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Autore Discussione: Emilia PATTA Il Pd del dopo-Bersani già si prepara al governo del Presidente  (Letto 2041 volte)
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« inserito:: Marzo 28, 2013, 06:38:43 pm »

Il Pd del dopo-Bersani già si prepara al governo del Presidente

di Emilia Patta

28 marzo 2013


«A quarantott'ore dall'incontro con Pierluigi Bersani poco si è visto delle proposte che avevamo sollecitato nel confronto con il presidente del Consiglio incaricato... Scelta civica guarda con fiducia alle conclusioni che il presidente della Repubblica tirerà al termine della giornata». All'ora di pranzo, quando Pier Luigi Bersani aveva appena concluso le sue consultazioni incontrando prima gli alleati del Centro democratico di Bruno Tabacci e di Sel poi i gruppi del Pd, arriva da Scelta civica quella che sembra essere l'ultima e definitiva bordata sul tentativo di Bersani di far partire un governo di cambiamento con la non-sfiducia del centrodestra.

Alle 18 Bersani salirà al Quirinale senza aver aggiunto alcun numero al suo pallottoliere e senza più neanche quei 21 senatori montiani dati per sicuri fino a poche ore fa. Il segretario, se arrivasse qualche spiraglio dal Pdl nell'ultimo minuto di gioco, potrebbe chiedere al presidente qualche giorno in più. «C'è ancora spazio per risolvere in modo positivo la situazione: capita spesso che le partite, specie le più delicate, si risolvano nell'ultima fase», dice il capogruppo del Pd Luigi Zanda.

Piani B dunque Bersani non ne ha, ma in Transatlantico non si parla d'altro. Tutti, certamente fuori il Pd ma anche dentro, guardano ormai al dopo-Bersani, ossia al governo del presidente che Giorgio Napolitano avrebbe già pronto per non arrivare con una vacatio politica alla riapertura dei mercati finanziari dopo le vacanze di Pasqua. Un governo di scopo, guidato da una personalità politica di esperienza che sia in grado di affrontare la trattativa che ci attende a Bruxelles per la revisione dei Trattati e che abbia nella sua compagine ministeriale un mix di tecnici e politici (per la presidenza del Consiglio si fanno i nomi di Giuliano Amato, Luciano Violante o Emma Bonino, così come quelli dei ex presidenti della Consulta Valerio Onida, Gustavo Zagrebelsky o Piero Alberto Capotosti).

La paradossale discussione in queste ore tra i dirigenti del Pd, mentre Bersani tira le fila con i suoi stretti collaboratori, è se mandare al governo in rappresentanza del partito personalità di prima fila (Enrico Letta ed Anna Finocchiaro, ad esempio, i cui nomi sono circolati anche come possibili premier) o di seconda fila. Oltre a Letta e Finocchiaro, anche Dario Franceschini è dell'idea che, fallito il tentativo di Bersani, va assolutamente scongiurato il ritorno alle urne e favorito un governo del presidente che faccia poche cose condivise da tutti (e quindi anche dal Pdl) a cominciare dalla riforma della legge elettorale per tornare alle urne non prima di un anno. Su questa linea anche il lettiano Francesco Boccia, Giuseppe Fioroni e molti ex popolari, così come Paolo Gentiloni e tutti i renziani (i parlamentari vicini al sindaco di Firenze sono una cinquantina).

La novità è che anche la minaccia "o Bersani o voto subito" agitata in queste settimane dai cosiddetti giovani turchi, da Andrea Orlando a Matteo Orfini, si rivela alla prova dei fatti solo una minaccia. Le posizioni sono in queste ore più sfumate, e più attente a una soluzione del presidente di quanto appariva anche solo ieri. Una soluzione del presidente, appunto, che è cosa diversa dal governissimo invocato dal Pdl. Di tornare al voto, e per di più con il Porcellum, nessuno nel Pd ne ha voglia. Su questa linea il partito, una volta che Bersani abbia compiuto il passo indietro, potrebbe ritrovarsi più unito di quanto appaia. «Ma il segretario Bersani deve ora fare uno sforzo di generosità – avverte un dirigente di lungo corso – e farsi da parte senza arroccamenti per il bene del partito, magari traghettando i suoi verso la nuova soluzione». Quel che è certo è che il Pd è – per usare una metafora bersaniana – come una pentola a pressione finora tenuta silente dal coperchio del tentativo del segretario. Tutto dipende da come si spegnerà il fuoco e da come si toglierà il coperchio.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

da http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-03-28/dopobersani-prepara-governo-presidente-165229.shtml?uuid=AbkuESiH
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 03, 2013, 04:59:24 pm »

Il Pd verso la svolta semi-presidenzialista.

Ma Violante avverte: servono seri contrappesi

di Emilia Patta

3 giugno 2013

«L'unico schema possibile per fare un accordo sulle riforme istituzionali tra Pd e Pdl è ad oggi il semipresidenzialismo con il doppio turno di collegio. Difficile da un punto di vista politico ragionare su altri schemi». È il costituzionalista ed ex senatore del Pd Stefano Ceccanti - uno degli "esperti" democratici in pole per entrare nella costituenda commissione governativa sulle riforme assieme a Luciano Violante - a individuare il punto di caduta più probabile su legge elettorale e forma di Stato se il governo presieduto da Enrico Letta riuscirà a scavallare l'autunno e dunque a portare a termine il suo compito costituente, individuato dallo stesso premier e dal capo dello Stato Giorgio Napolitano nell'arco temporale dei 18 mesi.

Ceccanti: semipresidenzialismo garanzia di vita per governo Letta
Il doppio turno di collegio è la proposta di legge elettorale storica del Pd, che ha già lungamente sperimentato i vantaggi del ballottaggio per il centrosinistra nel collaudato sistema di elezione dei sindaci. Il doppio turno rafforzerebbe il traballante bipolarismo e aiuterebbe i partiti più grandi, Pd e Pdl, a tornare perno delle rispettive alleanze mettendo in difficoltà il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo. Mentre l'elezione diretta del presidente della Repubblica sul modello francese è sempre stato il cavallo di battaglia del Pdl. «Il Pd e il Pdl su uno dei due punti devono mollare rispetto alle posizioni tradizionali», ragiona Ceccanti. Arrivando anche a prospettare che la soluzione semipresidenzialista è la vera garanzia di vita per il governo: se l'unica intesa possibile è sul modello francese e se il destino del governo è legato alla sua mission riformatrice, sposare il modello francese significa a questo punto aiutare la durata del governo.

Da Letta a Veltroni, da D'Alema a Bersani, la "svolta" del Pd
Non a caso il premier nel week end ha lanciato un sasso in favore dell'elezione diretta del presidente della Repubblica. «La settimana vissuta a metà aprile per l'elezione del capo dello Stato con le regole della Costituzione vigente è stata drammatica per la nostra democrazia - ha detto Letta sabato a Treviso -. Non credo che potremmo più eleggere il Presidente in quel modo lì, perché assegnare questa elezione a mille persone non è più possibile». Parole chiare in favore del sistema francese, anche se il premier ha poi voluto precisare che dato il suo ruolo istituzionale non può sposare una soluzione piuttosto che un'altra, dal momento che sarà il Parlamento a decidere.

La "svolta" semipresidenzialista di Letta viene dopo che molti big del Pd si sono già espressi in questo senso. Matteo Renzi, naturalmente, che ha sempre indicato nel modello elettorale per l'elezione dei sindaci la giusta soluzione per la governabilità del Paese (anche se va precisato che l'elezione diretta del sindaco con eventuale ballottaggio non si sposa nel sistema elettorale in vigore per il Comuni con il doppio turno di collegio, bensì con un sistema di base proporzionale con premio maggioritario). E da ultimo Walter Veltroni, Romano Prodi e anche Massimo D'Alema. D'Alema non nasconde che il suo modello preferito resta quello tedesco, ossia un premierato forte, eppure in presenza di «ampia convergenza» vede con favore anche la soluzione semipresidenzialista. L'elezione diretta del presidente della Repubblica non è più un tabù, infine, per la presidente della commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro, per il capigruppo Luigi Zanda e Roberto Speranza e per l'ex popolare Beppe Fioroni. In tal senso si è espresso recentemente anche il segretario Guglielmo Epifani.

Contro solo la Bindi e i "giovani turchi"
Contro l'elezione diretta del capo dello Stato e per il mantenimento del sistema parlamentare sia pure rafforzato sono rimasti Rosy Bindi, pronta a dare battaglia già nella direzione di domani e i "giovani turchi" di Matteo Orfini. Quanto all'ex segretario Pier Luigi Bersani, non va confusa la sua polemica contro la suggestione renziana di «un uomo solo al comando» con le riforme istituzionali. Anche per Bersani, così come per la Finocchiaro e per Zanda, l'elezione diretta del presidente della Repubblica sul modello francese non è un tabù. Purché ci siano i necessari contrappesi. «La priorità è impedire un pericoloso blocco delle riforme e evitare soluzioni plebiscitarie e personalistiche - è il pensiero di Bersani -. Il compromesso si può trovare sia su un sistema parlamentare corretto sia su modelli semipresidenziali. Dipende da come si organizzano contorni e contrappesi».

Violante: ma servono contrappesi seri
La questione è illustrata da Violante, uno dei quattro saggi nominati da Napolitano alla fine del suo primo mandato. Nel documento finale dei saggi (oltre a Violante, Gaetano Quagliariello del Pdl, Mario Mauro di Scelta civica e l'ex presidente della Consulta Valerio Onida) l'opzione semipresidenziale, sostenuta apertamente solo da Quagliariello, era data come minoritaria rispetto al sistema parlamentare «rafforzato» preferito dagli altri tre saggi. Eppure anche Violante conferma che il modello francese non è più un tabù per i democratici: «Bisogna abbandonare i pregiudizi ideologici, entrambe le soluzioni sono democratiche». Il punto è tutto nei contrappesi, spiega Violante. «Con l'elezione diretta del presidente della Repubblica serve una nuova legge sulla Rai e una nuova legge sul conflitto d'interessi, e bisogna aver presente che occorre modificare molte parti della Costituzione. Ad esempio il capitolo Corte costituzionale (un terzo dei membri sono attualmente nominati dal presidente della Repubblica) o il capitolo Consiglio superiore della magistratura (ora presieduto dal capo dello Stato). E ancora: il Consiglio superiore della Difesa o la questione dei rapporti con il Parlamento». In un certo senso - spiega sempre Violante - optare per il sistema parlamentare rafforzato sarebbe più semplice perché si inserirebbe nel solco del parlamentarismo previsto della nostra Costituzione. «Si possono avere governi forti con entrambe le soluzioni, solo si deve sapere che il percorso che porta al semipresidenzialismo è più lungo e complicato». Percorso lungo e complicato, e nel quale occorrerebbe anche un pizzico di inventiva. Violante fa infatti notare come il modello francese è un modello di Stato centralizzato e non certo federale come ormai è il nostro. Gli Usa sì che sono uno Stato federale, ma negli Usa c'è il presidenzialismo e non il semipresidenzialismo...

©RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-06-03/svolta-semipresidenzialista-violante-avverte-134433.shtml?uuid=Abqlqg1H
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