L'INUTILE TENTAZIONE DI APRIRE LA CRISI
Una misteriosa ossessione
Il governo di larghe intese è stato voluto dal Pdl molto più che dal Partito democratico. Angelino Alfano fa bene a ricordarlo.
Pier Luigi Bersani, sotto choc per la mancata vittoria elettorale, tentò in tutti i modi di formare un esecutivo diverso, appoggiato dagli eletti di Grillo. Solo dopo numerosi fallimenti, e grazie al presidente della Repubblica, il Pd accettò con sofferenza di varare una grande coalizione, nella quale non ha mai creduto fino in fondo.
Ma proprio questi dati di fatto rendono ancora più incomprensibile il comportamento del Pdl, o almeno di una sua parte, nell'estate politica dominata dalla condanna di Silvio Berlusconi. L'impegno a tenere separati la vicenda giudiziaria e il destino del governo è stato rimosso.
Le minacce si sono moltiplicate fino a questi giorni di tregua apparente. Falchi e pitonesse hanno calcato la scena con dichiarazioni incendiarie contro tutto e tutti: dal capo dello Stato al presidente del Consiglio, dai giudici ai presunti traditori che si anniderebbero nel Pdl.
C'è qualcosa di misterioso nell'ossessione di aprire una crisi. Far cadere il governo e andare alle elezioni (ammesso che al voto si vada) non cambierà di un millimetro la situazione giudiziaria di Berlusconi. Il 15 ottobre la condanna diventerà operativa con la scelta tra arresti domiciliari e affidamento ai servizi sociali. Poco dopo arriverà la Corte d'appello che ricalcolerà gli anni di interdizione dai pubblici uffici. Non c'è nessuno, in uno Stato di diritto, che possa ragionevolmente pensare che tutto ciò si possa cancellare con un colpo di spugna prima dell'esecuzione della sentenza e senza che l'ex premier ne prenda atto.
Certamente molte dichiarazioni di esponenti del Pd sulla decadenza in base alla legge Severino stanno dando una mano al partito della crisi.
C'è una fretta sbandierata. Il diritto di difesa riconosciuto a tutti (compreso quello di valutare nel merito il ricorso alla Corte europea) e le obiezioni avanzate da importanti giuristi sembrano un fastidio. La voglia di eliminare l'avversario per via giudiziaria, un tratto distintivo della fallimentare politica dei Democratici nei confronti di Berlusconi, è fortissima.
È bene che la giunta che si riunisce oggi avvii un esame approfondito e lasci il tempo necessario alla difesa. Così la vicenda tornerà su un binario corretto. Perché lascerà nelle mani di Berlusconi una decisione che nessuno può prendere al suo posto. Riguarda il suo futuro personale e il destino del partito che ha fondato. Un atteggiamento rispettoso della legalità gli permetterà di continuare a svolgere, anche fuori dal Parlamento, un ruolo politico importante. E, dopo una richiesta avanzata da lui o dalla sua famiglia, il Quirinale potrà esaminare con serenità le ipotesi di clemenza o di commutazione della pena.
Ma, soprattutto, il leader del centrodestra italiano potrà riflettere su un punto decisivo. Dopo venti anni è tempo di avviare con serietà la costruzione di una nuova formazione dei moderati italiani. Nel Pd è in atto un processo di cambiamento generazionale, la coppia Enrico Letta-Matteo Renzi porterà questo partito fuori dalla tradizione post comunista. Il centrodestra può restare a guardare senza dare una prospettiva agli italiani che non si riconoscono nella sinistra? Non è possibile: anche in questo campo c'è bisogno di idee nuove e di una classe dirigente che sappia interpretarle e proporle al Paese. Tocca a Berlusconi, con i gesti e gli atteggiamenti giusti, decidere se esercitare una vera leadership favorendo questo processo. Altrimenti si consegnerà agli urlatori di professione in un cupo finale di partita.
9 settembre 2013 | 7:42
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Luciano Fontana
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