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Autore Discussione: Viaggio alle origini dell’Universo  (Letto 3469 volte)
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« inserito:: Settembre 29, 2007, 10:27:08 pm »

Viaggio alle origini dell’Universo

Cristiana Pulcinelli


Se pensate che la domanda «da dove veniamo?» non abbia alcun senso, allora LHC non fa per voi.

Ma se, magari guardando il cielo stellato sopra la vostra testa, siete stati per un attimo sfiorati dalla voglia di sapere qualcosa sull’origine dell’universo, allora seguite attentamente quello che questa macchina farà nei prossimi anni.

LHC e gli esperimenti che ad esso sono collegati sono frutto di due caratteristiche della nostra specie: una smisurata curiosità e un’alta opinione di sé.

Noi uomini pensiamo non solo di poter giungere a capire cosa è successo 13,7 miliardi di anni fa, quando il nostro universo è nato, ma addirittura di trovare le prove delle nostre teorie. Così abbiamo deciso di costruire la macchina più potente e precisa mai fatta finora per arrivare a capire da dove veniamo e, forse, perché siamo così come siamo.

LHC sta per Large Hadron Collider. Si tratta di un acceleratore di particelle davvero molto potente. Il progetto della sua costruzione venne approvato nel 1994 dal consiglio del Cern (Conseil Européen pour la recherche nucléaire) e tra il 1996 e il 1998 furono approvati i 4 esperimenti che ad esso sono collegati. Da allora ad oggi si è lavorato alla costruzione di questo immenso macchinario. Ancora non è pronto, ma manca pochissimo: l’inaugurazione è prevista ad ottobre del 2008. Poi ci vorranno ancora un paio d’anni perché la macchina funzioni alla sua massima potenza.

L’acceleratore giace a 100 metri sotto il livello del suolo e si estende per 27 chilometri a cavallo tra la Svizzera e la Francia. Il tunnel circolare che lo ospita venne costruito per il vecchio acceleratore, Lep, smantellato nel 2000 per far posto al suo fratello maggiore. LHC è 100 volte più potente del Lep e 10 volte più potente dell’acceleratore americano Tevatron che si trova al Fermilab di Chicago. Quando entri nelle viscere della terra dove LHC riposa, vedi quante parti lo compongono e la moltitudine di gente che ci lavora, capisci perché i fisici delle particelle sono convinti che dopo di lui sarà il diluvio. Ovvero, che una macchina più grande di questa non verrà mai costruita. Lo sforzo compiuto per far vivere LHC e i suoi esperimenti è davvero immane.

Visitare il tunnel fa un certo effetto: la fine non si vede, al suo centro i tubi si estendono a perdita d’occhio. All’interno di quei tubi corrono i protoni, le particelle che normalmente si trovano nel nucleo degli atomi. I protoni corrono in due fasci di direzione opposta e vengono fatti accelerare fino a raggiungere il 99,9998% della velocità della luce. A intervalli regolari, i tubi sono incapsulati dentro dei magneti superconduttori che mantengono i protoni concentrati in un fascio di spessore inferiore a quello di un capello. Ce ne sono 9000 in tutto e sono nel luogo più freddo dell’universo: vengono tenuti infatti alla temperatura di -271 gradi centigradi grazie all’elio superfluido.

Tolte le apparecchiature, lo spazio restante nel tunnel non è molto, diciamo meno di due metri di larghezza. Il carrello che trasportava i vari componenti durante il montaggio della macchina aveva mezzo centimetro di gioco per ogni lato. Dato che doveva procedere con una lentezza esasperante, accadeva che il guidatore si addormentasse, così è stata tracciata una linea bianca a terra e il carrello è stato dotato di un lettore laser. Oggi, in quello spazio c’è una pista ciclabile: i tecnici vanno in bici per raggiungere i punti più lontani. Tutti con il casco in testa e, a tracolla, un kit che permette di respirare ossigeno in caso di incendio o di fuoriuscita di elio. Il punto più lontano da una delle uscite si trova a 1,7 chilometri: una distanza difficile da percorrere a piedi in caso di pericolo. Quando LHC entrerà in funzione nessuno potrà più entrare nel tunnel.

In quattro punti distinti dell’anello i fasci si incontrano e i protoni si scontrano producendo energia. Lì si aprono delle enormi caverne dove sono ospitati i quattro esperimenti di LHC: Atlas, CMS, Alice, LHCb. Atlas è il più grande: nella caverna che lo ospita ci starebbe mezza cattedrale di Notre Dame. Anche gli altri, tuttavia, non scherzano. Basti pensare che il magnete di CMS contiene tanto ferro quanto tutta la Torre Eiffel.

Ora che ancora non sono entrati in funzione si possono visitare dall’interno. La prima cosa che viene in mente è: così doveva essere il cantiere della Torre di Babele. Migliaia di lavoratori di tutte le nazionalità lavorano fianco a fianco. Inglese, francese, italiano, russo, indiano: le lingue si intrecciano nell’aria, ma anche sui cartelli appesi alle pareti che indicano l’uscita o i turni di lavorazione. «Tutti sentono di partecipare a un grande progetto» ci spiega la nostra guida. Se così non fosse, del resto, potrebbero dedicare vent’anni della loro vita a quest’idea? Intanto, tredici anni sono già passati a lavorare senza sapere se la macchina funzionerà. Tra gli operai, ci dicono, ci sono molti fisici russi: in patria le cose non vanno bene, così vengono qui a mettere a disposizione le loro conoscenze. Loro sanno che la precisione è fondamentale, anche nei dettagli. Sarà il clima che si respira, ma sembra di capire che qui potrebbe venir messo in discussione l’universo così come lo conosciamo.

Il fatto è che molte cose dell’universo ci sono ancora poco chiare. Ad esempio, la massa. Perché le particelle elementari sono dotate di massa e perché le loro masse sono diverse le une dalle altre? La fisica teorica ha supposto l’esistenza di una particella, chiamata il bosone di Higgs, che spieghi questo fatto: l’interazione delle particelle con questo bosone determinerebbe la loro massa. Ma purtroppo il bosone di Higgs finora non è mai stato visto.

Un altro mistero da svelare riguarda l’antimateria. L’antimateria è l’immagine speculare della materia: se per strada incontraste un’automobile fatta di antimateria non la distinguereste da quella fatta di materia. Ma se i due oggetti entrassero in contatto l’uno con l’altro, si annichilerebbero a vicenda lasciandosi alle spalle solo energia. I fisici ritengono che al momento della nascita dell’universo materia e antimateria siano state prodotte nella stessa quantità. Quando materia e antimateria si scontravano si annullavano a vicenda. Oggi però il nostro universo, dalle galassie al giornale che state leggendo, è fatto tutto di materia. Dove è finita l’antimateria? E perché la materia ha prevalso? Se potessimo vedere l’antimateria prodotta dal Big Bang, forse ne sapremmo di più.

Sempre in tema di questioni irrisolte: la materia oscura. Secondo i calcoli dei fisici, tutta la materia che noi vediamo è solo il 4% della massa totale dell’universo. Per spiegare alcuni effetti gravitazionali, si deve supporre l’esistenza di una materia oscura e una energia oscura che non possiamo vedere. Si pensa che l’universo sia composto per il 30% da materia oscura. Ma dove sono le sue particelle?

E ancora, alcuni fisici teorici ipotizzano che le nostre quattro dimensioni siano troppo poche per descrivere l’universo. Ce ne sarebbero altre che però non possiamo vedere. Aumentando l’energia saremo in grado di individuarle?

Gli esperimenti di LHC cercano risposte a queste domande. Le collisioni tra protoni, infatti, generano un’energia molto intensa, pari a quella che si poteva misurare qualche frazione di secondo dopo il Big Bang. Questo permette a particelle che oggi non ci sono più di tornare in vita. Ma la loro sopravvivenza dura una piccolissima frazione di secondo, poi si disintegrano dando vita a particelle conosciute. Ebbene, gli esperimenti di LHC vogliono vedere queste particelle prima che scompaiano di nuovo. In particolare, Atlas e Cms, con i loro rivelatori, cercano di «fotografare» quelle, come il bosone di Higgs, che darebbero risposta alle domande cui abbiamo accennato prima. E forse anche a qualcun’altra: «Se fossimo molto fortunati - spiegano i fisici - potremmo trovare il gravitone». Il gravitone è la particella che porta la forza di gravità, ma anch’esso, finora, è solo un’ipotesi. Alice e LHCb, invece, sono esperimenti più piccoli che lavorano su due campi specifici: il primo, attraverso le collisioni tra i nuclei di piombo, cercherà di ricreare uno stato della materia esistito per pochi milionesimi di secondo dopo il Big Bang; il secondo focalizzerà i suoi sforzi per capire il comportamento di materia e antimateria subito dopo il Big Bang.

Si dice che sui paesi che collaborano all’esperimento Atlas non tramonti mai il sole perché gli scienziati vengono da tutte le aree del mondo, escluso l’Antartide. E a CSM collaborano 2500 tra fisici, ingegneri e studenti provenienti da 135 istituti sparsi in 38 paesi. L’Italia ha un peso rilevante, non solo perché in quanto membro del Cern vi investe soldi, ma anche perché molti scienziati italiani partecipano all’impresa (l’Istituto nazionale di fisica nucleare coordina i circa 600 scienziati italiani che lavorano a LHC). Inoltre, l’industria italiana ha prodotto molte componenti di precisione.

Al Cern dicono che LHC può avere anche applicazioni tecniche: dalla medicina all’industria. Ben vengano, ma il centro della questione è un altro: il fatto che si sia trovato un accordo così vasto per finanziare un’impresa fondamentalmente conoscitiva ci fa ben sperare sulle sorti della nostra specie.

Pubblicato il: 29.09.07
Modificato il: 29.09.07 alle ore 8.55   
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