WALTER VELTRONI ...
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Veltroni: la crisi è un'emergenza, governo primo responsabile
Emergenza nazionale, per la crisi economica, per le politiche insufficienti del governo. Per provvedimenti come la social card, che è una «presa in giro per gli anziani». È un discorso duro e senza freni quello di Walter Veltroni, segretario del Pd, che ha incontrato a Torino sindacalisti ed imprenditori. «L'Italia vive un'emergenza nazionale, ma se non lo sentiamo davvero non riusciamo a muoverci nella direzione giusta. Non lo dico con enfasi o con leggerezza - ha detto Veltroni - stiamo vivendo davvero in una situazione di emergenza nazionale: il Paese era già spaccato in due ed aveva un debito pubblico elevato, ma adesso decine di migliaia di esercizi commerciali chiudono, centinaia di migliaia di lavoratori sono stati mandati a casa».
E il governo cosa fa? «Bisognerebbe chiederlo a 'Chi l'ha visto? - ha aggiunto Veltroni - negli ultimi giorni ha ricevuto Fiorello e le due gemelle dell'Isola dei famosi, immagino due grandi statiste, ha commentato il caso di Kaka.... L'Italia ha bisogno di ben altro presidente del consiglio: ne servirebbe uno che sta seduto dal mattino alla sera al tavolo a cercare le risorse per tirare il paese fuori dalla crisi. Purtroppo, questo governo è drammaticamente non all'altezza».
Questa convinzione porta il segretario Pd a pensare che «l'Italia di fronte alla crisi ha capito che ha bisogno di essere guidata da una grande forza riformista. La gente - ha detto Veltroni - sta capendo l'inganno perpetrato dalla destra, lo sta capendo molto più di quanto non si pensi. Attorno al Pd c'è una grande attesa: non faccio proclami, il paese lo vogliamo cambiare sul serio e lo possiamo fare se saremo sempre noi stessi. Un Pd unito, dove si discute, ma poi si combatte lealmente insieme».
Proprio sulla necessità di essere uniti, è intervenuto Pierluigi Bersani, che rispondendo ai giornalisti riguardo alle voci che lo danno come successore di Walter Veltroni alla guida del Pd, ha detto: «Anch'io leggo sui giornali che mi si accrediterebbe come successore di Veltroni». «Semplicemente la cosa - ha spiegato - è nata dal fatto che io ho qualche idea su come rafforzare il progetto del Pd e certamente quando sarà il momento dirò le mie idee. Punto e basta».
Veltroni non ha escluso inoltre la possibilità di una grande manifestazione contro il governo. «Le manifestazioni si possono fare contro le scelte del governo, ma anche contro la mancanza di un piano. La crisi è esplosa in estate e non ci sono provvedimenti per affrontarla. Il Paese è fermo e non cresce».
Alle accuse del Pd il governo risponde senza entrare nel merito dei contenuti, ma gioca sulle dichiarazioni. «Come al solito Veltroni falsifica la realtà. Il presidente Berlusconi non ha detto che gli viene l'itterizia se parla con l'opposizione. Ha detto invece che è la parola 'dialogo' a fargli venire l'itterizia, ovvero il mal di fegato, perché con questa sinistra che lo insulta in continuazione ogni tentativo di dialogo è sempre risultato vano», ha affermato Paolo Bonaiuti, portavoce del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
30 gennaio 2009
da unita.it
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Il Pd, le europee e il logoramento di Veltroni
di Emilia Patta
«La legge sullo sbarramento alle europee è uno spartiacque: o si va avanti con un modello con due grandi partiti e 3-4 forze intermedie o si torna indietro con coalizioni frammentarie, divise, non in grado di governare». Domattina si riunirà il gruppo del Pd alla Camera per trovare una posizione unitaria sulla riforma delle legge elettorale per le europee: sbarramento al 4% e mantenimento delle preferenza è l'accordo raggiunto dal leader Walter Veltroni con il Pdl. Ma le parole del numero due del Pd Dario Franceschini fanno capire che in gioco c'è molto altro oltre al meccanismo con cui saranno eletti i deputati italiani a Strasburgo: la scelta tra un modello tendenzialmente maggioritario e bipartitico, ossia con due grandi partiti al centro di due coalizioni che si fronteggiano, o il ritorno a un sistema proporzionale con alleanze tradizionali tra una sinistra e un centro.
Lo spartiacque è qui, e il destinario dell'ultimatum è Massimo D'Alema. Che in un'intervista al Messaggero rilanciava domenica tutti i suoi dubbi.
Il compromesso raggiunto sullo sbarramento al 4% - è il ragionamento dell'ex premier - è accettabile. Il problema è di opportunità politica: «Domando se convenga al Pd andare avanti per questa strada. Si rischia non solo di inasprire i rapporti con i potenziali alleati alle amministrative (il riferimento è alla sinistra radicale, che domattima protesterà davanti al Quirinale contro lo sbarramento alle europee, ndr), ma anche di suscitare sentimenti di rigetto in parte dell'opinione pubblica che sospetta il prevalere di interessi particolari». Ossia il sospetto di "inciucio" con Silvio Berlusconi e il sospetto di "killeraggio" nei confronti degli ex compagni di Rifondazione. Tutti sospetti che potrebbero ingrossare le fila dei delusi del Pd (o meglio degli ex Ds) orientati a dare il voto a un Antonio Di Pietro sempre in salita nei sondaggi (l'Ispo di Renato Mannheimer lo dava stamattina potenzialmente al 10 per cento).
Sullo sfondo la questione delle alleanze, certo (e non ha tutti i torti D'Alema a far notare che oggi appare impossibile «lanciare una sfida di governo credibile riproponendo la coalizione Pd-Idv»). Ma anche, ormai in maniera esplicita, la questione della leadership («il partito così non va», dice ancora D'Alema). Con Pier Luigi Bersani intenzionato a candidarsi come anti-Veltroni al congresso del dopo-europee.
Domani il probabile pronunciamento dei Democratici per la soglia al 4 per cento. E anche il deputato D'Alema voterà disciplinatamente.
Ma certo la discussione attorno alla riforma elettorale per le europee ha aperto ufficialmente la guerra di successione all'interno del Pd.
Si aspetta solo il verdetto delle europee. L'unico rischio di questo lento logoramento è lo sfiancamento non solo dei logorati, ma anche dei logoratori.
da ilsole24ore.com
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Il «day after» del segretario dimissionario tra rimpianti e prospettive future
Veltroni: non ce l'ho fatta, vi chiedo scusa
«Ma il Pd resta un sogno che si è realizzato. Ora nessuno pensi di tornare al passato». «Basta sinistra salottiera»
MILANO - Il Pd non è nato come un «partito-Vinavil» capace di «tenere incollata qualsiasi cosa». E' al contrario un progetto ambizioso e a lungo termine, finalizzato a «far diventare il riformismo maggioranza nel Paese». Un partito inserito nella società, capace di raccoglierne le istanze e gli umori. Capace di voltare pagina e superare «questa Italia da Gattopardo». E di sconfiggere una destra e un Berlusconi che hanno vinto «una battaglia di egemonia nella società» e che ora «hanno la possibilità anche di stravolgere i valori della società stessa, costruendo un sistema di disvalori contro i quali bisogna combattere con coraggio». Per fare questo occorreva dar vita ad un partito nuovo, mai visto nella storia italiana del dopoguerra. Tuttavia, «io non ci sono riuscito ed è per questo che lascio e chiedo scusa». Walter Veltroni spiega così, in un intervento di commiato davanti alla stampa e a molti dirigenti del centro sinistra, le dimissioni da segretario del Partito democratico all'indomani della sconfitta elettorale in Sardegna. Un risultato, quello sardo, che ha certamente influito sulla decisione ma che non ne è stato la causa: «già nei giorni scorsi - sottolinea l'ormai ex numero uno del centrosinistra - era chiaro che si dovesse aprire una pagina nuova». Dario Franceschini assumerà il ruolo di reggente del partito fino a che non sarà presa una decisione sul nuovo vertice. E per sabato è convocata l'assemblea costituente del Pd che avrà all'ordine del giorno le dimissioni del segretario e gli adempimenti statutari conseguenti.
IL RIMPIANTO - Veltroni inizia il suo intervento nella sala Adriano di Piazza Di Pietra a Roma parlando di «rimpianto», per un'idea buona ma partita troppo tardi, perché «il Pd doveva nascere già nel 1996», dopo la vittoria elettorale di Prodi. «L'idea alla base dell'Ulivo - spiega Veltroni - era la possibilità di cambiare il Paese, cosa che il governo Prodi, che al suo interno aveva due ministri che sarebbero poi diventati presidenti della Repubblica, aveva iniziato a fare. E se l'esperienza di quel governo fosse stata portata a termine, tutto il corso della storia italiana sarebbe stato diverso». E oggi che il Partito democratico è nato, aggiunge, è la «realizzazione di un sogno» perché dal dopoguerra «non c'è mai stato un ciclo veramente riformista». L'Italia, secondo Veltroni, è un po' quella da Gattopardo, una nazione che non riesce a cambiare mai nel suo assecondare vocazioni e privilegi e che il centrodestra a suo dire interpreta assai bene. «E qui sta, secondo me, la sfida principale del Partito democratico, ovvero la sua vocazione maggioritaria: conquistare il consenso con una maggioranza reale, perché dal 1994 noi non abbiamo mai avuto la maggioranza degli italiani ma è a quella che dobbiamo puntare. Perché se non creiamo una grande forza riformista, questo Paese non cambierà mai».
IL PARTITO-VINAVIL E L'EGEMONIA DI BERLUSCONI - «Il Pd - puntualizza Veltroni - non deve essere una sorta di Vinavil che tiene incollata qualunque cosa. E' nella società che deve essere chiara la nostra proposta. La destra ha vinto, il successo del Pdl per noi è difficile da capire. Berlusconi ha vinto una battaglia di egemonia nella società, perché ha avuto i mezzi e la possibilità anche di stravolgere i valori della società stessa, costruendo un sistema di disvalori contro i quali bisogna combattere con coraggio, anche quando il vento è più basso, ma sapendo che se la vela è posizionata nella giusta direzione, prima o poi arriverà il vento alle spalle che spingerà in avanti». Ma il vero problema, secondo Veltroni, non è la politica di Berlusconi, bensì il fatto che questa posizione riesca a conquistare consenso tra gli elettori.
«IL PD IO L'HO VISTO» - Il segretario uscente ha poi spiegato i tre punti su cui il Pd ha cercato di impegnarsi in questi mesi. A partire dalla semplificazione della vita politica e sociale del Paese, concetto, questo, che «non è figlio della volontà di ridurre le differenze, ma è l'idea di una democrazia che decida». Poi l' innovazione programmatica, il superamento dei vecchi schemi della sinistra, per affrontare le nuove sfide della società. E, terzo, l'innovazione della forma partito: «Speravo se ne potesse realizzare uno nuovo, aperto» con una partecipazione forte dal basso, «non come nella destra dove c'è uno solo che decide». «Io a tratti il Partito democratico l'ho visto» sottolinea però Veltroni ricordando tutti i principali momenti di coinvolgimento della base popolare del centrosinistra, dalle elezioni dello scorso anno alla manifestazione del Circo massimo, passando per le iniziative a difesa della Costituzione.
«NON CE L'HO FATTA» - Viene poi il momento dell'assunzione di responsabilità. «Non ce l'ho fatta a fare il partito che sognavo io e che sognavano i 3 milioni e mezzo di cittadini che hanno votato alle primarie - dice con determinazione -. Non ce l'ho fatta e me ne scuso. Sento di non aver corrisposto alla spinta di innovazione che c'era e di non averlo fatto forse per un riflesso interiore che mi ha portato al tentativo costante di tenerci uniti». Del resto, «in questo partito c'è bisogno di più solidarietà, che ci si senta tutti maggiormente squadra, che vi sia una partecipazione comune ad un disegno che è compito di chi è chiamato a dirigere assicurare». «Penso - evidenzia poi Veltroni - che il passaggio che si farà nei prossimi giorni si dovrà accompagnare a energie nuove, dovremmo fare un partito capace di raccogliere sempre di più la sua esperienza, capace di non chiedere più a nessuno "da dove vieni", ma solo "dove vai"». Alla manifestazione del 25 ottobre, ad esempio, «c'erano solo bandiere del Pd, non quelle dei vecchi partiti».
«BASTA CON LA SINISTRA SALOTTIERA» - Per Veltroni è necessario «passare da sinistra salottiera, giustizialista e conservatrice» ad un centrosinistra che creda nella legalità, che abbia coraggio di cambiare, che riscopra il contatto con la società: insomma, «fuori dalle stanze e dentro la vita reale delle persone».
«SCELTA DOLOROSA MA GIUSTA» - «Ma io non sono riuscito a fare tutto ciò ed è per questo che mi faccio da parte - ribadisce ancora una volta il segretario uscente -. E' una scelta dolorosa ma giusta, anche per mettere al riparo il Pd da ulteriori tensioni e logoramenti. Era chiaro già nei giorni scorsi che si dovesse aprire una pagina nuova». «Non chiedete con l'orologio in mano a chi verrà dopo di me di ottenere subito dei risultati» dice poi Veltroni, perché «un grande progetto richiede anni, come è capitato con Mitterand o Lula». In Germania o in Gran Bretagna, ricorda poi Veltroni, i progressisti hanno perso le elezioni locali e nessuno si è dimesso. «Noi invece in questi anni abbiamo cambiato sei o sette leadership, mentre Berlusconi è sempre lì, che vinca o che perda. Quindi - dice il leader del Pd - a chi verrà dopo di me si conceda il tempo di lavorare, quello che io forse non mi sono conquistato sul campo». C'è spazio anche per una citazione biblica: «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Anzi, a me è stato fatto, ma io non lo farò». Veltroni invita poi a recuperare l'orgoglio dell'appartenenza e considerando che il lavoro da fare per cambiare il paese è molto, puntualizza, «non si può mettere insieme tutto e il contrario di tutto», ma «è necessario che la spinta riformista prevalga».
«VERRA' IL TEMPO...» - «Il Pd dovrà unire il Paese - commenta infine l'ex segretario al termine del suo messaggio di commiato - mentre la destra lo vuole dividere. Unirlo tra forze sociali, tra nord e sud, tra giovani e anziani. Verrà un tempo in cui questo possa accadere. Io spero di avere dato un contributo. Ora lascio ma con assoluta serenità e senza sbattere la porta, al contrario cercherò di dare una mano a questo progetto. Quando camminerò per la mia città - dice in conclusione Veltroni annunciando di aver già chiesto che gli venga revocata la scorta e dedicando un lungo capitolo ai ringraziamenti di tutte le persone che hanno collaborato con lui in questi mesi (con un pensiero anche a i presidenti delle Camere, Fini e Schifani, definiti "interlocutori corretti) - avrò la sensazione di aver passato la mia vita a fare cose per gli altri. Sono più portato ad essere uomo delle istituzioni che uomo di partito. Adesso avrò modo di gestire il mio tempo». Poi un'esortazione finale: «Non bisogna tornare indietro. Oggi ci sono le condizioni perché questo partito possa finalmente realizzare il sogno di una maggioranza riformista in questo Paese, il sogno di una stagione in cui il riformismo si fa maggioranza. Non venga mai la tentazione di pensare che c’è uno ieri migliore dell’oggi».
Alessandro Sala
18 febbraio 2009
da corriere.it
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Soru sconfitto (anche) da Soru
di Mariano Maugeri
Nelle sconfitte, le più truci come quelle più lievi, si materializzano i fantasmi che ognuno di noi si porta dentro: paure infantili, incubi mai sopiti, amori traditi.
Renato Soru, un giorno qualsiasi della sua prima vittoriosa campagna elettorale del 2004, concesse al Sole 24 Ore un'intervista volante dopo aver parlato per oltre un'ora a un centinaio di allevatori e agricoltori di Pozzomaggiore, mille abitanti persi nei pascoli della provincia di Sassari.
Durante la chiacchierata in un piccolo bar che sembrava un saloon, alberi di sughero e nulla, alla domanda neppure così scontata, visto che allora Tiscali veleggiava in ben altre acque – «perché si candida?» – lui diede una risposta che raggelò i collaboratori che lo accompagnavano: «E perché non dovrei farlo? Tanto siamo già tutti morti». Forse era una frase a effetto, forse no. Quelle parole ci sono tornate in mente leggendo il libro di un giornalista sardo, Costantino Cossu, che racconta del padre di Soru, Egidio, e della madre, Gigetta Spada, che a Sanluri gestivano contemporaneamente «un'agenzia di pompe funebri, un'edicola e un negozio di generi alimentari».
Nessuno può sapere come si srotoli un'infanzia giocando a nascondino tra salme, pigne di giornali e cosce di prosciutto cotto, certo è che un apprendistato simile obbliga a porsi precocemente delle domande che altri ragazzini rimandano nel tempo.
In questi anni, l'abbiamo visto attorcigliato cocciutamente a un'idea di sé e della Sardegna. Se c'è un filo rosso che lega alcuni governatori del Sud Bassolino e Soru in testa malgrado la loro incommensurabile diversità, è proprio questo: il politico ha fagocitato l'uomo. Non si può litigare sistematicamente e liquidare in malo modo sette donne su otto scelte una a una da lui; e non si possono spingere alle dimissioni gli uomini più valenti – assessori, tecnici - dell'esecutivo. In queste continue contrapposizioni, fratture, scontri, c'è un'idea di sé che non torna. Soru contro Soru. L'elenco è lunghissimo. L'ex governatore ha rotto bruscamente con tutti: da Paolo Maninchedda, il docente di filologia romanza che scrisse il suo programma, al pubblicitario Gavino Sanna, uno che naviga da una vita in un mondo di narcisisti e caratteriali, allenato per mestiere a trattare con personalità esplosive. Persino il suo fidato braccio destro, Franco Carta, cresciuto alla scuola di un gentiluomo e intellettuale democristiano come Gian Mario Selis, è stato tentato di mandarlo quel paese. Forse è una lettura prepolitica, ma solo così riusciamo a spiegarci il tracollo elettorale di un uomo che per quasi cinque anni ha gestito la spesa pubblica di una regione a statuto speciale, cioè il 70% del Pil isolano. Se a quelli dello Stato, sommiamo il patrimonio personale, non c'erano Cappellacci e premier che potessero scalzarlo.
La politica si nutre di simboli, e pure le dosi omeopatiche contano. Obama ce l'ha insegnato, sorridere non è reato, dovrebbero alzare i cartelli i giovani isolani. Che poi sarebbe un modo di esorcizzare questa identità sublimata, storie tristissime di servi pastori, i giovinetti deportati per mesi nel Supramonte: isolamento coatto, analfabetismo, affetti negati. Nel film Padre padrone, i fratelli Taviani uccidono simbolicamente il padre di un servo pastore. Ieri, i sardi, hanno ripercorso le orme di quel copione, perché la morte del padre celebra la rinascita del figlio.
Ed è inutile indugiare su chi politicamente, s'intende sia passato a miglior vita. C'è un motto francese che nell'Italia monarchica e anarchica dei Soru, dei Bassolino e dei Berlusconi aderisce sempre più alla realtà. È morto il re? Viva il re.
da ilsole24ore.com
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Veltroni a Villa Borghese, poi Dario va a casa sua
di Marcella Ciarnelli
Non c’è. Ha mantenuto l’impegno. Neanche l’insistenza dei fedelissimi ha avuto la meglio sulla decisione di Walter Veltroni di non essere presente alla Fiera di Roma, lì dove l’assemblea del Partito democratico si appresta a decidere sull’elezione del nuovo segretario. L’intenzione di non attrarre su di sé l’attenzione distogliendola da tutto il resto non è stata scalfita dal ragionamento di nessuno degli amici. Ma l’assenza è diventata una presenza. Di Veltroni non ha potuto fare a meno di parlare nessuno di quanti sono intervenuti dal palco. E molti in sala. Gli “orfani” e i “critici”. Nella lunga prima fila della dirigenza non c’era nessuna sedia vuota. Me è sembrato come se ci fosse. Forse due. Poiché la giornata è stata di quelle in cui, inevitabile, anche il nome di Romano Prodi è stato spesso evocato.
YouDem ha cominciato a trasmettere la diretta. Walter Veltroni ne ha seguito una parte, poi se n’è andato con la moglie Flavia a passeggio per Villa Borghese. Senza scorta, come aveva chiesto nel momento della conferma delle sue dimissioni. Quattro passi nel parco. Poi il ritorno a casa per ascoltare il discorso di Dario Franceschini l’erede designato e confermato dal voto dell’assemblea. A caldo, quasi sugli applausi, Veltroni non ha voluto far mancare il suo appoggio all’amico «leale». «Dario è la persona giusta per guidare il Pd», è il primo commento per un segretario «per le nuove sfide e i successi che il partito merita». «La prima persona alla quale parlai delle mie dimissioni è stato lui. Gli dissi che avrei voluto fosse lui a guidare il Partito democratico verso le elezioni e il congresso. Dario è un uomo politico leale, forte e che crede in quel progetto del Pd come un soggetto nuovo che sia perno del riformismo italiano. Questa era l'ispirazione del Pd al Lingotto, nelle primarie e anche nella campagna elettorale».
Forza Juventus
Onore al vincitore. Ed un «caloroso» augurio di buon lavoro. Poi, nel pomeriggio, un incontro privato a casa dell’ex segretario. I due non si sentivano dalla sera prima perché nella complessa mattinata di ieri Veltroni non aveva voluto in alcun modo interferire. Commenti sull’accoglienza, sul dibattito, sul clima della lunga giornata.
Ancora qualche telefonata. Niente cellulare ma il telefono di casa. Alle 20,30, al fischio d’inizio della partita Palermo-Juventus, il deputato «normale» Walter Veltroni si è concesso il lusso di fare solo il tifoso di quei bianconeri da cui, negli anni da sindaco della Capitale, aveva dovuto marcare un certo distacco, almeno nell’ufficialità, con due squadre a contendersi il cuore di Roma.
Ieri sera, dunque, l’ex segretario del Pd ha chiuso la giornata più lunga nel salotto di casa, davanti alla tv. A guardare la squadra del cuore.
Una espressione di normalità nella consapevolezza, già espressa, della necessità imprevista di dover scandire in modo diverso i tempi della giornata. Intanto il 28, poiché è programmata una settimana di sosta nei lavori parlamentari, l’ex segretario volerà a New York dove studia la figlia. Non si vedono da Natale. E’ normale avere nostalgia.
22 febbraio 2009
da unita.it
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