Il Pd verso la svolta semi-presidenzialista.
Ma Violante avverte: servono seri contrappesi
di Emilia Patta
3 giugno 2013
«L'unico schema possibile per fare un accordo sulle riforme istituzionali tra Pd e Pdl è ad oggi il semipresidenzialismo con il doppio turno di collegio. Difficile da un punto di vista politico ragionare su altri schemi». È il costituzionalista ed ex senatore del Pd Stefano Ceccanti - uno degli "esperti" democratici in pole per entrare nella costituenda commissione governativa sulle riforme assieme a Luciano Violante - a individuare il punto di caduta più probabile su legge elettorale e forma di Stato se il governo presieduto da Enrico Letta riuscirà a scavallare l'autunno e dunque a portare a termine il suo compito costituente, individuato dallo stesso premier e dal capo dello Stato Giorgio Napolitano nell'arco temporale dei 18 mesi.
Ceccanti: semipresidenzialismo garanzia di vita per governo Letta
Il doppio turno di collegio è la proposta di legge elettorale storica del Pd, che ha già lungamente sperimentato i vantaggi del ballottaggio per il centrosinistra nel collaudato sistema di elezione dei sindaci. Il doppio turno rafforzerebbe il traballante bipolarismo e aiuterebbe i partiti più grandi, Pd e Pdl, a tornare perno delle rispettive alleanze mettendo in difficoltà il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo. Mentre l'elezione diretta del presidente della Repubblica sul modello francese è sempre stato il cavallo di battaglia del Pdl. «Il Pd e il Pdl su uno dei due punti devono mollare rispetto alle posizioni tradizionali», ragiona Ceccanti. Arrivando anche a prospettare che la soluzione semipresidenzialista è la vera garanzia di vita per il governo: se l'unica intesa possibile è sul modello francese e se il destino del governo è legato alla sua mission riformatrice, sposare il modello francese significa a questo punto aiutare la durata del governo.
Da Letta a Veltroni, da D'Alema a Bersani, la "svolta" del Pd
Non a caso il premier nel week end ha lanciato un sasso in favore dell'elezione diretta del presidente della Repubblica. «La settimana vissuta a metà aprile per l'elezione del capo dello Stato con le regole della Costituzione vigente è stata drammatica per la nostra democrazia - ha detto Letta sabato a Treviso -. Non credo che potremmo più eleggere il Presidente in quel modo lì, perché assegnare questa elezione a mille persone non è più possibile». Parole chiare in favore del sistema francese, anche se il premier ha poi voluto precisare che dato il suo ruolo istituzionale non può sposare una soluzione piuttosto che un'altra, dal momento che sarà il Parlamento a decidere.
La "svolta" semipresidenzialista di Letta viene dopo che molti big del Pd si sono già espressi in questo senso. Matteo Renzi, naturalmente, che ha sempre indicato nel modello elettorale per l'elezione dei sindaci la giusta soluzione per la governabilità del Paese (anche se va precisato che l'elezione diretta del sindaco con eventuale ballottaggio non si sposa nel sistema elettorale in vigore per il Comuni con il doppio turno di collegio, bensì con un sistema di base proporzionale con premio maggioritario). E da ultimo Walter Veltroni, Romano Prodi e anche Massimo D'Alema. D'Alema non nasconde che il suo modello preferito resta quello tedesco, ossia un premierato forte, eppure in presenza di «ampia convergenza» vede con favore anche la soluzione semipresidenzialista. L'elezione diretta del presidente della Repubblica non è più un tabù, infine, per la presidente della commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro, per il capigruppo Luigi Zanda e Roberto Speranza e per l'ex popolare Beppe Fioroni. In tal senso si è espresso recentemente anche il segretario Guglielmo Epifani.
Contro solo la Bindi e i "giovani turchi"
Contro l'elezione diretta del capo dello Stato e per il mantenimento del sistema parlamentare sia pure rafforzato sono rimasti Rosy Bindi, pronta a dare battaglia già nella direzione di domani e i "giovani turchi" di Matteo Orfini. Quanto all'ex segretario Pier Luigi Bersani, non va confusa la sua polemica contro la suggestione renziana di «un uomo solo al comando» con le riforme istituzionali. Anche per Bersani, così come per la Finocchiaro e per Zanda, l'elezione diretta del presidente della Repubblica sul modello francese non è un tabù. Purché ci siano i necessari contrappesi. «La priorità è impedire un pericoloso blocco delle riforme e evitare soluzioni plebiscitarie e personalistiche - è il pensiero di Bersani -. Il compromesso si può trovare sia su un sistema parlamentare corretto sia su modelli semipresidenziali. Dipende da come si organizzano contorni e contrappesi».
Violante: ma servono contrappesi seri
La questione è illustrata da Violante, uno dei quattro saggi nominati da Napolitano alla fine del suo primo mandato. Nel documento finale dei saggi (oltre a Violante, Gaetano Quagliariello del Pdl, Mario Mauro di Scelta civica e l'ex presidente della Consulta Valerio Onida) l'opzione semipresidenziale, sostenuta apertamente solo da Quagliariello, era data come minoritaria rispetto al sistema parlamentare «rafforzato» preferito dagli altri tre saggi. Eppure anche Violante conferma che il modello francese non è più un tabù per i democratici: «Bisogna abbandonare i pregiudizi ideologici, entrambe le soluzioni sono democratiche». Il punto è tutto nei contrappesi, spiega Violante. «Con l'elezione diretta del presidente della Repubblica serve una nuova legge sulla Rai e una nuova legge sul conflitto d'interessi, e bisogna aver presente che occorre modificare molte parti della Costituzione. Ad esempio il capitolo Corte costituzionale (un terzo dei membri sono attualmente nominati dal presidente della Repubblica) o il capitolo Consiglio superiore della magistratura (ora presieduto dal capo dello Stato). E ancora: il Consiglio superiore della Difesa o la questione dei rapporti con il Parlamento». In un certo senso - spiega sempre Violante - optare per il sistema parlamentare rafforzato sarebbe più semplice perché si inserirebbe nel solco del parlamentarismo previsto della nostra Costituzione. «Si possono avere governi forti con entrambe le soluzioni, solo si deve sapere che il percorso che porta al semipresidenzialismo è più lungo e complicato». Percorso lungo e complicato, e nel quale occorrerebbe anche un pizzico di inventiva. Violante fa infatti notare come il modello francese è un modello di Stato centralizzato e non certo federale come ormai è il nostro. Gli Usa sì che sono uno Stato federale, ma negli Usa c'è il presidenzialismo e non il semipresidenzialismo...
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