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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288198 volte)
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« Risposta #450 inserito:: Marzo 23, 2012, 11:17:12 pm »

23/3/2012 - TACCUINO

La macchina è in moto, muro contro muro pre-elettorale

MARCELLO SORGI

Dopo un incontro al Quirinale con Napolitano, Monti sta valutando la possibilità di inserire nel testo che sarà varato oggi dal Consiglio dei ministri qualche aggiustamento che possa servire a svelenire il clima che s'è creato, dopo la rottura con la Camusso, tra il governo e il Pd. Per tutta la giornata sono circolate indiscrezioni in questo senso, soprattutto di fonte sindacale, e questo fa capire che anche Cisl e Uil sarebbero favorevoli a tentare un riavvicinamento con la Cgil.

Così ieri le posizioni ufficiali non si sono spostate di un millimetro: preoccupata, la Fornero, di rassicurare sul fatto che il governo «non fa marcia indietro»; e altrettanto Bersani e Camusso di far capire a Monti che sta andando verso uno scontro pericoloso anche per la sopravvivenza del suo esecutivo. Se qualche limatura ci sarà alla fine si vedrà dopo il Consiglio dei ministri e nei giorni successivi. Un'altra articolazione delle decisioni che potrebbe favorire un raffreddamento dello scontro sarà quella dei provvedimenti con cui Monti proporrà al Parlamento la riforma del mercato del lavoro. Ad esempio, ma è solo un'ipotesi, la scelta di un decreto per la flessibilità in entrata (provvedimenti a favore dei precari), la proposta una legge delega per il nuovo sistema degli ammortizzatori sociali e di un disegno di legge per l'art. 18, consentirebbe di far svolgere la discussione alle Camere secondo un calendario che vedrebbe in prima linea le parti più condivise della riforma e solo successivamente quella più contrastata.

Anche se l'incontro tra il premier e il Capo dello Stato è rimasto avvolto nel riserbo, la frequenza dei contatti in queste ore tra Palazzo Chigi e Quirinale lascia intuire un serio timore sul possibile incremento della tensione sociale determinato dalla mobilitazione «contro i licenziamenti facili». Ma è difficile, nei prossimi giorni, che la situazione possa cambiare: la macchina della Cgil ormai è in moto, e, benché fortemente diviso al suo interno, il Pd ha tutto da guadagnare, in periodo elettorale, da una mobilitazione nazionale sul tema del lavoro, a cui l'elettorato di centrosinistra è molto sensibile. L'articolo 18 è destinato a diventare la bandiera della prossima campagna per le amministrative.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9917
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« Risposta #451 inserito:: Marzo 25, 2012, 11:59:16 am »

25/3/2012

Giorgio Napolitano, le ragioni di un annuncio in anticipo

MARCELLO SORGI

Maturato da tempo, comunicato a gennaio a una platea di studenti e reso noto ieri in occasione della trasmissione di un programma di Rai Storia dedicato alle istituzioni, il «no» di Napolitano all’ipotesi di un bis della sua presidenza, di cui per la verità sempre più spesso si sentiva parlare negli ultimi tempi, non va interpretato con il metodo delle letture trasversali con cui in genere si esaminano le mosse dei politici italiani.

Se dice che non si ricandida, insomma, vuol dire esattamente quel che ha detto, non il contrario, e neppure che lo ha fatto per stanare la sincerità o meno di quelli che puntualmente, come succede quando il settennato volge verso la fine, hanno cercato anche stavolta di avviare anzitempo la corsa per il Quirinale.

Semmai c’è da riflettere sul momento - gennaio 2012 - in cui Napolitano ha deciso di mettere agli atti la propria indisponibilità per un’eventuale ricandidatura.

Gennaio infatti, dopo il novembre 2011 che l’aveva preceduto, era il mese in cui legittimamente l’esperimento del governo tecnico voluto dal Capo dello Stato, dopo le dimissioni di Berlusconi, poteva già dirsi riuscito. L’esecutivo guidato dal professor Monti, il candidato, ex commissario europeo, richiamato con forza alla vita pubblica dal Presidente con la decisione a sorpresa di nominarlo senatore a vita, aveva rapidamente superato la fase di rodaggio con il varo in tempi brevi delle prime due riforme, pensioni e liberalizzazioni, che dovevano dare l’impronta all’azione di risanamento e di salvataggio dell’Italia da un’emergenza grave quanto mai.

Un’azione così risoluta, e dai risultati così immediatamente concreti, che proprio in quel periodo si moltiplicavano le voci a favore, sia di un consolidamento e di una prosecuzione, anche dopo le elezioni politiche del 2013, dell’esperienza del governo tecnico sostenuto dalla larga maggioranza dei tre maggiori partiti, sia di un rinnovo del mandato al Quirinale per Napolitano, che di Monti fin dal primo momento è stato il garante.

Se invece proprio in quegli stessi giorni il Presidente ha ritenuto, in un programma in cui, data la delicatezza della congiuntura, poteva tranquillamente cavarsela con risposte formali, di cogliere l’opportunità per fugare ogni dubbio sulla possibilità di una sua ricandidatura, le ragioni intuibili sono almeno tre. La prima sta nelle sue stesse parole e nella gravosità del compito che è stato chiamato a svolgere negli anni della sua presidenza: non dev’essere stato affatto facile assistere, giorno dopo giorno, all’avvitarsi del proprio Paese in una crisi che sembrava senza ritorno e al cospetto di una classe politica incosciente, che solo dopo aver messo un piede nel baratro ha deciso di fare un passo indietro.

La seconda, più implicita, è la consapevolezza di aver dato un senso alto e percepibile al proprio mandato. Intendiamoci, specie negli ultimi anni, tutte le presidenze che si sono succedute hanno segnato la storia contemporanea e le speranze, spesso tradite, del Paese. Pertini, con il suo carattere, scosse l’albero di una Repubblica cristallizzata. Cossiga, con il piccone, la demolì. Scalfaro timonò la nave nella tempesta della prima transizione. Ciampi si assunse il compito di ridare dignità allo Stato e alla nazione.

E Napolitano - anche perché la sua storia personale è quella del primo Presidente comunista, politicamente nato e cresciuto nel Pci e all’opposizione, e solo successivamente, negli ultimi venti anni, approdato al servizio delle istituzioni -, si è assegnato l’obiettivo più difficile. Quello di un ritorno alle regole, e se possibile di un loro rinnovamento, nello spirito della Costituzione, per un Paese che s’era illuso di poter vivere in una specie di rivoluzione permanente, in cui il risultato storico di una completa legittimazione politica di tutte le forze politiche e di una piena alternanza basata sulle scelte dirette degli elettori veniva costantemente tradito da una pratica di colpi bassi, tradimenti minacciati e perpetrati, voti comperati e venduti e disprezzo delle istituzioni, e in cui le coalizioni e gli esecutivi di diversi orientamenti, che pure si succedevano democraticamente, condividevano l’incapacità pratica di governare e affrontare i problemi italiani con le necessarie riforme. Dalla transizione all’emergenza, e non solo a quella economica con cui stiamo facendo i conti. Ma anche, inevitabilmente, a quella istituzionale: questa è stata la croce portata sulle spalle da Napolitano.

Volendo abbozzare un bilancio, si può dire che l’obiettivo che il Presidente si era dato è stato raggiunto soltanto a metà. Napolitano è riuscito a por fine all’epoca berlusconiana un momento prima che questa precipitasse nel disastro. Lo ha fatto con fermezza e serenità, adoperando i normali e limitati poteri che la Costituzione assegna al Capo dello Stato. Ma trovandosi ad agire in un quadro-limite, non ha potuto che sostituire a un assetto eccezionale, un altro, diverso, ma non proprio ordinario. Il risultato politico di aver convinto uno come Berlusconi a mettersi da parte c’è tutto e sarà scritto nella storia. Ma il problema del ritorno alla normalità, anche attraverso un percorso riformatore della Costituzione che lo consenta e lo agevoli, non è affatto risolto.

La terza ragione per cui Napolitano ha escluso il bis sta in questo. Forse il Presidente s’è reso conto che per arrivare al traguardo che ha accompagnato ogni giorno del suo settennato, ed è tornato in ciascuno dei suoi messaggi di Capodanno, il tempo e le risorse che gli rimangono non bastano, ed è indispensabile che qualcuno al posto suo raccolga il testimone e continui l’opera. Oppure, al contrario - e malgrado la mediocrità che proprio in questi giorni i partiti continuano a mostrare di fronte alla gravità degli impegni che il Paese ha di fronte -, ha inteso dire che di qui alla fine del suo mandato, nel maggio del 2013, nessuno dei suoi atti potrà e dovrà essere collegato all’eventualità di una riconferma, che non a caso ha voluto escludere con largo anticipo. Napolitano insomma farà ancora tutto quel che ritiene giusto e utile. E lo farà fino all’ultimo giorno del suo mandato.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9921
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« Risposta #452 inserito:: Marzo 27, 2012, 07:23:15 pm »

27/3/2012 - TACCUINO

Il Professore Monti e lo spettro di Andreotti

MARCELLO SORGI


L’'ardito paragone fatto ieri da Monti tra se stesso e il suo governo e quelli di Andreotti e della Prima Repubblica, va considerato come un monito del premier.

Il Divo Giulio, infatti, vent’anni or sono, ai tempi della sua ultima esperienza a Palazzo Chigi, a chi lo criticava per il suo immobilismo replicò con uno dei suoi storici aforismi: «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia!». E Casini, che da giovane vecchio democristiano per l’uomo-simbolo di tutti i governi dc ha sempre nutrito ammirazione, due settimane fa al vertice di maggioranza, volendo fare un complimento al presidente del Consiglio, gli disse che lo considerava «più furbo di Andreotti».

Ma sono proprio questi precedenti e questi paragoni interessati che Monti ha voluto allontanare da sé, una volta e per tutte, ricordando che i tecnici sono stati chiamati al governo per realizzare appunto ciò che era necessario e i politici non riuscivano a fare. Di qui la necessità di misurarsi sui risultati e di portare a compimento in tempi brevi la riforma del mercato del lavoro, e al suo interno anche quella, assai contestata, dell’articolo 18. Se possibile, ha chiarito Monti - facendo eco a Fornero che aveva espresso il timore di vederla finire «in polpette» -, senza stravolgerla nel passaggio parlamentare che si annuncia lungo e defatigante.

La precisazione del premier è stata accompagnata da un ammorbidimentodella posizione del Pd, finora negativa. Dopo giorni e giorni di critiche per la decisione di chiudere la trattativa con le parti sociali senza accordo, e in aperta rottura con la Cgil, Bersani ha mandato segnali distensivi, allontanando i segnali di crisi, confermando il suo appoggio al governo, e augurandosi che il testo della riforma possa essere corretto in Parlamento e si arrivi a una formulazione condivisa. Il leader del Pd ha voluto anche ringraziare il presidente Napolitano per l’opera di mediazione svolta. Ma alcuni dei presenti hanno notato che, diversamente da altre volte, l’accenno al Capo dello Stato non è stato accompagnato da un applauso: segno che nel partito ancora prevalgono le riserve di chi forse avrebbe voluto dal Presidente una maggiore resistenza all’iniziativa del governo.In realtà Napolitanoè intervenuto sul metodo e sullo strumento più opportuno per dare il via al dibattito nelle Camere. Ma, nel merito, ha condiviso la necessità della riforma, perché è consapevole che era uno dei punti su cui l’Europa premeva sull’Italia e pertanto rientrava nel programma del governo fin dal momento della suaformazione.

Anche Pd e sindacati ne erano avvertiti: per questo, superata la campagna elettorale e il momento della propaganda, quando il confronto entrerà nel vivo, e la riforma dovrà essere trasformata in legge, anche il centrosinistra dovrà chiarire le sue vere intenzioni. Prendendo atto che una resistenza troppo ostinata alla modifica dell’articolo 18, al di là della assicurazioni che Bersani in persona ha voluto dare, alla lunga potrebbe compromettere la stabilità del governo.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9931
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« Risposta #453 inserito:: Marzo 28, 2012, 03:08:49 pm »

28/3/2012 - TACCUINO

Giochi di veti e spiragli sulle riforme istituzionali

MARCELLO SORGI

Anche se Napolitano e Schifani, alla fine di un incontro al Quirinale, si sono affrettati a sottolinearne l’importanza, e il presidente del Senato, in particolare, ha garantito che a Palazzo Madama si farà di tutto per favorirne l’iter parlamentare, è lecito dubitare ancora una volta che l’accordo siglato ieri dai segretari dei tre partiti di maggioranza, assente Monti, sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale, sia da considerare definitivo.

E’ già accaduto in passato che intese come quelle di ieri sera siano state annunciate per essere subito dopo dimenticate o travolte dalle polemiche del giorno per giorno.

Negli ultimi sei mesi è stato svolto un buon lavoro istruttorio, più volte annunciata l’intesa su rafforzamento dei poteri del premier, distinzione delle funzioni tra le due Camere, riduzione del numero di deputati e senatori, oltre che su un sistema elettorale più proporzionale, in grado di seppellire il Porcellum e di rimettere la scelta dei candidati da eleggere nelle mani degli elettori.

Ma poi il percorso delle riforme s’è sempre arenato prima di partire, complici le tensioni politiche crescenti all’interno della maggioranza e tra i partiti e il governo.

Alfano, Bersani e Casini (quest’ultimo promotore dell’incontro a tre) giurano che questa sarà la volta buona, considerano ormai superato il gioco dei veti reciproci, e anche nel caso in cui le riforme istituzionali dovessero di nuovo fermarsi (per attivare la procedura di revisione costituzionale, che prevede quattro votazioni a intervalli non minori di tre mesi, il tempo di qui alla fine della legislatura è poco), la legge elettorale potrebbe procedere per conto proprio, a partire dall’impegno sancito ieri di muoversi per un sistema che non richieda di indicare prima del voto le alleanze e lasci ai partiti le mani libere per trattare sul governo dopo i risultati delle urne.

Di qui a trovare l’intesa anche sugli altri punti (due su tutti: la soglia dello sbarramento per i partiti minori e a chi assegnare, coalizioni o partiti, il premio di maggioranza), tuttavia ne corre. E al di là dei pubblici anatemi, l’ipotesi di votare ancora una volta con il Porcellum rimane nei retropensieri di tutti i leader dei partiti. I segretari della maggioranza promettono di riparlarne già la prossima settimana, in tempo per scambiarsi gli auguri di Pasqua. Passata la quale, la campagna elettorale riprenderà fino a maggio. Volenti o nolenti, di riforme e di articolo 18, Alfano, Bersani e Casini potranno seriamente ricominciare a occuparsi solo a giugno.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9934
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« Risposta #454 inserito:: Marzo 29, 2012, 05:04:16 pm »

29/3/2012 - TACCUINO

Gli attacchi risvegliano la voglia di elezioni

MARCELLO SORGI

Avrà il suo bel da fare, al ritorno in Italia, la prossima settimana, Mario Monti, per cercare di ricucire la sua maggioranza e far ripartire la riforma del mercato del lavoro sull'impervio percorso che la attende. Se infatti la sua prima uscita, tre giorni fa, quando aveva evocato Andreotti per dire che non era disposto a tirare a campare, aveva sollecitato una reazione in positivo dei partiti (vertice a tre dei segretari della maggioranza, direzione del Pd in cerca di un'intesa sull'articolo 18), la seconda, ieri, ha colto di sorpresa un po' tutti. Irritando oltremodo Bersani, che se n'è uscito sostenendo che, di questo passo, i politici (accusati da Monti di non trovare consenso nel Paese), e i tecnici (che secondo lo stesso Monti invece lo hanno), rischiano di andare a casa insieme.

Sarà pure, come sostiene Casini, nuovamente nel ruolo del pompiere, che Monti durante il suo road-show globale mirato a consolidare la credibilità dell'Italia sui mercati, si rivolge ad interlocutori che si aspettano di sentirlo parlare così e per questo ha abbandonato la sua proverbiale pazienza. Ma le conseguenze della campagna internazionale del presidente del consiglio si fanno sentire. Il governo non rischia affatto di cadere, come l'allarme lanciato da Monti all'estero lascerebbe credere. Ma se il premier continua a martellare così, va a finire che la voglia di elezioni sempre viva nei partiti si risveglia e poi non sarà facile farla passare. Qualche timore in questo senso s'è colto nell'intervento del Presidente della Repubblica: un Napolitano insolitamente irritato, con Monti o anche con Monti, verrebbe da dire. Altrimenti non si sarebbe detto convinto che il Paese, diversamente da quel che aveva sostenuto il premier, è pronto a comprendere la necessità di riforme rigorose come quella del mercato del lavoro.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9938
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« Risposta #455 inserito:: Marzo 30, 2012, 06:14:30 pm »

30/3/2012 - TACCUINO

Il prezzo politico della paralisi

MARCELLO SORGI

Il quadro preoccupante di un intero anno di recessione, fornito dal ministro dello sviluppo economico Passera al Parlamento, la giornata difficile in Borsa e lo spread dei titoli pubblici che torna a impennarsi, a parte le preoccupazioni che hanno generato, sono serviti a capire qual è il prezzo politico della paralisi imposta al governo Monti dopo l'avvio della riforma del mercato del lavoro e lo scontro sull'articolo 18.

Pur avviata sulla strada del risanamento, l'Italia non può permettersi di dare segni di ripensamento sul percorso virtuoso imboccato quattro mesi fa.

Le incombenze della campagna elettorale, che hanno spinto i partiti, e in particolare il Pd, a prendere le distanze dal governo proprio nell'ora delle scelte più difficili, non sono compatibili con il peso, ancora molto grave, della congiuntura economica determinata dalla crisi dell'euro.

Dopo due esternazioni consecutive, Monti ieri ancora in viaggio ha taciuto. La sua polemica contro i partiti ha sollevato reazioni trattenute ma consistenti, e al rientro a Roma il premier dovrà affrontare una situazione molto difficile.

I rapporti con Bersani e Camusso si sono molto raffreddati: il presidente del consiglio tuttavia considera grave soprattutto l'atteggiamento del leader del Pd. Mentre infatti Monti non s'era mai illuso (e non ne aveva fatto mistero) di poter arrivare a un'intesa con la Cgil, al contrario considera Bersani come uno dei contraenti del patto di governo, il cui programma prevedeva chiaramente fin dall'inizio l'intervento sui licenziamenti.

Il passo indietro del Pd, o anche semplicemente la necessità, che ormai traspare, di rinviare l'iter parlamentare del disegno di legge del governo a dopo le amministrative, è inaccettabile per Monti.

Che appena tornato a Roma proverà ad esaminare con i presidenti delle Camere la possibilità di accelerare il dibattito parlamentare e l'approvazione del provvedimento, se del caso ponendo la questione di fiducia, con la motivazione, appunto, che il Paese non può consentirsi né indugi né rallentamenti nella sua strategia anti-crisi.

In attesa di ritrovarsi faccia a faccia con il premier, i segretari dei tre partiti di maggioranza contano di rivedersi prima di Pasqua in un nuovo vertice di maggioranza, per cercare di definire la materia delle riforme istituzionali e di quella elettorale tratteggiate nel loro incontro di due giorni fa.

Ma a giudicare dalle reazioni che continuano a provenire dall'interno di Pd e Pdl, il compito si sta rivelando più arduo del previsto.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9943
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« Risposta #456 inserito:: Aprile 03, 2012, 09:50:51 am »

3/4/2012 - TACCUINO

Da Articolo 18 e voto il freno al governo

MARCELLO SORGI

Nove giorni fa, al momento della partenza per l'Asia, Mario Monti sapeva di aver lasciato aperti due grossi problemi per il suo governo: la riforma del mercato del lavoro con lo scontro sull’articolo 18, e la legge anticorruzione bloccata in Parlamento, malgrado gli impegni presi nell’ultimo vertice di maggioranza.

Ieri sera, al momento del ritorno, il premier di questioni da risolvere ne ha ritrovate quattro: alle due principali, infatti, si sono aggiunte quella degli «esodati», cioè dei lavoratori che avevano firmato accordi per lasciare il lavoro e andare in pensione, e a causa dei nuovi parametri introdotti dalla riforma Fornero rischiano di ritrovarsi senza lavoro e senza pensione; e il pasticcio Imu, la mancanza, ormai in un tempo limite per consentire di fare i calcoli, dell’adeguamento delle tabelle che i comuni dovevano completare nei primi mesi dell’anno per consentire ai contribuenti e ai loro consulenti di conteggiare i versamenti della nuova tassa, ma che solo quattrocento delle oltre ottomila amministrazioni locali hanno messo a punto finora.

Monti non può assolutamente consentirsi che sulla sua scrivania si accumulino i faldoni dei dossier irrisolti. La sensazione, ormai evidente, che l'azione del governo sia rallentata, per non dire bloccata, dalle difficoltà politiche dei tre partiti che lo sostengono e dalla campagna elettorale che accentua la competizione, ha già portato, in assenza del presidente del consiglio, a un rialzo degli spread oltre la soglia di rischio consentita. Un danno sostanziale, oltre che d'immagine, che si riflette sui risultati positivi della missione in Asia e richiede un intervento immediato.

In una ricognizione con i ministri interessati, e successivamente con i tre leader di maggioranza, Alfano, Bersani e Casini, Monti cercherà di far ripartire l'attività dell’esecutivo. Le difficoltà maggiori riguardano ancora l'articolo 18. Al di là di una disponibilità formale offerta da Bersani a un'intesa che porti a far passare la riforma almeno alla Camera entro maggio, il nodo resta quello del reintegro, attualmente non previsto dalla riforma, e che il leader del Pd vorrebbe reintrodurre, per i licenziamenti economici. Casini spinge per un'intesa. Anche Alfano ha fatto una piccola apertura, ma tenendo ferma la pregiudiziale contraria ad accogliere le pressioni della Cgil. Il compito non facile della mediazione e della sintesi resta affidato a Monti. Che vorrebbe provare a risolvere la questione entro sabato, prima di ripartire per Israele.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9958
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« Risposta #457 inserito:: Aprile 04, 2012, 05:06:31 pm »

4/4/2012 - TACCUINO

Umberto nel mirino dentro e fuori il partito

MARCELLO SORGI

Lo scandalo dell’uso illecito dei finanziamenti pubblici da parte della Lega ha investito in pieno Bossi e la sua famiglia, destinatari secondo le accuse, dei fondi distratti dal tesoriere Francesco Belsito, e rischia di avere conseguenze anche più gravi del prevedibile proprio perché non è giunto inatteso. Anzi, il 22 gennaio, oltre tre mesi fa, di fronte alle prime rivelazioni sul comportamento del tesoriere, era stato lo stesso Bossi che solo ieri sera si è rassegnato a farlo dimettere - a insistere per difenderlo e ad attendere che fosse lui stesso a chiarire in che modo erano stati amministrati i fondi del partito. Ma naturalmente, nei mesi seguenti, Belsito si era ben guardato dal dare spiegazioni. Probabilmente anche perché sapeva che rischiavano di danneggiare il leader del Carroccio.

Ora tutti si chiedono se Bossi, colpito sia nella sua famiglia che nella rete di protezioni che il gruppo di dirigenti a lui più vicini, il cosiddetto «cerchio magico», gli assicurava, sarà in condizione di approntare una risposta credibile alle contestazioni dei giudici.
E soprattutto fino a che punto si spingerà la pressione di Maroni nei suoi confronti, mirata ad un’operazione trasparenza rispetto agli elettori. L’ex ministro dell’Interno, in vantaggio finora in tutti i precongressi locali della Lega in cui s’è votato, ha rilasciato ieri una dichiarazione molto dura e ha disertato il vertice con Bossi nella sede di via Bellerio. Ma nella Lega non esistono le condizioni per far si che il Senatur si rassegni a un passo indietro, né forse per immaginare una Lega senza Bossi. Bisognerà vedere quanto pagherà il Carroccio nelle prossime elezioni amministrative per uno scandalo che in gran parte, grazie alle rivelazioni dei giornali, era diventato noto alla base leghista, provocando reazioni molto dure nelle manifestazioni del partito, dove a un certo punto erano comparsi anche striscioni con su scritto «Tanzania», con un’evidente allusione agli investimenti sospetti del tesoriere del partito.

L’altra conseguenza riguarda i già sofferenti rapporti tra il Carroccio e il Pdl, schierati in maniera opposta di fronte al governo, e alla ricerca di una faticosa ricomposizione almeno per affrontare le amministrative al Nord. Anche se Berlusconi ieri si è affrettato a dichiarare pubblicamente la sua solidarietà a Bossi, sarà inevitabile, nei prossimi giorni, che il Pdl prenda le distanze dagli ex alleati e in alcuni casi cerchi di intercettare gli eventuali voti in libera uscita dalla base elettorale nordista disgustata dallo scandalo.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9963
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« Risposta #458 inserito:: Aprile 05, 2012, 03:41:40 pm »

5/4/2012 - TACCUINO

Accolta l'idea del Pd

MARCELLO SORGI

Quando si dice che la politica è l’arte del possibile: Mario Monti ed Elsa Fornero hanno confermato ieri il compromesso raggiunto dal presidente del consiglio nel vertice con Alfano, Bersani e Casini. Il reintegro ad opera del magistrato dei lavoratori licenziati ingiustamente torna ad essere possibile in tutti e tre i casi previsti dalla riforma dell’articolo 18, compresi dunque i licenziamenti economici, e non solo, com’era stato deciso in un primo momento, per quelli discriminatori e disciplinari. Alla fine, con il placet anche del segretario del Pdl inizialmente contrario, è stata accolta la richiesta di Bersani, e adesso il disegno di legge potrà marciare spedito verso l’approvazione.

Motivi di opportunità e ragioni politiche hanno spinto Monti a un sensibile aggiustamento. Nel giro di dieci giorni, come ha ammesso Fornero, non solo la Cgil e il Pd, ma anche tutte le organizzazioni sindacali, anche quelle che inizialmente avevano dato la loro adesione, avevano fatto marcia indietro. La tensione tra governo e maggioranza si era acuita ed era giunta al livello di guardia durante l’assenza di Monti per la missione in Asia. Di qui la necessità di svelenire e rimettere il governo in carreggiata.

Se Bersani incassa quel che chiedeva, anche il governo porta all’attivo il principio che adesso, in caso di serie e riconosciute difficoltà economiche, le imprese potranno ristrutturarsi senza temere che i loro piani siano sistematicamente contraddetti dall’intervento della magistratura. Migliorano inoltre le condizioni dell’accesso al lavoro per i giovani. E tutto questo dovrebbe, secondo le previsioni del governo, sollecitare investimenti stranieri nel nostro Paese o almeno rallentare il trasferimento di risorse all’estero.

Le ragioni politiche sono maturate negli ultimi giorni anche per altre ragioni. Non c’è dubbio che lo scandalo che ha investito la Lega, da una parte, e dall’altra la svolta di Di Pietro verso una linea di rottura oltre ogni limite con Monti (ieri in Parlamento il leader di Idv è arrivato a dargli la responsabilità dei suicidi di imprenditori e pensionati), spingono Pd e Pdl ad accantonare la nostalgia delle vecchie alleanze per fare i conti fino in fondo con la realtà attuale del governo e della larga (e scomoda, per certi versi) maggioranza a tre che lo sostiene adesso. E dovrà verosimilmente sostenerlo ancora a lungo.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9966
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« Risposta #459 inserito:: Aprile 06, 2012, 03:20:38 pm »

6/4/2012 - TACCUINO

Gli scandali avvicinano Pd e Pdl

MARCELLO SORGI

Data per improbabile fino a qualche giorno fa, malgrado gli impegni presi da Alfano, Bersani e Casini, la riforma elettorale torna ad essere possibile per effetto degli ultimi avvenimenti. La crisi della Lega con le dimissioni di Bossi dopo lo scandalo dell'uso illecito dei fondi pubblici, l'escalation di Di Pietro dall'opposizione alle accuse immotivate a Monti di essere il responsabile dei suicidi legati alla crisi economica, la resistenza di Vendola e della sinistra radicale all' intesa sul mercato del lavoro e sull'articolo 18, hanno reso molto difficile, ai limiti dell'impraticabile, il ritorno dei due maggiori partiti alle vecchie coalizioni, in vista delle elezioni politiche del 2013. Alfano e Bersani insomma non hanno più un "secondo forno" da restaurare, in alternativa all'appoggio all'attuale governo, e devono mettere in conto la possibilità che la formula della larga coalizione, magari non necessariamente abbinata a ministri tecnici, prosegua anche nella prossima legislatura, con Monti alla guida, come tutti, tranne l'interessato danno per scontato.

Se questa è la prospettiva e se le prossime scadenze, di qui a un anno, dovessero consolidarla, non c'è dubbio che una legge elettorale proporzionale, come quella attorno a cui si sta lavorando, sia lo strumento più adatto per raggiungere l'obiettivo. Nessuno dei tre partiti maggiori infatti sarebbe in condizione di ottenere la maggioranza nelle urne da solo. E soltanto una coalizione dei primi due, Pdl e Pd, al momenti la più improbabile delle combinazioni, potrebbe puntare a superare il cinquanta per cento dei voti, scontando il rischio di una secessione dei rispettivi elettorati, fin qui aizzati anno dopo anno l'uno contro l'altro.

Problemi da risolvere ce ne sono, a cominciare dall'opportunità o meno di mantenere il premio di maggioranza, assegnandolo al partito vincitore o al primo e al secondo della classifica, dall'eventualità, per i partiti, di continuare a presentarsi con un candidato premier o no, dal momento che i governi tornerebbero ad essere formati in Parlamento, e non decisi nelle urne dagli elettori. E soprattutto dalla capacità, per gli stessi partiti, di abbinare al nuovo meccanismo elettorale un minimo di riforme istituzionali (riduzione del numero dei parlamentari, distinzione delle funzioni tra le Camere, rafforzamento dei poteri del premier), per cercare di recuperare ascolto presso i cittadini e di ricostruire una credibilità ormai quasi irrimediabilmente scossa dall' ultima serie di scandali.

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« Risposta #460 inserito:: Aprile 11, 2012, 07:03:33 pm »

11/4/2012 - TACCUINO

Una norma cercata alla svelta come alibi

MARCELLO SORGI

Anche se è comprensibile l’urgenza di dare risposte a un’opinione pubblica sbigottita dagli scandali, la fretta con cui si sta procedendo a definire il nuovo sistema di finanziamento pubblico (o di rimborsi, tanto è lo stesso) dei partiti rischia di essere cattiva consigliera. Una nuova legge approvata precipitosamente, perfino più velocemente di un decreto, in materia, rischia innanzitutto di trasformarsi in un alibi per tutti i coinvolti in inchieste che devono ancora essere definite: vale per la Lega, in cui bisognerà capire fino a che punto Bossi era veramente ignaro degli illeciti dei suoi familiari e famigli, ma vale anche per la Margherita, in cui le difese, ma anche le accuse, del tesoriere Lusi, dovranno essere attentamente riscontrate.

Inoltre fare una legge di finanziamento dei partiti senza sapere per che tipo di partiti la si fa è quanto meno singolare. Stando a pubblici e recenti impegni infatti, siamo alle soglie di un cambiamento istituzionale e politico per cui i partiti leggeri, liquidi, all’americana della Seconda Repubblica, cioè queste specie di comitati elettorali permanenti costruiti attorno ai leadercandidati premier, stanno per essere riconvertiti, grazie a una nuova-vecchia legge elettorale proporzionale, in una forma più simile a quella della Prima: partiti strutturati, partitoni con correnti di maggioranza e minoranza, sedi dislocate sul territorio, congressi biennali e così via. Costeranno di più o di meno? Nessuno lo dice, ma è chiaro che costeranno di più. E tanto per fare un esempio: se torneranno le preferenze, i rimborsi dovranno andare sempre ai partiti, o ai candidati che ne raccolgono di più, o essere ripartiti tra i primi e i secondi?

Sono questioni non di poco conto, le prime che vengono in mente. D’altra parte, se davvero si vuol procedere, come si dice, e com’è ormai indispensabile agli occhi di tutti, a un ridisegno dell’assetto istituzionale del Paese e di una parte della sua Costituzione, farlo precedere da una questione come quella del finanziamento, che di logica verrebbe dopo, rischia di aggiungere confusione a confusione. Tutto ciò, non per parlar d’altro o rinviare un problema ormai maturo, ci mancherebbe. Semmai, al contrario, per dare il giusto peso a una questione, come quella dell’esistenza e del funzionamento trasparente dei partiti, che non va trascurata, proprio perché nella Costituzione i partiti non certo questi attuali, e neppure forse quelli che verranno, se continua di questo passo - sono descritti come architravi della democrazia italiana. E se crollano, c’è da temere, finisce che viene giù tutto.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9983
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« Risposta #461 inserito:: Aprile 12, 2012, 03:40:40 pm »

12/4/2012

L'alleanza obbligata Bobo-Umberto

MARCELLO SORGI

La scelta di Roberto Maroni di recarsi in Procura, offrire il massimo di collaborazione della Lega a far luce sui propri conti interni e sullo scandalo dell’uso illecito dei rimborsi elettorali è un segno ulteriore, dopo la serata delle scope in cui l’ex ministro dell’Interno è apparso al fianco di Bossi per promettere pulizia nel partito, che il futuro del Carroccio si giocherà senza rotture, sulla base di un compromesso tra il fondatore e l’uomo che fu il suo delfino, e senza soluzioni precostituite sul dopo. Vuol dire insomma che Maroni potrà essere il successore di Bossi, che deve considerarsi caduto qualsiasi pregiudizio interno nei suoi confronti, dopo i mesi terribili di questo inizio d’anno in cui si era perfino tentato di impedirgli di parlare. Ma anche che alla fine lo sbocco potrà non essere quello e al congresso Bossi giocherà la sua partita.

Ci sono varie ragioni per cui alla fine è prevalsa questa linea. Anche prima dello scandalo, il congresso di un partito come la Lega, che non ne fa da dieci anni, si presentava problematico. Il Carroccio non è in grado di lasciare che Bossi sia travolto perché nessuno è in grado dire cosa diventerebbe e se davvero continuerebbe ad esistere la Lega senza Bossi. Il Senatur, da parte sua, come ha fatto pubblicamente martedì sera sul palco di Bergamo, accetta di fare la figura del leader ammalato e raggirato da familiari e famigli infedeli, anche se questo rappresenta lo sfregio più pesante del suo carisma storico. Le fibrillazioni dei veneti, in assenza di chiarezza sulla prossima legge elettorale, forse giocano di più del timore dell’esito imprevedibile delle prossime elezioni amministrative al Nord: non è detto insomma, non è scontato che la Lega possa restare unita con gli attuali confini interni. L’assenza di Flavio Tosi, sindaco di Verona, alla manifestazione di Bergamo, era molto eloquente: nessuno infatti era in grado di dire come sarebbe andata a finire. Fin qui è solo quel che è emerso in questi giorni: ma è chiaro che molte minacce interne, molte promesse di vendetta si agitano ancora sotto la superficie del partito scosso dallo scandalo.

Così, sulla base di un armistizio interno e della probabile cacciata di Rosy Mauro, dopo quella di Renzo Bossi, dal partito, i leghisti si attrezzano a un futuro di sopravvivenza. Sapendo che un certo modo di essere per loro è finito per sempre, ma non quale sarà quello nuovo, e soprattutto se ci sarà, dopo che lo scandalo ha fatto apparire il partito nato geneticamente diverso dagli altri vent’anni fa, come e forse peggio degli altri.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9984
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« Risposta #462 inserito:: Aprile 17, 2012, 12:00:56 pm »

17/4/2012 - TACCUINO

L'esecutivo cerca la strada per uscire dalle secche

MARCELLO SORGI

Mario Monti prova a portare il suo governo fuori dalle secche in cui si è arenato. Il consiglio dei ministri di ieri, con l’approvazione delle delega fiscale, e il vertice di maggioranza di stasera, con Alfano, Bersani e Casini, sono due passi che vanno in quella direzione. La riforma fiscale, anche se i tempi si annunciano molto lunghi, dovrebbe almeno consentire di sperare, in caso di miglioramento della congiuntura economica, di ipotizzare una riduzione delle tasse almeno per la fascia di contribuenti più poveri. Preceduto da una telefonata di disgelo tra il presidente del consiglio ed Emma Marcegaglia, l’annuncio di un nuovo ritocco al testo della riforma del mercato del lavoro, per venire incontro alle richieste di Confindustria, dovrebbe servire a creare le condizioni per una conclusione positiva del vertice di stasera.

Per Monti, venire a capo dell’infinita trattativa sulla riforma è vitale. Dopo le resistenze di Pd e sindacati, superate con la reintroduzione della possibilità di reintegro anche per i licenziamenti economici, oltre a quelli disciplinari e discriminatori, il fronte aperto con le imprese e con il Pdl schierato al loro fianco rischiava di paralizzare l’iter parlamentare del disegno di legge. Altrettanto importante è sbloccare la legge anticorruzione, in mano alla ministra di giustizia Severino, impegolata in una serie di veti incrociati.

Ma è inutile nasconderlo: è tutto il clima attorno al governo che nel giro di pochi giorni s’è deteriorato. La campagna elettorale, i sondaggi negativi, il moltiplicarsi delle inchieste giudiziarie (negli ultimi giorni anche la posizione del governatore della Lombardia Formigoni s’è appesantita), che aggravano il rapporto con l’opinione pubblica, la questione del finanziamento pubblico sul quale i partiti hanno cercato senza riuscire a trovarla una soluzione, sono tutte cause che si sommano e indeboliscono la solidarietà interna della maggioranza a tre e il sostegno a Monti. Non è certo un buon segno il terzo vertice in poche settimane per trovare una soluzione concordata sul lavoro.

Per capire se davvero potrà essere considerato quello definitivo, basterà vedere se Monti, una volta ritrovata l’intesa, sarà in grado di presentare un maxiemendamento al testo giacente in Parlamento, sul quale poi porre la fiducia.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10006
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« Risposta #463 inserito:: Aprile 18, 2012, 03:56:20 pm »

18/4/2012

Governo, ora serve una nuova investitura

MARCELLO SORGI

Quando ci si chiede perché il governo dopo l’invidiabile sprint iniziale con cui aveva realizzato per decreto la riforma delle pensioni e ristabilito a tempo di record le relazioni con i principali partners europei e internazionali -, negli ultimi due mesi è ripiegato su se stesso, e si trascina da inizio d’anno in un’interminabile trattativa sul mercato del lavoro, non c’è molto da approfondire per trovare la risposta, che è sotto gli occhi di tutti. Un presidente del Consiglio che quasi tutte le settimane deve convocare un vertice di maggioranza per rimettere insieme la coalizione che lo sorregge - facendo i conti, ora con la sinistra, ora con la destra, e ogni volta ricominciando da capo perché sinistra e destra sono alleate e avversarie allo stesso tempo - in pratica non è messo in condizione di lavorare.

Neppure ai tempi della Prima Repubblica quando i debolissimi governi pentapartitici si trascinavano da una «verifica» a una crisi il ritmo delle rinegoziazioni programmatiche e dei continui compromessi tra le forze politiche era così frequente e nevrotico.

Se hanno sottoscritto un programma d’emergenza che prevede una serie di riforme, dure da far digerire agli elettori, ma indispensabili per uscire dalla crisi, i partiti non possono rimangiarsene ogni giorno un pezzetto, tal che, un emendamento oggi e uno domani, intanto i provvedimenti restano impantanati in Parlamento, e quando si arriva alla formulazione finale, spesso si tratta di una versione edulcorata e meno efficace del testo che si voleva approvare in partenza. Lo stesso vale per le parti sociali, si tratti della Cgil e dei sindacati che hanno premuto sul Pd per ottenere il ridimensionamento della nuova disciplina dei licenziamenti, o della Confindustria che ha chiesto e ottenuto l’appoggio del Pdl per annacquare le nuove norme sul precariato e sulle flessibilità in entrata.

Quel che i mercati hanno capito, o meglio non riescono a comprendere fino in fondo, è esattamente questo. Quegli stessi mercati che avevano accolto favorevolmente la decisione dei partiti di fare un passo indietro e affidare a un tecnico di prestigio come Monti le scelte dolorose che nessun governo politico era stato in grado di fare, adesso non si spiegano cosa stia succedendo in Italia. Tutto sarebbe più chiaro se qualcuno avesse cambiato idea, mettendo in campo un’altra ricetta, come ad esempio sta accadendo in Francia, dove il candidato socialista Hollande propone l’esatto contrario della linea seguita fin qui dal presidente Sarkozy. Ma finora non è accaduto. Alfano, Bersani e Casini si preoccupano, com’è naturale, dei loro elettori, sottoposti a una cura da cavallo di sacrifici che sta già lasciando i suoi segni, si lamentano della recessione e del fatto che non si riesca a far nulla di concreto e urgente per la crescita, ma al dunque concordano che non c’è alternativa, né a Monti né a quel che Monti sta facendo.

L’intiepidimento dei rapporti con il governo ha inoltre coinciso con l’esplosione di una serie di scandali, che hanno portato ai minimi termini la già mediocre fiducia dei cittadini nei partiti. I quali si lamentano del fatto che li si faccia apparire tutti uguali e tutti allo stesso modo corrotti, cosa che ovviamente non è. Ma se negli stessi giorni in cui la Lega Nord, vale a dire il campione dell’antipolitica nato e cresciuto sullo slogan «Roma ladrona», affondava nella vergogna dell’inchiesta sull’uso privato da parte di familiari e famigli di Bossi dei rimborsi elettorali, sull’inverosimile serie di investimenti di fondi pubblici in Tanzania e a Cipro e sugli acquisti personali di diamanti, il governatore della Lombardia Formigoni, mentre due assessori della sua giunta erano costretti alle dimissioni, veniva coinvolto in un’altra indagine su una fondazione a lui vicina, e quello della Puglia Vendola in un ennesimo scandalo sanitario, si dovrà pur riconoscere che il fenomeno della corruzione è più che diffuso, e abbraccia ormai gran parte delle forze politiche. Gli episodi recenti non devono far dimenticare i precedenti che a ritmo incessante hanno scandito fin qui tutta la legislatura, e riguardato partiti che adesso, dimentichi di quel che si portano dietro da mesi, si comportano vanamente da primi della classe. Con l’incredibile paradosso che, mentre emerge a tutti i livelli l’ignominia di uno Stato che paga il quadruplo, dicasi il quadruplo, di quel che i partiti spendono come gli pare, i loro leader, con qualche piccola eccezione, sostengono di non poter rinunciare neppure a una parte degli oltre cento milioni di euro da incassare entro luglio. Un suicidio politico a dispetto dell’indignazione dei loro stessi elettori.

E’ di fronte a tutto ciò che Monti è apparso in questi giorni per la prima volta in difficoltà. E non, paradossalmente, come sostiene qualcuno, perché un tecnico, sia pure di altissimo livello come lui, non ha gli strumenti per affrontare una situazione politica così complessa. Nell’attuale contesto, infatti, di politico non c’è molto. Le rassicurazioni che anche ieri il presidente del Consiglio ha ricevuto nell’incontro con i tre segretari della maggioranza possono servire, ma non certo bastare ad affrontare il quadro di logoramento in cui è immerso il governo. Serve un nuovo scatto, una nuova investitura, e soprattutto serve l’impegno a mettere il presidente del Consiglio in condizione di portare avanti il suo programma senza ulteriori intoppi.

Non è il momento della memoria corta. Si tratta in fondo di riconoscere a Monti il ruolo che fu di Ciampi quasi vent’anni fa, in un’analoga e altrettanto difficile circostanza. I partiti che si dimenano e rischiano di affogare avrebbero tutto da guadagnare. L’antipolitica, che dicono di temere, si batte anche togliendo il guinzaglio al governo tecnico. E mettendolo in condizione di svolgere pienamente il ruolo politico che gli spetta e il compito di guida del Paese che gli è stato affidato.

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« Risposta #464 inserito:: Aprile 19, 2012, 04:55:38 pm »

19/4/2012 - TACCUINO

Per il governo il rapporto con il Pdl si fa più delicato

MARCELLO SORGI

Anche se nessuno martedì sera aveva creduto troppo alle promesse di solidarietà pronunciate anche da Alfano all'uscita dal vertice di maggioranza, da ieri Monti è di nuovo alle prese con il Pdl a causa della decisione, annunciata dal ministro Passera, e confermata dal presidente del Consiglio, di mettere all'asta le frequenze televisive che il precedente governo aveva deciso di assegnare con la discussa procedura del «beauty contest».

La notizia s'era già diffusa due sere fa subito dopo l'incontro, mentre i partecipanti alla cena di Palazzo Chigi negavano che se ne fosse parlato e insistevano sui lati positivi della discussione appena finita. Ma la successiva decisione di Berlusconi di far saltare l'appuntamento di oggi a colazione con Monti è suonata come conferma che un nuovo caso è aperto. Il Cavaliere ha detto che aveva deciso di non andare proprio per evitare polemiche. Ma il problema rimane. Passera ha infatti spiegato che il testo preparatorio dell'asta delle frequenze era stato messo a disposizione dei partiti di maggioranza, da cui non era venuto alcun rilievo formale. Durissime sono state invece, sia la reazione dell'ex ministro delle comunicazioni Paolo Romani, che ha parlato di «tradimento» del governo, sia quelle del gruppo Mediaset, che per bocca del suo presidente Fedele Confalonieri ha minacciato di disertare l'asta. In questo clima il faccia a faccia tra l'ex premier e quello attuale era assolutamente sconsigliato: anche perché Monti, nella conferenza stampa di presentazione del documento di programmazione economica (Def) varato ieri, s'è schierato per l'asta delle frequenze al fianco del suo ministro e ha fatto un richiamo generale ai partiti a non ostacolare il suo lavoro. Va da sé che qualsiasi tentativo di venire incontro al Pdl su questa delicata materia troverebbe il Pd contrario. Di qui la prospettiva di un altro rallentamento dei lavori parlamentari, già oberati da resistenze incrociate su tutti i provvedimenti in discussione.

Gli altri dati forniti durante l'illustrazione del Def purtroppo non sono confortanti: Monti ritiene che di crescita non si potrà parlare prima del prossimo anno e le difficoltà di quello attuale, in termini di congiuntura e con tutte le conseguenze di disoccupazione crescente e sofferenza per le aziende, continueranno. Sarà già un bene se il quadro non tenderà ad aggravarsi. E proprio questo ha determinato la richiesta di maggior senso di responsabilità rivolta ai partiti che sostengono il governo.

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