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Autore Discussione: Carlo Patrignani Al Pd non serve Togliatti, ma Gramsci per evitare dissoluzione  (Letto 2003 volte)
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« inserito:: Maggio 01, 2015, 11:51:44 am »

Al Pd non serve Togliatti, ma Gramsci per evitare dissoluzione
Pubblicato: 10/05/2013 13:17 CEST Aggiornato: 10/07/2013 11:12 CEST

Carlo Patrignani

Non sono d'accordo con quanti - da Giuliano Amato a Michele Prospero, da Mario Tronti a Giuseppe Vacca - ritengono che al Partito democratico serva riscoprire Palmiro Togliatti, il cui pensiero è stato ampiamente dispiegato nella 'fusione a freddo' da cui è nato. Ritengo invece che l'antidoto, per uscire dal coma pressoché irreversibile, sia in questa lettera di Antonio Gramsci al fratello Carlo del 12 settembre 1927.

"Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all'opera, ricominciando dall'inizio (...). Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo".
L'egemonia culturale e politica 'gramsciana' quale strategia nonviolenta per conquistare il governo del Paese non esige il 90 percento, è sufficiente il 51 percento, quanto un'identità forte e coerente che non s'immola sull'altare del 'principio del partito' che è stata la prassi di Togliatti: eliminare ogni forma di dissenso per il bene supremo del 'Padre-Partito'.

Un'identità forte e coerente che persegue il socialismo senza recidere le radici della sua storia ma ne costruisce la sua naturale evoluzione. In parole povere, 'o socialismo aggiornato ai tempi o dissoluzione'. Tertium non datur! O il Pd sta, con il suo socialismo aggiornato, nel socialismo europeo per costruire gli Stati Uniti d'Europa o si finisce per consolidare 'la dittatura dei mercati finanziari' imposta dall'attuale Unione Europea che, nelle mani del 'pilota automatico' di Francoforte, sfrutta, all'occorrenza, i vari populismi che incitano alla 'rivolta' per la repressione al fine di mantenere l'ordine sociale e quindi lo status quo.

È in quest'ottica che mi ritrovo - in un periodo in cui si riscoprono fior di riformisti da Antonio Giolitti a Riccardo Lombardi da Bruno Trentin a Federico Caffè - nelle considerazioni di Giorgio Ruffolo e di Sergio Cofferati.

Il primo: "(Nel Pd) non si è mai fatta chiarezza, purtroppo, sugli aspetti fondativi come sull'identità culturale, storica e politica: più volte, e debbo citarmi, ho sollevato la questione, insieme al fatto che eludendola non si rispondeva all'anomalia italiana di un grande partito socialista inserito nel socialismo europeo".

Il secondo ha posto come ineludibile l'esigenza "(...) dell'avvio di una discussione che coinvolga tutti, iscritti, elettori e simpatizzanti per riflettere sugli errori e cercare di rilanciare un partito di sinistra, riformista, collocato nella famiglia socialista europea".

Parole come 'pacificazione nazionale', tratte dal lessico togliattiano della svolta di Salerno del '44 per sostenere 'il governissimo', imposto da Stalin, con il monarchico-fascista Pietro Badoglio e del voto favorevole del '47 all'art.7 della Costituzione sui Patti Lateranensi, definiti da Gramsci "capitolazione dello Stato", oggi servono a giustificare il mantenimento dello status quo voluto da potenti lobby 'clerico-finanziarie' come la Commissione trilaterale che, chiosa Ruffolo, "ha influenzato il pensiero politico in passato (negli anni '70) e lo influenza pure oggi".

Da - http://www.huffingtonpost.it/carlo-patrignani/al-pd-non-serve-togliatti-ma-gramsci-per-evitare-dissoluzione_b_3251088.html
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