coloro che rifiutano di credere alle promesse rosa, all’euforia irrazionale del presidente del Consiglio, alle sue sparizioni in caso di condizioni spinose, secondo l’uso di eclissarsi quando le cose vanno male, di non collegare mai la propria immagine a momenti brutti. Gente lugubre, i pessimisti: che pensa sempre al peggio, che diffida di chiunque.

Adesso, si può sperare che il pessimismo (non gratuito, non sistematico) venga considerato per quello che è, simile all’ottimismo come elemento di squilibrio. Un atteggiamento prudente e saggio nel valutare le cose; un’espressione di cautela e di sfiducia rispetto all’interessata faciloneria politica, alle balle quotidiane; e che, almeno in teoria, mai più venga giudicato con lo spirito superstizioso che ancora ci portiamo dietro. Del resto, basterebbe constatare che i pessimisti ragionevoli quasi sempre finiscono per aver ragione; e che i loro fratelli (i complottisti, i tramisti, chi teme le cricche d’imbroglioni) suppongono quasi sempre meno di ciò che davvero accade.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7624&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #102 inserito:: Luglio 29, 2010, 11:41:21 am »

29/7/2010 - PERSONE

Televisione alla contadina
   
LIETTA TORNABUONI

Altrove è peggio: teatri chiusi, cinema in ferie oppure che ospitano film inguardabili. Salvo che nell’incalzare di festival, mostre, kermesse e cantieri d’arte nei posti più belli o più brutti d’Italia, è la cultura spettacolare a prendersi davvero ferie prolungate e calme, mentre per la gente pochi giorni di riposo sono già un miracolo. Rimarrebbe la televisione, ma è inutile illudersi.

Proprio nel periodo estivo più atono, proprio quando la solitudine di milioni di persone vorrebbe conforto e sollievo, la tv tradisce la propria funzione pubblica e popolare di intrattenimento. Risparmia. Rifila roba vecchia o brutta. Dà nulla. Gli annosi polizieschi senza violenza dell’ispettore Derrick, della Signora in Giallo, del cane-commissario Rex o di Don Matteo vengono ritrasmessi, sempre quelli, per l’ennesima volta: anche se gli spettatori li conoscono a memoria e le immagini sono ormai poco definite, decolorate (alla faccia del digitale). I materiali di Linea Blu, Linea Verde, Quark sembrano rimontati e aggiustati in episodi, e così scorrono sullo schermo. Ma la presenza più insistente dell’estate è quella del mondo rurale. Fosse italiano, avrebbe interesse perché da noi la vita contadina viene costantemente ignorata, tanto da far pensare che il nostro Paese sia Manhattan. Ma no: la vita rurale che ci viene rifritta è quella tedesca oppure quella americana.

Se americana, ecco mandrie di mucche o di cavalli, qualche pecora, cowboy villanzoni coi loro cappelli a larga tesa, incidenti che si vogliono drammatici (smarrimento del puledro, nascite laboriose, cancello lasciato aperto per incuria e fuga di tutti gli animali). Non parliamo delle fiction campagnole tedesche, con belle ragazze messe in ombra da anziani contadini dal carattere infame e la gallina stretta al cuore, con sempiterni litigi per una linea di confine, con inopinate sparizioni del cane fedele o della carissima capretta. Si vorrebbe scomparire.

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« Risposta #103 inserito:: Luglio 30, 2010, 09:32:11 am »

30/7/2010

Venezia 2010, la sorpresa sarà Celestini
   
LIETTA TORNABUONI

Obiezione: quattro film italiani in concorso sono troppi. Erano troppi lo scorso anno, sono troppi quest’anno. Che siano stati scelti per merito, per opportunità, per disegno intellettuale o per caso, l’indiscrezione da provinciali non cambia. Naturalmente, il più curioso è l’ultimo arrivato, La pecora nera, primo film del trentenne romano Ascanio Celestini, il comico trasgressivo visto in tivù da Serena Dandini, tratto dal suo libro: storia di un Nicola che da 35 anni vive in un «manicomio elettrico» dove non si sa se ridere o piangere e dove la presenza contemporanea di comicità e tragedia esemplifica la modernità.

Il direttore Marco Müller dice che il cinema ha ormai perduto ogni precedente criterio di giudizio estetico, che i valori dati (stile, talento, autenticità, mestiere) sono fuori corso e che per la Mostra ha dovuto «fare appello ai registi che sperimentano tutto ciò che i linguaggi della cultura visiva contemporanea possono offrire». Sono più di 40 anni che il Festival tenta d’identificare il nuovo che non c’è nella cultura mondiale, quindi, nello stile dei tempi, il calendario offre di tutto un po’: da Sofia Coppola a Julian Schnabel, da John Woo al solito film-sorpresa. Alcuni registi (Vincent Gallo, per dire, o Carlo Mazzacurati) sono presenti persino con due film, uno in concorso e l’altro no. Un cortometraggio è intitolato Sposerò Nichi Vendola, un documentario è opera della giornalista tivù Monica Maggioni e un altro dell’attrice Michela Cescon. Fuori concorso il sublime Manoel de Oliveira, Marco Bellocchio, Martin Scorsese.

Vedremo, diremo. Certo è una buona idea aver accolto tanti ritratti di contemporanei o quasi, in documentario oppure no: di Goffredo Lombardo (L’ultimo Gattopardo di Giuseppe Tornatore), di Vittorio Gassman, del bandito Vallanzasca, di Ennio Flaiano; più la vicenda tormentosa di Joaquin Phoenix, un documentario che segna il debutto nella regia di Casey Affleck.

I soldi, nonostante la crisi, non costituiscono un problema nuovo: Venezia è sempre stata squattrinata da più di mezzo secolo, per la mostra la sobrietà è sempre stata praticata per forza, eppure una sala di meno non è poco. Qualche malinconia aleggia perché è sul finire l’incarico direttivo di Müller. Non si suppone che verrà confermato per la terza volta né s’immagina chi potrebbe sostituirlo a un livello analogo. Vedremo, diremo.

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« Risposta #104 inserito:: Agosto 12, 2010, 05:16:42 pm »

12/8/2010 - PERSONE

Fini come Diabolik
   
LIETTA TORNABUONI

Cos’altro possiamo aspettarci nell’immediato futuro, quali notizie pazzesche, data l’atmosfera manifesta che grava sull’ex maggioranza di governo? Gianfranco Fini e la sua compagna, in tuta di maglia nera come Diabolik e Eva Kant, colti sul fatto mentre cercano di rubare parte della riserva aurea di Fort Knox. Fini sorpreso a sottrarre uranio. Fini cannibale scoperto a divorare cotolette di carne umana. Fini che abbandona il cane sull’autostrada. Fini che aggredisce una turista finlandese. Fini installato comodamente, come a casa sua, nella reggia di Caserta, della quale detiene misteriosamente la proprietà. Fini leader di Nuovi Cavalieri Templari raccolti e mobilitati contro Berlusconi. Fini che imbratta i muri pubblici con insolenti scritte antigovernative. Fini in abiti femminili, mescolato ai trans nelle vie notturne di Roma. Fini in testa alla loggia massonica P7 e alle sue oscure trame.

Fini al comando d’un sottomarino grazie al quale si propone di sbarcare in Sardegna presso la proprietà del presidente del Consiglio e di fare un macello. Fini con la torcia e il caratteristico berretto da ladro preso a Palazzo Chigi nell’atto di sottrarre importanti piani governativi ai suoi danni. Fini che organizza il nuovo partito «Passato e schiavitù». Fini che scende in difesa di Vallanzasca auspicandone la presenza come ospite d’onore alla Mostra del cinema di Venezia. Fini che scrive e declama un poema in lode della cocaina. Fini che getta a terra pezzi di carta, da vero infame.

Scherzi a parte (in realtà c’è ben poco da scherzare) è singolare che i conflitti politici non possano fare a meno della demonizzazione dell’avversario. Pochi, in lotta rivale con qualcuno, tendono ad affermare le proprie ragioni, i propri motivi di vittoria, il proprio merito di prevalere. Invece, quasi tutti danno addosso al nemico del momento, tentando di svergognarlo il peggio possibile, attribuendogli le colpe più abiette. Colpe tanto più efferate quanto più forte era stato il precedente legame d’alleanza ed amicizia: e ci si chiede come avessero fatto a capire assolutamente nulla.

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