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Autore Discussione: Antonio PADELLARO -  (Letto 72701 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Gennaio 17, 2008, 11:10:28 pm »

A prescindere

Antonio Padellaro


In un paese normale se la moglie del ministro della Giustizia viene messa agli arresti domiciliari sulla base dell’accusa (tutta da provare) di concussione, il ministro della Giustizia presenta le dimissioni in Parlamento. Clemente Mastella lo ha fatto con sensibilità istituzionale e gliene va dato atto.

Qui però finisce la normalità italiana. Perché non è normale affatto che l’intervento, comprensibilmente accorato, del dimissionario venga accompagnato nell’aula di Montecitorio da applausi così appassionati e scroscianti come forse neppure Giovanni Paolo II ne ebbe il giorno della sua storica visita.

Non è normale che la seduta della Camera prosegua con una serie di attacchi frontali alla magistratura «politicizzata», in una sorta di assurda dichiarazione di guerra (o di correità) del potere legislativo contro quello giudiziario. Attacchi che non possono certo accrescere la già scossa fiducia dei cittadini nei confronti della «casta» politica. E non è normale soprattutto la lunga litania di solidarietà (non solo umana) che da quel momento in poi si alza dai banchi del governo e della maggioranza a favore del ministro.

Unita alla richiesta pressante di recedere dall’insano proposito e di tornare a via Arenula. Comprendiamo tutti l’importanza che hanno per l’esecutivo i voti dell’Udeur, ma prima di solidarizzare «a prescindere» non sarebbe stato meglio informarsi bene sui reali contenuti dell’inchiesta? E vagliare attentamente le accuse con le quali, si apprenderà più tardi, la procura di Santa Maria Capua Vetere coinvolge lo stesso Mastella ipotizzando l’esistenza di una sorta di associazione per delinquere che avrebbe agito ai danni perfino del presidente della Regione Bassolino? Ci auguriamo sinceramente che Mastella e i suoi familiari dimostrino la loro estraneità ai fatti contestati. Ma la presunzione di innocenza deve valere per tutti. Per chi subisce le indagini e per chi le fa.

Pubblicato il: 17.01.08
Modificato il: 17.01.08 alle ore 8.22   
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« Risposta #31 inserito:: Gennaio 19, 2008, 11:11:24 pm »

La legge sono loro

Antonio Padellaro


Condannato da un tribunale della Repubblica a cinque anni per favoreggiamento, il presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro comunica esultante: non mi dimetto. Uomo di parola, Totò lo aveva detto prima che senza l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra sarebbe rimasto al suo posto. L’asticella l’ha fissata lui, e adesso non sente ragioni. Almeno un amico degli amici si è giovato di una sua soffiata su certe microspie messe dagli investigatori. Con il risultato di vanificare intercettazione e indagini. Negli Stati Uniti per molto meno ti sbattono in galera e buttano la chiave. Qui da noi ti dedicano una fiaccolata.

A quanto si è capito, secondo i giudici, favorire un mafioso non significa favorire la mafia. Siamo o no la patria del diritto? La condanna resta comunque grave, una macchia pesante per un uomo politico che dovrebbe difendere la propria immagine di onestà sopra ogni altra cosa. Non certo per “vasa vasa”, abituato a baciare sulle guance tanta di quella gente, ovviamente senza mai chiedergli la fedina penale. Lo abbiamo visto, raggiante, raccogliere il meritato successo a palazzo di giustizia. Dicono che nelle chiese palermitane i suoi fedeli abbiano pregato per l’assoluzione, e se anche il miracolo non c’è stato a Totò va benone lo stesso. Alleluja. Tra sconti di pena e indulto di quei cinque anni ne resterà ben poco. E quanto all’interdizione dei pubblici uffici, scatta a sentenza definitiva. Totò sorride e vasa e vasa. Immacolato è.

È un arroganza che lascia senza parole, ma scandalizzarsi serve poco. I tanti Cuffaro disseminati nel nostro bel paese della legge se ne fottono allegramente perché “loro” si considerano la legge. E quanto alle sentenze, dipende dal punto di vista. Infatti, Cuffaro festeggia la condanna che considera un’assoluzione e subito si crea una festosa processione di solidarietà guidata da Pierferdinando Casini. Il quale dimentico di aver ricoperto il ruolo di terza carica dello Stato, con una certa dignità, si congratula e approva con questo stravagante sillogismo: Totò non è colluso e quindi è giusto che resti presidente. Con questa logica potevano anche dargli dieci anni o venti e il leader Udc avrebbe ugualmente stappato lo spumante. Bravo Totò sei tutti loro, ma occhio alla prossima soffiata...

In questo venerdì di ordinaria giustizia spicca pure il rinvio a giudizio di Berlusconi chiesto dalla Procura di Napoli per corruzione. La storia è quella della famosa telefonata al prono Saccà con le aspiranti attrici tv “segnalate” in cambio di favori. Qui la tecnica è collaudatissima. Se Totò minimizza, Silvio s’indigna. E giù insulti contro il partito delle procure che i bravi berluscones rincarano in pieno delirio mistico accusando i magistrati di barbarie e altre nefandezze. Poi i due si congratulano vicendevolmente solidarizzando con Mastella. Il quale da Ceppaloni nel pieno rispetto dell’autonomia della magistratura definisce una «macchietta» il procuratore di Santa Maria Capua Vetere che lo ha inquisito con moglie e parenti.

Vendetta tremenda vendetta: il leader dell’Udeur pretende da tutta la maggioranza un voto di solidarietà, altrimenti addio governo. Probabilmente lo avrà. Alla fine l’unico, vero colpevole della giornata sarà il pm di Catanzaro De Magistris. Duramente sanzionato dal Csm viene trasferito da Catanzaro e non sarà più pm. Così impara a indagare sui politici.

P.S. L’altra sera in tv il sondaggista Renato Mannheimer calcolava in 7 su 100 gli italiani che nutrono ancora fiducia nella politica. Coraggio, lo zero è vicino.

apadellaro@unita.it

Pubblicato il: 19.01.08
Modificato il: 19.01.08 alle ore 11.38   
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« Risposta #32 inserito:: Gennaio 22, 2008, 04:31:54 pm »

Ripicche e disastri

Antonio Padellaro


L’ex ministro della Giustizia Mastella indagato con moglie e consuocero da una procura campana si vendica dell’affronto uscendo dalla maggioranza. Lo fa nel giorno del drammatico tonfo delle borse mondiali, che l’economia italiana e dunque gli italiani rischiano di pagare a carissimo prezzo.

Nell’assurda e irresponsabile sproporzione tra motivi personali e conseguenze nazionali, tra ripicche e disastri c’è tutta la gravità della crisi italiana. Non solo quella di un singolo esecutivo, tutto sommato rimediabile, ma di un intero sistema politico e parlamentare a cui viene di fatto impedito di governare il paese da una serie di ricatti individuali.

A questo punto se come sembra Romano Prodi chiederà alle Camere di esprimersi subito con un voto di fiducia o di sfiducia, renderà al paese un grande servizio, anche se forse l’ultimo del suo governo. Noi, come lui, vogliamo guardare bene in faccia quei deputati e quei senatori che hanno deciso di tradire il patto sottoscritto con l’Unione mandando a casa il governo votato da 19 milioni di elettori. E vogliamo ascoltarli attentamente quando enunceranno le ragioni del loro improvviso passaggio all’opposizione, così profondo e motivato da valere una letterina di poche righe recapitata a Palazzo Chigi.

Ciò dopo che per un anno e mezzo il premier si è prodigato oltre ogni limite per tenere insieme pezzi e pezzettini della coalizione. Ciò mentre quello stesso governo, liquidato magari dopo una riunione nel tinello di famiglia cominciava a redistribuire reddito alle fasce più deboli, risanava i conti pubblici con risultati apprezzati dall’Europa e la cui mediazione era fondamentale per la soluzione di una grande questione sociale e salariale come il contratto dei metalmeccanici. Quale riforma elettorale potrà mai salvarci se poi i politici restano questi e con questo senso dello Stato?

Pubblicato il: 22.01.08
Modificato il: 22.01.08 alle ore 13.13   
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« Risposta #33 inserito:: Gennaio 23, 2008, 05:51:01 pm »

La prova della verità

Antonio Padellaro


Può darsi che al Senato Prodi non ce la farà, come pronosticano molti scettici anche nell’Unione. E anche se la spuntasse per uno o due voti, osservano, che futuro potrebbe mai avere un governo con una maggioranza così striminzita? La destra si scaglia poi contro il ricorso ai senatori a vita come se il loro giudizio valesse di meno, ma a leggere la Costituzione così non è.

Eppure bisognerebbe dare atto al premier di avere scelto, andando in Parlamento, la via più lineare, trasparente e rispettosa dei cittadini elettori. I quali, a sinistra come a destra, si meritano tutta la verità su questa crisi nata chissà perché e che rischia di portare l’Italia chissà dove. Mastella potrà finalmente spiegare cosa lo ha spinto, una mattina, a buttare tutto per aria passando dalla maggioranza all’opposizione.

Capiremo meglio quanto in questa storia c’entri Berlusconi e quanto il cardinal Bagnasco che già fa campagna elettorale per conto di Dio. O forse il leader di Ceppaloni mollando Prodi ha semplicemente sbagliato tutto, condannando se stesso e l’Udeur alla marginalità politica come gli va dicendo il suo maestro Giulio Andreotti.

Anche la destra sarà costretta a dire ciò che è e ciò che vuole. Fini preannuncia il suo ritorno nell’ovile berlusconiano e dopo le roboanti accuse al cavaliere di qualche settimana fa, ci sarà da ridere.

E ascolteremo Casini per capire se davvero l’Udc, anche sotto la minaccia elettorale, tornerà o non tornerà ad essere una succursale di Forza Italia.

Vedremo il Partito democratico affrontare la prova più dura da quando è nato. E se malgrado tutti gli sforzi il governo non dovesse farcela, Prodi e Veltroni dovranno continuare a fare gioco di squadra mettendo da parte attriti e incomprensioni. Scegliendo ciò che è meglio ma cercando di evitare le elezioni anticipate. L’unica soluzione che il centrosinistra non può davvero augurarsi.

Pubblicato il: 23.01.08
Modificato il: 23.01.08 alle ore 8.19   
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« Risposta #34 inserito:: Febbraio 02, 2008, 09:05:18 pm »

Caos calmo

Antonio Padellaro


L’altro giorno abbiamo letto sulla Stampa che il direttore del Corriere della sera, Paolo Mieli aveva fatto «capolino» a palazzo Grazioli.
Circostanza che veniva interpretata come segnale esplicito di elezioni anticipate ad aprile. Sulla inevitabilità del voto non aveva dubbi quasi più nessuno. E, a quanto sembra, comincia a non averne anche il presidente del Senato Franco Marini incaricato da Napolitano di coltivare la più esile speranza. Molto più sorprendente, invece, la prima parte della notizia, soprattutto perché a palazzo Grazioli abita Silvio Berlusconi. I maligni si saranno subito interrogati sulle ragioni della visita del direttore del più importante giornale italiano al probabile vincitore (secondo i sondaggi) delle ormai imminenti elezioni. E si saranno subito risposti malignando, appunto, su un possibile nuovo endorsement (in inglese la pubblica dichiarazione di appoggio) da parte dello stesso Mieli. Che due anni fa, alla vigilia del voto, aveva schierato il Corrierone a favore di Romano Prodi, dato per sicuro vincitore. Noi che maligni non siamo abbiamo pensato ad altre ipotesi. Primo: il collega della Stampa pur se informatissimo su ciò che si muove intorno al cavaliere questa volta si è sbagliato poiché quello non era Mieli bensì il fratello di Bondi. Secondo: era Mieli ma si trovava a palazzo Grazioli per fare visita non a Berlusconi bensì a dei conoscenti che casualmente abitano al piano di sopra. Terzo. Mieli si è recato effettivamente a trovare Berlusconi ma per fargli tutt’altro discorso rispetto a quello che i soliti maligni immaginano.

È andato cioé a spiegargli che con questo suo ossessivo gridare al voto al voto senza prendere in considerazione le offerte di dialogo su legge elettorale e riforme avanzate dal centrosinistra, e incoraggiate dal Quirinale egli Berlusconi sta danneggiando non solo il Paese ma se stesso. Lei invoca lo scontro elettorale, è possibile che gli abbia detto Mieli, mentre tutte le più importanti categorie economiche e produttive pretendono stabilità. Lo chiedono dalla Confindustria alla Confocommercio che tradizionale bacino elettorale del centrodestra ha accolto con un’ovazione il leader del Pd Walter Veltroni. Che il fronte anti-urne comprenda oggi un mondo di industriali, commercianti e professionisti che nel 2006 votò a grande maggioranza per la Cdl dovrebbe far riflettere chi continua a presentarsi come il nuovo ma comincia ad essere accomunato alla politica più vecchia e megalomane. Se poi Berlusconi avesse letto l’ultimo numero dell’Economist ne ricaverebbe un giudizio ancora più severo sul suo essere del tutto inadatto a guidare l’Italia, concentrato com’è sul proprio ombelico.

Non stupisce perciò che preso dalla fregola del voto il personaggio non si renda conto che, come ha spiegato D’Alema, un Parlamento eletto con un sistema (il tragico Porcellum) che dopo pochi mesi potrebbe essere cancellato dai cittadini rischierebbe, in breve tempo una totale delegittimazione.

Temiamo tuttavia che se anche Mieli avesse fatto «capolino» a palazzo Grazioli con questi argomenti non avrebbe avuto granché ascolto perché a Berlusconi dell’interesse del Paese «non importa un fico secco» (lo ha scritto ieri Giovanni Sartori proprio sul «Corriere»). Pur di prendere un voto in più metterà insieme una compagnia che andrà da Salò a Ceppaloni, affiancato dagli «ectoplasmi» Fini e Casini subito accorsi a un fischio del capo. Ma prenderà un voto in più Berlusconi?

Tutte i cattivi propositi a carico del leader di Forza Italia possono infatti essere usati come buone ragioni a favore del Pd. Perché la gente dovrebbe dare fiducia a un imbonitore che da un quindicennio si presenta sempre con lo stesso spettacolo, e non invece all’unica vera novità della politica italiana? Perché il senso di responsabilità non dovrebbe essere apprezzato e invece sì l’assalto alla diligenza? Perché non pensare che il buongoverno del governo Prodi stia cominciando a sedimentare tra gli italiani l’apprezzamento che merita ora che la grancassa dell’opposizione fa meno chiasso?

Non sarebbe la prima volta che chi baldanzosamente invoca le elezioni ne finisce sepolto. Accadde alla Dc negli anni 50. Accadde, duole ricordarlo, alla gioiosa macchina da guerra progressista travolta nel ‘94 dall’uomo di Arcore appena sceso in politica. Chi vuole l’Italia confusa e agitata del caos permanente descritta ieri dal Capo dello Stato non può averla sempre vinta. apadellaro@unita.it


Pubblicato il: 02.02.08
Modificato il: 02.02.08 alle ore 8.37   
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« Risposta #35 inserito:: Febbraio 05, 2008, 06:43:42 pm »

L’arroganza del no

Antonio Padellaro


Ha detto no al capo dello Stato. No al presidente del Senato. No al leader del Pd. No a un governo istituzionale. No a qualsiasi forma di dialogo. No a una modifica della legge elettorale (la porcata del leghista Calderoli) richiesta dalla maggioranza delle forze politiche. L’ha avuta vinta lui e non perché si andrà al voto, espressione comunque della volontà dei cittadini.

Intollerabile è la tracotanza dei modi, la mancanza di rispetto per qualsiasi istituzione, la sordità delle altrui ragioni da parte di un personaggio mosso esclusivamente da bramosia di rivincita, reso ebbro dai sondaggi che sventola come se bastassero ad assicurargli di nuovo Palazzo Chigi.

Parliamo di Silvio Berlusconi perché gli altri contano zero, ed è l’unica cosa sulla quale gli diamo ragione. La velocità di Fini e Casini nell’accodarsi al capo dopo averne detto peste e corna è una pagina deprimente ma non inattesa visto che il padrone delle loro carriere resta lui.

Mentre il signor no s’impuntava sul voto anticipato, che ci costerà la bellezza di trecento milioni di euro con il rischio di avere un nuovo parlamento ingovernabile, sulla stampa di famiglia («Giornale» e «Foglio») alcuni addetti facevano circolare false notizie su possibili accordi Berlusconi-Veltroni.
Ipotesi ridicole e utili soltanto a sviare l’attenzione dalle vere intenzioni del proprietario. Le solite: offrire al Pd un finto dialogo per il «dopo» e prepararsi per il subito a bastonare gli avversari accusandoli di qualunque nefandezza. Una trappola scontata che Veltroni ha liquidato affermando che il Pd è alternativo alla destra su valori e programmi. E a maggior ragione se l’altro si rifiuta perfino di scrivere insieme le regole. Per il centrosinistra sarà una campagna elettorale durissima. Ma cavalcando la politica più vecchia e arrogante forse Berlusconi prepara la sua sconfitta.



Pubblicato il: 05.02.08
Modificato il: 05.02.08 alle ore 12.34   
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« Risposta #36 inserito:: Febbraio 06, 2008, 03:14:44 pm »

L’arroganza del no

Antonio Padellaro


Ha detto no al capo dello Stato. No al presidente del Senato. No al leader del Pd. No a un governo istituzionale. No a qualsiasi forma di dialogo. No a una modifica della legge elettorale (la porcata del leghista Calderoli) richiesta dalla maggioranza delle forze politiche. L’ha avuta vinta lui e non perché si andrà al voto, espressione comunque della volontà dei cittadini.

Intollerabile è la tracotanza dei modi, la mancanza di rispetto per qualsiasi istituzione, la sordità delle altrui ragioni da parte di un personaggio mosso esclusivamente da bramosia di rivincita, reso ebbro dai sondaggi che sventola come se bastassero ad assicurargli di nuovo Palazzo Chigi.

Parliamo di Silvio Berlusconi perché gli altri contano zero, ed è l’unica cosa sulla quale gli diamo ragione. La velocità di Fini e Casini nell’accodarsi al capo dopo averne detto peste e corna è una pagina deprimente ma non inattesa visto che il padrone delle loro carriere resta lui.

Mentre il signor no s’impuntava sul voto anticipato, che ci costerà la bellezza di trecento milioni di euro con il rischio di avere un nuovo parlamento ingovernabile, sulla stampa di famiglia («Giornale» e «Foglio») alcuni addetti facevano circolare false notizie su possibili accordi Berlusconi-Veltroni.
Ipotesi ridicole e utili soltanto a sviare l’attenzione dalle vere intenzioni del proprietario. Le solite: offrire al Pd un finto dialogo per il «dopo» e prepararsi per il subito a bastonare gli avversari accusandoli di qualunque nefandezza. Una trappola scontata che Veltroni ha liquidato affermando che il Pd è alternativo alla destra su valori e programmi. E a maggior ragione se l’altro si rifiuta perfino di scrivere insieme le regole. Per il centrosinistra sarà una campagna elettorale durissima. Ma cavalcando la politica più vecchia e arrogante forse Berlusconi prepara la sua sconfitta.



Pubblicato il: 05.02.08
Modificato il: 05.02.08 alle ore 12.34   
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« Risposta #37 inserito:: Febbraio 08, 2008, 11:12:53 pm »

Il fegato del Cavaliere

Antonio Padellaro


Correre da solo: Berlusconi accetterà mai la sfida che gli sta lanciando Veltroni? Se desse retta a quello che diceva dovrebbe farlo. Ricordate quel premier che nei cinque anni a Palazzo Chigi non faceva altro che lamentarsi dei suoi alleati? Troppo avidi di potere e sempre pronti a piantare grane, diceva, non mi hanno fatto governare come avrei voluto. E chi era quel leader che una sera, in una piazza milanese, disse dall’alto di un predellino che avrebbe fondato un altro partito più grande e più splendente che pria per liberarsi da quei miracolati e ingrati di Fini, Casini e Bossi?

Ed è sempre lui quell’uomo che ci descrivono nuovamente assediato dalle pretese dei tre vassalli (ritornati a corte) e della quindicina di valvassini sparsi da Salò a Ceppaloni? Basterebbe quella foto al Quirinale, di lui quindici anni dopo e qualche chilo di cerone in più attorniato dalle solite cariatidi a farlo riflettere sul messaggio polveroso del già visto e già sentito che sta trasmettendo agli italiani. Per decidere di correre da solo Berlusconi dovrebbe essere lo stesso che ebbe la baldanza di creare Forza Italia. Per compiere una scelta così rischiosa dovrebbe averne, oltre che il fegato, la statura politica. Dovrebbe farsi carico dell’interesse nazionale, cosa che sarebbe davvero sorprendente in chi beatamente continua a galleggiare nel conflitto tra gli interessi privati e quelli pubblici.

Ma per accettare la sfida di Veltroni bisognerebbe essere anche diversi da colui che ha respinto ogni richiesta di avviare un dialogo su qualunque cosa, pur di seguire l’istinto della vendetta elettorale. Per correre da solo Berlusconi dovrebbe insomma smentire se stesso. Ma questo sarebbe davvero chiedergli troppo.

Pubblicato il: 07.02.08
Modificato il: 07.02.08 alle ore 8.05   
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« Risposta #38 inserito:: Febbraio 09, 2008, 05:48:10 pm »

Effetto Pd

Antonio Padellaro


Oggi si commemora Pier Ferdinando Casini, che poteva sbancare Berlusconi e finì sbancato. Questa è la vera notizia, non l’annessione di Alleanza Nazionale nel Pdl, partito finto nuovo di cui l’annesso e giulivo Gianfranco Fini soltanto ieri diceva peste e corna. Soltanto una settimana fa Casini aveva in mano un poker d’assi: la riforma elettorale che Franco Marini gli offriva in cambio dell’appoggio al suo governo. Un sì e Casini avrebbe avuto quel sistema proporzionale che lo avrebbe emancipato forse per sempre dalla schiavitù del cavaliere. E invece l’astuto leader ha gettato il poker nel cestino. Giurando fedeltà a colui che adesso gli chiede di sparire con tutta l’Udc, in cambio di un posto in ditta. Casini sdegnosamente rifiuta. Ma adesso pover’uomo? Rallegriamoci comunque perché la destra si spacca sotto l’effetto Pd. Veltroni evoca Davide e Golia. Quella volta vinse il più piccolo perché giocava d’anticipo e aveva una buona mira. L’anticipo c’è stato ma ora comincia il difficile.

Per esempio: soli si vince o soli si perde? Al dilemma che più ci mette in ansia si potrebbe semplicemente rispondere: aspettiamo il 14 aprile e vedremo. Del resto, la decisione di correre con l’unico simbolo del Pd Walter Veltroni l’ha già presa senza ripensamento alcuno, e gli altri leader si sono adeguati non si sa quanto volentieri. L’incontro di ieri tra Pd e Sinistra Arcobaleno ha detto poi che la divergenza consensuale tra i due blocchi del centrosinistra è cosa fatta.

Anche vero però che l’ultima parola spetta ai cittadini e che sapere di che umore sono non è indifferente ai fini del risultato finale. Tra due mesi andranno alle urne speranzosi? O resteranno a casa bloccati dai più infausti presagi? Su questo giornale ottimisti e pessimisti si stanno confrontando con i loro argomenti, alcuni dei quali pur se di segno opposto ugualmente convincenti. Insomma, non tutto è chiaro da noi.

Chi pronostica la quasi sicura sconfitta si appoggia soprattutto alla forza intrinseca dei numeri. Come potrebbe mai il Pd accreditato si e no di un 30-35% dei voti battere il centrodestra segnalato da tutti i sondaggi al di sopra del 50%? Una considerazione per così dire tombale, ma non basta. Richiamandosi a Max Weber e all’etica della responsabilità, Gianfranco Pasquino ha osservato su queste colonne che l’insuccesso da «solitudine» del Pd porterebbe come conseguenza più grave «che numerosi ceti sociali già svantaggiati non otterranno adeguata rappresentanza in parlamento e non godranno più di sufficiente protezione». Sappiamo tutti che altri cinque anni di governo Berlusconi sarebbe una punizione troppo grande e immeritata. Né ci consolerebbe la serena convinzione di avere comunque contribuito alla semplificazione del sistema partitico ponendo nel contempo le basi per la rivincita quando sarà. Giusto sperare in un futuro migliore per i nostri figli ma alcuni di noi cominciano ad avere i capelli bianchi a furia di chiedersi cosa abbiamo fatto di male per meritarci un’altra abbondante porzione di Calderoli e Storace.

Davvero basterebbe includere nel Pd l’Italia dei Valori, radicali e socialisti per sperare di superare la feroce macchina da guerra della destra? È vero che nel 2001 alla coalizione che candidava Rutelli contro Berlusconi mancarono i voti (rifiutati) di Bertinotti e Di Pietro. Con essi il centrosinistra avrebbe avuto la maggioranza al Senato e dunque il pareggio. Ma non c’era il “porcellum” e il devastante premio di maggioranza.

Certo che con diciotto contro uno il Pd rischia di brutto ma che alternativa c’era? Rifare l’Unione sarebbe stato comunque impossibile perché a parte la fuga dei «pugnalatori» Dini e Mastella, con Rifondazione e gli altri pezzi della sinistra radicale non si poteva ricominciare con il tira e molla sulla politica estera o sulle scelte economiche. Per quei continui litigi molti elettori ci avevano già abbandonati e se avessimo ripreso quella vecchia strada in molti altri non ci avrebbero seguito, ha osservato su queste pagine Stefano Ceccanti. Avremmo perso comunque e allora perché non provare con un nuovo marchio e una nuova offerta? Primo, recuperare a sinistra gli incerti e i delusi. Secondo, scommettere su un’area di elettori di centro e provare a convincerli con un programma innovatore a cui sta lavorando il riformista Morando.

Belle parole e ottimi propositi a cui Veltroni dovrà dare credibilità e concretezza nel corso della sua lunga campagna d’Italia. Una predicazione che toccherà tutte e centodieci le province italiane con lo scopo di convincere quasi una per una le persone che vorranno ascoltarlo. Una strategia faticosissima ma che potrebbe dare risultati insperati. I sondaggi cominciano a cambiare in meglio. E anche gli strappi di Berlusconi non guastano. Comunque, non ci annoieremo.

apadellaro@unita.it

Pubblicato il: 09.02.08
Modificato il: 09.02.08 alle ore 9.37   
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« Risposta #39 inserito:: Febbraio 13, 2008, 11:12:41 pm »

Una brutta storia

Antonio Padellaro


Siamo d’accordo con l’Osservatore Romano che invita ad evitare «strumentalizzazioni ad uso elettorale» sui temi etici, a cominciare dall’aborto. Siamo d’accordo perché il circo barnum che si sta organizzando contro la legge 194 specula sul dolore delle persone e supera i limiti dell’umana decenza solo per ottenere qualche voto in più. Una campagna cinica e strombazzante che ha già creato il clima adatto nel quale in una struttura pubblica una donna reduce da un intervento che è quanto c’è di più traumatico, fisicamente e psicologicamente viene sottoposta ad interrogatorio dalla polizia come una delinquente. Con relativa e agghiacciante esibizione del corpo del reato. Sì, delinquente perché è questo che si cerca di far passare nella campagna strombazzante dei nuovi savonarola, predicatori sulla pelle degli altri le cui fanatiche esibizioni cominciano a imbarazzare perfino il Vaticano. Si saprà poi che all’ospedale di Napoli tutto è avvenuto secondo la legge e che dietro l’irruzione delle forze dell’ordine c’è una denuncia anonima giunta alla procura. Mettiamoci nei panni di quei magistrati e di quei poliziotti martellati come tutti gli italiani dalla farneticante equiparazione aborto uguale omicidio e che, forse, già sentono l’aria (politica) che tira. Ecco infatti in tutti i tg Giuliano Ferrara che annuncia la sua lista per la vita, con la benedizione di Silvio Berlusconi. La brutta vicenda di Napoli finirà nel nulla ma il segnale è giunto forte e chiaro a tutte le donne. Che da ieri avranno capito una volta di più che la legge dello Stato conterà sempre di meno se non si porrà un deciso argine ai legionari dei diritti negati, a quelli che fanno campagna elettorale esibendo feti da rianimare. Una brutta Italia si avanza, pronta a calpestare la sofferenza degli altri per puro tornaconto politico. A Napoli ne abbiamo avuto un esempio.

Pubblicato il: 13.02.08
Modificato il: 13.02.08 alle ore 9.04   
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« Risposta #40 inserito:: Febbraio 16, 2008, 11:19:12 pm »

Contro la Casta

Antonio Padellaro


Nella lunga tradizione partitica italiana è sempre toccato ai maggiori leader l'onore e l'onere del primo posto nelle liste elettorali delle grandi città. È sempre stato così per trainare voti e ribadire una precisa gerarchia di potere. Che Veltroni abbia deciso di candidarsi a Roma, a Milano e in una grande metropoli del Sud al secondo posto dietro tre giovani, sicuramente di qualità ma sconosciuti agli apparati, rappresenta un colpo d'immagine e un segnale forte.

Il rinnovamento delle candidature è una risposta alla rivolta silenziosa di massa contro la «casta» politica degli inamovibili, sempre gli stessi, avvinti come l'edera alle loro poltrone e ai loro privilegi. Catapultare dei trentenni fino alla tavola rotonda del Pd, non farà certo piacere ai vecchi cavalieri dei Ds e della Margherita. Che tuttavia lasceranno fare al candidato premier lanciato com'è in una rimonta elettorale che ogni giorno appare meno impossibile.

Il vento infatti ha smesso di soffiare nelle vele di Berlusconi appena ha messo mano, proprio per inseguire la novità del Pd, al suo partito unico. Quel Pdl che sembra però una versione ancora più confusa della Cdl visto che Casini non ne vuole sapere di farsi annettere. Se l'Udc manterrà il punto Berlusconi dovrà rinunciare a una consistente fetta di voti e ridimensionare i proclami di sicura vittoria.

Ma se il tormentato Pier dovesse al fine cedere al richiamo della foresta lo farà imponendo un prezzo salato al cavaliere. Che dunque si troverà di nuovo su quella graticola dei cedimenti e dei compromessi che sperava aver sotterrato per sempre. In questo clima di ottimismo Veltroni aprirà oggi la campagna elettorale del Pd annunciando sicuramente altre novità. Sarà difficile che tra i 2800 delegati qualcuno possa mettersi di traverso pur sapendo che ormai nulla o quasi nulla sarà più come prima.


Pubblicato il: 16.02.08
Modificato il: 16.02.08 alle ore 8.45   
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« Risposta #41 inserito:: Febbraio 17, 2008, 09:20:01 pm »

Sì, si può

Antonio Padellaro


Scenografia: la campagna toscana e sguardi celesti di giovani donne.

Protagonisti: il paziente Prodi, l’audace Finocchiaro (alla conquista della fatal Sicilia), l’abile D’Alema.

Soggetto: come trasformare una sicura sconfitta in una possibile vittoria. Se «Yes, we can» (Si può fare) di Walter Veltroni fosse un film avrebbe già incassato il favore della critica.

Per il pubblico occorre aspettare il 13 aprile ma l’inizio è incoraggiante.

La metafora filmica si addice al politico più cinefilo per l’intensità dell’immagine e la cura dei dettagli. Tutto il resto è vita, dura realtà quotidiana. Un paese da rimettere in moto. Una politica a cui restituire credibilità. Un programma di fatti, impegni, scadenze. Veltroni sa come non farsi incastrare nel copione delle solite promesse. Espone tutto il meglio che gli italiani si aspettano. Lo esprime con un linguaggio a forte contenuto simbolico.

Per esempio. Candidare il giovane imprenditore e l’operaio sopravvissuto della Thyssen come segno del ritrovato patto tra impresa e lavoro.

Deplorare l’egualitarismo sessantottino per rimarcare la rivincita del merito e del sacrificio.

Promuovere l’innovazione di massa attraverso lo sviluppo tecnologico della comunicazione.

Nei dodici punti, naturalmente, c’è molto di più. Un progetto economico che ha come stella polare la crescita, perché senza lo sviluppo non c’è giustizia sociale. Meno tasse, meno burocrazia, meno conservatorismo, meno ambientalismo del no. Più legalità, più trasparenza della politica, più sicurezza per tutti. E poi l’amor di patria e l’omaggio ai soldati-eroi delle missioni umanitarie. E il «ma anche» veltroniano pronto a dimostrare che “si può fare”.

E poi, il sollievo dell’andare da soli senza i condizionamenti della sinistra radicale. Che fa il paio con il punto tredici: Berlusconi non si nomina ma il disastro della destra sì.

Pubblicato il: 17.02.08
Modificato il: 17.02.08 alle ore 15.09   
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« Risposta #42 inserito:: Febbraio 23, 2008, 11:28:03 pm »

Rifiuti e benzina il voto si avvicina

Antonio Padellaro


Primo. L’altra sera guardando in tv «AnnoZero» tre milioni di italiani hanno appreso che tre mesi dopo l’esplosione della catastrofe rifiuti le strade dell’hinterland napoletano sono ancora disseminate di spazzatura.

Secondo. Molti di più sono i cittadini che nelle ultime settimane hanno deciso di non usare l’auto a causa del prezzo fuori controllo del carburante. Mentre è incalcolabile il numero delle persone costrette a tirare la cinghia a causa dei pesanti riflessi del caro petrolio sui generi di prima necessità come carne, latte e verdure.

Terzo. Aumentare i salari e meno tasse alle famiglie, altro che pensare a rivedere la legge sull’aborto. È quanto chiede il 75 per cento degli elettori cattolici interpellati da un sondaggio del gruppo editoriale San Paolo (opinione, riteniamo, condivisa anche dai non credenti).

Siamo convinti che Veltroni abbia ben presenti le priorità della campagna elettorale che lo vedono impegnato con tutto il Pd nel non impossibile recupero sull’armata di Berlusconi. Indubbiamente, i primi colpi messi a segno dal leader democratico stanno facendo guadagnare punti sull’avversario.

Dalla decisione di correre da solo (o quasi). Al profilo programmatico, riformista in economia e laico sui diritti. Al rinnovamento delle candidature, arricchite da nomi di prestigio. Una buona partenza che tuttavia potrebbe non bastare nel momento in cui, smessa la tattica attendista, Berlusconi comincia a scoprire le carte. A parte le solite promesse da paese di bengodi c’è lo slogan enunciato ieri sera a «Matrix»: «Rimedieremo ai danni fatti dal governo Prodi». Anzi, annuncia, i disastri sono tali che non ci sarà bisogno di campagna elettorale.

Fanfaronate certo ma dietro le quali ci sono i drammatici squarci di realtà di cui all’inizio di questo articolo. Prendiamo i rifiuti in Campania. Tutti apprezzano gli sforzi del supercommissario De Gennaro per eliminare una piaga che esaspera le popolazioni e offende la dignità del paese. Tutti sanno delle gigantesche difficoltà che si frappongono a soluzioni anche temporanee della maleodorante vicenda, a cominciare dalle tante rivolte che si accendono sul territorio ogniqualvolta si ipotizza l’apertura di una discarica. E tutti si chiedono come sia mai possibile che non si trovino altri sistemi per cancellare l’incredibile spettacolo del pattume debordante. O siamo di fronte all’impossibile, a un’emergenza che si è ormai cronicizzata in lesione permanente come succede con certe malattie troppo a lungo trascurate? Senza contare che il mandato di De Gennaro non è eterno e che andrebbe a scadere poche settimane dopo il 13 aprile, data delle elezioni. Come ben descritto nella trasmissione di Santoro la responsabilità politica di questo disastro viene da lontano ed è assolutamente trasversale. Non si può negare però che nell’ultimo tratto di strada, quello più lungo e tormentato hanno inciampato soprattutto le giunte di centrosinistra. E sarà difficile che gli elettori se lo dimentichino. Proprio ieri la regione governata da Bassolino ha annunciato un nuovo cospicuo stanziamento per il completamento della linea metropolitana di Napoli. Un’opera di grande impatti e utilità per i cittadini, ma chi ci farà caso se l’immagine prevalente resta quella della monnezza? Uno spot a costo zero che Berlusconi sfrutterà da par suo. A Veltroni il non facile compito di trovare le adeguate contromisure.

Capitolo prezzi, inflazione e impoverimento ulteriore dei ceti meno abbienti. Qui la tracotanza berlusconiana può essere facilmente tacitata visto che Veltroni continua a proporre inutilmente un accordo bipartisan in parlamento sull’aumento dei salari e delle detrazioni fiscali utlizzando l’extragettito di dieci miliardi. Il famoso tesoretto di cui Berlusconi e Tremonti riconoscono l’esistenza ma che non hanno nessuna intenzione di destinare ai redditi meno bassi riservandosi di metterci le mani sopra se dovessero andare al governo. Conseguente il comportamento di Forza Italia che nel comitato parlamentare dei nove chiamato a votare l’apposito emendamento su salari e fisco nel decreto Milleproroghe è stato l’unico partito ad opporsi mandando tutto all’aria. Un vero schifo. Rivolgiamo un accorato appello a Veltroni e a tutti gli esponenti del Pd ospiti in trasmissioni, dibattiti e salotti televisivi affinché ne informino compiutamente gli italiani.

Pubblicato il: 23.02.08
Modificato il: 23.02.08 alle ore 10.38   
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« Risposta #43 inserito:: Marzo 02, 2008, 09:16:46 am »

Il Cavaliere dell'Italia ingiusta

Antonio Padellaro


Il figlio del capo di Cosa nostra, boss mafioso anch’egli scarcerato per decorrenza dei termini grazie a una burocrazia lenta e indifferente. La lista dei superevasori nascosti nel paradiso fiscale del Liechtenstein della cui reale identità forse non sapremo mai. Gli arbitraggi del calcio accusati di favorire sempre le società più potenti a scapito delle piccole. Sono tre titoli di stretta attualità che hanno in comune la stessa parola chiave. Ingiustizia. Che nel suo significato più ampio è qualcosa di più e diverso del contrario della parola giustizia, declinabile in molteplici modi. Non la mitica divinità provvista di equanime bilancia rappresentata nelle aule di tribunale o il potere dello Stato depositario del relativo esercizio, perché appartengono a una dimensione troppo elevata rispetto alle umane debolezze. E anche la giustizia come valore etico sociale in base al quale si riconoscono e si rispettano i diritti altrui come si vorrebbe fossero riconosciuti e rispettati i nostri resta un concetto nobile ma purtroppo astratto.

Di ben altro vocabolario avremmo bisogno per orientarci dentro la nuvola nera di risentimento, rabbia e cattivo umore che ci sentiamo gravare addosso soprattutto come italiani. Ingiustizia che è sì mancanza di giustizia ma nelle sue accezioni più minacciose e accidentate. Sopruso. Torto. Arbitrio. Prepotenza. Prevaricazione. Non sono forse sentimenti che frequentiamo ogni giorno, cattive compagnie che ci tirano fuori il peggio?

Gli uomini, ci è stato insegnato, hanno creato il diritto per difendersi dalla legge della giungla.

Per dissuadere attraverso pene e sanzioni adeguatamente severe l’agire dei violenti e dei disonesti. Poi un giorno un magistrato ti spiega che assassini, ladri, bancarottieri, mafiosi, più la fanno grossa, meglio è. Ammazzi la moglie? Con 5 anni te la cavi. Rubi miliardi? Prescrizione assicurata. La legge e i suoi cavilli sono dalla tua. Intanto in prigione ci vanno gli altri, tossicodipendenti e immigrati. Alla fine la stragrande maggioranza dei delitti resta impunita. Parola di Bruno Tinti, giudice e autore di «Toghe rotte» che è già un best-seller. Esagerazioni? Non si direbbe a vedere il giovane Giuseppe Salvatore Riina jr. mentre con un sorrisetto varca il portone del carcere di massima sicurezza di Sulmona. Sì, massima sicurezza. Ecco però che il ministro della Giustizia Scotti chiede molto tardive informazioni. E quello dell’Interno Amato assicura che pur di fronte a un fatto così grave le forze dell’ordine non si scoraggiano. Caute circonlocuzioni che rendono ancora più evidente lo stato d’animo dei funzionari di polizia e degli agenti che incastrarono il figlio di cotanto padre facendolo condannare a 14 anni e 6 mesi per estorsione e associazione mafiosa. Cosa penseranno nel vederlo oggi mostrarsi al mondo e agli amici degli amici di Corleone con il giubbotto moncler e il maglioncino rosa? Immagine che certamente non farà che avvalorare l’amara convinzione ormai radicata nel senso comune del paese. Che ormai in galera ci va soltanto chi è troppo povero o chi è troppo fesso. Come ben sa l’uomo delle leggi ad personam.

Chi paga le tasse invece è soltanto un fesso. Come non pensarlo mentre Berlusconi declama il suo eterno programma di sperperi. Musica per le orecchie degli evasori di cielo di terra e di mare resi di nuovo liberi, se egli tornerà al governo, «dall’atmosfera di minaccia e di terrore che Prodi e Visco hanno introdotto nel nostro Paese». Prendere nota: minaccia e terrore il semplice rispetto della legge. Lui che ha massacrato i conti pubblici si permette di insultare il governo del risanamento e della ritrovata credibilità in Europa. Se torna questa gente aspettiamoci che i furbi e i furbetti di Vaduz vengano additati a pubblico esempio e insigniti di cavalierati al merito. Di lotta all’evasione non se ne sentirà più parlare e nella testa delle giovani generazioni si inculcherà l’idea che i contribuenti onesti sono dei poveracci, dei deboli che il fisco fa bene a tartassare.

In un libro di recente pubblicazione, «Governare il mercato», Vincenzo Visco ha elencato i nemici di quell’Italia che il centrosinistra ha faticosamente rimesso in piedi. «L’incultura, la prepotenza, la ricchezza ostentata e di dubbia provenienza, la malavita, soprattutto quella in guanti bianchi, l’ignoranza, la volgarità, la disonestà intellettuale, l’evasione fiscale, l’assistenzialismo, la prevaricazione dei deboli, l’inconsapevolezza dei bisogni, la manipolazione delle masse, l’informazione addomesticata, il fascismo di ritorno, che invece dei manganelli e dell’olio di ricino usa l’attacco personale, le campagne mediatiche, le falsità costruite ad arte».

Veltroni ha ragione quando condanna la politica dell’odio e della divisione. Ma non può non tener conto dei danni che provoca un senso di ingiustizia diffuso e non placato. Certo non è giusto che ogni auto blu che passa per strada scateni scatti di antipolitica. O che ogni fuorigioco non fischiato allo stadio sia un complotto. Sono i riflessi condizionati di un paese abituato a pensar male per frustrazione, a cui occorre restituire il senso di una netta e rigorosa demarcazione tra il giusto e l’ingiusto, l’onesto e il disonesto. Se no il rischio è di assopirci tutti quanti, tra un taglio dell’Ici e un condono, nella misera rassegnazione del così fan tutti. E di domandarci una mattina: ma il conflitto d’interessi cos’era?

Pubblicato il: 01.03.08
Modificato il: 01.03.08 alle ore 14.22   
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« Risposta #44 inserito:: Marzo 03, 2008, 06:06:37 pm »

Nord e Sud. I nodi di Veltroni

Antonio Padellaro


Con Bassolino e Calearo, personaggi diversissimi tra loro, Veltroni sta giocando un round decisivo della partita elettorale del Pd. Non avrà le dimissioni del presidente campano, che richiesto di appellarsi alla propria coscienza ha risposto di non voler «disertare». Ma avrà come capolista nel Veneto l’industriale presidente di Federmeccanica, candidatura che per il leader democratico incarna il patto tra produttori e lavoratori (ma alla Fiom non la pensano così). Bassolino rappresenta nel bene e nel male la questione meridionale del centrosinistra. Per una lunga stagione e soprattutto da sindaco di Napoli ha consentito la mietitura di vasti consensi elettorali. Fino alle elezioni del 2006 quando il voto in Campania è risultato decisivo al risicato successo dell’Unione. Adesso però il governatore è diventato, forse ingiustamente, il parafulmine politico dell’emergenza rifiuti, immagine a cui Veltroni vorrebbe comprensibilmente sottrarsi. La scelta di Calearo, invece, punta direttamente al cuore della questione settentrionale del Pd. Un Nord-Est tradizionalmente inospitale per il centrosinistra e che ora si tenta di sottrarre alla tenaglia berlusconian-leghista con un nome che può avere effetti rassicuranti nel mondo della piccola e media industria. Subito Bertinotti e Diliberto ne approfittano per definire i “fratelli coltelli” del Pd un partito non più di sinistra e ormai distante dalla classe operaia. Ma per vincere le elezioni Veltroni persegue la strategia della discontinuità del Pd. Quella di un partito maggioritario che pur senza allontanarsi dal suo tradizionale blocco sociale deve saper raccogliere consensi in tutti ceti, in tutte le categorie e tra tutte le età. Si tratta di sommare i possibili voti nuovi (Calearo) ai voti che ci sono (Bassolino) ma che potrebbero non esserci più. Non sarà facile. Ma chi ha detto che battere Berlusconi lo è?

Pubblicato il: 03.03.08
Modificato il: 03.03.08 alle ore 9.06   
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