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Autore Discussione: L'ITALIA DELLA GENTE PERBENE. La mamma di Eleonora.  (Letto 2671 volte)
Admin
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« inserito:: Settembre 13, 2013, 05:00:01 pm »

La lettera

La mamma di Eleonora scrive al Corriere: «Il messaggio d'amore di mia figlia»

«Viveva la carità intensamente».«Ora l'India pensi ai nostri Marò»


Eleonora Cantamessa è la ginecologa di Trescore uccisa domenica mentre soccorreva un migrante indiano ferito. Pubblichiamo una lettera della madre

Caro direttore,

in tanti momenti della vita di mia figlia, mi sono chiesta dove trovasse la forza... Anche la sera, quando rientrava dopo un'intensa giornata di lavoro, e la vedevo sfinita, spesso interrompeva la cena per rispondere al cellulare o era lei stessa a telefonare in clinica per avere notizie di qualche travaglio in corso o di qualche donna ricoverata. Le sue pazienti, infatti, non la chiamavano «dottoressa», ma la chiamavano Eleonora.

Si affezionava a tutte e non le importava se fossero italiane, straniere, facoltose o no. Il suo lavoro era la sua vita. Anzi non era un lavoro, era una missione. Me lo fa pensare quello che è accaduto. E più ci penso e più mi convinco che su di lei Dio aveva fatto un progetto preciso, che lei ha accettato e ha portato avanti compiendolo fino al sacrificio della vita. Era dolce, espansiva, sensibile, con il carattere molto simile a quello del suo «papi», con cui aveva un legame speciale. Io che sono per natura molto pratica le stavo vicina aiutandola nelle cose più concrete.
Ma era legata a entrambi e diceva sempre: «Cosa farò io quando non ci sarete più?». Adesso mi domando io che cosa faremo noi senza di lei.
La sua enorme sensibilità la spingeva con tanta naturalezza verso i più umili. Viveva la CARITÀ intensamente. La carità stessa per cui è scesa dalla macchina in quella strada buia in mezzo a un campo di «guerra», tra persone che non conosceva, gridando: «I am a doctor, be quiet». «Sono un medico, state calmi».

È morta mentre parlava con il centralino del 112 per chiedere i soccorsi e mentre io a casa, come tutte le sere, recitavo il rosario.
Forse qualcuno si chiede come ho accettato di espormi a telecamere e obiettivi in questi giorni. Così provata e stravolta, mi è stato difficile, ma l'ho fatto per portare avanti - non a termine, perché spero che non finisca - la missione e il sacrificio di Eleonora, per fare arrivare a tutti il suo «messaggio», l'eredità che ci lascia. Mi è stato chiesto che cosa provo. Non provo rabbia, non do appellativi alla persona che ha investito Eleonora, penso a un povero disgraziato, come tanti altri. Lo chiamo «disgraziato» ma senza senso dispregiativo. È in disgrazia come me! E penso anche a quei quattro bambini orfani. La giustizia deve fare il suo corso. Credo invece che quella Divina abbia già provveduto con la sua misericordia. In questo momento mi piacerebbe che Eleonora ricevesse, attraverso la mia persona, una carezza da Papa Francesco, che lei ammirava proprio perché le assomiglia.

C'è un'immagine che mi resterà nella mente. L'immagine di ieri sera di quei tre indiani che, come i re magi, sono saliti per le scale di casa nostra prima della veglia funebre. Portavano in mano un cero acceso. Erano bagnati di pioggia, col capo chino, imbarazzati, sono entrati.
Si erano preparati un discorso per dirmi che anche tra gli indiani ci sono tante brave persone e ho capito che cercavano il nostro perdono.
Li ho abbracciati interrompendoli prima che finissero di parlare. Ho detto loro che non c'era bisogno, che non provavo nessun sentimento negativo, perché mia figlia era scesa da quell'auto senza pregiudizi, non solo con slancio di dovere ma soprattutto con slancio di amore.
 
Questo deve restare nella mente di tutti, perché tutti impariamo qualcosa. Chissà se qualcuno in India, leggendo la storia di mia figlia, che è un intreccio di tragedia e umanità, non pensi anche ai familiari dei nostri cari marò, che a casa piangono nell'attesa del loro ritorno. Io ho perso mia figlia e mi fa paura il pensiero della sera, di quando arriverà l'ora di cena e lei non tornerà, di quello studio vuoto, di quell'ecografo spento. Mi consola un po' la speranza che l'insegnamento del suo sacrificio non vada perduto, che il suo coraggio e il suo amore, la sua sensibilità possano contribuire a migliorare questo mondo inaridito dalle logiche dell'egoismo, del profitto e della discriminazione.

Grazie Eleonora.

Casualmente, avevo scelto per te quel nome. Poi, il ginecologo che ti ha aiutato a venire al mondo e aveva lavorato in Medio Oriente mi ha spiegato il suo significato. Deriva dall'ebraico «el» «nur». Luce di Dio.

13 settembre 2013 | 9:48
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Mariella Armati

da - http://bergamo.corriere.it/bergamo/notizie/cronaca/13_settembre_13/mamma-eleonora-lettera-messaggio-amore-bergamo-2223069096890.shtml
« Ultima modifica: Settembre 13, 2013, 05:04:45 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 13, 2013, 05:05:47 pm »

lettera aperta
11/09/2013

Caro Berlusconi, un anno con i disabili le farebbe bene

di Franco Bomprezzi


Il nostro Franco Bomprezzi da presidente di Ledha scrive all'ex premier: «La proposta, le assicuro, è priva di qualsiasi intento ironico: La sua indiscutibile potenza e capacità di comunicazione, ad esempio, ci sarebbe non di poco aiuto nel diffondere le nostre battaglie civili e sociali»

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Caro Berlusconi,
quando ho appreso la notizia della sua condanna definitiva, le modalità possibili per scontare la pena mi hanno fortemente interessato.
In particolare l’eventualità che lei scegliesse volontariamente l’affidamento ai servizi sociali per un anno era ed è una ipotesi per molti versi affascinante, e rispetto alla quale vorrei umilmente offrirle qualche elemento di riflessione. Innanzitutto le propongo di esercitare questo periodo di impegno socialmente utile qui in Lombardia, a due passi dalla sua residenza di Arcore.

Sarei molto lieto infatti se lei volesse accettare di dedicare dodici mesi della sua esistenza al servizio delle associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari, che ho l’onore di rappresentare, come presidente di Ledha, la Lega per la difesa dei diritti delle persone con disabilità, attiva da oltre 30 anni, quindi ben prima della sua discesa in campo. La proposta, le assicuro, è priva di qualsiasi intento ironico, non c’è alcuna volontà di offendere o di non comprendere le ragioni della sua scelta di non mollare e di proclamare la sua innocenza.
Non è davvero compito mio entrare nel merito della sentenza, ma come avviene per tante altre persone che si trovano nella medesima situazione,
l’importante è andare avanti, voltare pagina, costruire in positivo. Ecco, io sono convinto che questa esperienza le farebbe bene. Scoprirebbe infatti un mondo di persone vere, oneste, impegnate ogni giorno a far quadrare il bilancio familiare e al tempo stesso a garantire la qualità della vita, la libertà, l’indipendenza, la felicità dei propri cari.

La sua indiscutibile potenza e capacità di comunicazione, ad esempio, ci sarebbe non di poco aiuto nel diffondere finalmente a una platea di persone troppo spesso indifferenti, non per cattiveria ma per ignoranza, i nostri slogan, le nostre battaglie civili e sociali, alle quali potrebbe dare un contributo di concretezza e un piglio di ottimismo della volontà che a volte non ci sorregge, anche perché quanto accade intorno a noi, negli ultimi anni, sembra proprio contraddire qualsiasi fiducia nel futuro. Ci pensi bene, perché sono anche convinto che una sua scelta in tal senso verrebbe salutata con grandissimo favore proprio dal suo elettorato, dalla sua gente, che forse adesso è in pensiero non tanto per le questioni strettamente politiche, quanto proprio per la sua serenità personale, per l’affetto indiscusso che milioni di italiani provano per la sua persona.

Ma c’è anche una riflessione più strettamente politica che vorrei porle in questa mia lettera aperta. Se penso ai vent’anni del suo impegno, non mi vengono in mente sue riflessioni e contenuti riguardanti il mondo del quale mi occupo da tempo, quello delle persone con disabilità, ma anche più in generale il mondo del welfare, del terzo settore, della cooperazione sociale, del volontariato. Non dico che non se ne sia occupato, ma ho
l’impressione che lei abbia preferito delegare questo tema, così complesso e forse per i suoi interessi un po’ noioso e marginale, a persone di fiducia, spesso espresse dal mondo cattolico, che all’interno del suo schieramento politico di centrodestra hanno in qualche modo garantito un dialogo e un’attenzione sulle specifiche politiche di settore. Manca cioè – a mio modesto parere – un pensiero politico forte rispetto ai temi del sociale. E questa sua mancanza mi sembra un vulnus grave al confronto politico complessivo fra centrodestra e centrosinistra.

Sembra quasi che le forze di centrosinistra, ad esempio, ritengano stabilmente acquisito il consenso del mondo del sociale, forse per inerzia, senza neppure il bisogno di conquistare questa adesione ideale attraverso un confronto serrato di proposte, di progetti, di concezione ideale rispetto a temi come la sussidiarietà, la partecipazione alla spesa, l’essenzialità dei servizi sociosanitari, l’incentivazione del lavoro. Il centrodestra da lei rappresentato in modo quasi esclusivo negli ultimi vent’anni sembra vivere invece di una idea piuttosto elementare: se il Paese cresce e la ricchezza aumenta per tutti, ne beneficeranno anche le classi più deboli e i loro problemi saranno più agevoli da risolvere. Ecco, caro Berlusconi, la cosa non è così semplice. Questo mondo non vuole solo assistere, vuole essere protagonista dello sviluppo, con ricette forse in parte diverse dal suo liberismo, ma che comunque potrebbero essere arricchite da un suo pensiero approfondito e non superficiale. Ci pensi, e se vorrà trascorrere un anno con noi, vedrà che avremo modo di parlarne a lungo.

da - http://www.vita.it/politica/partiti/caro-berlusconi-un-anno-con-i-disabili.html
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