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Autore Discussione: Andrea CAMILLERI -  (Letto 27694 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Giugno 17, 2009, 03:06:47 pm »

17/6/2009 - LA STORIA
 
Alitalia e la Sicilia scomparsa

 
ANDREA CAMILLERI
 
A quanto pare la rivista Ulisse, quella distribuita sugli aerei nazionali, pubblicando la carta geografica dell’Italia, ha dimenticato di metterci la Sicilia. È un grave errore, e per due motivi.

Spiego il primo, raccontando un episodio capitatomi moltissimi anni fa. Ero andato al cinema del mio paese, accanto a me sedeva un tale in tuta da operaio. A un certo momento del film, che si svolgeva in Sicilia, un maresciallo dei carabinieri, esasperato dai delitti di mafia, di corna, d’onore e di quant’altro, si alzava, andava verso una grande carta geografica che rappresentava l’Italia e metteva la mano aperta sulla Sicilia in modo che non fosse più visibile. Dopo di che sorrideva compiaciuto. Fu a questo punto che il mio vicino esclamò ad alta voce: «Attentu ca sciddrica!», attento che scivola. Intendendo dire che, senza l’isola, lo Stivale sarebbe inesorabilmente scivolato in basso.

L’altro motivo è letterario. La rivista prende il nome, e giustamente, da Ulisse il leggendario viaggiatore errante. Ora c’è da notare che uno scrittore inglese, Samuel Butler, l’autore di Così muore la carne, ha dato alle stampe nel 1897 un libro intitolato L’autrice dell’Odissea nel quale sostiene, con buoni argomenti, che a scrivere appunto l’Odissea era stata una donna siciliana e che il famoso viaggio di Ulisse non fu, in realtà, che il periplo dell’Isola. Allora, se scompare la Sicilia, scompare anche Ulisse. E, di conseguenza, anche la rivista a lui intitolata.

 
da lastampa.it
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« Risposta #31 inserito:: Giugno 28, 2009, 05:06:26 pm »

Lo chef consiglia di Andrea Camilleri e Saverio Lodato 

La dieta del Monte Athos, Berlusconi e gli amori del «gioveRdì»


Camilleri, sul Monte Athos, da mille anni sede di una comunità monastica che vieta presenze femminili, i monaci sono più refrattari al cancro di tutti i mortali. La dieta: mai carne, poco pesce, in abbondanza legumi, verdura e frutta. C’è di più: olio d’oliva e formaggi, mai nei giorni dispari. La dieta Scapagnini, per l’eternità di Berlusconi, si ispira a quella del monte Athos? Mike Bongiorno da Berlusconi si vide offrire «un minestrone». Quanto alle presenze femminili, la dieta Scapagnini pare sia meno tassativa: presenze femminili sì, ma solo nei giorni pari. E qualche abbuffata è concessa, come per i formaggi.

Dato l’alto rigore scientifico con il quale il professor Scapagnini illustra gli elisir di lunga vita propinati a Berlusconi, non mi sembra fuori luogo ricordare una storiella vecchia come il cucco. A un giovane, un medico prescrive che può praticar con donne solo nei giorni con la R. Il giovane, di fresco sposatosi con un’avvenente fanciulla, una notte si avvicina alla moglie con chiare intenzioni. «Ma che giorno è oggi?», domanda la sposa. E il giovane, su lei avventandosi: «gioverdì!». Berlusconi, su questo particolare punto, spesso e volentieri infrange la regola. Quanto ai frati del Monte Athos, penso che molti italiani ne seguiranno le prescrizioni. Non perché convinti della loro bontà, ma perché costretti dalle circostanze: con le pensioni di fame, con la disoccupazione, quanti saranno in grado di comperarsi una fettina? O il pesce, che costa un occhio? Si contenteranno di un po’ di verdura scondita, una patata, un pezzo di pane, ma vivranno più sani dei monaci del Monte Athos, grazie a Berlusconi. Sempre che non muoiano prima di inedia. Quanto al sesso non avranno la forza di alzare, diciamo così, un dito.

da unita.it
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« Risposta #32 inserito:: Luglio 08, 2009, 10:50:59 pm »

Lo chef consiglia di Andrea Camilleri e Saverio Lodato


La profezia di Martinazzoli

Camilleri, quando il berlusconismo non era ancora l’osceno fenomeno che è diventato, ma Berlusconi si era già fatto abbondantemente conoscere, Mino Martinazzoli, figura prestigiosa della vecchia Dc, fu intervistato proprio su Berlusconi. Gli chiesero come immaginava, un giorno, la sua uscita di scena. La risposta la ricordo ancora: «quello, per gli italiani, sarà un giorno traumatico». Quasi quindici anni fa, Martinazzoli si accorse della faglia di Sant’Andrea, ancor prima che delle scosse. Ma sempre di sismologia si tratta. D’altra parte è noto che per i cinesi un terremoto era un segno che gli dèi disapprovavano la legittimità dell’Imperatore. E chi vuole capire capisca...

Credo che il vecchio Martinazzoli sia stato buon profeta e i fatti lo confermeranno. E l’ingegner Carlo De Benedetti, in tempi più recenti, mi pare che abbia detto suppergiù la stessa cosa. Lei, caro Lodato, ricorda che quando la Fininvest stava attraversando una grave crisi economica, brillantemente risolta poi con la discesa in campo del suo capo, Berlusconi usava una frase sottilmente ricattatoria: «non si possono mandare a spasso quarantamila dipendenti»? Ora la faccenda diventerebbe assai più grave. L’uscita da campo di Berlusconi sarebbe come il fallimento di una grossa azienda i cui dipendenti non godrebbero di nessuna cassa integrazione. Non parlo della Fininvest, ovviamente. Lei ha mai contato quante centinaia e centinaia di persone Berlusconi ha tratto dal nulla e che nel nulla ritornerebbero nella ferale eventualità che il loro principale uscisse di scena? Che farebbero, sono i primi nomi che mi vengono in mente, i ministri Gelmini, Alfano, Bondi, Carfagna? E le centinaia di onorevoli e senatori, eletti come tanti cavalli di Caligola, che tornerebbero a non essere nessuno? E la cerchia di quelli che si sono salvati dalle patrie galere perché Berlusconi li ha fatti eleggere? Un grande esercito di nulla facenti che alzerebbe, e di molto, il tasso di disoccupazione. Forse, per loro, bisognerà pensare a un nuovo ammortizzatore sociale.

da unita.it
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« Risposta #33 inserito:: Luglio 09, 2009, 10:37:27 pm »

Lo chef consiglia di Andrea Camilleri e Saverio Lodato 


Il premier che non lascerà mai

Camilleri, per il Financial Times, «alleati e ministri del premier già pensano a un futuro senza Berlusconi». Ma papi non si dimetterà mai, «perché la sua immunità dipende dalla carica». Ora la constatazione del giornale inglese, francamente, è di solare evidenza. Eppure, a questo, non aveva pensato neanche Angelino Alfano, il guardasigilli di papi. Il quale credeva, grazie al suo Lodo, di blindarne il passato, non di ibernarne anche il futuro. Di papi, intendo. Non aveva messo in conto che, così legiferando, creava un premier astronauta che, una volta lanciato nello spazio con il propellente dell’impunibilità, non sarebbe più potuto tornare alla base.

Rischierebbe infatti di sfracellarsi.


Uno dei motivi che renderanno traumatico, come profetizzò Mino Martinazzoli, l’allontanamento, quando sarà, di Berlusconi dal potere, sarà quello individuato dal Financial Times. Se vengono a cadere tutti gli scudi spaziali che nel tempo si è fatto cucire addosso dai vari Cirami, Alfano e compagnia, l’astronauta non arriverà nemmeno a sfracellarsi al suolo, ma si disintegrerà in fase di rientro. E farà il possibile perché ciò non accada. Gli daranno man forte le centinaia e centinaia di politici, giornalisti, portaborse, collaboratori vari, sino alle veline, che con lui avevano trovato la pacchia. Prepariamoci all’assalto di una canea urlante che vomiterà ingiurie, calunnie, offese, e metterà in atto ricatti e trabocchetti. Ma fra gli altri motivi, oltre a quello indicato dal Financial Times, c’é la tragedia della perdita del potere in sé. La Daddario ci ha raccontato il cerimoniale preamatorio di papi. Solo, in mezzo a una trentina di ragazze, si fa proiettare un interminabile filmone nel quale si vede sempre lui mentre abbraccia capi di Stato, viene osannato dalla folla, gli rendono gli onori militari, eccetera. Questo polpettone gli serve come ad altri può servire la preventiva visione di un filmetto hard. No, sarà difficile mandarlo via. E supporre che lui se ne vada da sé, è pura utopia.

da unita.it
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« Risposta #34 inserito:: Novembre 14, 2009, 11:04:01 am »

14/11/2009

Attenti alla bellezza di Lucifero
   
ANDREA CAMILLERI


Metto le mani avanti: non ho visto il film «La Prima Linea» e scrivo basandomi su quello che ne hanno scritto persone degne di fede.
Mi pare sia concorde l’opinione che si tratti di un film molto serio, che non intende esaltare posizioni estremiste, che è recitato senza inutile enfasi.

Eppure sono in tanti, alla fine, a dichiarare di averne ricavato una sensazione di disagio, consistente nell’avere apprezzato la narrazione e l’interpretazione datane fino a raggiungere un certo grado di coinvolgimento, pur sapendo che mai, per loro educazione, cultura, vicende personali e politiche, avrebbero potuto avere punti di contatto con i terroristi del film. E non credo che ciò sia dovuto solo al fatto che Scamarcio e la Mezzogiorno siano belli e bravi. Esistono anime celestiali in corpi sgradevoli e viceversa. E Lucifero era un angelo bellissimo o un orrendo essere deforme? Sono convinto che libri e film che eleggono a protagonisti degli appartenenti, in un modo o nell’altro, al terrorismo, siano assai più difficili a scriversi e a farsi che non libri e film su boss mafiosi o capi camorristi, già di per sé temi assai problematici.
Anche con le migliori intenzioni del mondo, si rischia un effetto boomerang.

E questo soprattutto perché dietro a ogni gesto terroristico c’è una complessa miscela esplosiva di ideologia deviata e deviante, di «missione da compiere», di «estasi verso il basso» (per dirla con Malraux), di esaltazione, di autoreferenzialità, di indifferenza verso il dolore altrui, di amore per il rischio, e tantissime altre componenti che non possono essere, non dico analizzate, ma nemmeno accennate in un film. Così lo spettatore rimane in una condizione emozionale per quei gesti, è coinvolto dall’emozione allo stato puro di uno spettacolo che esclude del tutto l’intervento della ragione.

Alla quale perciò, anche non volendolo coscientemente fare, in sostanza non vengono forniti né i mezzi né l’opportunità di calibrare quell’emozione. Saviano ha saputo dimostrare che si può scrivere un ottimo libro sulla camorra evidenziandone la ferocia e l’orrore. Ma il film che dal libro è stato tratto è allo stesso livello?

Ancora: mi è capitato di leggere uno splendido romanzo su un terrorista. Era firmato Conrad. E qualcosa del modo di pensare terroristico me l’hanno suggerito certe pagine di Dostoevskij.

E questo qualcosa deve significare.

DA lastampa.it
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« Risposta #35 inserito:: Giugno 01, 2010, 11:47:15 am »

LA POLEMICA

Camilleri: "Rischio fascismo siamo pronti a disubbidire"

Scrittori antibavaglio. Laterza: "Impossibile fare libri di inchiesta"

di ALBERTO D'ARGENIO



ROMA - Così torniamo al fascismo. I protagonisti del reading contro la legge-bavaglio sulle intercettazioni non hanno dubbi: uccide la coscienza dell'opinione pubblica e con essa la democrazia. Partite ieri in uno stracolmo teatro Quirino di Roma, le "Letture per la libertà di stampa" organizzate da un centinaio di editori insieme a librai e scrittori andranno avanti tutta la settimana in tutta Italia. "La legge sulle intercettazioni non tocca solo giornali e giornalisti, ma anche le Case editrici che pubblicano libri d'inchiesta, anch'essi potenziali destinatari del ddl", ha detto l'editore Giuseppe Laterza, tra gli organizzatori insieme a Marco Cassini (Minimum Fax) e Stefano Mauri (Mauri-Spagnol).

Ad aprire le letture dei brani è stato Andrea Camilleri, che ha proposto l'appello agli studenti che il rettore dell'università di Padova, Concetto Marchesi, pronunciò il primo dicembre 1943 lasciando l'ateneo per non sottomettersi al fascismo. Un discorso (vibrante la lettura dello scrittore siciliano) che si chiude così: "Liberate l'Italia dalla schiavitù dell'inganno". Passaggio che per Camilleri definisce perfettamente "lo sporco e il luridume dell'attacco alla libertà che oggi si ripropone sotto altre forme". Difendiamo l'informazione - ha proseguito il padre di Montalbano - anche se con la legge-bavaglio non ci sarà proprio più nulla di cui scrivere perché i magistrati non potranno più lavorare "lasciando i mafiosi e la cricca liberi di fregarci nel silenzio". Quindi Camilleri si è congedato dal pubblico con un laconico "buona fortuna". E di grande attualità anche il discorso di Pericle agli Ateniesi, che Paolo Rossi non riuscì a leggere in tv e ieri proposto da Rosetta Loy.

Sul palco anche Stefano Rodotà, secondo il quale "quando si blocca la conoscenza dei fatti si impedisce di deliberare e mettendo a repentaglio la vita democratica: è proprio dei regimi totalitari obbligare i propri cittadini a leggere su siti stranieri le notizie del proprio Paese". Quindi è intervenuto il politologo Giovanni Sartori, che ha definito "vergognosa" la legge-bavaglio: "È l'ultima risorsa per creare una falsa, disinformata e stupida opinione pubblica che non sa nulla del mondo e sa quasi solo cose false dell'Italia". E Marco Travaglio è stato tra coloro che hanno evocato l'inosservanza della legge. Come Massimo Carlotto, per il quale "non resta che la disobbedienza civile". Chi non c'era, come Dacia Maraini, ha affidato ad altri le proprie riflessioni. La serata è stata chiusa da Gianrico Carofiglio, magistrato, scrittore e senatore del Pd: "Il bavaglio che citava Camilleri era lo stesso programma della loggia P2. Non a caso vi erano iscritti anche esponenti del governo".

(01 giugno 2010) © Riproduzione riservata

http://www.repubblica.it/politica/2010/06/01/news/camilleri_disobbedire-4482679/?ref=HRER2-1
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« Risposta #36 inserito:: Luglio 25, 2010, 12:25:18 pm »

L'abecedario di Camilleri: Banana, da rarità a metafora

Oggi la banana, naturalmente, è diventata una metafora. Diciamo che il vero massimo della metafora lo fece Joséphine Baker quando – dall’alto della sua bellezza – ballava cantando J'ai deux amours mon pays et Paris e ballava a tette nude (scandalo per l’epoca), con solo un gonnellino di banane al bacino, che erano abbastanza allusive e metaforiche. Purtroppo, poi la metafora è decaduta in politica con «lo Stato delle banane», per indicare uno Stato da quattro soldi.

Nella mia giovinezza le banane erano una rarità. Erano piccole e picchettate. Provenivano dalla Somalia. Io diffidai immediatamente della banana, che veniva molto elogiata perché si diceva proteinica. Finalmente un giorno cedetti alle insistenze di mia madre e sbucciai questa banana floscia, mi sembrò di aver messo in bocca una saponetta. Da allora, passarono anni – dovette cadere il fascismo, venire la liberazione –, prima che arrivassero le banane col bollino.

Gigantesche e leggermente oscene. Non avevano più il sapore della saponetta, ma erano quasi plastica; avevano un sapore plastificato e leggermente pungente nella parte centrale che mi disgustò. Quindi detesto le banane, posso amarle solo metaforicamente.

23 luglio 2010
http://www.unita.it/news/culture/101579/labecedario_di_camilleri_banana_da_rarit_a_metafora
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« Risposta #37 inserito:: Novembre 01, 2010, 05:24:22 pm »

«Mi hanno chiesto tante volte i diritti, ma questo è il primo film che viene fatto davvero»

«Oggi i potenti danno ordini alla Questura Proprio come ai tempi del Gattopardo...»

Andrea Camilleri al Festival di Roma per la trasposizione cinematografica de «La scomparsa di Patò»


ROMA - «Mi chiedono cos’è cambiato a Vigata dal 1890 a oggi. E io faccio finta di non capire»: Andrea Camilleri parla del film di Rocco Mortelliti, «La scomparsa di Patò», tratto dal suo omonimo romanzo del 2000, con Neri Marcoré protagonista accanto a Nino Frassica, Antonio Casagrande e Roberto Herlizka, presentato tra gli Eventi Speciali del Festival Internazionale del Cinema di Roma. La storia della misteriosa scomparsa del ragionier Antonio Patò è ambientata nella cittadina siciliana che fa da sempre da sfondo alle storie di Montabano, ma stavolta siamo alla di fine dell’800. Continua Camilleri: «Adesso nella questura di Milano arrivano telefonate eccellenti a dettar legge, allora a Vigata il telefono non c’era, ma i funzionari di carabinieri e polizia ugualmente ricevevano dall’alto ordini e imposizioni. Non amo le tesi di Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo, però in questo caso ha ragione Tancredi di Salina: “Cambiamo tutto perché non cambi nulla”… ».

EDUARDO E LA TV - Lo scrittore, che venerdì 5 alle 14 incontrerà il pubblico in un incontro alla Salacinema Alitalia, passa a raccontare la differenza tra i suoi romanzi storici e quelli di ambiente contemporaneo: «Nei romanzi storici voglio che la storia “stinga” sulla realtà di oggi: come una lavatrice in cui i panni colorati lasciano traccia sui bianchi. A volte la macchia è più evidente, a volte più sfumata». Ma la storia cambia molto dal libro e al cinema?«La sceneggiatura ha dato più compattezza alla vicenda principale. E’ un tradimento necessario. Nelle sceneggiature cerco di entrare il meno possibile. Intervengo nei dialoghi. L’ho imparato quando ero delegato di produzione in Rai: lavoravamo alle commedie di Eduardo e lui cambiava le parole dialettali, per renderle più comprensibili». Dunque non esiste la “sacralità” del testo? «Macché sacralità… “Ricordati che non c’è niente di sacro” mi diceva Eduardo, “nemmeno la poesia”. E aveva proprio ragione».

UCCIDERE MONTALBANO? - «La scomparsa di Patò» è il primo film tratto da un suo romanzo: prima c’è stato solo Montalbano per la tv… «Vero. Ogni tanto dò i diritti per realizzare film che poi non vengono mai fatti. In alcuni casi magari c’è il problema dei costi, ma per altri davvero non so… Il fatto è che Montalbano ci ha fottuti. Se scrivo un romanzo e ci metto l’anima e la sofferenza, arrivo al 4° o al 5° posto delle classifiche. Esce Montalbano e in un attimo schizza al primo posto con 60 punti di vantaggio su Ken Follett. Ma quello che mi scoccia di più è che il commissario continua a mangiare quel che vuole e io ormai non posso. Mi sa che gli farò venire qualche cosa, un giorno o l’altro…» Ammazzerà il suo eroe? «Anni fa alla fiera del libro di Parigi, a una tavola rotonda con Jean-Claude Izzo e Manuel Vasquez Montalban si parlava proprio di come far morire i nostri personaggi. Izzo avrebbe voluto ferire gravemente il suo Fabio e l’avrebbe lasciato andare su una barca. Montalban pensava a qualcosa di molto complicato e contorto per far sparire Pepe Carvalho. Io fui interrotto da un imprevisto e non risposi mai. Risultato: i miei due colleghi sono morti con i loro protagonisti, e io col cavolo….».

Laura Ballio

31 ottobre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://cinema-tv.corriere.it/cinema/speciali/2010/roma-film-festival/notizie/camilleri-montalbano-pato-telefonata-questura-berlusconi_2644a6dc-e537-11df-8ccb-00144f02aabc.shtml
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« Risposta #38 inserito:: Agosto 16, 2012, 06:48:40 pm »

 Sei in: Il Fatto Quotidiano > Giustizia & impunità

Camilleri: “Firmare il sistema migliore per snidare gli amici della mafia”

di Marco Travaglio | 14 agosto 2012



Ho subito firmato la petizione del Fatto Quotidiano in difesa dei magistrati di Palermo e Caltanissetta isolati e aggrediti, e vorrei fare un applauso al vostro giornale per questa bella iniziativa. Ma soprattutto alle decine di migliaia di persone che l’hanno subito appoggiata: segno che molti italiani non si sono lasciati imprigionare la testa dall’afa ferragostana e dall’ossessione dello spread”. Andrea Camilleri si riposa, come sempre lavorando, al fresco di un piccolo paese sul monte Amiata. La sua voce roca ma pimpante, al telefono, spiega al Fatto le ragioni e le speranze della sua adesione all’appello per i magistrati che indagano sulle trattative Stato-mafia.

Perché ha firmato?

Perché mai come ora e mai come su questa vergogna nazionale della trattativa o delle trattative fra pezzi dello Stato e capi della mafia, abbiamo bisogno di verità. Questa valanga di firme mi pare il sistema migliore, insieme alle indagini dei magistrati, per snidare gli amici della mafia di ieri, di oggi e di domani.

Le pare di conoscerli?

E certo, mi pare di conoscerli: anche perché la politica italiana non cambia mai, sono sempre le stesse facce, e dunque è molto verosimile che chi vent’anni fa trattò con Cosa Nostra sia ancora al potere. O forse se n’è andato qualcuno e mi sono perso qualcosa?

Quale risultato spera di ottenere, con la sua firma?

Intanto che chi indaga venga lasciato libero di farlo, senza ostacoli, senza attacchi e senza procedimenti disciplinari o manovre sotterranee. E poi mi è piaciuta molto l’intervista di Claudio Martelli al Fatto. Martelli ha ragione: Ingroia non deve andarsene in Guatemala, deve restare a Palermo. La sua partenza per il Centroamerica sarebbe una sconfitta per la democrazia e per la verità. Cioè per tutti noi.

Non crede che, dopo vent’anni di indagini e di processi ad alto rischio e di attacchi e insulti continui dai massimi vertici della politica, abbia diritto a essersi stufato e a voler cambiare aria per un po’?

Ma certo, è più che comprensibile: chiunque al posto suo, dopo avere indagato su mafia e politica con quella serietà, quell’onestà, quella correttezza e quella dignità e averne ricevuto in cambio quei trattamenti, sognerebbe di andarsene non in Guatemala, ma molto più lontano. Però io lo invito a ripensarci: Palermo, la Sicilia, l’Italia hanno più che mai bisogno di magistrati come lui per cercare la verità. Soprattutto ora che la verità è così vicina.

Forse sarebbe meglio che glielo dicessero i rappresentanti delle istituzioni e della politica, che invece sembrano quasi tutti ben felici di vederlo partire.

Eh certo, sarebbe bello, ma non facciamo gli ingenui: siccome chi ha trattato con la mafia è ancora al potere, non possiamo certo illuderci che si dia da fare per far emergere la verità. Sarebbe autolesionismo puro. Niente è più difficile che ammettere i propri errori e chiedere scusa. Per questo il potere sta facendo di tutto perché la verità su quel che accadde vent’anni fa non venga alla luce. Gli errori commessi nel 1992-’94 e forse anche dopo dai rappresentanti delle istituzioni sono gravissimi non solo in sé ma anche perché hanno prodotto metastasi cancerose vastissime, ramificate. Lo Stato, diceva Sciascia, non processa se stesso.

E allora c’è poco da fare…

Eh no, c’è moltissimo da fare. Sono convinto che sia essenziale la pressione dal basso, di cui le 100 mila firme raccolte in pochi giorni dal Fatto sono l’ennesima testimonianza. Io alla spinta dal basso credo ogni giorno di più. Non dimentichiamo che è stato grazie alla spinta dal basso se lo scorso anno si sono vinti i referendum sul nucleare, l’acqua pubblica, il legittimo impedimento e se si sono eletti sindaci perbene a Milano e in altre grandi città. Io sono fiducioso, siamo in tanti, molti più di quanti non pensiamo. E iniziative come la vostra hanno anche il merito di ricordarcelo.

dal Fatto Quotidiano del 14 agosto 2012

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08/14/camilleri-firmare-sistema-migliore-per-snidare-amici-della-mafia/325476/
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« Risposta #39 inserito:: Dicembre 30, 2012, 04:41:06 pm »

Vita, storie e racconti di Camilleri: dalla Roma di Pasolini a Montalbano

Lo scrittore ricorda l'infanzia in Sicilia, il suo passaggio dall'essere fascista al comunismo, l'esperienza culturale del dopoguerra.

E parla del suo presente: "Penso tre romanzi alla volta e non mi deprimo". "Ma oggi mi manca la noia lucida di Moravia"

di ANTONIO GNOLI


Alla quattordicesima sigaretta, numero verificato sommariamente nel posacenere accanto alla poltrona, Andrea Camilleri tira un sospiro. Non è il segnale di un congedo. Ma sono trascorse due ore durante le quali lo scrittore ha snodato e riavvolto la sua vita. Ama parlare e lo fa con affabulazione e quel tanto di civetteria di chi ha una naturale consuetudine con il teatro. Camilleri, e in questo è davvero poco siciliano, è un estroflesso. Mi fa pensare a uno scrittore acustico, le cui sonorità, rumori, voci riempiono la sua produzione fluviale.

Alla quattordicesima sigaretta, dicevo, quest'uomo che sta per entrare nell'ottantottesimo anno, sospira. Ed è un suono lungo e lieve. Come il fiato di un animale di bosco che va a cadere su una frase che regge tutta la conversazione: "Delle cose che ho fatto di nessuna mi pento. E se le turbolenze si sono a volte scatenate nella mia vita ho imparato, come Conrad, a non considerarle una minaccia ma la prova che possiamo uscirne salvi".

Ho appreso da qualche parte che Joseph Conrad fu tra le sue prime letture.
"Beh, sì. Insieme a Melville e agli scrittori russi. Ero un bambino fragile che si ammalava di frequente, passando delle meravigliose giornate a letto. La televisione non era ancora stata inventata. La radio era intrasportabile. Esauriti i fumetti, soprattutto L'Avventuroso e L'Audace non restava che chiedere a mio padre di leggere i suoi libri. Mi imbattei ne La follia di Almayer di Conrad. E poi in Moby
Dick, di cui capii solo l'avventura, ma non quello che la balena stava a significare. Nella biblioteca di papà, che aveva un fiuto per le buone letture, colsi i primi Simenon, quando ancora si firmava Georges Sim".

Suo padre cosa faceva?
"Era ispettore delle compagnie portuali della Sicilia del Sud. Un posto rispettabile che si era trovato dopo il fallimento della miniera di zolfo del nonno, dove lui lavorava. Del resto il matrimonio tra mio padre e mia madre era stato un "matrimonio di zolfo"".

Ossia?
"Quelle unioni che avvenivano tra proprietari di solfatare. Era una specie di dote che veniva assegnata in cantare di zolfo. Una "cantara" era poco più di un quintale. Ho un documento in cui c'è scritto che il figlio di Stefano Pirandello, Luigi, sposerà la figlia di Giuseppe Portolano. Quei matrimoni erano il solo modo che i siciliani facoltosi immaginarono per contrastare la forza delle compagnie minerarie".

Dove avveniva tutto questo?
"Nella zona di Porto Empedocle dove sono nato. C'era un grande porto, poi decaduto e un vasto retroterra contadino. I miei nonni avevano una bella proprietà di terreno a mandorle e frumento. Ci andavo finita la scuola. E mia nonna Elvira, essendo io figlio unico, divenne la mia compagna di giochi. Parlava con gli oggetti, inventava le parole e una volta mi presentò a un grillo con nome e cognome. Fu lei a raccontarmi le avventure di Alice nel paese delle meraviglie. Aprì la mia fantasia. Era un personaggio, come del resto suo fratello medico: lo zio Alfredo, la pecora nera della famiglia".

Di cosa era accusato lo zio Alfredo?
"Di essere un antifascista. Eravamo tutti fascisti. Mio padre aveva fatto anche la Marcia su Roma. Io ero un giovane balilla. Lui niente. Lui era lo stravagante. Pensi che in certe giornate si sdraiava in perizoma sul terrazzo di casa, dopo essersi spalmato di miele le giunture. Si faceva pungere dalle api dicendo che faceva bene alle articolazioni. Non credeva nella medicina tradizionale. Scoprii nella sua biblioteca un manuale di Yoga, che però non lessi".

Diceva di essere stato fascista.
"Come tanti. Smisi di esserlo nel 1942 in seguito a due fatti scatenanti. Il primo fu un libro che cambiò la mia vita: La condizione umana di André Malraux. Mi turbò profondamente. Rivelandomi, tra l'altro, che i comunisti non erano come ce li avevano raccontati a casa".

Il secondo?
"Partecipai a Firenze alla riunione internazionale della gioventù fascista. C'erano giovani come Giorgio Strehler e Ruggero Jacobbi. Parlò il capo della "Hitler-Jugend", Baldur von Schirach, e spiegò cosa era per lui l'Europa: cioè un'enorme caserma nazista abitata da un pensiero unico. Non ci sarebbe stato altro. Tornai sconvolto e abbandonai il fascismo".

E cosa accadde a quel punto?
"Molte cose successero. Diventai comunista. Finì la guerra. E cominciai a mandare in giro i primi racconti e alcune poesie. Con un certo successo. Ungaretti mi incluse in un'antologia di poeti scelti da lui. Era il 1947 e volevo andarmene dalla Sicilia. Nel 1949 vinsi la borsa di studio per l'Accademia nazionale d'Arte drammatica. Venni a Roma e cominciai a studiare regia con Orazio Costa".

Che città trovò?
"Bellissima. Potevi avvicinare qualsiasi persona e questa ti dava retta. Cominciai a frequentare il giro degli artisti. Si incontravano da Canova, allora il Luxor: Ciccio Trombadori, Giulio Turcato, Mario Mafai, a volte Alberto Savinio, al cui genio ci si poteva solo inginocchiare. Sì, Roma era straordinaria. Solare. Unica. In alcuni punti, per esempio dove io abitavo, in piazza della Giovane Italia, c'erano ancora le mandrie che risalivano".

Era un mondo la cui sparizione Pasolini avrebbe rimpianto.
"Pasolini era un antropologo delle borgate. Con lui, che conobbi a fondo, mi lasciai male".

Perché?
"Pretendeva di applicare i suoi principi cinematografici al teatro. Io, che allora lavoravo alla Rai, gli dissi: tu vuoi fare recitare sul palcoscenico gente che non l'ha mai fatto. Ma a teatro non funziona. Discutemmo ferocemente a casa di Laura Betti. Poi ci lasciammo con l'idea di riprendere la discussione. Invece è morto nel modo che sappiamo".

Che idea si è fatto della sua morte?
"L'hanno ammazzato per bullaggine. Non credo al delitto politico. Personaggi come lui - pieni di irruenza anche se non sempre erano nel giusto - oggi mancano. Sento perfino la mancanza di uno come Moravia: noioso, ma lucido. Ma chi mi manca veramente è la Betti".

Cosa aveva in più?
"Era una donna straordinaria. Meravigliosa. Un giorno a Torino, uscendo da un ristorante, vediamo una grande scritta dentro l'androne di un palazzo: "Non abusate dei luoghi comuni". Porca miseria dico io: che portiere intelligente! Entriamo e Laura gli grida: siamo perfettamente d'accordo con lei. E lui serio: lasciano sempre carrozzine e biciclette. Ci deluse".

Cos'è il fraintendimento?
"È ciò che manda all'aria un sacco di relazioni umane. Ma senza il fraintendimento non ci sarebbe l'interpretazione. La lingua perderebbe una risorsa fondamentale. E di conseguenza anche i romanzi ne risentirebbero".

So che il suo primo romanzo ha avuto molti rifiuti.
"Furono dieci gli editori che dissero no. Alla fine ne feci una riduzione per uno sceneggiato televisivo e a quel punto un editore di libri a pagamento lo pubblicò in cambio di una pubblicità sui titoli di coda. Fu come togliere un tappo. Scrissi immediatamente il secondo romanzo che inviai a Garzanti: Un filo di fumo. E poi un saggio, La strage dimenticata che Elvira Sellerio pubblicò. Da allora passarono otto anni senza che io scrivessi più nulla".

Cosa la frenava?
"Il teatro. Mi assorbiva e mi condizionava. Poi una sera, alla fine di uno spettacolo su Majakovskij, Elvira, di cui ero diventato molto amico, venne a salutarmi e mi disse: quando mi dai il prossimo romanzo? Aveva intuito che una fase della mia vita si era conclusa".

Come fu il rapporto con la Sellerio?
"Fu una donna straordinaria, dotata di un'intelligenza calda. Negli ultimi anni Elvira, che era stata molto bella, cominciò a sentirsi giù fisicamente. Non le piaceva più apparire. E ora che ci penso anche Sciascia negli ultimi tempi tese a scomparire. In genere, la vecchiaia e la malattia producono questo effetto. Che in noi siciliani si amplifica. Somigliamo ai gatti che si vanno a nascondere prima di morire".

Lei come vive questa stagione della sua vita?
"Con la consapevolezza che in ognuno di noi avvengono mutamenti legati all'età. Non capisco certi miei coetanei che si deprimono perché non possono andare più a donne o si devono infilare la dentiera. Io dico spesso che quando veniamo al mondo ci hanno dato un ticket nel quale è compreso tutto: la giovinezza, la felicità, la speranza, la malattia, la morte. È inutile farsi venire la depressione. C'è un tempo fisiologico che ci dice cosa fare".

A volte facciamo di tutto per non ascoltarlo.
"Lo so benissimo. E si spaventerebbe se le dicessi che c'è stato un tempo in cui ogni mattina bevevo una bottiglia di whisky. Lo reggevo benissimo e questo fu il male. Poi, un giorno ero a Vienna con mia moglie e una delle tre figlie. Avvertii un peso spaventoso sul cervello e cominciai a farfugliare parole incomprensibili. In quel momento il sangue esplose dal naso con violenza inaudita".

Era un ictus?
"Sì, per fortuna si spezzò senza arrivare al cervello. Nella clinica in cui fui ricoverato il dottore - che aveva un cognome inquietante, si chiamava Sodoma - lasciò che il sangue defluisse per alcune ore. E mi salvai. La mia paura non fu tanto quella di morire ma di restare nell'impossibilità di pronunciare una frase di senso comune. Capii che il bere era stata la causa. Tornai a casa. Presi una bottiglia di whisky e la misi sulla scrivania. Duellai per una settimana. Alla fine dissi a mia moglie: prendila e offrila agli amici. Così smisi di bere".

Ma vedo che non ha smesso di fumare.
"La sigaretta mi piace. La lascio a metà e non l'aspiro. Anche il medico che mi ha visitato tre mesi fa si è meravigliato: le vene sono sgombre, il cuore funziona alla perfezione. Se smetto di fumare muoio".

E a tavola?
"Mangiare mi piaceva. Devo controllarmi. La pasta, i fritti, gli insaccati, li faccio mangiare a Montalbano. Mi fa rabbia! A volte mi viene la tentazione di farlo ammalare".

È così forte il coinvolgimento?
"È una nostra proiezione".

Quanti romanzi ha scritto su Montalbano?
"Mi pare venti, più quattro libri di racconti".

Se vi aggiunge il resto ha una produzione impressionante.
"Non ho "negri" come qualcuno insinua. Lo giuro".

Come fa?
"Penso a due o tre romanzi contemporaneamente. Poi, come di incanto, una di queste storie prende il sopravvento. E perché questo accada occorre che la forma e il tempo narrativo siano in me evidenti. Mi alzo molto presto, mi faccio la barba, mi vesto perché detesto la trasandatezza, vado al computer e dalle sei e mezza fino alle dieci scrivo".

Scrive molto. Legge altrettanto?
"Meno. Purtroppo dall'occhio sinistro non vedo più e l'altro è affetto da un glaucoma".

Le provoca ansia?
"Ansia no. Impaccio sì. Pazienza".

Grazie ai libri è diventato ricco.
"Non me l'aspettavo. Immaginavo una vecchiaia dignitosa da pensionato Rai. E invece questa grande ricchezza mi ha dato il gusto di poter donare molte cose. Però il tenore di vita mio e di mia moglie è rimasto quello che avevamo prima".

Come vive questa crisi che attanaglia il paese?
"Con mia moglie ci diciamo spesso una cosa. Tutti i soldi che abbiamo guadagnato si possono perdere. Ma siamo in un'età in cui non ci importa più niente. Con tutti i problemi che ti pone, la vecchiaia ha anche qualche piccolo vantaggio".

È in arrivo a gennaio il suo nuovo romanzo: Tuttomio, una storia di amore e di perdizione.
"Una storia decisamente sgradevole. In passato mi hanno accusato di essere buonista. In realtà mi piace sperimentare il buono e il cattivo. Qui entro nel mondo femminile".

Da siciliano?
"La cosa più precisa di noi uomini siciliani la disse Verga e poi la riprese Brancati. Ci definì degli ingravida balconi".

(30 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2012/12/30/news/straparlando_camilleri-49659642/?ref=HRERO-1
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« Risposta #40 inserito:: Febbraio 09, 2013, 10:40:54 am »

EDITORIALI
08/02/2013 - LETTERA APERTA

Candidati sostenete la lettura

ANDREA CAMILLERI

Ho aderito alla lettera aperta del Forum del Libro ai candidati alle elezioni perché, malgrado tutto, credo che si debba dare una chance al ceto politico: queste occasioni è necessario darle, perché senza politica una nazione esiste, la politica è la ragion d’essere di ogni nazione. Si tratta di dare chances naturalmente alla buona politica, cioè alla politica intesa nel senso del lavorare per il bene comune.
 
Certo, lanciare una proposta al momento della campagna elettorale è un’arma a doppio taglio. Durante la campagna elettorale i politici si distinguono per fare promesse. Si diceva una volta, da marinaio. Ma qui vedo fare promesse da ammiraglio, che poi puntualmente non si mantengono, neppure in minima parte. Questo è il coté negativo, il lato positivo è invece chiedere ai candidati di occuparsi della lettura… vuoi vedere che qualcuno poi mantiene l’impegno preso? 
 
Bisognerebbe far capire ai politici che la lettura non è né un passatempo né un fenomeno di nicchia. Una volta, prima dell’ultima guerra, il teatro era veramente per pochi, per una élite, ma nel dopoguerra grazie all’opera di uno come Paolo Grassi o di Giorgio Strehler, il teatro riuscì a diventare un servizio pubblico, un po’ come sono le biblioteche. Bisognerebbe far capire che andare a teatro o leggere un libro non è un passatempo: in realtà è anche un passatempo se vogliamo, ma è anche qualche cosa di più, cioè a dire un crescere da uomini, da cittadini, un capire il mondo, un conoscere l’infinita quantità di cose che ignoriamo, cioè un continuo arricchimento. Le nazioni dove più si legge sono le nazioni più civili.
 
Se dovessi aggiungere una mia proposta, consiglierei di regalare a ogni famiglia italiana dei libri: si potrebbe organizzare una sorta di mini-biblioteca domestica. Per esempio, io ho una gran quantità di libri e mi succede di avere dei doppioni: allora li mando alle biblioteche del carcere per esempio o a piccole biblioteche di paese che so che sono sfornite o si trovano in difficoltà. Se si potesse organizzare una specie di collettore e inviare in dono alle famiglie italiane un po’ di libri, credo che faremmo una cosa molto utile. In una casa dove sono presenti libri si crea un incentivo alla lettura, naturalmente, perché in un bambino o un ragazzo può nascere la curiosità e basta che cominci a leggerne uno perché venga, come un pesce, preso all’amo della lettura. Una casa senza libri è una casa che non ha sviluppo, che non ha futuro. Mio padre non era un intellettuale, era impiegato alla capitaneria di porto, ma era un uomo di buonissime letture e avevamo tantissimi libri in casa: da bambino, io ho imparato a leggere da solo, per poter leggere i libri di mio padre e al primo libro che ho domandato il permesso a papà di leggere, chiedendogli “papà, quali libri posso leggere?”, papà mi rispose “i libri si possono leggere tutti” e questa già fu una grande lezione. Lessi libri per adulti e solo dopo, verso i 16 anni, dovetti leggere libri per ragazzi, per colmare un vuoto, perché altrimenti sarebbe venuto a mancare un tassello di crescita.
 
Oggi è diverso anche il rapporto con la lingua. Mentre io, da ragazzino siciliano, e i miei coetanei abbiamo imparato la lingua italiana con una certa difficoltà, perché in casa parlavamo solo il dialetto, oggi i bambini, come dicono a Roma, “nascono imparati”, perché guardano la televisione e imparano l’italiano in questo modo. Parlano un italiano che Pasolini direbbe omologato, ma comunque è un buon italiano. Nei primi tempi della televisione c’era il leggendario maestro Manzi, che insegnava a leggere e a scrivere, che fece prendere la licenza elementare a tanti analfabeti… bene, io non capisco perché oggi la tv deve trattare la lettura o parlare dei libri come se fosse una cosa di nicchia, parlarne solo in trasmissioni specialistiche, alle tre di notte e in una sorta di ghetto per malati, per quei poveracci che alle tre di notte sono ancora svegli e soffrono d’insonnia. E invece il libro va trattato come un oggetto di consumo, perché lo è, solo che è un oggetto di consumo che costa poco ed è di un valore immenso. La televisione avrebbe possibilità infinite per la diffusione della lettura, ma solo se si adottasse una formula po-po-la-re, perché fin quando si considera il libro una cosa a parte, riservata a pochi, si sbaglia. La televisione rappresenta la quotidianità e il libro può entrare nella quotidianità. Perfino nelle trasmissioni di cucina, oggi che c’è la mania della cucina, perché non si parla mai dell’Artusi e del suo italiano meraviglioso? Si può abbinare il libro al divertimento e all’informazione: quando si parla di un problema o di un qualsiasi episodio, perché non dire c’è un libro che parla di quelle cose? Così faremmo entrare il libro nell’uso comune, quotidiano, e non solo in una trasmissione sontuosa o pretenziosa...
 
Il libro è, o almeno può essere un oggetto popolare. Dicono che i libri in Italia costano molto, ma non è vero, io me ne accorgo dalle mie traduzioni, che in altri paesi costano enormemente di più. Bisognerebbe fare qualcosa per rendere il libro e la letteratura più popolare, ma senza pretendere troppo. Qualche anno fa andai a parlare in una scuola elementare frequentata da una mia nipotina, e mi invitarono perché avevo successo come scrittore. Dopo, la nipotina mi disse “nonno, però il papà di un bambino che faceva il pompiere ha avuto più successo di te”. “Si capisce” le ho detto, “e meno male…”. Altre volte va meglio. Ricordo che qualche anno fa ho vinto un premio che mi ha francamente emozionato, era il premio per il libro straniero più letto nelle biblioteche pubbliche di Parigi.
 
Il ruolo delle biblioteche è fondamentale. Nel ‘46 la mia famiglia si trasferì ad Enna, nel centro della Sicilia, a 800 metri d’altezza, dove faceva un freddo terribile, non avevamo il riscaldamento. Un giorno dovetti andare al municipio per qualche cosa, una pratica, ora non ricordo. Nel grande atrio, dopo il portone, fui raggiunto da una dolcissima ondata di calore che veniva da una porta aperta sulla sinistra, guardai e c’era scritto Biblioteca comunale: entrai, era una bellissima biblioteca, tenuta perfettamente in ordine, c’era un signore in maniche di camicia che alimentava due grosse stufe, mi guardò e disse “desidera?”. “Vorrei parlare col direttore”, si mise la giacca e rispose “sono io”. Era l’avvocato Giorgio Fontanazza, il suo nome non l’ho dimenticato più. La biblioteca aveva i lasciti di due scrittori siciliani, Nino Savarese e Francesco Lanza, le riviste letterarie dell’inizio del ’900, e tanti bei libri. Mi feci una cultura in quei tre anni, sono stato dalla mattina alla sera buttato in biblioteca… Fu la mia salvezza.
 
(Testo raccolto da Giovanni Solimine, Presidente dell’Associazione Forum del libro) 
 

da - http://www.lastampa.it/2013/02/08/cultura/opinioni/editoriali/candidati-sostenete-la-lettura-jNUf8Wfa8j7rvLgj24EBrO/pagina.html
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