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Autore Discussione: PRODI  (Letto 71210 volte)
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« inserito:: Giugno 13, 2007, 06:49:57 pm »

Stefano Folli

  stefano.folli@ilsole24ore.com
 
 
Il premier resta in sella, ma è cominciato un lento dopo-Prodi

13 giugno 2007
 
La sensazione diffusa, all'indomani delle amministrative e del nuovo ciclone scandalistico legato alle intercettazioni, è che il dopo-Prodi sia cominciato.
Tuttavia questo non significa che una crisi di governo sia imminente. Il paradosso è tutto qui. Da un lato si ci si proietta idealmente in una nuova fase politica, ancora del tutto indefinita, dall'altra si resta ancorati all'esistente, sia pure con un sentimento di crescente sfiducia.

Nei fatti il centro-sinistra tende a divaricarsi. Ci sono i Ds sotto assedio, un partito che deve difendersi su più fronti. Poi ci sono i partner della Margherita: dovrebbero essere del tutto solidali con la Quercia, visto che insieme si apprestano a costituire il Partito Democratico. Ma non è così: Rutelli sembra seguire un suo percorso, al termine del quale c'è sì, il Partito Democratico, ma con una forte connotazione liberal-moderata e i diessini subordinati. La speranza è di recuperare il voto dei produttori e del ceto medio deluso, ma la strada è in salita. Infine c'è la sinistra radicale che chiede di affrontare in via prioritaria la «questione sociale»: lo ha ripetuto ancora ieri sera il presidente della Camera, Bertinotti. Si smentisce che Rifondazione voglia uscire dal governo, ma il solo fatto che se ne parli indica il malessere crescente di una forza che voleva essere la voce dei "movimenti" e da questi ultimi viene oggi abbandonata.

Due mondi, due ipotesi strategiche che è sempre più difficile far coesistere. Fassino parla della necessità di uno «scatto in avanti». In realtà se ne parla da mesi. Chi non ricorda il vertice di Caserta, all'inizio di gennaio, già allora dedicato alla fantomatica «fase due» del governo? Lo scatto manca per due ragioni: per la debolezza della leadership e per le contraddizioni presenti all'interno della coalizione.

È chiaro che oggi si aggiunge un problema spinoso e cruciale: la condizione politica dei Ds, partito-chiave delle alleanze di governo oggi e domani. Nelle intercettazioni Unipol non c'è, a quanto si sa, nulla di rilevante dal punto di vista giudiziario. Eppure in quella che Giuliano Amato definisce «una follia italiana» si intravede un'immagine desolante della politica quotidiana. Nessuna questione morale risorgente, ma il senso di una politica debole e sfilacciata, priva di trasparenza e di autonomia. Non è tema che riguardi i tribunali, ma senz'altro tocca il rapporto tra una grande forza di sinistra e l'opinione pubblica in un momento di scarsa o nulla credibilità della politica.

Qui forse è il punto nodale della crisi. Occorrerebbe un rinnovamento della politica e delle istituzioni che nessuna forza presente in Parlamento è in grado di assicurare. In fondo lo "scatto" vagheggiato da Fassino riguarda un programma ordinario di governo (pensioni, alta velocità, infrastrutture, eccetera). Invece dovrebbe investire la rigenerazione della vita pubblica e una chiara riforma istituzionale. Il che non appartiene al novero delle ipotesi realistiche.

In forme più prosaiche, l'ennesimo scandalo va a intrecciarsi con il destino di Prodi. E con gli interrogativi sul dopo.

Non si può non dar ragione a Luigi La Spina che scriveva ieri sulla "Stampa": «Tutti gli scenari che si aprirebbero dopo una sua eventuale caduta (del governo Prodi) sembrano far perno sulla figura di D'Alema. Ecco perchè può essere utile, da una parte, non escludere il suo apporto alla soluzione alternativa; dall'altra, condizionare il suo potere, quello del suo partito e dei suoi alleati... agli sviluppi di uno scandalo».

da ilsole24ore.com


« Ultima modifica: Marzo 27, 2008, 12:02:23 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 13, 2007, 11:13:59 pm »

«C'è ancora dibattito sull'abolizione del Pra e questo è molto triste»

«Su liberalizzazioni si sta andando indietro»

Montezemolo: «Si perdono troppi pezzi, manca cultura di mercato in molti esponenti del governo»


 
ROMA - Ancora una dura critica al governo. Sulle liberalizzazioni «si sta andando indietro e si perdono troppi pezzi». A lanciare l’allarme è il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo a margine dell’assemblea dell’Unione petrolifera. Montezemolo per questo si dice d’accordo con il presidente dell’Autorità antitrust Antonio Catricalà che martedì ha sottolineato come sulle liberalizzazioni si siano fatti passi indietro. Mercoledì la Camera ha approvato - pur con qualche importante passo indietro - il ddl Bersani sulla «terza lenzuolata» di liberalizzazioni, che ora passerà al Senato.

MANCANZA DI CULTURA DI MERCATO - «Questo - ha aggiunto Montezemolo - dimostra la mancanza di cultura di mercato in molti esponenti del governo e dell’opposizione. Le liberalizzazioni servono soprattutto per dare ai cittadini servizi più competitivi e quindi meno cari». «Credo che il ministro Bersani abbia fatto il possibile e questo l’ho sempre detto dopo un anno di liberalizzazioni zero. Quando leggo - ha concluso Montezemolo - che c’è ancora un dibattito sul Pra, stiamo parlando del Medio Evo e questo è molto triste».

PENSIONI - Montezemolo è poi intervenuto sulla questione pensioni. «Io credo che la spesa sociale in Italia sia bassa e continuo a sostenere che il problema numero uno del nostro Paese sono i costi del debito pubblico, che non ci permette di avere denaro da investire, e la spesa corrente». Se si pensa alle pensioni minime, aggiunge Montezemolo, «credo che il Paese si debba far carico dei problemi di chi sta peggio, questo lo trovo condivisibile. Però bisogna anche reperire le risorse per crescere». Secondo il presidente di Confindustria la crescita infatti «crea ricchezza e può essere distribuita. Però - spiega ancora Montezemolo - non facciamo l'errore di redistribuire quello che non c'è, fermo restando quello che ho detto sulle pensioni». La vera missione dunque, secondo il presidente di Confindustria, è quella della crescita.

Ciò vuol dire, conclude Montezemolo, «creare ricchezza e avere la possibilità di fare investimenti per il futuro».

13 giugno 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Giugno 13, 2007, 11:14:51 pm »

Mercoledì, 13 Giugno 2007
 

Il presidente dell’Ascom patavina: «Puntiamo a 50mila adesioni e a estendere l’iniziativa».

Domani Prodi atteso all’assemblea di Confartigianato 

Studi di settore, Padova e Treviso in piazza 

Nella città del Santo raccolte mille firme in poche ore contro l’inasprimento del fisco. Nella Marca pronta la proposta da inviare a Roma
 
Padova
Oltre mille firme raccolte in una mattinata. La mobilitazione organizzata ieri dall'Ascom di Padova contro la revisione degli studi di settore prevista dal governo Prodi sembra proprio avere colto nel segno.

«Abbiamo avuto un successo davvero grande - dice accanto al gazebo aperto in piazza Garibaldi il presidente Ascom, Fernando Zilio - che ha coinvolto non solo i commercianti, ma tutti i cittadini: dagli studenti ai pensionati. Il nostro obiettivo è quello di arrivare a 50mila adesioni. Per questo vorremmo che la raccolta firme cominciata a Padova venisse estesa alle altre nostre sedi nazionali». Per far quindi giungere il malessere e la protesta direttamente a Roma, al presidente del Consiglio, Romano Prodi. «Chi governa oggi - ricorda Zilio - ha vinto le elezioni per 24mila voti. Noi porteremo 50mila firme contro questa assurda revisione degli studi di settore. Le conclusioni le lasciamo trarre a loro. Sia ben chiaro che non chiediamo di non pagare le tasse, ma solo di essere trattati equamente come invece ora non avviene. E comunque, se necessario, torneremo a Roma anche con 20-30 pullman per manifestare civilmente, pagandoci interamente tutto il viaggio, la nostra protesta».

Accanto ai rappresentanti dell'Ascom anche quelli della Confesercenti e della Cna di Padova, nonché molti esponenti del centrodestra cittadino, tra cui il presidente della Provincia, Vittorio Casarin. «Questo governo - va giù pesante Casarin - vuole fare morire il Veneto perché è una regione di centrodestra. Con i piani di settore siamo ormai fuori da ogni grazia di Dio, e sono solo l'ultimo esempio di una Finanziaria che ha proposto una tassazione al di là del bene e del male. La sinistra, a parole, paventa una sensibilità che con i fatti smentisce andando a punire i piccoli commercianti e gli artigiani, ovvero l'ossatura dell'economia del nostro territorio».

«Ma poi - affonda definitivamente il presidente della Provincia - se oltre a questo ci penalizzano non costruendo nemmeno le infrastrutture di cui abbiamo bisogno, allora anch'io divento leghista fino in fondo e sono pronto alla "rivoluzione civile" per andare con l'Austria. Persino Di Pietro è venuto a Padova affermando che la tangenziale di Mestre l'ha fatta lui. Ma se è nato ieri! Da Roma non vogliono più darci soldi? Va bene almeno però ci mettano nelle condizioni di poter lavorare. E se Prodi venerdì arriverà qui, se ne avrò l'occasione manifesterò pure io contro di lui, perché così non si può continuare».

Intanto la valanga di firme contro gli studi di settore travolge anche lavoratori autonomi e piccoli imprenditori della Marca. L'Unascom Confcommercio trevigiana è pronta a riversarla sul ministero dell'Economia: nel giro di qualche giorno i 9mila soci dell'organizzazione riceveranno la proposta di revisione del provvedimento (promossa a livello nazionale), da sottoscrivere e da inviare poi a Roma. Non solo: verranno invitati ad aderire anche i partner delle imprese del terziario dotati di partita Iva. L'anno scorso la gran parte delle aziende trevigiane della categoria era risultata in regola. Ora, quelle stesse ditte rischiano di non rispettare i nuovi parametri. «Nel commercio basta la chiusura di una strada o l'apertura di un centro commerciale per cambiare completamente la situazione reddituale dei singoli - ribadisce il presidente Renato Salvadori - E' ora che il Fisco capisca questo concetto. E' giusto pagare, ma in maniera equa, su redditi effettivi e non presunti».

E mentre i commercianti raccolgono firme, anche la Confartigianato medita di scendere in piazza. Se dall'assemblea nazionale, in programma domani a Roma (annunciata anche la presenza del premier Prodi), non arriveranno concrete garanzie, gli artigiani della Marca sono risoluti ad occupare, il 23 giugno, piazza dei Signori, il "salotto" di Treviso, con bandiere e striscioni.
 
 
da gazzettino.quinordest.it
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« Risposta #3 inserito:: Giugno 18, 2007, 10:45:38 pm »

POLITICA

L'allarme del premier oggi al comitato del Pd. Ieri ad Assisi col Papa: "Pregare per l'Italia? Non basta una novena"

"Ora basta giochi al massacro" Prodi dà la scossa all'Unione

di MARCO MAROZZI

 

ROMA - Cupio dissolvi. E' questa la sindrome su cui Romano Prodi cerca di giocare una battaglia che potrebbe essere decisiva. L'ultima secondo tutti quelli che lo avversano e persino tanti che ne sono sempre più riottosi alleati. Contro la cupio dissolvi il premier scende in campo, fin da oggi, alla riunione dei 45 chiamati a costruire il Partito democratico.

"Non è possibile che il governo Berlusconi abbia prodotto i disastri, ci abbia lasciato tutti i pozzi avvelenati. Conti nel baratro, guerra in Iraq, pensioni... E adesso la stessa gente sia capace di presentarsi come i salvatori dell'Italia. Ed essere presa sul serio. Mentre noi che stiamo davvero facendo risalire la china al Paese, ottenendo già dopo un anno dei risultati, veniamo bollati come la rovina del Paese. io mi assumo le mie responsabilità. Ma lo stesso dobbiamo fare tutti quanti. Almeno noi finirla di dare l'idea di non credere in quello che facciamo. Non ci massacriamo noi, massacriamo l'Italia, il futuro dei nostri figli".

Il ragionamento del presidente del Consiglio è allargato a tutta la sua maggioranza. "Un clima deve cambiare". Il suo futuro Prodi se lo gioca su questa sfida. Infernale.

Per preparare l'incontro di oggi in Piazza Santi Apostoli, il premier ieri è subito volato a Roma dopo l'incontro ad Assisi con il Papa. Un faccia a faccia pubblico e privato raccontato come profondo, affettuoso. "Sarà una giornata di preghiera per l'Italia" lo aveva salutato, nella città di San Francesco, il vescovo Domenico Sorrentino. "Non basterebbe una novena" ha risposto il presidente del Consiglio, Riso, amaro.

Il richiamo fatto sul Po, sabato, all'"aria irrespirabile" in Italia è un attacco scontato all'opposizione scatenata ma anche - e forse soprattutto - un richiamo ad una maggioranza sempre più sconcertata, con momenti che danno l'idea di rotta. Prodi, pur stanco, solo, amareggiato, non ci sta ad accettare il baratro, anche se nessuno è in grado di definirne fine, alternative, successori. "Non è possibile che Berlusconi non produca nulla e venda tutto. Mentre noi, che pur produciamo, non sembriamo capaci di vendere nulla" commentano i prodiani.

Mentre sul Sole 24 ore un sondaggio urla: "Il 73 delle imprese boccia il Governo Prodi". A febbraio 2006 il no di un mondo pur non amico si "fermava" al 60%. Segni di un clima, dilatato ben oltre gli imprenditori.
Problemi, non solo comunicativi, di raccontare quel che si fa con risorse scarsissime. Soprattutto di approccio a un'Italia di anime diversissime, segnata dal governo e dallo strapotere di Berlusconi e dalle divisioni, le incapacità del centrosinistra di trovare un raccordo positivo.

Di afferrare i molti fili del Paese e tramutarli in qualcosa di unico, comune, condiviso. E' su questo terreno scivoloso e franoso che Prodi conta di chiamare i suoi. Tutto da vedere quanto sarà ascoltato, fra "veleni" che circolano, Margherita, centro che spingono in un senso, estrema sinistra nell'altro, i Ds tesissimi per le intercettazioni di Ricucci ("uno che si difende e tira in ballo tutto per salvarsi"), gli attacchi a D'Alema e insieme le voci - "guidate, spazzatura che si aggiunge a spazzatura" - di contatti ombra con Berlusconi.

In mezzo il premier sotto assedio, con la sua maggioranza - come la scarsa settimana i parlamentari davanti al ministro Santagata - che ribolle impaurita. Prodi pubblicamente chiama a speranza e mobilitazione. "La situazione è difficile, molto. - ha raccontato ad Assisi, nel pranzo delle autorità - ma ci vuole pazienza e capacità di avanzare comunque tranquilli. Il recupero può avvenire quanto si renderà chiaro nella vita quotidiana degli italiani l'effetto dei nostri provvedimenti. E intanto dobbiamo svelenire un clima, anche fra noi". La speranza è un Dpef, poi una Finanziaria che dovrebbe essere non di cassa ma di redistribuzione. "E' la prima volta che succede dal '92" dice Giulio Santagata.

Poi i provvedimenti con cui si promette un abbassamento delle tasse. E gli aiuti per le famiglie, di cui Prodi ha molto parlato con Benedetto XVI. "Io ho una famiglia di 107 persone" ha raccontato Prodi al Papa.

E il Partito democratico. "E' necessario che nasca con la dovuta energia e passione" è il leit motiv di Prodi. "E' determinante - ha aggiunto -poi può finire bene o male".


(18 giugno 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Giugno 22, 2007, 10:50:44 pm »

Lettera al premier: sott'accusa Padoa-Schioppa Dpef, i ministri a Prodi: «Così non va» Pecoraro Scanio, Mussi, Ferrero e Bianchi chiedono un cambio di rotta al governo.

La replica del governo: fiducia nei ministri 
 

ROMA - I quattro ministri dell'ala radicale dell'Unione hanno scritto al premier Romano Prodi per dire che la trattativa con le parti sociali sul Dpef non va, serve «un cambio di rotta». È quanto chiedono i ministri Alfonso Pecoraro Scanio, Fabio Mussi, Paolo Ferrero e Alessandro Bianchi al presidente del Consiglio, in una lettera scritta venerdì mattina e inviata al premier, secondo quanto si apprende da fonti di maggioranza.

LA REPLICA DEL GOVERNO- La risposta è affidata al portavoce Sircana: «Prodi - dice - ha piena fiducia nell'operato dei suoi ministri. Le critiche sono lecite, ma devono essere fatte nel rispetto delle proprie deleghe».

LA LETTERA - «Caro Romano - si legge nella lettera dei quattro ministri - scriviamo innanzitutto per segnalarti la nostra forte preoccupazione relativamente al modo in cui viene condotta la trattativa con le parti sociali. Non condividiamo la posizione con cui il governo, e segnatamente il ministro dell'Economia, affronta questa trattativa. Da un lato, le risorse messe a disposizione per affrontare i temi sul tappeto sono troppo limitate e, dall'altro, il balletto delle cifre determina un quadro francamente incomprensibile per il Paese tutto». Dopo aver ricordato la «drammatica emergenza sociale ereditata» e le «sciagurate politiche del governo Berlusconi», nella lettera si chiede che «le questioni siano affrontate di petto: a partire dalla lotta alla precarietà attraverso il superamento della Legge 30, dalla definizione di un serio intervento di edilizia pubblica, dal rilancio della ricerca scientifica alla abolizione dell'iniquo scalone sulle pensione». «La questione sicurezza che attraversa il Paese - proseguono i ministri - deve essere affrontata prima di tutto con la ricostruzione di un sistema di sicurezza sociale e ambientale».

RISORSE - «La redistribuzione delle risorse recuperate dalla lotta all'evasione fiscale - puntualizzano i quattro ministri nella lettera al premier - deve essere netto e inequivoco, non acconsentendo a quelle richieste di riduzione del debito a tappe forzate che provocherebbero solo danni al paese, sia sul piano sociale che economico». «Ti chiediamo quindi di imprimere al confronto con le parti sociali la necessaria svolta capace di rispondere positivamente alle ragioni che ci hanno portato a vincere la sfida elettorale dell'anno scorso». Pecoraro Scanio, Mussi, Ferrero e Bianchi concludono avvertendo che sono nettamente contrari ad una «frettolosa ratifica» del Dpef, e chiedono a Prodi che gli venga mandato il testo un «congruo numero» di giorni prima della data prevista per la sua approvazione.

22 giugno 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #5 inserito:: Giugno 23, 2007, 07:51:56 pm »

Intercettazioni: la legge e l’ottovolante
Gian Carlo Caselli


Torniamo a parlare di intercettazioni. Le tante, interminabili polemiche che ciclicamente si accendono sono favorite dal fatto che la disciplina vigente, invece di avere un andamento lineare, sembra piuttosto un ottovolante. In sintesi: gli atti (intercettazioni comprese) portati a conoscenza dell’interessato mediante deposito non sono più segreti. In quanto non più segreti sono legittimamente conoscibili da chiunque, a partire dai giornalisti. Ma del contenuto di questi atti non più segreti e conoscibili è vietata la pubblicazione, vale a dire che i giornalisti non li possono usare. Se però li pubblicano lo stesso, commettono sì un reato, ma il reato si estingue con l’oblazione, cioè pagando una somma modesta (massimo 125 euro). Neppure Pirandello avrebbe saputo inventarsi qualcosa di più sfuggente, rispetto a questo continuo “palleggio” (fra segreti caduti, divieti di pubblicazione del non più segreto e vanificazione del divieto violato) che è lo specchio di una realtà bizantina, fonte di confusioni e incertezze che rendono quasi impossibile - ai non addetti ai lavori - raccapezzarsi quando si parla di “fughe di notizie” che magari non sono per nulla tali.

La confusione, poi, offre a certi settori della politica il destro per essere indulgenti verso sé medesimi, lamentando appunto presunte “fughe di notizie”, per mostrare invece animosità verso media e magistrati. Ecco le accuse di circuito vizioso fra gli uni e gli altri, anticamera per la prospettazione di oscuri complotti. Ecco, in generale, una certa insofferenza verso i controlli, e quindi una diffusa tendenza a imboccare strade che preferiscono sovrapporre ai fatti verità virtuali ma vantaggiose. Cresce, in questo modo, il rischio che la crisi della politica si accentui, indebolendo quel primato della politica che è struttura portante della democrazia. Nel senso che il governo della società e il motore del “vivere giusto” possono stare soltanto in azioni politiche , cioè spettano esclusivamente alla politica, non alla Chiesa o alla Confindustria e meno che mai alla magistratura. Ma per esercitare questo suo primato la politica deve anche essere capace di umiltà e di ascolto. Ciò che in passato è avvenuto assai raramente, se si pensa quanto siano stati trascurati o disattesi gli indicatori di concrete esigenze di cambiamento (in termini di nuove leggi, più incisivi controlli, pretesa di più rigorose condotte) che le tante inchieste in tema di corruzione o di collusioni con la mafia hanno copiosamente fornito. Per contro, la politica ha preferito (e la tendenza sembra oggi riaffiorare) avvitarsi su se stessa, lungo percorsi di perenne autoassoluzione. Invece di accendere la speranza del rinnovamento, traendo spunto anche dalle risultanze delle inchieste giudiziarie, spesso ci si è consolati accusando la magistratura di straripamento (così rivelando di preferire i magistrati inerti e dimenticando che la democrazia esige verità e trasparenza).

Tornando alle intercettazioni, l’irrazionale “otto volante” di cui si è detto rende necessaria una nuova disciplina della materia. Il disegno di legge Mastella contiene alcune novità positive. Esso infatti prevede barriere molteplici e rigorose (oggi non esistenti) in grado di assicurare che siano depositate e poi acquisite al processo esclusivamente le intercettazioni rilevanti, cioè quelle che in base a specifica motivazione risultano strettamente pertinenti al tema delle indagini (accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato). Le altre dapprima sono conservate in un “archivio riservato”, poi vengono distrutte. Dalla trascrizione devono in ogni caso essere espunte le parti riguardanti fatti, circostanze e nomi estranei alle indagini. A questo punto, però, diventa inaccettabile il divieto - previsto dalla nuova legge - di pubblicare il contenuto delle intercettazioni depositate (non più segrete) fino alla conclusione delle indagini o fino alla sentenza di appello in caso di apertura del dibattimento. Inaccettabile perché illogico e soprattutto perché comprime in modo certamente eccessivo il diritto dei media di informare e dei cittadini di essere informati su vicende di pubblico interesse. Diritto che una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (ricorso 1914/02 contro la Francia) ha considerato prevalente su ogni altro, soprattutto quando si tratta di fatti scottanti che coinvolgono politici (di questa sentenza, del 7 giugno scorso, si dovrà ovviamente tener conto in sede di discussione del disegno di legge Mastella).

Debbo invece precisare un profilo del mio precedente intervento su questo giornale. Nel labirinto di bis, ter e quater, nel groviglio di commi, alinea, rimandi e richiami che caratterizza il progetto di riforma, mi son perso il punto che - in materia di proroga delle intercettazioni - tiene ferma la vigente disciplina quando si tratta di criminalità organizzata. Va però detto che l’impossibilità di prorogare le intercettazioni oltre i 90 o 45 giorni (a seconda che siano telefoniche o ambientali) se non quando emergano nuovi elementi investigativi, riguarda - tra l’altro - le indagini in materia di reati contro la pubblica amministrazione, di esercizio abusivo di attività finanziarie e di violazione delle regole concernenti la trasparenza del mercato finanziario. Cioè materie per le quali occorrono tanta pazienza ed inesauribile tenacia - esattamente come per la mafia - se si vogliono conseguire risultati significativi. Essere costretti a bloccare tutto se dopo un breve periodo non sono ancora emerse novità (pur risultando tutt’ora promettente la pista d’indagine aperta con l’intercettazione) può essere rovinoso.

Pubblicato il: 23.06.07
Modificato il: 23.06.07 alle ore 15.16   
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« Risposta #6 inserito:: Giugno 24, 2007, 12:25:46 am »

Il presidente del Senato Franco Marini bacchetta i sindacati

Pensioni: insostenibile il no ad aumento età «Un rigido no, rifiutando il discorso su un parziale, attento e contrattato aumento dell’età, non può essere sostenuto»   


LEVICO TERME (Trento) - Il presidente del Senato, Franco Marini, interviene sul tema del momento, la riforma delle pensioni: e lo fa per richiamare i sindacati a un atteggiamento meno ostinato. «Un rigido no, rifiutando il discorso su un parziale, attento e contrattato aumento dell’età (pensionabile, ndr), non può essere sostenuto», ha detto Marini, che è intervenuto alla Festa nazionale della Cisl a Levico Terme, in provincia di Trento. Una critica ancora più pesante se si pensa che Marini è stato a lungo, prima di Sergio D'Antoni, al vertice del sindacato cattolico.

TRATTATIVA DURA - «Spero - ha aggiunto Marini - che si arrivi a una conclusione positiva di questa faticosa e dura trattativa». E replicando a Guglielmo Epifani, che ieri aveva detto che una trattativa non poteva essere condotta con la calcolatrice, il presidente del Senato ha sottolineato, che «la previdenza deve ovviamente tenere conto anche dei conti pubblici» e che «non c' è una fonte inesauribile se si guarda alle pensioni dei giovani di oggi». Come a dire: il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa ha tutte le ragioni del mondo a usare la calcolatrice nella trattativa sulla riforma delle pensioni. A Padoa-Schioppa, «tutto gli si può dire meno che non si deve portare la calcolatrice - ha detto Marini - Caro Epifani, tutte le critiche gli si possono fare tranne che questa».

DILIBERTO: NON C'E' NEL PROGRAMMA - L'aumento dell'età pensionabile? Non è nel programma. Oliviero Diliberto, segretario del Pdci, subito pronuncia un secco altolà al richiamo di Franco Marini: «Occorre che tutti rispettiamo il patto implicito siglato con gli elettori attraverso il programma del centrosinistra nel quale non vi era alcun accenno all'aumento dell'età pensionabile». E Diliberto rincara la dose, chiamando in causa anche Walter Veltroni, in predicato di divenire coordinatore del nuovo Partito democratico: «D'altro canto come spero appaia chiaro a tutti, il governo deve recuperare consenso e non perderne drammaticamente altro. Ma forse qualcuno punta proprio questo. Sarei curioso di conoscere , sul punto, l'opinione del prossimo segretario del Partito democratico...». Veltroni, per l'appunto.

BONANNI APRE AGLI SCALINI - Nell'intervento mattutino alla Festa della Cisl, il segretario del sindacato, Raffaele Bonanni, aveva minacciato «mobilitazioni» se non si fosse raggiunto un accordo sulle pensioni. Ma aveva anche aperto all'introduzione degli «scalini» per evitare lo scalone, ovvero il brusco innalzamento di tre anni (da 57 a 60 anni) dell'età pensionabile, con 35 anni di contributi. Una misura contenuta nella riforma Maroni sulla previdenza e che dovrebbe essere effettiva dal 2008.

SPESA E DPEF - Sulla riforma della pensioni è intervenuto anche Francesco Rutelli: «Sulle pensioni non si può scherzare - ha detto il vicepresidente del Consiglio e presidente della Margherita - ne va del futuro dei nostri figli. Dalla concertazione con le parti sociali e dal confronto politico - ha concluso Rutelli - deve uscire un accordo responsabile, ma la spesa previdenziale deve essere sostenibile per i decenni a venire». Insomma, sembrano isolati i ministri «ribelli» che venerdì avevano spedito una lettera al premier Romano Prodi, accusando Padoa-Schioppa di gestire in modo discutibile sia la trattativa sulle pensioni sia l'elaborazione del Dpef. «Così non va» avevano scritto Mussi, Pecoraro Scanio, Ferrero e Bianchi, chiedendo un immediato «cambio di rotta» al governo.

23 giugno 2007
 
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« Risposta #7 inserito:: Giugno 25, 2007, 10:06:57 pm »

Attualità

CENTROSINISTRA ALLA PROVA / I PROGETTI DEL PROFESSORE

Fortino palazzo Chigi
di Edmondo Berselli


Crollo dei consensi. Leader intercettati. Il governo sotto assedio prova a reagire. Così Prodi punta sul Dpef e sul Partito democratico
 
Un assedio. La coalizione di centrosinistra con i leader ammaccati dalle intercettazioni e dai verbali degli interrogatori di Stefano Ricucci. Il sospetto serpeggiante anche nella famiglia diessina che Piero Fassino e Massimo D'Alema fossero iscritti in un 'concerto' che spartiva pezzi di economia fra sinistra e destra, Bnl da una parte e Antonveneta dall'altra, con sullo sfondo la possibile 'finlandizzazione', cioè una neutralizzazione spartitoria, del 'Corriere della Sera'. E il governo Prodi protagonista involontario della più colossale caduta di consenso che si sia mai vista nella storia della Repubblica. Il premier fischiato in ogni occasione, anche dalla platea che si immaginava non ostile della Confesercenti. Le regioni del Nord che alle amministrative consegnano il foglio di via al centrosinistra, indicando percentuali intorno al 30 per cento. È la fine di una stagione? Per capirlo si può tentare di penetrare nel quartier generale del governo, sentire gli umori, raccogliere le valutazioni delle persone più vicine al premier. Ascoltare un grido di dolore silenzioso.

Guardiamo alle condizioni di scenario, dicono le voci di Palazzo Chigi. I politologi sostengono che il governo è impopolare perché al Nord si aspettavano libertà e hanno avuto tasse, mentre al Sud si attendevano trasferimenti pubblici che non sono arrivati. Il governo vittima delle aspettative asimmetriche. Ma ci sono anche ragioni più strettamente politiche. I Ds sono in condizioni preoccupanti. La scissione di Fabio Mussi a sinistra. E nel partito il diffondersi di un cattivo pensiero, l'idea o l'esorcismo di un complotto che viene da lontano, ossia che tutto vada fatto risalire alle esternazioni di Arturo Parisi due anni fa, quando l'attuale ministro della Difesa accennò al possibile riemergere di una "questione morale" a sinistra.

Non gliel'hanno mai perdonata, a Parisi, come se quella fosse la prova di una grande macchinazione e la dimostrazione implicita che a ordirlo fossero stati loro, gli ulivisti fondamentalisti, i prodiani, l'école parisienne. Ma non ci sono difficoltà soltanto sul fronte diessino: non passa giorno senza che Francesco Rutelli attacchi pesantemente la politica economica e fiscale del governo, e questo alimenta dubbi sul futuro. A quanto si capisce, se cade Prodi potrebbe esserci un governo di transizione più o meno lunga: che cosa succede del Partito democratico in questo caso? Bisogna chiedersi che cosa accadrebbe se crollasse il governo: rischierebbe di cadere anche il bipolarismo? In questo caso i Ds porterebbero a casa solo guai, mentre per le frange centriste della coalizione si creerebbero delle opportunità. A pensar male si fa peccato, ma si va vicini alla verità.

Naturalmente, ironizzano i Chigi-ultras, non c'è nessun complotto prodiano o parisiano. C'è un clima di rifiuto della politica, che ha avuto un detonatore nel libro di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, 'La casta', e c'è la crisi di credibilità del governo. Tuttavia bisognerebbe fare un modesto ragionamento ed elencare qualche dato fattuale: allora, abbiamo una crescita del Pil al 2,3 per cento; l'inflazione è la più bassa d'Europa, mezzo punto sotto la zona euro; i conti pubblici sono sotto controllo; la disoccupazione è la più bassa da quindici anni; abbiamo dato alle imprese il taglio del cuneo fiscale; siamo usciti elegantemente dall'Iraq; siamo al comando di una forza di pace in Libano che ha rappresentato anche simbolicamente una discontinuità netta rispetto all'unilateralismo americano e al conformismo americanista della destra italiana.

E allora, dice la voce profonda di Palazzo Chigi, qualcuno dovrebbe provare a spiegare come fa una somma di elementi positivi a trasformarsi, nella percezione pubblica, in un disastro. Tanti dati buoni che danno come somma una catastrofe. Se questi risultati li avesse fatti Berlusconi, avrebbe inneggiato a se stesso e ai suoi miracoli. Noi, invece, è chiaro che agli occhi del mondo siamo gente di qualità mediocre: abbiamo risanato sì, ma dal lato delle entrate, come dice il governatore Draghi, cioè con le tasse; e il risanamento c'è, ma è congiunturale, dice la Confindustria: un saldo di bilancio, non una messa in efficienza dei comportamenti statali.

Certo, insistono i prodiani, non possiamo rispondere alla crisi di rigetto del paese dicendo che non sappiamo comunicare. Ci sono ragioni più serie. Se guardiamo alle elezioni amministrative di fine maggio, ci accorgiamo che avevamo il territorio e non l'abbiamo più: cominciano a diventare contendibili anche aree di insediamento politico che prima erano indiscusse, in Liguria, Emilia, in Toscana, in Umbria. Il fatto è che noi ulivisti per dieci anni abbiamo coperto la malattia dei Ds, con l'Ulivo: ora che l'Ulivo non funziona più ce la faremo con il Partito democratico? È l'ultima chance.

In ogni caso, nessuno grida alla cospirazione delle lobby economiche e dei potentati mediatico-finanziari; ma c'è da considerare quella che Giulio Santagata, ministro per l'Attuazione del programma, ha definito "la debolezza dei poteri forti": i quali poteri per ovviare alla loro fragilità hanno interesse a puntare sull'indebolimento della politica. Con effetti anche clamorosi, perché Gianfranco Fini che riceve gli applausi dei giovani industriali quando difende il Pra dalle liberalizzazioni di Bersani dà un segno di che cosa significa il corporativismo.

Questo è l'elenco dei mille dolori. Adesso si tratta di vedere quali sono gli strumenti per cercare di uscire dall'impasse. Le 'cartucce' da sparare, come dicono nell'entourage prodiano, cioè la dimostrazione che il governo è in grado di decidere e decide. La prima cartuccia è la Tav, che sembra giunta a una soluzione onorevole. Consideriamo anche che il governo è dovuto intervenire su problemi lasciati marcire da Berlusconi, e quindi difficili da trattare: il Mose a Venezia, ripreso dopo che era stato messo in abbandono, i rifiuti a Napoli. Però pensiamoci, abbiamo chiuso la Maddalena in ottimo ordine, siamo alla guida di 13 mila uomini in Libano, siamo venuti via dall'Iraq in modo perfetto, come ha riconosciuto anche Bush: E allora, spiegateci il mistero: Zapatero esce traumaticamente dalla guerra ed è un eroe, noi usciamo con un passo di danza, con tutti i crismi e il rispetto dell'alleanza e siamo delle caccole. Bene così, ma c'è qualcosa che non si spiega.

La seconda cartuccia consiste nel chiudere bene i tavoli della concertazione. Che significa due questioni principali: pensioni e ammortizzatori sociali. Sulle pensioni si deve sapere che l'abolizione dello scalone costa circa 9 miliardi, e quindi serve a poco fare la voce grossa, come ha fatto il segretario della Cgil Epifani in apertura di trattativa. Occorre una soluzione. Nel frattempo però si interverrà sulle pensioni minime, per far tirare un respiro ai pensionati da meno di 500 euro al mese: con l'extragettito si aumenteranno le pensioni minime di una trentina di euro, e il primo anno arriveranno tutti in una tranche, 350-400 euro in un colpo solo, sicché anche loro si accorgeranno che non facciamo promesse a vuoto. Quanto agli ammortizzatori sociali, si lavora sulla 'totalizzazione', cioè sulla possibilità da parte dei lavoratori precari di ricongiungere periodi di contribuzione anche saltuari.

Dopo di che, l'appuntamento principale è il prossimo Dpef, che rappresenta un momento centrale perché mostrerà che l'azione del governo ha dato i suoi frutti. Potrà portare a una finanziaria senza manovre e senza la minaccia di tagli e amputazioni, e potrà anche mostrare l'intenzione di tagliare le tasse a chi le paga. Adesso a Palazzo Chigi aspettano con un certo ottimismo i dati sull'autotassazione, che sembrano promettenti e in grado di sostenere una politica seria di riduzione del peso fiscale. Nel frattempo, anche pochi ringraziano, si taglia l'Irap del 26 per cento: "Questo governo di incapaci opera un intervento fortissimo sulla tassazione alle imprese".

Altra cartuccia, l'intervento sui costi della politica: che era uno dei punti di attacco della politica prodiana, e che in questo clima diventa una manovra quasi soltanto difensiva. Comunque, c'è in atto un coordinamento fra cinque ministeri, per riuscire ad armonizzare misure di trasparenza e di sfoltimento degli organismi politici e parapolitici. Ma quanto ai costi della politica, dicono i Chigi-pasdaran, sarebbe il caso di non dimenticare che i liberista Berlusconi ha fatto due contratti del settore pubblico con un aumento di oltre il 5 per cento. Fra le curiosità, all'ultimo G8 si è scoperto che non avevamo saldato tutte le rate del Global Forum sull'Aids, che era stato voluto da Berlusconi in persona.

Ma la cartuccia vera, e qui i Prodi boys traggono un sospiro fra la speranza e la rassegnazione, è il Partito democratico. Adesso, dopo che Michele Salvati aveva auspicato un atto di coraggio da parte del premier, Prodi lo ha preso alla lettera e ha dato via libera all'elezione diretta del leader. Se lo ha fatto, vuol dire che si è reso conto che si era sviluppata una battaglia potenzialmente letale fra due partiti, uno ufficiale, i 'bipolaristi', e uno clandestino, gli 'inciucisti'. La decisione di accelerare sul Partito democratico nasce evidentemente dal timore che il partito inciucista potesse approfittare delle more in cui si trovava il Pd per tentare altri giochi, altre manovre. Senza rendersi conto, dicono i bipolaristi purissimi di Palazzo Chigi, che progettare e realizzare governi di larghe intese con Berlusconi significa consegnargli l'atout per scegliere il momento del ritiro della fiducia e andare alle elezioni alle sue condizioni.

Quindi? Resistere, resistere, resistere. Sapendo che ogni giorno può portare l'incidente fatale. E che il risentimento diffuso contro il governo è altissimo. Ma con l'idea che si può ancora risalire la china. A testa bassa, con la classica ostinazione di Prodi. Perché molti non capiscono, dice l'ultimo dei resistenti, che se cade il governo Prodi non c'è un'alternativa e non c'è lieto fine. È il fallimento del centrosinistra, dell'Unione, di tutta una classe dirigente: e allora ne riparleremmo fra vent'anni.

da espressonline.it
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« Risposta #8 inserito:: Giugno 27, 2007, 12:12:32 pm »

26/6/2007
 
Con la testa alle urne
FEDERICO GERMANICCA
 
E’probabile che, nonostante l’esigua maggioranza al Senato, il referendum elettorale all’orizzonte e le fibrillazioni nella coalizione, il voto anticipato non sia dietro l’angolo.

E’ un fatto, però, che nell’ultima decina di giorni l’Unione ha risistemato alcune cose in maniera tale che se si dovesse invece precipitare verso uno showdown elettorale assai anticipato rispetto alla scadenza prevista, ecco, a quell’appuntamento il centrosinistra ora potrebbe arrivarci con qualche cartuccia in più. C’è anche questo, a ben vedere, dietro le scelte definite ieri dal governo in materia di politica economica: dopo i tagli, i sacrifici e le decisioni impopolari dei primi dodici mesi, arriva il tempo dell’aumento delle pensioni minime, della riduzione delle tasse (l’impegno sull’Ici) e di una politica - insomma - più di investimento che di risanamento. E’ un cambio di rotta non da poco: che sommato alla scelta di giocare sin da subito la carta-Veltroni (oggi candidato alla guida del Pd, domani a quella del governo) trasmette agli osservatori la sensazione che il centrosinistra riorganizzi linea e squadra come se le elezioni potessero davvero essere più vicine di quel che oggi si possa immaginare.

E’ possibile si tratti semplicemente della risultante oggettiva di decisioni non più rinviabili, e che hanno logiche e obiettivi del tutto distinti e autonomi l’una dall’altra. Ed è proprio in questa chiave, naturalmente, che Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa ieri hanno motivato e illustrato ai leader della maggioranza la nuova linea in materia di economia: persino sorprendendo ministri e capigruppo della sinistra radicale, arrivati alla lunga serie di riunioni di ieri con la pistola - come si dice - carica e in mano. Tps in particolare si è subito scansato dalla possibile linea del fuoco, senza nemmeno attendere l’avvio dell’ostilità. Spiegherà poi Anna Finocchiaro: «Mi pare di poter dire che il ministro è orientato a non essere così rigoroso rispetto alle indicazioni per il piano di rientro nel rapporto deficit/pil». Ora, considerando il rilievo che Tommaso Padoa-Schioppa ha sempre attribuito al riequilibrio di quel parametro ed al giudizio degli organi internazionali, la svolta non è da poco. Così come è assai significativo il ragionamento all’interno del quale Romano Prodi ha inserito le novità dell’aumento di due milioni di pensioni minime e la riduzione dell’Ici.

Raccontano, infatti, che il premier si sia prima preso qualche soddisfazione («Ho detto più volte che bisogna giudicare il governo in una logica di legislatura, e che dopo i sacrifici sarebbero arrivati i benefici») e poi abbia spiegato, con qualche rapidità, la novità che permette al governo di metter mano al portafogli: «Immaginavamo che occorressero due anni per il risanamento, ma sia le misure messe in campo con la Finanziaria sia l’extragettito fiscale ci permettono di aprire subito una fase di investimento, sviluppo e sostegno alle famiglie». Che tutto questo - sia il minor rilievo attribuibile al parametro deficit/pil, sia la possibilità di avviare una politica di spesa - che tutto questo, dicevamo, sia stato scoperto nel giro di una settimana, può magari destare qualche sospetto ma è certo stato accolto con grande soddisfazione da tutta la maggioranza di governo.

E’ possibile, in fondo, che il tandem Prodi-Tps si sia reso conto negli ultimi giorni dell’impossibilità di reggere l’urto contemporaneo delle pressioni sia dell’ala radicale che dell’ala riformista della coalizione. Perché se è vero che la lettera critica di Pecoraro Scanio, Mussi, Ferrero e Bianchi aveva riaperto un pericoloso fronte polemico con la sinistra radicale, è altrettanto vero che, su queste materie, la pressione di Ds e Margherita sull’esecutivo non s’era mai allentata. E’ dall’autunno scorso che Piero Fassino si sgola nel chiedere un «cambio di passo» all’esecutivo; e sono ormai mesi che Francesco Rutelli insiste sulla riduzione dell’Ici (senza contare gli appelli di ministri come Bindi e Mastella per una politica di sostegno alle famiglie). Il deludente risultato elettorale delle amministrative di un mese fa, ha fatto scattare l’allarme rosso nel centrosinistra, aumentare la richiesta di un cambio di rotta del governo e probabilmente convinto Prodi e Padoa-Schioppa che era giunta l’ora, se non proprio di aprire, almeno di schiudere il portafogli.

Magari non c’entra niente: però, per tornare all’inizio, l’effetto congiunto della discesa in campo di Veltroni e della svolta in economia è quello di rendere meno vulnerabile la maggioranza di governo sui due terreni di maggior sofferenza. Che sono, appunto, il cosiddetto «discredito della politica» (per l’assoluta assenza di rinnovo della classe dirigente) ed una politica economica che ha fatto del governo Prodi - secondo la vulgata dell’opposizione - semplicemente il «governo delle tasse». E’ possibile che le due mosse aiutino l’Unione a ritrovare un po’ del consenso perso nel Paese. Ed è certo che la mettono in condizioni meno traballanti di fronte all’eventualità di un incontrollato precipitare verso le elezioni. Se poi saranno anche in grado di far davvero «ripartire il Paese», lo si vedrà. E non occorrerà davvero aspettare molto...
 
da lastampa.it
« Ultima modifica: Giugno 27, 2007, 12:14:03 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #9 inserito:: Luglio 02, 2007, 05:00:42 pm »

La sfida dell’erede
Gianfranco Pasquino


La fiducia nel governo Prodi è scesa, almeno secondo i sondaggi dell’Atlante politico di Ilvo Diamanti e dei suoi ottimi collaboratori, a livelli davvero bassi. Per intenderci, sarebbe piombata persino al di sotto di quella degli americani per l’Amministrazione Bush. Distribuzione del tesoretto, ridefinizione dello scalone, contenuti del Dpef, conflitto Visco-Speciale sono tutte tematiche sulle quali il governo oscilla e barcolla.

È difficile sostenere, alla luce della composizione della coalizione di centro-sinistra, se con un già completato e attrezzato Partito Democratico la situazione sarebbe diversa e migliore. Quello che è certo è che la transizione al Partito Democratico e alla sua nuova leadership sta complicando, nonostante la comprovata lealtà di Walter Veltroni nei confronti di Romano Prodi, la vita grama del governo. L’affermazione di Veltroni «se cade il governo Prodi fallisce il progetto» rischia di rivelarsi pericolosa. Da un lato, infatti, incoraggia tutti coloro che sono contrari al Partito Democratico a dare una piccola, ma decisiva, spintarella per una crisi di governo; dall’altro, lega un ambizioso progetto di lungo termine per la ristrutturazione del sistema partitico italiano alla durata del governo. Soltanto se Veltroni e Prodi sapranno operare come un vero team, l’esito positivo avrà qualche chance di realizzazione.

Purtroppo, quello che contribuisce alla destabilizzazione del governo Prodi sono le molte incertezze sul percorso del Partito Democratico e del ruolo della sua leadership. A tutt’oggi, abbiamo il discorso di Veltroni di accettazione della sua candidatura a capo del nascituro partito, ma non abbiamo neppure le regole per la presentazione delle candidature, per la formazione delle liste nei diversi collegi e per le modalità con le quali i cittadini “democratici” avranno la possibilità di partecipare in maniera influente alla elezione della Assemblea Costituente. Naturalmente, quanto più breve sarà il tempo a loro disposizione tanto minore sarà l’influenza politica dei cittadini democratici partecipanti e la palla rimarrà saldamente nelle mani dei politici di lungo e solo corso, con più o con meno di sessantacinque anni.

Sicuramente, questo insieme di effetti non è stato voluto da Veltroni, ma il suo discorso del Lingotto, apprezzato, che non è affatto un fenomeno negativo, anche da Luca Cordero di Montezemolo, si configura come una sorta di programma, se non alternativo, almeno aggiuntivo e correttivo delle famigerate 281 pagine siglate dagli Unionisti. È una specie di manifesto del leader, non necessariamente del tutto condivisibile, anche perché in alcuni punti, non soltanto quelli istituzionali, già criticati da Giovanni Sartori, alquanto vago, ma sicuramente inteso come la individuazione di una missione da compiere. Cosicché, ripeto, anche senza volerlo, la struttura della situazione, ovvero un candidato investito dall’alto e già, in gran parte, plebiscitato dal basso, dove i cittadini democratici non riescono a organizzarsi e non vedono candidature alternative (in attesa di un altro ticket, davvero previsto dai saggi promotori?, Bersani-Letta, e della discesa in campo di Arturo Parisi, che non potrà continuare a limitarsi a giuste e incisive critiche senza tradurle in pratiche politiche) e che ha stilato e declamato un manifesto per il cambiamento possibile, Veltroni inevitabilmente diventa lo sfidante di Prodi. Era prevedibile ed è stato previsto. La conseguenza è logica, nei fatti.

Un Prodi senza partito doveva rivendicare la presidenza automatica del Partito Democratico e scegliere lui stesso un segretario organizzativo, ovviamente non Veltroni. Adesso, ovvero dal 14 ottobre, ma sarà una lunga estate calda, di dichiarazioni, di rivelazioni e di sospetti, il Partito Democratico avrà un erede designato di Prodi poiché mi parrebbe assurdo fare altre primarie e poiché una eventuale crisi di governo, possibile in qualsiasi momento, potrebbe implicare un (quasi) immediato ritorno alle urne. Peraltro, l’estate potrebbe servire anche a portare chiarezza sul profilo del Partito Democratico, sulla sua capacità di agire, come ha detto Veltroni, da “regolatore” di un sistema politico, economico, sociale, che, con buona pace della caricatura che Michele Salvati continua a fare delle socialdemocrazie classiche (e, persino, contemporanee), è il compito che i partiti progressisti si propongono regolarmente e che, spesso, svolgono con successo. Garantire «economia di mercato, non società di mercato», questo è quanto deve fare, come ha scritto con ammirevole sintesi Giorgio Ruffolo, la politica dei progressisti. Se c’è una filosofia politica del Partito Democratico dovrebbe essere proprio questa. Ma, può il sindaco di Roma, candidato in dirittura d'arrivo vincente alla guida del Partito Democratico, articolare le sue posizioni, di breve e di lungo periodo, senza entrare in conflitto con il governo Prodi? Intravedo una sfida, nelle parole, nelle cose, nelle preferenze, nelle scelte, che non promette nulla di buono, a meno che non venga intelligentemente orientata a mobilitare un popolo democratico oggi del tutto sottoutilizzato, spesso messo ai margini e abbastanza perplesso sulle modalità e sull'esito di quello che dovrebbe essere un traguardo ambizioso: un partito grande, aperto, federato, progressista a sostegno, ma anche capace di assumere la guida di un governo dinamico, efficace, sostenuto dalla fiducia, non soltanto dei suoi elettori.

Pubblicato il: 02.07.07
Modificato il: 02.07.07 alle ore 11.24   
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« Risposta #10 inserito:: Luglio 04, 2007, 10:38:19 am »

Il nervosismo di Prodi: non parteciperò a nessuna festa di partito

La giornata orribile di Palazzo Chigi

Pensioni, Dpef, rischi in Senato.

De Mita: governo morto, manca il medico legale


ROMA — Per tutta la giornata ha gestito l'aula di palazzo Madama, con una maggioranza a corto di numeri e l'opposizione che dai e dai alla fine è riuscita a mandar sotto il governo sull'Iva. «Fossero questi i problemi» ha commentato Marini con un amico di partito al termine della seduta: «Sono le pensioni il vero nodo e lì temo che...». Il presidente del Senato non ha concluso la frase, non ce n'era bisogno: tutti sanno ciò che lui ha capito dopo averne parlato con Bertinotti nei giorni scorsi. Marini scorge l'ombra che cala su Palazzo Chigi da Montecitorio, dove il presidente della Camera attende gli esiti della trattativa sulla previdenza, ma con l'intenzione di non condividere un eventuale compromesso «a danno dei lavoratori »: «Le pensioni non sono l'Afghanistan. Sulle pensioni non si possono proporre mediazioni estranee al programma di governo ». Il suo ruolo istituzionale gli impone un certo grado di riservatezza, ma ha avuto modo di far sapere che considera «inaccettabile il tentativo di scatenare un conflitto tra generazioni, mettendo i giovani contro gli anziani».
Bertinotti l'ha spiegato al sottosegretario alla presidenza Enrico Letta e ai ministri Bersani e Damiano: non c'è alcuna intenzione di mettere in crisi il governo, ma non c'è nemmeno l'intenzione di piegarsi dinanzi a una «battaglia ideologica». Se non l'ha detto personalmente a Prodi è perché negli ultimi tempi si sono diradati i contatti. È già accaduto che tra il premier e il presidente della Camera ci fossero momenti di distacco. Questo è uno di quei momenti, che coincide con una giornata orribile per Palazzo Chigi: con il Fondo monetario internazionale che bacchetta il governo sul Dpef; con l'opposizione che si ricompatta presentando un'altra mozione contro Visco; con il voto sull'Iva al Senato, dove Andreotti si trasforma nel salvatore dell'Unione; e con Di Pietro che dichiara guerra alla riforma dell'ordinamento giudiziario. De Mita a volte sa essere conciso: «Il governo è morto. Manca solo un medico legale che lo certifichi ».

Raccontano di un Prodi molto nervoso, per nulla disposto a fare concessioni e nemmeno a concedersi di qui in avanti: «Questa estate non parteciperò a nessuna festa di partito». Somiglia tanto a una dichiarazione di guerra preventiva, a fronte degli inviti che gli giungono. Mastella voleva bissare l'offerta di Telese, la Margherita era pronta ad aprirgli le porte della kermesse in Salento. Niente da fare, «niente dibattiti». Al contrario di Berlusconi, che dopo aver dato buca a Rutelli l'anno scorso, avrebbe gradito stavolta esser presente. Quest'anno le parti si sono rovesciate. Eppoi non è nemmeno certo che la festa della Margherita si faccia. D'altronde, cosa ci sarebbe da festeggiare? «La situazione è drammatica», ammette il leader dello Sdi Boselli: «E meno male che Veltroni sostiene di lavorare perché il governo arrivi al 2011. In realtà gli sta accorciando la vita. A settembre temo si arriverà allo scontro tra Prodi e il sindaco di Roma». È inutile tuttavia parlare del futuro se il presente riserva un'incognita difficile da decifrare: la riforma delle pensioni. Sul resto ci sono margini per evitare il naufragio. Sull'ordinamento giudiziario, per esempio, Di Pietro è pronto a votare la fiducia se il governo la porrà. Nelle settimane scorse l'ex pm era tentato di uscire dal governo per dare solo «l'appoggio esterno a Prodi». Al momento però non intende esporsi, sebbene continuino i suoi contatti con l'opposizione e si sia scambiato dei segnali — anche se non per via diretta — con lo stesso Berlusconi.

È la previdenza il vero spartiacque, «è lì io temo», ragiona Marini. Nell'Unione è opinione comune che se il premier riuscisse a trovare una soluzione, avrebbe garantito almeno un altro anno a Palazzo Chigi. Ma come sarà possibile conciliare gli opposti? Già Dini sul versante moderato dell'Unione, e i vari Giannini Rossi e Turigliatto sul fronte massimalista, si sono disposti sulle barricate. Sono tutti senatori, e al Senato il centrosinistra non ha margini numerici. Il nodo poi è politico, ed è difficile trovare un punto di mediazione tra chi — come il ministro diellino Fioroni — dice che «la riforma va fatta perché non possiamo tradire i nostri figli e i nostri nipoti», e chi — come il capogruppo del Prc Russo Spena — spiega che «non esistono difficoltà di equilibrio economico», accusa l'Unione europea «di aver scatenato una battaglia che riguarda solo 128 mila persone », e definisce «terroristica l'azione del Centro studi di Confindustria, che numeri alla mano sposta al 2015 le eventuali difficoltà del sistema».

Divisi e distanti. Il Pd da una parte e la sinistra radicale dall'altra. Per un Bertinotti che cita le pagine del programma come fossero un vangelo, c'è un D'Alema che si fa interprete dello «strappo» di Serravalle Pistoiese, e avvisa sindacati e alleati: «Non ci sono i soldi per togliere lo scalone». Ecco il punto su cui l'Unione rischia la rottura, ecco perché la giornata di ieri — per quanto orribile — non incide sulle sorti del governo. Prodi lo sa dove, quando e con chi si giocherà tutto. L'ha confidato a Boselli, sottoforma di battuta il giorno in cui Veltroni si è candidato alla guida del Pd: «Anche tu, Enrico, sei tra quelli che vogliono sostituirmi?».

Francesco Verderami
04 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #11 inserito:: Luglio 05, 2007, 12:18:48 pm »

POLITICA

Il governo: nessuna discriminazione. Corteo a Roma per "salvare i cristiani".

Centinaia di persone, anche Fini e Berlusconi

'Famiglia cristiana' attacca Prodi "Poco impegno per padre Bossi"

Il vicepresidente della Comunità ebraica: "Ovunque libertà di fede"

Berlusconi: dal Vaticano ebbi imput a mediare per la libertà religiosa"

di MARCO POLITI


ROMA - Famiglia Cristiana punta l'indice contro Palazzo Chigi. Per padre Giancarlo Bossi - scrive - la mobilitazione governativa è scarsa. Immediata la replica del Governo: è insensato parlare di "discriminazioni" nell'impegno per la liberazione di un cittadino italiano.
Il settimanale accusa che muoversi per un "prete" non sia importante per il Governo e parla di "silenzio totale" sulla vicenda del missionario. Una certa Italia, insiste la rivista, si sarebbe "appassionata ad altri sequestri". "Non c'è stata alcuna riunione del Governo per padre Giancarlo", scrive l'editoriale "e non c'è stato un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che ha convocato un vertice segreto". Come per le due Simone o per Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto. Non si è mossa nemmeno la Croce Rossa - incalza Famiglia Cristiana - né Scelli né Gino Strada.
La conclusione è ruvida: "Quel Giancarlo Bossi è un prete. Quasi che la Chiesa sia abituata alle persecuzioni. Diventano martiri, vanno in paradiso. Perché mobilitare servizi segreti e spendere denaro per ottenere la loro liberazione?".

Sorpresa e amareggiata la reazione di Palazzo Chigi, che sottolinea in una nota che la vicenda di padre Bossi è stata sistematicamente seguita dal Governo e dalla Farnesina come avviene per tutti i cittadini italiani: "Non si fanno ovviamente distinzioni di sorta tra ruoli, luoghi o valutazioni geopolitiche". Se poi il sequestro ha avuto un impatto mediatico diverso da altri casi non è certo colpa del Governo. Con irritazione Palazzo Chigi definisce "grave" l'insinuazione strumentale che nel caso di padre Bossi "la tonaca rappresenti un discrimine negativo" nelle scelte e nelle azioni governative.

Una forte pressione per la liberazione del missionario è venuta anche dalla manifestazione "Salviamo i cristiani", promossa da un comitato guidato dallo scrittore Magdi Allam per denunciare la persecuzione e la discriminazione dei cristiani nel mondo. Nutrita la partecipazione dei politici del centro-destra (da Berlusconi a Fini, a Castelli, Formigoni, Pezzotta, Pera, Buttiglione, Vernetti), mentre scarsa è stata la folla. Qualche migliaio di persone, piazza Santi Apostoli piena a metà. Tra i presenti le bandiere di Azione Giovani e qualche cartello sulle "Radici cristiane" e l'appello "Cristiani, mai più nelle catacombe".
Ha pesato certamente il fatto che alcuni dei promotori siano stati tra i corifei più accesi dell'invasione dell'Iraq, che ha distrutto una società laica, alimentando quel fondamentalismo e quel terrorismo che stanno mettendo in gravi difficoltà anche i cristiani. Ma sono intervenuti anche esponenti del centro-sinistra come Ranieri (Ds), Castagnetti (Dl), il socialista Villetti, lo scrittore Khaled Fouad Allam. Presenti, inoltre, il rabbino di Roma Di Segni, il direttore dell'Anti Defamation League Abraham Foxman, il presidente dell'Alleanza evangelica italiana Mazzeschi, Jesus Carrascosa di Cl, il direttore di Avvenire Boffo.

Preoccupati gli interventi. Per Pacifici, vicepresidente della Comunità ebraica, la manifestazione non è un attacco ai musulmani, ma la rivendicazione di libertà per tutti. Don Cervellera, direttore di Asia News, ha sottolineato la necessità di una conferenza di pace in Medio Oriente, ma anche la libertà religiosa in Cina. A Repubblica Souad Sbai, dell'associazione donne marocchine, ricorda che nel mondo islamico "donne, cristiani e veri musulmani sono tutti nella stessa barca, chiedendo democrazia e la fine dell'odio". Acceso l'intervento di Magdi Allam: "Assistere in silenzio alla persecuzione dei cristiani, sarebbe stato farsi complici".
Tra i presenti l'ex premier Berlusconi ha commentato: "Quando i cristiani non possono manifestare la propria fede, il mondo civile deve denunciare questa barbarie". E ha ricordato il suo impegno in tal senso. "In tutti i colloqui che abbiamo avuto quando ero al governo abbiamo agito sempre per garantire libertà religiosa. L'ho fatto in Cina, in Arabia Saudita e in tutti i paesi del Nordafrica dove abbiamo concordato con la Santa Sede l'intervento dopo aver ricevuto un input preciso".

(5 luglio 2007) 
da repubblica.it
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« Risposta #12 inserito:: Luglio 05, 2007, 12:42:59 pm »

IL RETROSCENA

Tonino e Clemente, parte la «corsa» ai contatti con Silvio

Unione nella bufera.

Il ministro delle Infrastrutture: perché è legittimo solo se lo fanno quelli del Pd? Il 30 agosto il Cavaliere a Telese 

 
ROMA — Siccome ieri pomeriggio Mastella e Di Pietro avevano siglato un armistizio sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, l’Unione ha voluto comunque garantirsi la rissa di giornata: c’è riuscita accapigliandosi sulla riforma della legge elettorale. «La fibrillazione è una condizione cronica per questo governo», dice il capogruppo del Prc alla Camera, Migliore. Ed ha ragione. D’altronde è da un anno che Prodi convive con il bradisismo e ci si è abituato. Un politico di lungo corso come Maccanico, che osserva le mosse di palazzo Chigi dal Senato, lo definisce «il governo delle forze di inerzia»: «Non funziona, ma va avanti grazie a Berlusconi, che al contrario di Casini e Fini vuole impedire l’avvento di un altro esecutivo».

Da tempo il leghista Calderoli ne è convinto, e ora giura di aver le prove a sostegno della tesi: «L’altra sera ho chiamato il Cavaliere e l’ho avvisato, "Silvio, il governo è cotto". Mi ha risposto: "Bene, allora bisogna accelerare". Poi è andato all’ambasciata israeliana e ha sputtanato tutto, annunciando che ci sono dei senatori della maggioranza pronti a passare con noi. È come se avesse gridato "al lupo, al lupo", quando il lupo è lui. La verità è che pensa di andare alle elezioni con l’attuale governo, perché è convinto che basti e avanzi per la nostra campagna elettorale. Al contrario di Bossi e Fini non si è ancora rassegnato all’idea che il centrosinistra non ci manderà mai alle urne con Prodi ancora in sella».

Il primo ad averlo capito è il Professore. A sentire il resoconto che Mastella ha fatto ai suoi, dopo aver parlato con il premier nelle pause della Conferenza sull’Afghanistan, «Romano è fuori dalla grazia di dio, è incattivito con tutti gli alleati. A iniziare da Veltroni. Lui dice che si sbagliano a darlo per morto e che se ne accorgeranno». Non è una minaccia, è una promessa, che in queste ore si accompagna alle voci più disparate. Rimpasto è la parola che si sente sussurrare nella maggioranza, che corre incontrollata di bocca in bocca, che si alimenta per le tensioni. Il rimpasto sarebbe la mossa che il premier ha in mente per rafforzarsi. C’è chi parla di Fassino pronto a essere imbarcato, chi assicura che Padoa-Schioppa sarebbe con le valigie in mano, destinazione Fondo monetario. Ma proprio ieri il ministro dell’Economia ha assicurato la sua presenza alla festa di Telese, per il 27 agosto. Prodi non ci sarà, in compenso ci andrà Berlusconi il 30 agosto. Previsti fuochi d’artificio.

E visto che gli inviti di Mastella non sono mai casuali, s’intuisce il traffico che c’è al centro. «Inciuciano tutti, pure quelli del Partito democratico, e non posso inciuciare io?», commenta il capo dell’Udeur. E come dargli torto. Anzi, per una volta lui e Di Pietro non solo la pensano allo stesso modo. Si muovono allo stesso modo. C’è traccia dappertutto dei contatti tra Forza Italia e l’Italia dei Valori, e l’ex pm l’ha fatto capire ai suoi: «Dovete spiegarmi perché è legittimo se sono i dirigenti del Pd a non escludere la rottura con la sinistra radicale e a ipotizzare un’alleanza con le forze di centro, mentre se lo fanno altri no. E che sono loro, la Cassazione? Semmai il problema politico per me è un altro. Ha un nome e un cognome». Silvio Berlusconi. Difficile in effetti immaginarli insieme, altrimenti Di Pietro avrebbe già rotto gli indugi.

Così scorre il tempo nel governo Prodi, che convive da un anno con il bradisismo, marischia di crollare per effetto di una scossa di terremoto. La riforma delle pensioni è un vulcano pronto a eruttare: nell’Ulivo c’è chi teme avvenga già a luglio, nel Prc c’è chi prevede che si arriverà fino a fine anno, «magari quando Prodi ci proverà con un decreto. Un altro decreto di San Valentino». Non è chiaro se l’accostamento di Prodi a Craxi sia un complimento oppure no. È certo che al momento la trattativa sulla previdenza è aria fritta. Bastava sentire ieri il senatore dei Dl, Polito: «Il segretario della Uil mi ha raccontato che la mediazione avanzata dal ministro Damiano è quella già bruciata la scorsa settimana dal governo, quando sembrava che fossero a un passo dall’accordo con il sindacato. Angeletti mi ha detto che era già tutto pronto, ma che dopo cena Prodi ha chiamato nella sala della riunione un dirigente della Ragioneria generale dello Stato e gli ha dato la parola. Quello ha spiegato che l’intesa era economicamente insostenibile, ed è saltato tutto. Allora, di che stiamo parlando?».

Infatti Bertinotti non vuole sentir parlare di accordi. Lui non va oltre, ci pensa il capogruppo del Prc al Senato Russo Spena, a dar voce ai sospetti che circolano nel suo partito: «Con Berlusconi nei panni di alleato di Prodi, D’Alema si è messo a lavorare contemporaneamente contro il premier, per arrivare a un altro governo, e contro Veltroni, per sparigliargli le carte, altrimenti è fuori gioco. Questa è la sua fase destruens. Lui crede di poter poi passare alla fase construens, che come al solito non gli riuscirà». E meno male che sono alleati.

Francesco Verderami
05 luglio 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #13 inserito:: Luglio 06, 2007, 09:44:36 am »

«Doveroso abolire lo scalone» Prodi rilancia sulle pensioni

Sindacati soddisfatti, Dini meno


Prodi concorda con quanti, come il vicepremier Massimo D'Alema, segnalano le difficoltà derivanti dalla mancanza di risorse, ma nello stesso tempo spiega: «Sì, non ci sono, e le dobbiamo accumulare, perché abolire lo scalone è doveroso, perché non si può fare questo gioco per cui in un minuto solo vanno in pensione tre classi di età insieme, non è mica giusto, ma i soldi noi li troviamo risparmiando sulle spese della pubblica amministrazione».

E alla domanda se non tema un indebolimento dell'esecutivo proprio a causa dei contrasti all'interno della maggioranza sulla riforma del sistema previdenziale, Prodi avverte: «Io ho consultato tutti, continuerò finendo queste consultazioni. Le diversità ci sono, poi però come è accaduto in passato, come governo prendo una decisione e a quella si sta, io non ho paura del futuro».

Il Presidente non aveva finito di parlare che sono arrivate, a valanga, le reazioni, da destra e da sinistra. Queste ultime positive, quelle altre arrabbiate. Dini dice “se è così cade il governo”, mentre Bonanni, leader della Cisl, si augura che “adesso riparta la trattativa”, e Migliore, di Rifondazione, applaude.

Di fronte al profluvio di commenti, Palazzo Chigi si sente in dover di fare una puntigliosa precisazione. I due punti base attraverso cui si costruisce il percorso per la riforma delle pensioni, precisano fonti di Palazzo Chigi, sono scritti a pagina 171 del programma.

Il primo passaggio recita: «Puntiamo a eliminare l'inaccettabile gradino e la riduzione del numero di finestre che innalzano bruscamente e in modo del tutto iniquo l'età pensionabile, come prevede per il 2008 la legge approvata dalla maggioranza di centrodestra».

Il secondo passaggio precisa: «Con la tendenza all'aumento della vita media all'interno di una modifica complessiva del rapporto tra tempo di vita e tempo di lavoro, l'allungamento graduale della carriera lavorativa, tenendo conto del diverso grado di usura provocato dal lavoro, dovrebbe diventare un fatto fisiologico. Il processo va incentivato in modo efficace, con misure incisive, che non mettano a rischio l'adeguatezza della pensione»


Pubblicato il: 05.07.07
Modificato il: 05.07.07 alle ore 21.39   
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« Risposta #14 inserito:: Luglio 07, 2007, 05:20:05 pm »

7/7/2007 - CONTO ALLA ROVESCIA
 
Il virus galoppa, si pensa alle urne

Grandi manovre tra i poli. Mastella: «Prodi è finito, ma io non faccio la crisi»


AUGUSTO MINZOLINI
ROMA

Qualche giorno fa Gianfranco Fini, spiegando le dinamiche politiche dei prossimi mesi al deputato azzurro Guido Crosetto, era sicuro solo dell’epilogo: «Caro Guido, tieniti pronto. Si voterà nella primavera del prossimo anno. Anche Veltroni ne è convinto. Anzi, secondo me, vuole le elezioni al più presto». Debbono essere state delle parole soppesate visto che in questi anni il presidente di An ha sempre avuto buoni rapporti con il sindaco di Roma. E in fondo fotografano esattamente la situazione: quello che più dà l’idea dell’«ineluttabilità» del ritorno alle urne, infatti, è l’atteggiamento di tutti i protagonisti del Palazzo. Tutti sono nervosi. Tutti coltivano più gli interessi del proprio elettorato che non la strada maestra della mediazione. Tutti si guardano intorno per tentare di individuare l’impresario che può regalargli un altro giro in Parlamento.

C’è il contagio. L’aria elettorale ha cominciato a condizionare il Palazzo e quelli che a prima vista possono sembrare degli atteggiamenti assurdi in realtà appartengono all’extrema ratio del «si salvi chi può». Ad esempio, la rigidità di Lamberto Dini sulle pensioni nasce sicuramente da un contrasto programmatico con il governo ma contemporaneamente è enfatizzata dai propositi del personaggio: l’ex premier ha cominciato una traiettoria di distacco dal centro-sinistra perché, per come si sono messe le cose, l’Unione difficilmente potrà regalargli alle prossime elezioni un altro seggio in Parlamento, tantomeno una poltrona di ministro. Sull’altro versante Fausto Bertinotti sta tentando di tutto per arrivare a un accomodamento con Prodi, ma si pone un problema: se per caso fosse costretto ad accettare «scalone» o «scalini» e nel maggio del 2008 si andasse a votare, cosa racconterebbe ai suoi elettori? Un atteggiamento attento alle elezioni comune a molti: vale per Di Pietro sulla giustizia, ma anche per i riformisti del Pd sulla politica economica.

Insomma, in molti si stanno facendo due conti sui tempi e i modi che porteranno al voto. Il primo è Clemente Mastella. Ben piantato sulla frontiera tra i due poli, il ministro della Giustizia gode di un ottimo punto di osservazione. «Cominciamo col dire - spiega - che un ciclo si è chiuso: Prodi non lo vuole più nessuno. Ma se si va a votare Berlusconi potrebbe vincere da solo e questo non sta bene neppure ai suoi alleati. Sicuramente a Casini che, infatti, continua a non volere le elezioni subito. Per questo Pierferdinando punta a una crisi ora per arrivare a un governo del Presidente che punti a scavalcare il 2008. Ma non può staccarsi da solo dal centro-destra, per cui è bloccato. Dini non può provocare da solo la crisi. Rifondazione non può far cadere Prodi dopo averlo già fatto nel ‘98. Per cui non credo a una crisi a breve sempreché Turigliatto e i pazzi della sinistra non decidano di votare contro insieme a Dini...».

Quindi, per Mastella il Professore è morto ma può andare avanti perché nessuno ne vuole certificare il decesso. Le rassicurazioni «paradossali» del Guardasigilli nei confronti di Prodi, però, finiscono qui. I progetti futuri di Mastella, infatti, faranno sicuramente fischiare le orecchie al premier: «Io non posso far cadere il governo sulle pensioni. Scomparirei. Farei la fine di Liotta, cioè del deputato che fece fuori il primo governo Prodi. Io faccio politica. E allora siamo chiari: io con la testa sono già dall’altra parte... Dopo che si sarà conclusa l’esperienza politica del governo Prodi posso anche passare con il centro-destra, però non posso assumermi ora la responsabilità della crisi. Magari più in là, di fronte a un fatto politico... Ad esempio se si arrivasse al referendum io farò la crisi e andrò al voto schierandomi con il centro-destra».

La tabella di marcia di Mastella, a ben vedere, quindi, coincide in linea di massima con quella del Cavaliere. Ieri con un amico Berlusconi è stato chiarissimo: «Dal punto di vista tattico la cosa migliore è arrivare alla crisi in autunno o in dicembre. Così si va dritti al voto nel 2008 senza governi del Presidente. E avremmo il vantaggio di votare con Prodi ancora a Palazzo Chigi. Poi, però, bisogna essere pratici: questo governo è talmente conciato male che la situazione può sfuggire di mano. E noi non faremo nulla per salvarlo. Sfrutteremo la prima occasione». Quindi l’unico pensiero del capo dell’opposizione è quello di puntellare la strada verso le elezioni, per renderla sicura. E gli argomenti per tirare a sé gli interlocutori che ha dall’altra parte non gli mancano con l’aria di urne che tira: con i sondaggi che girano il Cavaliere può fare le promesse che vuole perché ha dalla sua le percentuali.

Già, il «contagio elettorale» nel Palazzo si allarga e potrebbe far precipitare gli eventi da un momento all’altro. Ieri lo spettro del voto a primavera aleggiava anche nel vertice «ristretto» sulle pensioni. E il Professore ha di nuovo avuto i suoi guai. Tommaso Padoa-Schioppa, Massimo D’Alema e Francesco Rutelli gli hanno detto apertamente che non si può cedere a Rifondazione. «Facciamo ridere l’Europa», ha spiegato il primo. «Non ci sono i soldi - ha osservato il secondo - e in più è un’operazione sbagliata». «Perdiamo - ha rimarcato il terzo - la nostra credibilità». Ma in fondo il problema posto in quella riunione dai due vicepresidenti del Consiglio è stato essenzialmente politico: c’è il rischio che per salvare il governo si condanni alla sconfitta il Pd.

Il Professore ha accettato paure e critiche ma con riserva, visto che il personaggio ha un’unica priorità: la salvaguardia del suo esecutivo. Tant’è che subito dopo con il ministro Paolo Ferrero ha tirato le somme in questo modo: «Non cederò né con la sinistra né con i riformisti. Farò l’unica mediazione possibile». E’ probabile che alla fine il Professore scelga la proposta della Cgil. Gli altri allora, riformisti e massimalisti, tenteranno di tirarla per le lunghe, di inserire la riforma in Finanziaria e rinviare lo scontro finale a dicembre. Un’ipotesi che Prodi rifiuta, consapevole che se arrivasse con questa patata bollente in mano a Natale la sua sorte sarebbe segnata: a quel punto, infatti, Berlusconi darebbe l’ultima spallata; e Veltroni, già eletto segretario del Pd, sarebbe pronto a raccogliere la sfida. Ci sarebbe la crisi e la corsa verso il voto. E si avvererebbe la profezia del Cavaliere: «Prodi non mangerà il panettone a Palazzo Chigi: a meno che qualcun altro non lo inviti».

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