ITALIA MIA
Il gioco delle promesse non mantenute in un Paese che non ha più passioni
In questo momento prevalgono contraddizioni e ambiguità
di CORRADO STAJANO
Non si riesce a capire che cosa stia covando sotto la cenere di questo nostro tempo. Si ha soltanto la percezione che i cittadini, nonostante la ricchezza dei mezzi d’ informazione, sappiano un decimo o poco più di quel che veramente accade, nascosto nelle menti di una microscopica oligarchia. Prevalgono contraddizioni e ambiguità che non dovrebbero esistere in un momento drammatico della vita delle nazioni. Qui da noi sembra tutto appiattito, carente di passione, anche in chi potrebbe permettersi di averla.
Il gioco ben guidato della normalizzazione, degli annunci quotidiani smentiti dalla mattina alla sera, delle promesse non mantenute continua come se nulla fosse accaduto. Il silenzio è nemico della libertà. Purtroppo la crisi economico finanziaria non è finita e non è fantasioso seguitare a pensare al 1929, il crollo della Borsa di Wall Street, il 24 ottobre di quell’anno, con quel che allora accadde e finì dieci anni dopo, all’inizio della seconda guerra mondiale, per la letizia dei mercanti di cannoni e di uomini da mandare al macello anziché al lavoro. Altre comparazioni sembrano invece immotivate. C’è chi, ad esempio, fa raffronti, a proposito della situazione politica, con il 1992, quando, se si eccettua il Pci, si sfasciarono i partiti-Stato, la Dc e il Psi, i più corrotti, colpiti dall’inchiesta dei magistrati di “Mani pulite”. Durò poco. Il clima euforico dell’opinione pubblica si spense alla svelta, gli ostacoli fatti trovare sul cammino dei procuratori si rivelarono insormontabili, soprattutto quando stavano per avvicinarsi alle casseforti delle banche. Nel 1995 era tutto finito e chi allora si gettò in politica per salvare se stesso e le proprie aziende dal crollo, come Berlusconi, finì col beneficiare dell’azione dei vituperati giudici.
La situazione del Paese, poi, era allora profondamente diversa rispetto a oggi. Fu un periodo tumultuoso quello degli anni Novanta, segnato dalle stragi di Palermo – Falcone e Borsellino – e da quelle di Roma, Firenze, Milano rimaste prive di verità. E’ la crisi economico-finanziaria che oggi non può essere nascosta. Grandi aziende traballano, piccole e medie chiudono ogni giorno lasciando sul lastrico – “in libertà” – migliaia di operai, basta seguire le cronache. La disoccupazione, che ha raggiunto i tre milioni, quella giovanile, e quella dei cinquantenni e delle donne, i negozi che scompaiono, gli esodati, i precari, i cassintegrati senza futuro possono creare una tensione sociale incontrollabile di cui non pare si avverta un’eccessiva preoccupazione.
L’altra sera Giuliano Pisapia, il sindaco di Milano, in un programma su La 7, ha denunziato, controcorrente, la gravità della questione sociale, sottovalutata e minimizzata, parlando della sofferenza del gran numero di persone che incontra quotidianamente e del pericolo non astratto di una possibile sollevazione popolare. I soldi ai Comuni potrebbero mettere in moto un lavoro che c’è, ha detto. Ci sarebbe da fare nelle città disastrate dalle cattive amministrazioni, nei beni culturali, per esempio, piagati da mezzo secolo di scempi, di condoni, di benefici concessi ai signori del cemento che se potessero costruirebbero, non si sa per chi, anche sulla luna. Il libro di un urbanista illustre, Vezio De Lucia, Nella città dolente, (Castelvecchi) mette il dito su queste piaghe e fa venire brividi di angoscia documentando i misfatti commessi nel passato prossimo e remoto nel campo della cultura, uno dei puntelli del Bel Paese . Dalla crisi uscirà certamente una nuova società politica, ma i segni non sembrano incoraggianti. Partiti appena nati si spaccano, i frazionismi trionfano, i progetti difettano. Monti, che avrebbe potuto essere presidente della Repubblica, attacca il Governo di cui fa parte. Dei 101 del PD che hanno tradito se stessi e i loro elettori, non si ha alcuna notizia, solo pettegolezzi. Il M5S, il nuovo, sembra sia sotto il dominio di un capo incerto tra stalinismo e Santa Inquisizione.
Il Pdl riprende la vecchia etichetta di Forza Italia, come Mussolini che ai tempi di Salò tornò alle origini diciannoviste di piazza San Sepolcro. Fini, Di Pietro, Casini si sono rottamati da soli. Berlusconi è sempre in guerra coi giudici, in attesa del lasciapassare che lo liberi dai suoi processi e dalle sue condanne. I suoi fedeli, dopo il processo Ruby, hanno dato il peggio di se stessi rivelando, con i loro scritti servili, di non conoscere (cosa improbabile) l’ABC della democrazia, la divisione dei poteri, nell’assoluto disprezzo per la Costituzione della Repubblica. “La legalità è condizione di libertà perché solo la legalità assicura, nel modo meno imperfetto possibile, quella certezza del diritto senza la quale praticamente non può sussistere libertà politica”, scrisse Piero Calamandrei, profetico, nel 1944, nelle pagine inedite pubblicate ora da Laterza, a cura della nipote Silvia, in un piccolo prezioso libro, Non c’è libertà senza legalità.
4 luglio 2013 | 13:27
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http://www.corriere.it/editoriali/13_luglio_04/italia-mia-promesse-non-mantenute-stajano_080b9b82-e49c-11e2-8ffb-29023a5ee012.shtml