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« inserito:: Settembre 28, 2007, 10:49:52 pm » |
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L’euro e il dollaro bucato
Laura Pennacchi
Con l'aumento record del valore dell'euro il terremoto monetario che in queste settimane ha scosso i mercati finanziari di tutto il mondo si manifesta anche come sommovimento valutario, di cui è emblematica la svalutazione del dollaro. Per il momento la crisi dei mutui subprime (mutui di seconda scelta) sembra colpire soprattutto i lavoratori (100.000 i posti di lavoro già persi negli Usa nel solo settore finanziario), mentre paiono sotto controllo le ricadute sulle borse mondiali - che tuttavia tra luglio e agosto hanno bruciato più di 5500 miliardi di dollari di capitalizzazione - e l'impatto sul sistema creditizio (benché le perdite stimate a carico delle banche ammontino a circa 40 miliardi di dollari e addirittura a 160 quelle a carico degli investitori in prodotti strutturati). Il presidente della Federal Reserve Bernanke ha già ammonito che la crisi presenta caratteri di gravità superiori a quelli immaginati e le preoccupazioni per la crescita sono state certo alla base della sua decisione di abbassare il tasso sui Fed Funds di 50 punti base invece di 25 (come era nelle attese).
La decisione della Federal Reserve ha certamente influito sull'immediato successivo apprezzamento dell'euro il quale, partito nel 1999 a un livello di 1,165 a dollaro e passato attraverso andamenti altalenanti, ha ora superato la soglia fatidica di 1,4. Ma sull'apprezzamento dell'euro influiscono altri movimenti valutari che, guidati dalla svalutazione del dollaro, sembrano rispondere a logiche di più complessiva ridislocazione del potere economico internazionale e di più ampia redistribuzione delle aree di influenza e dei centri gravitazionali. Lo yuan cinese, con l'intento di difendere le esportazioni dalla Cina verso l'America, segue e amplifica la svalutazione del dollaro accentuando così il proprio deprezzamento nei confronti dell'euro, il che aggrava i problemi di competitività delle merci europee.
Il rublo, lo yen giapponese, la rupia indiana seguono l'euro nella rivalutazione e altrettanto sembrerebbero apprestarsi a fare le monete dei paesi arabi del golfo, anticipati dalle autorità monetarie saudite, la cui decisione di mantenere inalterati i propri tassi senza seguire la discesa di quelli americani sembra dovuta, oltre che al tentativo di arginare le conseguenze inflazionistiche interne dell'incredibile incremento del prezzo del petrolio - che è giunto a superare gli 82 dollari al barile - alla volontà di sostituire progressivamente, all'aggancio al dollaro, quello all'euro. Le fonti di instabilità, comunque, continuano ad accumularsi negli Usa, a tutt'oggi il paese paradossalmente più ricco e più indebitato del mondo, in grado di risucchiare più di due terzi dei flussi netti di capitale internazionali, al cui interno si legano e si avvitano il clamoroso deficit pubblico, gli squilibri della bilancia commerciale, l'elevatissimo indebitamento di tutti gli operatori privati (famiglie e imprese), il sostegno alla crescita economica fornito da successive attivazioni «drogate» della borsa e l'alimentazione di «bolle speculative» (prima quella mobiliare, ora quella immobiliare), la manovra dei tassi di interesse e la svalutazione del dollaro
Difficile dire se i sommovimenti indicati avvicinino il momento in cui l'euro possa soppiantare il dollaro in quanto moneta di riserva mondiale, come perfino Greenspan ha preconizzato. Certo ad oggi l'euro rappresenta il 25% di tutte riserve mondiali e il 39% dei pagamenti tra paesi diversi ed è già molto. Troppo per rapportarvisi solo lamentando la perdita di competitività delle merci europee ed italiane, senza vedere i più complessi problemi ma anche le straordinarie opportunità che tutto ciò contiene. Il punto è che per vedere sia gli uni che le altre, e per attrezzarsi a farvi fronte, occorre dotarsi di un grande spirito critico e progettuale, vedendo tutti i limiti di un'invocazione dell'autonomia del mercato mai come ora contraddetta dai fatti e dotandosi di efficaci politiche pubbliche a scala europea. Emergono, infatti, sempre più chiaramente la forza e la preveggenza del disegno dell'euro - tra i cui ideatori vi furono personalità quali Delors e Ciampi - come pilastro della possibilità di far svolgere all'Europa un ruolo di regolazione e di giustizia nella globalizzazione convulsa e ingiusta dei nostri tempi. Quella forza e quella preveggenza vanno però sviluppate pena il loro deperimento. Innanzitutto sul piano costituzionale, che è quello su cui è più coerentemente dimostrabile che l'Europa non è solo un'area di «libero scambio». Ma anche sul piano della politica economica e sociale. Qui, in particolare, andrebbero indagate quattro linee d'azione:
1. Strategie di partnership dell'Europa con gli Usa e con la Cina per definire un nuovo ordine economico mondiale. Una globalizzazione «equa» richiede una nuova Bretton Woods che abbia la stessa ambizione e la stessa dotazione di strumenti. In questo ambito andrebbero recuperate le funzioni originarie (keynesiane) di Imf e Wb e pensate riforme radicali, per gli aspetti più propriamente economici e monetari, di Onu, Wto e altre istituzioni finanziarie internazionali e/o continentali.
2. L'Euro come «scudo» ma anche come «lancia». Si tratta delle espressioni su cui non si stanca di insistere Giorgio Ruffolo. L'Euro, cioè, non solo come strumento di stabilizzazione, di neutralizzazione degli squilibri di origine esterna all'area e di contrasto dell'inflazione - obiettivi che hanno portato a dare alla Banca Centrale Europea (Bce) un ruolo senza paragone nei sistemi democratici contemporanei - ma anche come strumento di rilancio della crescita e pertanto di aiuto alle ristrutturazioni e alle riconversioni industriali in una logica integrata, di identificazioni di linee di nuovo sviluppo comuni e cooperative per i paesi membri. In poche parole l'ispirazione, attualizzata quanto si vuole ma sempre valida, del «piano Delors».
3. Le istituzioni più adeguate a garantire il governo economico dell'Europa. La politica monetaria va tenuta scissa dalla politica in favore degli investimenti? La Banca Europea per gli Investimenti (Bei) svolge adeguatamente i suoi compiti? Non sarebbe meglio pensare a una fusione di Bce e di Bei? E, dunque, a un'interazione strategica di compiti? In questo ambito problematico si possono prendere in considerazione in modo più incisivo ipotesi di emissioni di obbligazioni a lunghissimo termine finalizzate alla crescita e allo sviluppo. Più in generale, nel riflettere sulla necessità di un maggiore coordinamento delle politiche economiche europee, una speciale attenzione va prestata alla questione del coordinamento delle politiche tributarie, sotto due profili a) le entrate fiscali comunque come mezzo di finanziamento, b) la fiscal competion come strumento di erosione, se non di distruzione, del modello sociale europeo (per cui appare censurabile la remissività con cui la Commissione Barroso ha accolto le introduzioni di flat tax al ribasso in molti dei paesi nuovi entrati).
4. Organizzare un mercato finanziario europeo. È auspicabile, utile, possibile un tale mercato, nonostante molti continuino a sostenere che in questo campo la dimensione non può che essere globale, così, però, lasciando il dominio al mercato finanziario americano e a quello inglese? Sul continente oggi esistono due grossi mercati finanziari, pur con tutte le loro rigidità: quello francese e quello tedesco. Si può immaginare di fonderli? L'Europa potrebbe chiedere a questi mercati di finanziare in modo attivo nuove prospettive di sviluppo a scala continentale?
Pubblicato il: 28.09.07 Modificato il: 28.09.07 alle ore 9.28 © l'Unità.
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