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Autore Discussione: Peter GOMEZ.  (Letto 7673 volte)
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« inserito:: Marzo 01, 2013, 12:17:33 am »

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M5S e Pd, dal pragmatismo al gioco del cerino

di Peter Gomez | 28 febbraio 2013


A guardarla con ottimismo la situazione è semplice. Il Partito Democratico può sperare di far salpare un governo di minoranza se il suo eventuale presidente del consiglio incaricato si impegnerà ad abolire immediatamente il finanziamento pubblico dei partiti e a istituire subito un reddito di cittadinanza come avviene, sotto varie forme, in Germania, Gran Bretagna, Francia, Austria, Norvegia e Paesi Bassi.
Certo, il Movimento 5 Stelle non voterà la fiducia al nuovo esecutivo. Ma per incassare subito (magari con un decreto legge) un risultato storico che i cittadini attendono da vent’anni (la cancellazione dei truffaldini rimborsi elettorali) potrebbe decidere, dichiarandolo apertamente, di uscire dall’aula del Senato prima del voto. Sopratutto se l’aspirante premier garantirà solennemente davanti alla nazione, in parlamento prima della fiducia, che verranno dimezzati gli stipendi dei parlamentari, che sarà approvata una vera legge anti-corruzione, una sul conflitto di interessi e che i molti miliardi di euro previsti per il Tav saranno invece destinati alla costruzione di una molto più utile rete Internet ultra veloce. Abbassato il quorum al Pd basterebbero così i voti dei montiani per partire con un esecutivo di minoranza pure a Palazzo Madama, anche in caso di voto contrario del centrodestra.

A guardarla con realismo tutto invece è molto più complicato. E non solo perché, dopo anni e anni di promesse disattese, è difficile pensare che gli eletti e i militanti del M5S si possano fidare di un discorso programmatico. In questo gioco del cerino inaugurato da Pierluigi Bersani (chi si prende la responsabilità o di riportare il paese ad elezioni o di inaugurare il governo dell’inciucio?) le variabili sono tante. Probabilmente troppe per credere davvero che una maggioranza Pd-Pdl sarà evitata.
 
La prima riguarda proprio il finanziamento pubblico: difficile pensare che il Pd e gli altri accettino l’eliminazione dei rimborsi con effetto retroattivo, come ha chiesto Beppe Grillo sul suo blog e il candidato portavoce M5S del Lazio Davide Barillari. Del resto, lo scorso aprile, era stato proprio il tesoriere dei democratici, Antonio Misiani, a dire tassativo: “Rinunciare all’ultima tranche? Impossibile, i partiti chiuderebbero“.  
 
Ma pure ammettendo che il Pd, con un sussulto di buon senso, venga incontro alla volontà dei cittadini già certificata da un referendum del 1993,  che cosa farebbe il Pdl? Non è difficile immaginarlo: di fronte a un programma che comprende legge anti-corruzione più severa e norme stringenti sul conflitto di interessi, ci metterebbe un secondo a uscire anch’esso dall’aula del Senato prima del voto di fiducia. Perché se restano fuori sia M5S che Pdl, a Palazzo Madama manca il numero legale e il governo di minoranza resta al palo.
Ovvio, spiegare a chi ha votato centrodestra che Berlusconi e i suoi fanno saltare pure la garantita l’abrogazione del finanziamento pubblico (era uno dei punti del programma del Cavaliere), non sarà semplice per i vertici del Popolo della Libertà. Ma l’esperienza insegna che in fatto di balle il venditore di Arcore non è secondo nemmeno ad Oscar Giannino. E poi il problema per Berlusconi non è un eventuale voto anticipato (è convinto, non a torto, che nemmeno questo Pd lo voglia per timore di un M5S al 40%), ma quello di creare le condizioni per un nuovo governo dell’inciucio. Insomma a Berlusconi di restare col cerino in mano non importa un bel nulla.
 
E allora la riedizione dell’esecutivo tecnico, magari presieduto dal banchiere Corrado Passera, o la prosecuzione del governo Monti, è segnata? No, in via teorica un sentiero, strettissimo, rimane. Se il M5S, dopo gli incontri tra i neo parlamentari, decide di portarsi a casa il risultato storico dell’abrogazione del finanziamento e il Pd vuole davvero evitare di governare con Berlusconi, i regolamenti del Senato offrono una soluzione. Sedici cittadini eletti a Palazzo Madama nelle fila del Movimento restano in aula al momento della fiducia e votano contro il governo, gli altri escono e non votano. In questo modo anche in caso di assenza in massa del Pdl il numero legale c’è (la metà dell’assemblea più uno) e se invece i senatori berlusconiani restano e votano contro, non bastano per bloccare la nascita dell’esecutivo.
 
Ovvio un governo in queste condizioni di strada non ne farebbe molta. Rischierebbe di durare qualche mese o poco più. Ma tanto basterebbe per approvare 4 o 5 punti chiave, dare un po’ di reddito ai cittadini più colpiti dalla crisi, e permettere di riscrivere in parlamento la legge elettorale. Pochissimo in tempi normali. Tantissimo per l’Italia degli ultimi vent’anni.
Ma questa, dicevamo, è solo teoria. Perché si realizzi ci vorrebbe gente di parola (nel Pd) e molta fantasia. Al potere.

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/02/28/m5s-e-pd-dal-pragmatismo-al-gioco-del-cerino/516544/
« Ultima modifica: Agosto 04, 2013, 11:36:50 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 17, 2013, 05:40:15 pm »

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Presidenti delle Camere, qualcosa sta cambiando

di Peter Gomez | 16 marzo 2013


E alla fine un segnale è arrivato. Quando ormai tutti si erano rassegnati a vedere sedere sulle poltrone della seconda e della terza carica dello Stato due vecchie cariatidi del centrosinistra come Anna Finocchiaro e Dario Franceschini, Pierluigi Bersani e i suoi hanno sparigliato i giochi e hanno eletto due persone stimate da una larga fetta di cittadini: Pietro Grasso e Laura Boldrini.

Certo, si potrà a lungo discutere, e anche criticare, la scelta del Pd di proseguire con il brutto andazzo inaugurato da Silvio Berlusconi nel 1994 di non concedere la presidenza di una delle due Camere alle opposizioni. Ma il dato (positivo) per ora è questo: i due dinosauri si sono dovuti accomodare in panchina e Renato Schifani, l’indagato per fatti di mafia in attesa di archiviazione che sperava di convincere i montiani a rieleggerlo, non ce l’ha fatta.

Il risultato, impensabile fino a 48 ore prima della votazioni, non nasce per caso. Le elezioni hanno dimostrato con chiarezza come i cittadini si attendano dalla politica segnali di cambiamento. Il responso delle urne ha dato forza a chi nei vecchi partiti, per convinzione o realismo, vuole provare a mutare il corso delle cose.

A poco a poco, e tra molti errori, qualcosa nella politica italiana si muove. Molte certezze non hanno più valore, molte convinzioni vanno riviste. Tra queste anche quella, esemplarmente riassunta da Silvio Berlusconi, secondo la quale il Movimento 5 Stelle (percepito da un terzo degli elettori come il maggior rappresentante della spinta verso il rinnovamento) è “una setta come Scientology”. No, quel Movimento (che legittimamente può piacere o non piacere) non è una setta e nemmeno un partito teleguidato da Beppe Grillo. Lo dimostra proprio la spaccatura nell’assemblea degli eletti al Senato tra chi voleva votare scheda bianca e chi voleva opporsi al rischio Schifani. Idee e teste diverse si sono confrontate e alla fine una dozzina di senatori M5S hanno votato per Grasso.

Tra qualche dramma e molti musi lunghi, certo. Ma questa, in fondo, si chiama democrazia.

Ps: Nella tarda serata di sabato Grillo, dopo aver ricordato una norma del non statuto, ha invitato chi ha votato in maniera diversa da quanto stabilito dalla  maggioranza della loro assemblea a uscire dall’anonimato e a trarre le dovute conclusioni (cioè ad andarsene).  Ha il regolamento dalla sua parte. E chiedere ai senatori di rendere palese il loro voto ha un senso. Tutto il resto – a partire dalla richiesta di dimissioni - non appare una gran trovata. Le regole non vanno solo rispettate. Vanno, alla luce dell’esperienza, pure migliorate. Anche perché tra votare un governo, una legge o una carica istituzionale, le differenze ci sono.  Basta, con intelligenza, volerle vedere.

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/16/presidenti-delle-camere-qualcosa-sta-cambiando/533019/
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« Risposta #2 inserito:: Agosto 04, 2013, 09:25:03 am »

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Berlusconi condannato? “Riformate la giustizia!”

di Peter Gomez | 2 agosto 2013


Per capire chi fosse Silvio Berlusconi non serviva la condanna. Per misurare l’uomo e la sua personalissima visione del codice penale come catalogo di opzioni, bastava la sua storia: off shore, fondi neri, frodi fiscali e anche tangenti, erano già nei documenti e nelle cose. La sentenza della Cassazione però è importante. Perché ristabilisce un principio: la legge è uguale per tutti, anche per chi è ricco e potente. E perché, a partire dai prossimi giorni, permetterà agli elettori di soppesare non l’ormai pregiudicato Cavaliere, ma i suoi colleghi. Gli altri rappresentanti del popolo italiano.

Pensare che il verdetto Mediaset segni un punto di svolta destinato, sia pure lentamente, a risolvere il problema della devianza delle nostre classi dirigenti è, infatti, da ingenui. In politica, in economia e finanza, nell’industria, nella cosiddetta società civile, i Berlusconi abbondano. E paradossalmente, proprio adesso che hanno visto il loro campione finire nella polvere, puntano al bersaglio grosso. Vogliono giocare l’ultima partita per conquistarsi tutto il piatto: contro-riformare la giustizia (che pure di riforme vere ne avrebbe bisogno come il pane) e una volta riscritti i codici far approvare l’amnistia.   

Per questo, come in uno di quei b-movie che tanto piacevano al suo “socio occulto Frank Agrama” – regista tra l’altro del cult horror demenziale Dawn of the mummy in cui un gruppo di procaci modelle risveglia la mummia dal suo sonno eterno –  il leader del Pdl prova a rilanciare. Torna al passato, al 1994.  Annuncia la rinascita di Forza Italia, medita un colpo di teatro (magari le proprie dimissioni dal Senato per evitare di essere dichiarato decaduto) e chiede a pieni polmoni la grande riforma.

Non fossimo in Italia ci sarebbe da ridere. In altri Paesi un neo-pregiudicato che pretende di stabilire le nuove regole con cui amministrare la giustizia, non finisce agli arresti domiciliari o ai lavori socialmente utili. Viene portato direttamente in manicomio.

Qui invece Berlusconi ha un solo cruccio: essere arrivato per secondo. Perché prima di lui, e subito dopo la sentenza, ha parlato l’Eterno Presidente, Giorgio Napolitano, che dopo aver elogiato le toghe e il comportamento tenuto nelle ultime settimane, ha precipitosamente auspicato la grande riscrittura. Per il Quirinale adesso che Berlusconi è quasi fuori ci sono condizioni favorevoli “per l’esame, in Parlamento, di quei problemi relativi all’amministrazione della giustizia, già efficacemente prospettati nella relazione del gruppo di lavoro da me istituito il 30 marzo scorso”.

Ovviamente basta dare un’occhiata ai partecipanti alle riunioni del Pdl coordinate dal noto imputato Denis Verdini, osservare il gruppo in Senato presieduto dall’indagato per fatti di mafia, Renato Schifani, o guardare alle aule di giustizia dove si processa il Pd Filippo Penati e, tra molti tentennamenti, si porta avanti il caso Mps, per rendersi conto dell’esatto contrario.

Ma pur volendo sorvolare sui dettagli, a lasciare a bocca aperta è il progetto. Il programma della riforma, infatti, c’è già. Ed è quello scritto, subito prima della rielezione di Napolitano, dai 10 supposti saggi (“il gruppo di lavoro”) da lui scelti per stilare con largo anticipo l’accordo sulle altrettanto larghe future intese.

Si tratta di una sorta di nuovo codice pro-Casta in cui i tecnici di fiducia del Presidente della seconda nazione più corrotta d’Europa indicano, con dovizia di particolari, i provvedimenti con cui depotenziare le intercettazioni telefoniche, abbreviare i tempi d’indagine, mettere una mordacchia alla stampa, intimorire i magistrati (c’è la creazione di una sorta di Csm di secondo grado i cui membri sono nominati un terzo dal parlamento e un terzo dal Presidente della Repubblica), abolire in caso di assoluzione l’appello, rendere più difficili le manette.

Ecco allora che diventa chiaro perché il Pdl voli basso e garantisca ancora il suo appoggio al governo Letta. Una riforma del genere, e la conseguente amnistia con maggioranza di due terzi, può passare solo se viene votata pure dal Pd (Luciano Violante che sedeva tra i supposti saggi l’ha già approvata).

Andare ad elezioni, salvo che la situazione precipiti, a Berlusconi non conviene. Meglio per il pregiudicato proprietario della destra, dipingersi come vittima, sparare balle a raffica raccontando, con le lacrime in tasca, che i procedimenti contro il suo gruppo sono partiti solo dopo la sua discesa in campo, dire di aver subito “50 processi” e sostenere che Mani Pulite non fu un’indagine anti corruzione, ma un’operazione politica ideata per cancellare i partiti dell’allora maggioranza. Meglio piangere, dire bugie e possibilmente fottere (gli italiani).

Intanto molti altri piccoli Berlusconi crescono e seduti un po’ ovunque in Parlamento non vedono l’ora di mettersi al lavoro. Quello che non ha fatto il maestro forse riusciranno a farlo loro.

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/02/berlusconi-condannato-riformate-giustizia/675260/
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« Risposta #3 inserito:: Agosto 27, 2013, 11:25:02 pm »

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Decadenza, Berlusconi verso la vittoria. Per assenza degli avversari

di Peter Gomez | 27 agosto 2013


“Chi è veramente esperto nell’arte della guerra sa vincere l’esercito nemico senza dare battaglia, prendere le sue città senza assediarle e rovesciarne lo Stato senza operazioni prolungate”. Bisogna leggere la plurimillenaria opera del grande generale e filosofo cinese Sun Tzu, autore de L’Arte della Guerra, per avere la fotografia esatta della piega presa dal dibattito sulla decadenza da senatore del pregiudicato Silvio Berlusconi. Senza aver sparato un solo colpo il Cavaliere è a un passo dalla vittoria. Intimoriti dal volteggiare dei falchi, blanditi dal tubare delle colombe, ammaliati dal sibili ricattatorii della Pitonessa, i sempre più teorici avversari dell’ex premier paiono prepararsi alla ritirata.

L’annuncio è stato significativamente dato da due dei supposti dieci saggi di Giorgio Napolitano. Secondo Valerio Onida (saggio in quota Sel) e Luciano Violante (saggio in quota Pd) la legge Severino sulla decadenza dei condannati va sottoposta all’esame della Corte Costituzionale. Entrambi sono certi che la norma, approvata pochi mesi fa dal parlamento quasi al completo, sia perfettamente legittima. Tutti e due spiegano che non è una legge penale e che quindi ha valore retroattivo. Ma con salto carpiato aggiungono che sollevare un’eccezione davanti alla Consulta non sarebbe una “dilazione”, ma l’applicazione della Costituzione. Anzi, spiega Violante, Berlusconi tanto che c’è potrebbe pure rivolgersi pure alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.

Lasciamo ad altri il dibattito sulla questione giuridica. I pareri in proposito si sprecano e sono nel 99 per cento dei casi concordi nell’affermare che la giunta per le immunità del Senato non può sollevare la questione davanti alla Corte. Anche perché un parlamento che impugna una legge chiarissima appena fatta entrare in vigore è materia da esperti in malattie mentali, non da tecnici del diritto.

Più interessante è invece capire la strategia seguita dal Cavaliere frodatore del fisco per tentare di uscire dai guai. Un piano che, se realizzato, potrebbe permettergli di restare a Palazzo Madama, non per mesi, ma per anni.

La manovra ideata prevede più tappe. Il ricorso alla Consulta, che tanto piace agli uomini più vicini al Colle, se otterrà il via libera parlamentare partirà infatti solo a metà autunno. Tenuto conto dei tempi della Corte difficilmente verrà esaminato prima della tarda primavera o dell’estate del 2014. E anche se verrà respinto ci vorranno poi altri mesi per votare la decadenza.

Ipotizzare che il Cavaliere arrivi al 2015 ancora indossando il laticlavio non è insomma troppo sbagliato.

Contemporaneamente, come fatto balenare dallo stesso Berlusconi durante il vertice di Arcore di sabato 24 agosto, l’ex premier chiederà l’affidamento in prova ai servizi sociali. In questo modo la Corte di Appello di Milano e poi la Cassazione che dovranno stabilire la durata della sua interdizione dai pubblici uffici saranno costrette a venirgli incontro. Visto il suo buon comportamento l’interdizione non sarà più di tre anni (il massimo consentito), ma molto inferiore. Forse un anno o un anno e mezzo.

Anche qui poi ci vorrà un voto dell’assemblea per arrivare alla decadenza. Ma già in passato - è accaduto nel caso del forzista Gianstefano Frigerio condannato per corruzione, concussione, finanziamento illecito e ricettazione – i parlamentari hanno finito per ritenere estinta l’interdizione dai pubblici uffici dei propri colleghi pregiudicati “in conseguenza dell’esito positivo dell’affidamento in prova ai servizi sociali”. Non c’è quindi ragione per ritenere che Berlusconi subisca un trattamento diverso da quello di Frigerio.

A quel punto si entra in nuovi affascinanti scenari: è divertente (o agghiacciante, a seconda dei punti di vista) immaginare cosa accadrà se il Senato dovesse calendarizzare il voto sul Berlusconi interdetto dai pubblici uffici prima di quello sul Berlusconi decaduto a causa della legge Severino.

Da una parte i colleghi gli diranno che può restare con loro perché ormai riabilitato, dall’altra dovranno (o dovrebbero) espellerlo in virtù di norme ideate per tutelare la reputazione delle istituzioni infangate dalla presenza di condannati al loro interno. Lo faranno con facilità? Dubitare è lecito. Più semplice è credere che assisteremo a nuove settimane di snervanti discussioni, magari in attesa della Corte europea dei diritti dell’Uomo, i cui tempi sono ancora più lunghi rispetto a quelli della Consulta.

Certo, Berlusconi ha anche altri processi in corso. Nel 2014 si dovrebbe, per esempio, celebrare l’appello per il caso Ruby. Ma questo, per il momento, non è un problema. Anche in caso di conferma della condanna in secondo grado la Cassazione non si esprimerà prima del 2015 o forse anche più in là, visto che i reati contestati non si prescrivono.

Il tempo che voleva, insomma, l’ex premier sente di averlo ormai quasi in tasca. Per questo adesso ha ordinato ai suoi di tacere. Dal Colle il segnale che chiedeva, tramite Violante e Onida, è arrivato. Ora spera in quello del Pd. Ma non ha fretta. Bisogna lasciar lavorare la Giunta. I generali impazienti, insegna Sun Tzu, perdono le guerre. E lui almeno quelle politiche da vent’anni a questa parte è abituato a vincerle. Di solito per la momentanea assenza del nemico.

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/27/decadenza-berlusconi-verso-vittoria-per-assenza-degli-avversari/693107/
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 01, 2013, 11:30:53 am »

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Decadenza, ora Berlusconi è un gangster che ha paura

di Peter Gomez | 30 agosto 2013


All’improvviso l’operazione impunità duratura volge al peggio. La decadenza del pregiudicato Silvio Berlusconi torna ad avvicinarsi.
Il Cavaliere lo capisce con terrore non appena il Quirinale nomina quattro nuovi senatori a vita. Vedere Giorgio Napolitano che, dopo aver benedetto le aperture nei sui confronti di Luciano Violante (il ricorso alla Consulta per congelare la situazione), decide di applicare alla lettera un articolo della Costituzione ha sul frodatore del fisco lo stesso effetto dell’aglio con i vampiri, o dell’acquasanta con i diavoli.

Scoprire che il laticlavio è andato a tre italiani e un’italiana che, proprio come recita l’articolo 59 della Carta, “hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”, lo lascia sgomento.

Per il maxi evasore fiscale la scelta ha un solo significato: il Pd non è disposto a salvarlo, il Colle ne ha dovuto prendere atto (o peggio ha tramato contro di lui) e per questo ha fatto entrare a palazzo Madama quattro persone di talento e per bene come Carlo Rubbia, Claudio Abbado, Renzo Piano e Elena Cattaneo. Gente che, secondo il Cavaliere, gli voterebbe sicuramente contro e che potrebbe anche sostenere la nascita di un esecutivo diverso. Magari, come dice Calderoli, di “un Letta bis” con qualche transfuga del centrodestra o, addirittura, del M5S.

Così il pregiudicato lancia per la prima volta un gangsteristico ricatto esplicito: “Non siamo disponibili a mandare avanti il governo se la sinistra dovesse intervenire su di me, sul leader del Pdl, impedendogli di fare politica“. Non si fida dei suoi, non si fida di Letta, da questo momento non si fida più di Napolitano. Fa la voce grossa e mostra i muscoli sperando di far paura. Ma è lui ad averne. E tanta.

Se il Pd resiste è finito. E dopo pioverà, pioverà parecchio. Ma non ci sarà il diluvio.

Ps: Come di consueto Berlusconi, meno di 18 ore dopo aver avanzato  la  chiara minaccia , ridiventa un agnellino. È la tattica tipica utilizzata da molte organizzazioni criminali: blandizie e minacce, minacce e blandizie. “Non ho pronunciato nessun ultimatum, il governo sta facendo cose egregie” , dice in attesa che alle 15 di domenica primo settembre 10 senatori piemontesi del Pd si riuniscano per discutere del Lodo Violante (il ricorso alla Corte Costituzionale).

Ieri scrivevamo che se il Partito Democratico resiste il pregiudicato Cavaliere è finito. Lo ribadiamo. Ma resisterà?

Per farlo occorre essere uomini (e donne). Non ominicchi o quaquaraquà.

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/30/decadenza-ora-berlusconi-e-gangster-che-ha-paura/697065/
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« Risposta #5 inserito:: Settembre 22, 2013, 04:41:22 pm »

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Napolitano e Berlusconi, dove sono l’equilibrio e il senso della misura?

di Peter Gomez | 20 settembre 2013


Giorgio Napolitano ricorda che i magistrati devono avere e dimostrare “equilibrio, sobrietà, riserbo, assoluta imparzialità e senso della misura e del limite”. Difficile non essere d’accordo. Ma lo stesso “equilibrio”, la stessa “assoluta imparzialità” e soprattutto lo stesso “senso della misura e del limite” vanno chiesti al Presidente della Repubblica.

Inutile girarci attorno. Ha un significato preciso scegliere di parlare di “perdurante conflitto tra politica e giustizia” e di “spirale di contrapposizione tra politica e giustizia”, due giorni dopo il video-messaggio, a tratti ricattatorio e eversivo, del pregiudicato per frode fiscale Silvio Berlusconi. Vuol dire dare la sensazione di confondere le guardie con i ladri o, peggio, di metterle sullo stesso piano.
Vuol dire fingere di non sapere che uno dei principali problemi di questo paese è la devianza delle sue classi dirigenti.
Vuol dire ignorare  che una parte importante della crisi italiana è dovuta all’enorme tasso di corruzione e illegalità che caratterizza la politica e le poco competitive imprese pubbliche e private.

Per questo non bastano la critica implicita al discorso del Cavaliere sui  giudici “impiegati pubblici” (“un titolo che non dovrebbe mai essere usato in senso dispregiativo”), per far apparire “equilibrato” l’intervento di Napolitano. E non serve nemmeno, per farlo sembrare “imparziale”, il suo richiamo al rispetto “rigoroso della legge” da parte di tutti o l’elogio indiretto all’indipendenza di Ilda Boccassini.

Giovedì, dopo gli attacchi al presidente della Camera, Laura Boldrini, il Colle ha denunciato (giustamente) “la campagna di gravi e perfino turpi ingiurie e minacce, condotta nei suoi confronti sulla rete”. Venerdì di fronte a un condannato che ha sputato contro le sentenze, insultato i giudici accusandoli di volere la “via giudiziaria al socialismo” e invitato i suoi elettori a “reagire e protestare”, Napolitano non ha invece fatto nomi e ha chiesto ai magistrati a non opporsi alla riforma della giustizia.

All’improvviso tra gli inquilini di un parlamento che, per vent’anni ha approvato leggi su leggi per bloccare processi e inchieste, si è così assistito a tanto una brusca, quanto momentanea, frenata. Prima del monito dell’Eterno Presidente molti di loro urlavano: “C’è un disegno per distruggere la direzione politica di tutta un’area di centrodestra” (Fabrizio Cicchitto), “la magistratura politicizzata va asfaltata”(Daniela Santanchè), “nessuno in Italia può sentirsi più al sicuro della propria libertà personale, sicuro dei propri beni, sicuro dei propri diritti” (Sandro Bondi).

Dopo applaudivano: “Anche Napolitano si sta accorgendo della malattia della giustizia” (Santanchè); “Il  Capo dello Stato ha sollevato la questione del ritorno nei ranghi dei magistrati che usurpano della loro funzione” (Bondi)”. Mentre il ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, con ardito paragone tra la dittatura e il ladrocinio di politici e potenti, chiosava per la gioia dei derubati (i cittadini onesti): “È come dopo il fascismo, bisogna trovare vie d’intesa comuni”.

Presidente Napolitano, ci scusi, ma dov’è il “senso della misura”?


da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/20/napolitano-e-berlusconi-dove-sono-lequilibrio-e-senso-della-misura/718418/
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« Risposta #6 inserito:: Febbraio 28, 2014, 06:21:27 pm »

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Espulsioni M5s, stupidità e dittatura della maggioranza

di Peter Gomez
26 febbraio 2014

A Beppe Grillo e a tutti i parlamentari e iscritti del Movimento 5 Stelle che hanno votato l’espulsione dei quattro senatori considerati dissidenti va consigliata la lettura di La Democrazia in America di Alexis de Tocqueville. Le pagine che il filoso francese dedica al problema della dittatura della maggioranza sono esemplari. E anche se si riferiscono al governo degli Stati, indicano bene la strada che una parte del movimento rischia di imboccare.

Fino a qualche tempo fa la libertà di parola e il diritto di critica erano temi centrali per l’intero M5s. Molti cittadini avevano anzi deciso di sostenere l’ex comico alle elezioni dopo aver visto il suo blog e i Meetup battersi anche per questo. Nel novembre del 2010, per esempio, in uno dei tanti post di Grillo si poteva leggere: “La nostra lingua, la libertà di parola, è minacciata, castrata da un neo puritanesimo, da un ‘politically correct’ asfissiante che annulla la verità e uccide qualunque confronto”.

Oggi invece dobbiamo constatare che la libertà di parola nel Movimento 5 Stelle è minacciata e offesa da una brutta voglia di unanimismo. Dalla decisione di far votare gli aderenti 5 Stelle non sulla violazione di una norma del non statuto o del codice di comportamento parlamentare, ma su una critica al Capo, o se preferite al Megafono. Discutere se i senatori avessero ragione o torto nel prendere posizione contro le modalità con cui Grillo ha deciso di strapazzare Matteo Renzi in diretta streaming – sbattendogli peraltro in faccia molte verità difficili da contestare – non ha infatti senso. Il dato importante è uno solo: non esisteva alcuna regola che impedisse ai senatori di farlo.

Certo, per qualsiasi movimento è fondamentale e giusto apparire unito, evitare, come scrive Alessandro Di Battista, che escano “sistematicamente” e per mesi dichiarazioni pronte “a coprire i messaggi del gruppo” o in contrasto con la linea stabilita. Ma anche se  le cose sono andate così – tanto che i quattro senatori avrebbero dimostrato maggior dignità e coerenza andandosene da soli, mesi fa, da un movimento del quale non condividevano più gli obbiettivi – la questione non cambia di una virgola. Punire qualcuno per dei comportamenti per i quali non sono state previste esplicitamente sanzioni non è solo liberticida. Rappresenta un rischio per tutti: anche per coloro i quali oggi votano a favore dell’espulsione dei dissidenti. Domani, e per un motivo qualsiasi, una nuova maggioranza potrebbe infatti votare la loro.

Consolarsi col fatto che le espulsioni (vedi il caso degli amministratori locali del Pd in val Susa fatti fuori perché anti Tav) sono spesso la regola in altri partiti, non serve. Il M5S dice infatti (e quasi sempre lo è) di essere diverso dagli altri movimenti politici. Per questo molti elettori, almeno a giudicare dai commenti e dalle mail che arrivano a questo giornale online, avrebbero trovato più intelligente e democratico che il Movimento, già in occasione del brutto e analogo caso di Adele Gambaro, avesse riformato il regolamento e il non statuto stabilendo con chiarezza cristallina diritti e doveri degli eletti. Non averlo fatto lascia spazio all’arbitrio, alla legge più forte e alle espulsioni di massa. Oltretutto votate online in blocco senza che agli iscritti fosse permesso esprimere valutazioni diverse su ogni singola posizione.

Pensare, come fa il Movimento 5 stelle, di rivoluzionare (con il voto) il Paese è perfettamente legittimo. Credere che sia possibile farlo rinunciando a dimostrare che, sempre e in ogni caso, si è meglio di ciò che si vuole combattere e abbattere non è solo sbagliato. È stupido.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/26/espulsioni-m5s-stupidita-e-dittatura-della-maggioranza/895821/
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« Risposta #7 inserito:: Maggio 15, 2014, 11:01:31 am »

Informazione, web, politica: parla Santoro.

1 – Announo, Servizio Pubblico e Il Fatto

Prima parte del colloquio con il giornalista e conduttore televisivo. "Il format condotto da Giulia Innocenzi ha avuto un forte elemento di innovazione, dato dall'arrivo di molti giovani al centro della scena. Alcuni con un punto di vista forte". Berlusconi ospite? "Sarebbe bello vederlo in questo contesto. Rifare 'Berlusconi a Servizio Pubblico', invece, non avrebbe senso. Non otterrebbe lo straordinario risultato dello scorso anno". Autocritica su ciò che quella volta non funzionò? "Forse l'avere messo da parte, ad un certo punto, la mia centralità"
di Peter Gomez | 10 maggio 2014

“Abbiamo sentito la necessità di rompere gli schemi entro i quali siamo vissuti negli ultimi anni. Abbiamo approfittato di questa circostanza per creare una specie di confine rispetto al passato. Da questo momento non soloAnno Uno, ma tutto la nostra produzione prenderà un’altra piega”. Michele Santoro al telefono esordisce così. I dati Auditel sul successo del nuovo programma condotto da Giulia Innocenzi sono appena arrivati: due milioni di telespettatori, share oltre il 10 per cento. I fatti, anzi i numeri, gli hanno dato ragione. Martedì 6 maggio, durante una lunga chiacchierata faccia a faccia (che potete leggere integralmente in questo pezzo), aveva illustrato il suo pensiero su tv, giornalismo, politica e Beppe Grillo. Ora parla con il tono soddisfatto dell’allenatore che, alla luce del risultato, sa di non aver sbagliato né la formazione, né la tattica di gioco.

Anno Uno, rispetto a Servizio Pubblico, è apparso a molti un programma più solare, meno cattivo e con meno mediazioni giornalistiche.
Guarda, qualcuno ha fatto riferimento ad Amici, ma secondo me è un errore. Qui c’entrano A bocca aperta di Gianfranco Funari e Per voi giovani di Renzo Arbore. Sono questi i riferimenti da cui siamo partiti, non i reality. È chiaro, però, che il precipitare di questi giovani dentro la trasmissione, anche con punti di vista forti, è stato un elemento di innovazione. E poi, soprattutto, c’è stata Giulia che, come pensavo, è andata alla grande.

Non chiedere a Matteo Renzi niente sullo scandalo bipartisan dell’Expo è stata una dimenticanza o una scelta?
Rispetto a Servizio Pubblico l’andamento di questo tipo di trasmissione è volutamente più narrativo. Anche se siamo sempre giornalisti, con Anno Uno siamo meno aperti alle notizie dell’ultima ora. Quella di giovedì non è stata una trasmissione su Renzi e sulle domande giornalistiche che solleva, come sarebbe accaduto in qualunque altro programma d’informazione. Qui c’era un tema, La Paura, e lo abbiamo affrontato con l’ospite. Questo è un format preciso che segue una narrazione. Se non fosse stato così avremmo rifatto Servizio Pubblico.

Domande dei ragazzi, nessun contraddittorio con politici di altri partiti. È il format ideale per ospitare Beppe Grillo.
Secondo me sì. Grillo dovrebbe sentirsi a casa sua. Questi giovani, oltretutto, sono destinati a crescere. Noi giovedì sera li abbiamo visti al 4 o al 5 per cento del loro potenziale. Ma possono sorprenderci molto. Vedo che alcuni di loro sono già ora suscitano enorme interesse sul web. Anche perché sono tutti personaggi interattivi. Ma sarebbe pure bello vedere Berlusconi in questo contesto. Perché, da un certo punto di vista, sarebbe una cosa drammatica, che lo mette alla prova.

Punti al remake delle scorse politiche?
No. Rifare Berlusconi a Servizio pubblico è un’inutile ripetersi. Non avrebbe mai la drammaticità del primo incontro e non avrebbe mai quel risultato. Vedere Berlusconi con questi giovani sarebbe invece uno spettacolo nuovo.

Anche perché lo scorso anno c’era un clima diverso. Berlusconi era percepito come il pericolo pubblico numero uno (qui parte la trascrizione del colloquio con Santoro di martedì 6 maggio).
Allora stavamo raccontando una stagione di grandissimi cambiamenti, con la tv che andava straordinariamente male e i talk, al contrario, straordinariamente bene. Tanto che con Servizio Pubblico, La7 in quella fascia di programmazione era la seconda rete italiana. Batteva sempre Canale5. Non che poi quest’anno le cose siano andate male. Anche se non lo dice nessuno, infatti, in quella fascia La7 ora è terza. Noi abbiamo fatto in media il 9,3 per cento di share. In ogni caso, l’ascolto fatto nella puntata con Berlusconi resta un fenomeno megagalattico. Ha fatto esplodere la rete a percentuali che nessuno credeva pensabili.

Restano però le critiche che conosci. A mente fredda rifaresti tutto alla stessa maniera? Non pensi che il fuoco di fila delle domande sia stato troppo leggero? O che non includere Marco Travaglio tra gli intervistatori sia stato un errore?
Se vogliamo esseri freddi nell’analisi dobbiamo depurare la valutazione dal dibattito politico. La curva di ascolto lì cresce dall’inizio alla fine. Per me che faccio televisione vuol dire che è stato un programma avvincente dall’inizio alla fine. Bisogna respingere il vizio italiano di chiedersi se il programma è servito a Berlusconi o a Bersani. La scaletta, la costruzione, i protagonisti sono stati assolutamente azzeccati. Poi, semmai, se devo rimproverarmi qualcosa, è di non essere intervenuto in quel famoso momento nel quale Berlusconi si è messo nei panni di Marco, con una trovata spettacolarmente mediocre, che è diventata abnorme per il semplice fatto che Marco, come in un’altra celebre puntata con Eugenio Scalfari, ha scelto di non reagire.

Perché avresti dovuto intervenire?
Per interrompere un’azione che stava diventando pericolosa. Non per il suo significato politico, ma per lo spettacolo che diventava noioso. Non dovevo abbandonare la centralità, dovevo tenere in pugno la regia del gioco, come avevo fatto fino a quel momento. Invece io mi sono messo da parte. Ero talmente soddisfatto dell’andamento del programma e della sua buona riuscita fino a quel momento che ho detto: ci sarà un momento di allegria anche qui. Invece è diventato un momento cupo. Il programma si è ribaltato. Anzi, devo dire che solamente nel nostro Paese un candidato alla presidenza del Consiglio che spolvera una sedia viene valutato come un vincente. Cioè, tutti i commenti internazionali che ho letto erano: “grande talento di Berlusconi come clown”, “pessimo comportamento per un presidente del Consiglio candidato”. Celentano mi ha chiamato subito dopo la fine della trasmissione mi ha detto: “Con questo gesto di spolverare la sedia di Marco, Berlusconi ha perso milioni di consensi“. Invece è successo paradossalmente il contrario, vista la riduzione a teatrino della politica, a gossip, a comportamenti superficiali. Ed è un po’ il male del nostro Paese che questi episodi diventino addirittura protagonisti della scena politica. Al di là delle analisi, dei confronti, delle valutazioni e del peso specifico.

Non pensi però che la crisi dei talk di quest’anno sia causata dal fatto che sono troppi e tutti simili? ­
È ovvio, ma la questione di fondo per capire è: perché ce ne sono troppi? Questa è una domanda a cui è necessario dare una risposta, che è questa. Prima di tutto noi ci troviamo di fronte a una crisi della televisione e non dei talk. Una crisi profonda per come abbiamo conosciuto la tv nell’ultimo decennio. Dieci anni fa tra le tre reti Rai e Mediaset si arrivava al 90% dell’ascolto televisivo, il resto lo facevano le televisioni locali. Oggi le sei reti Rai e Mediaset sommate fanno il 57%. Negli ultimi 10 anni abbiamo avuto programmi come quelli di Maria De Filippi, le fiction che superavano il 30% e oggi chi supera il 30% è solo Don Matteo. Però, in generale, programmi simili si sono ridotti intorno al 20% in dieci anni. Questo è quello che è accaduto.

In effetti, talk a parte non vanno bene come una volta nemmeno le trasmissioni di inchiesta.
E non solo. Perché se Milena Gabanelli ha lo stesso tipo di smottamento che abbiamo noi e che ha Ballarò, anche Striscia la Notizia, le Iene e perfino Crozza subiscono una erosione del pubblico. Questo significa che il vero problema si manifesta verso la politica e quelle trasmissioni che erano l’alternativa all’’ordine pubblico’ rappresentato dai telegiornali. Queste trasmissioni erano la forma più concreta dei watchdog, i cani da guardia nei confronti del sistema. Erano viste dall’opinione pubblica come gli elementi di maggior controllo nei confronti del potere. Oggi questa credibilità si è indebolita. Il punto drammatico non è la perdita di ascolto di Santoro, perché dal punto di vista analitico e nell’ambito della rete in cui siamo collocati, facciamo ancora dei risultati straordinari.

Forse uno dei problemi è che siamo diventati Casta anche noi agli occhi del pubblico…
Lo penso solo in parte. Il problema ancora più forte è lo spostamento sul web. Il terremoto oggi si manifesta in una prima fase come crisi della televisione generalista in cui ha retto questo tipo di programmi. In giro ti sentivi dire: “io in televisione vedo solo Servizio Pubblico, Ballarò, Report, il resto non lo vedo”. Quindi era crisi della tv generalista mitigata dal ruolo che avevano questo tipo di programmi. Poi tutti si sono precipitati a costruire programmi che ricalcavano questi format. Da qui è nato l’eccesso di offerta, che per una crisi di sovrapproduzione ha avuto degli effetti sul mercato. E quando il mondo è cambiato la televisione è rimasta in ritardo: i gruppi che si vengono a formare intorno a una trasmissione richiedono da due a due anni e mezzo di lavoro per potersi amalgamare, quindi fai fatica quando capisci che la tendenza è cambiata. Adesso, se vai a vedere le erosioni più sensibili, sono nella tv del mattino e in quella del pomeriggio. Quei talk, infatti, sono quelli che stanno reagendo lentamente ma con grande ritardo alla crisi della politica. Di cui, invece, siamo bombardati a tutte le ore del giorno e della notte.

Insisto: per me c’è pure un problema di crisi di noi giornalisti. Agli occhi di molti, non solo Santoro, ma anche Gomez, sono Casta.­
C’è un principio che sta passando, come dice Fedez, il rapper: ‘prima io mi informavo attraverso i contenitori di politica, oggi io penso di fare direttamente da me’. Non riconosco più il ruolo di mediazione che avevano la Gabanelli, Santoro, Floris o Vespa. Si sta creando una sorta rivolta nell’atteggiamento di consumo dell’informazione, che riguarda anche la carta stampata. E questo era il senso della domanda che avevo posto durante la conferenza stampa di presentazione di Anno Uno. Una domanda che è stata letta come polemica nei confronti de Il Fatto, e invece era banalissima: se io, secondo il giornalista che scrive l’articolo del Fatto, perdo qualche ascoltatore, allora cosa si dovrebbe dire del Fatto? Che è morto perché non vende le copie che vendeva quando è nato? È ovvio che non è così perché noi e il Fatto non siamo morti. Abbiamo tutte le carte per giocare una partita, se capiamo come ci possiamo inserire in questo nuovo scenario. Ma dobbiamo tener presente che si è creata una gigantesca piazza Tahrir, una rivolta nei confronti di tutto ciò che è istituzionale. E dentro questa gigantesca piazza in subbuglio non c’è spazio per considerare in maniera benevola chi è portatore di una mediazione sia istituzionale sia informativa. Perché quelli che fanno informazione sono vissuti, tu dici come casta, io dico come istituzione. Qui viene fuori il problema Grillo. (…)

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Informazione, web, politica: parla Santoro. 2 – Caso Grillo e libertà di espressione
Seconda parte del colloquio con il giornalista e conduttore televisivo. "C'è illusione che Grillo si limiti a essere il portavoce della rivolta. Non è così. Nella battaglia politica che conduce il M5S io non vedo solo elementi limpidi. Penso che ci sia una regia della comunicazione". Il caso Piombino e la memoria della Rete: "E' una sorta di gigantesco blob. Memoria per me significa anche considerare con rispetto la storia delle persone che hai di fronte. Temo gli effetti della trasformazione di una parte del web in curva Nord o curva Sud. Il traffico in Rete te lo fa l'insulto". E la tv e i giornali? "Al momento non ci sono risposte adeguate all'invecchiamento del sistema informativo"
di Peter Gomez | 10 maggio 2014

(…) Dobbiamo tener presente che si è creata una gigantesca piazza Tahrir, una rivolta nei confronti di tutto ciò che è istituzionale. E dentro questa gigantesca piazza in subbuglio non c’è spazio per considerare in maniera benevola chi è portatore di una mediazione sia istituzionale sia informativa. Perché quelli che fanno informazione sono vissuti, tu dici come casta, io dico come istituzione. Qui viene fuori il problema Grillo.

Dici che Beppe Grillo interpreta bene questo clima?
No, dico che c’è un fenomeno Grillo. E che c’è prima di tutto l’illusione che Grillo si limiti a essere il portavoce della rivolta. Non è così. Grillo non è una specie di Masaniello che urla per dire qualunque sciocchezza. Dobbiamo valutarlo per quello che è: un leader politico che dietro ha una forza importante. E, per me, un leader politico, come spesso lui ci ha ricordato e come io ora ricordo a lui, deve avere una visione. Non si può limitare a raccogliere dalla rete sensazioni, emozioni e poi restituirle alla rete. Per cui se nel web – per dire – ci sono sentimenti xenofobi e lui si dice quasi d’accordo… certo, devi tenerne conto e in questo lui è molto più intelligente di tanti politici italiani che preferiscono non sentire il polso del Paese. Però, allo stesso tempo, mi devi dire dove lo conduci questo Paese, verso quale direzione.

Beh, il M5s ha un programma, condivisibile o meno, chiaro: mandarli tutti a casa. Prendere prima o poi il 51 per cento e governare il Paese.
Secondo me significa tradurre in presa del potere questo sentimento di rivolta che nel web è molto presente.

Tu credi ancora che si possa parlare di popolo della Rete, quando ormai il 50% degli italiani naviga?
No, non c’è un popolo della rete. Però c’è un attivismo dominante in rete. Oggi tutti usiamo il web, che è diventato un consumo popolare. Le persone più diverse, strane e con i bisogni più variegati abitano la rete e la usano secondo le proprie finalità. Ma la politica online non è rappresentata in maniera pluralistica a livello di scontro e lotta politici. È indubbio che il Movimento 5 Stelle sia quello più organizzato in rete e che conduce una battaglia politica consapevole dei meccanismi che sono presenti sul web. In questa battaglia politica che conduce il M5S io non vedo solo elementi limpidi. Fanno un uso intrecciato diciamo del gossip, dei loro sentimenti politici.

Ma tu cosa intendi? Pensi che ci siano degli attivisti organizzati che sotto un’unica regia si muovono nei commenti, su twitter, su Facebook? La mia esperienza mi suggerisce generalmente il contrario. Anche se, è vero, in qualche caso le tecniche di marketing vengono utilizzate. Ma complessivamente si tratta di episodi
Io penso che ci sia un’organizzazione, una regia della comunicazione in rete. Non è per niente così spontanea come viene dipinta e descritta. In realtà, anche quando si presenta così, spesso puoi leggere dietro dei comportamenti organizzati. Ripeto: una regia, una regia organizzata che si muove con lo schermo dell’essere portavoce di ciò che in rete matura più o meno spontaneamente. Però le cose non stanno così e soprattutto quando vai a individuare l’assalto nei confronti di chiunque provi ad esprimere elementi di critica o problematici, anche vista l’importanza del M5s.

Però è il mezzo che porta a questo risultato. Quando andiamo in rete è come se parlassimo davanti a una piazza di centomila persone che non sono lì per ascoltarci. Passavano per caso e urlano quello che vogliono. E spesso non sono cose carine…
Io non sono portato a pensare che sia il mezzo che porti a questo. In questo momento, nel dilagare di elementi critici scomposti, se vuoi maleducati, politicamente scorretti, ma spesso perfino violenti, non c’è solamente il fatto che le nuove tecnologie producono questo effetto. Semmai si fanno carico di una rabbia sociale che sta esplodendo nei confronti di chiunque abbia il carattere del “garantito”. O, come lo chiamavamo prima, “istituzionale”. Guardiamo ad esempio la polemica nei confronti dell’operaio di Piombino che ha osato criticare Grillo e che è del Pd. Uno non può essere del Partito democratico!?

Mi pare che ciò che ha mandato in bestia molti è che la sua vicinanza al Pd non fosse stata detta in trasmissione.
Perché bisognava dirlo!? Quello è un delegato della Fiom, io neanche sapevo che era del Pd. Per me non aveva nessuna importanza: lui era semplicemente un delegato di quella realtà che era polemica nei confronti di Grillo. Poi Grillo era rappresentato in trasmissione e quelli che erano critici nei confronti dell’operaio c’erano in trasmissione. Non capisco quale sia il problema.

Penso davvero che sia una questione di medium, di mezzo. La rete, a differenza della carta o della televisione, è un mezzo che ha memoria. Chiunque è in grado se scrive il tuo o il mio nome e di sapere quello che abbiamo fatto. E così è stato anche nel caso dell’operaio di Piombino.
Questa per me è un’altra balla. La memoria della rete si limita semplicemente ad andare a riscontrare le condanne, le multe, gli errori. E’ una sorta di gigantesco blob. Memoria per me significa anche considerare con rispetto la storia delle persone che hai di fronte. Ora se tu tratteggi come un giornalista servo del Pd Michele Santoro, mi pare che memoria ne hai ben poca…

È una cosa diversa, mi riferisco a quel caso preciso. Nessuno se ne è accorto, ma sul blog di Grillo ci sono finito anche io prima di tutti, con la mia email personale che invitava, di fatto, al mail bombing per l’attenzione che davamo giustamente alle notizie sui primi dissidenti M5S. Io ho risposto gentilmente a tutti quelli che mi hanno scritto, ho spiegato il mio punto di vista e la mia posizione e penso che la mia credibilità sia solo cresciuta. Il web è un mezzo biunivoco. E, se dialoghi e sei un buona fede, troverai tanta gente disposta a darti ragione. Dietro ogni nick c’è una persona.
Il problema non è l’insulto. Nel mio mito della rete, perché ho una visione mitologica della rete, c’era il fatto di lasciare tutti liberi di dire il cavolo che volevano. E l’ho sempre fatto. Non sono mai intervenuto per limitare il dibattito, tanto meno l’ho fatto sui nostri social network, dove abbiamo tantissimi utenti e facciamo numeri straordinari. Molto spesso influenzano e determinano il dibattito della settimana in rete. Hanno anche una loro funzione sociale. Il problema è – e capisco che voi del Fatto facciate fatica ad arrivare a questa conclusione visto che nel vostro core business, come forse anche nel mio, i grillini sono importanti – che una cosa è chi ti insulta, un’altra è quando vedi che una forza politica organizzata incoraggia questo atteggiamento. Si tratta di due aspetti completamente diversi. L’insulto ti arriva in maniera spontanea, diretta, fa parte del gioco e tu lo devi rispettare. Però, quando, vieni indicato come obiettivo da una forza politica, il discorso cambia.
A me non fa paura Grillo. Non mi hanno fatto paura la mafia e Berlusconi, figurati se mi fa paura lui. Ma non perché sia inferiore riguardo i due aspetti, ma perché non ha il potere che hanno avuto, o che hanno loro. Quindi, da un certo punto di vista, può farti meno male. Quello che mi preoccupa, ed è la cosa sulla quale reagisco, non è tanto la preoccupazione per il mio destino – e peraltro la mia vita professionale è andata così avanti che se ne potrebbe anche sbattere. Paradossalmente è l’esito politico di questo posizionamento di Grillo e Casaleggio nella realtà italiana. I Di Battista cresceranno, il Movimento 5 Stelle raggiungerà il 51%, la storia finirà bene perché loro diventeranno più liberali e prenderanno in mano le sorti di questo Paese e finalmente diventeremo una vera democrazia. E se questo non dovesse capitare? Questo atteggiamento che si sta costruendo nella rete, questa specie di trasformazione di una parte del web in una sorta di curva Nord o curva Sud della politica italiana può avere degli effetti pericolosi indipendentemente dalla volontà di Grillo e Casaleggio.
Facciamo un ragionamento più sensato: è come se ricordassi che la nascita di un giornale indipendente che non vive di finanziamento pubblico in Italia – un fatto straordinario – non deve essere valutata per quello che storicamente ha rappresentato e per quello tuttora rappresenta, ma per il fatto che il quotidiano perde mille copie in edicola nel contesto di una crisi di sistema, dove tutti i giornali perdono copie. Perché non è che le sta perdendo Il Fatto, le sta perdendo il sistema informativo. È ovvio che noi ci dobbiamo impegnare a capire che cavolo sta succedendo, però non posso risolvere tutto questo dicendo che il progetto editoriale rappresentato da Il Fatto è sconfitto. Non ha nessun senso.

Questo può anche voler dire che molte cose devono essere riviste e migliorate. 
Deve voler dire questo, oltre al fatto che i cambiamenti e le differenze non possiamo valutarle come un elemento di povertà e di resistenza verso il futuro. Le differenze sono una ricchezza. Questo io non vedo nel M5S, in Grillo. Riconoscono che ci sono anche altri soggetti in Italia, che devono svolgere un loro ruolo positivo, solo quando sei strumentale ai loro disegni. Ma questo non è sufficiente: io voglio capire che tipo di società vogliamo costruire. Una società dove ci chiamiamo tutti stronzi dalla mattina alla sera e dove siamo tutti morti tranne quelli che ci chiamano morti? Francamente questa non è la cosa per la quale mi sono battuto.

In ogni caso il M5s non è la maggioranza assoluta nel Paese, ne rappresenta un pezzo.
Tutti gli altri sono tutti dei cadaveri? Sono insomma dei cadaveri quelli che non hanno fatto questa scelta? Uno deve riconoscere che anche negli altri ci sono degli aspetti validi. Lo so, è un, è un problema più in generale della deriva che stiamo prendendo. Il traffico in rete te lo fa l’insulto, te lo fa il vaffanculo, te lo fa il dire che tu sei vestito male quando appari in televisione oppure che hai i tacchi alti. Ma a quel punto il livello che riconosce nell’altro qualcosa di valido non esiste più, perché la dominante è solamente questa qui negativa. Oppure le considerazioni positive sono solo per il tuo vicino di banco, fino a quando non dirà qualcosa su come tu sei vestito. E allora a quel punto anche lui diventerà un nemico, una persona da escludere e da allontanare.

Secondo me il problema c’è, ma non è così drammatico. In ogni caso tu sostieni che Casaleggio e Grillo influenzano pesantemente questo clima?
Non ho dubbi, la loro tecnica è quella. Loro si pongono in osservazione dei pareri della rete. Se tu vai a vedere i post che fanno sono sempre coordinatissimi con l’esplosione dei commenti online. Se sono sul tifo ultras loro fanno un post sul tifo ultras, se dicono che la Boldrini ha fatto una cappellata intervengono sulla Boldrini e così via. Un esempio, secondo me nobilissimo, è il famoso post sulla Boldrini: cosa fareste in macchina con lei? Lì c’era stato un intervento spontaneo di un militante del M5s che aveva fatto una gag in macchina con una sagoma, divertente, una cosa leggera, lieve, simpatica dal loro punto di vista. Magari antipatica dal punto di vista della Boldrini, però niente di che. Però, lo postano con un titolo che suonava più o meno così: “Cosa fareste se foste in macchina con lei”. E questo chi l’ha fatto? Grillo. Poi succede che, quando scoppia il casino su questa cosa, che è voluta, perché gioca sul gossip, l’equivoco e l’ambiguità sessuale, a quel punto la responsabilità è del militante. Ma non è stato lui, che si è limitato a fare una cosa normale. Su questo si è scusato Grillo? No, si è nascosto. Perché lui colpisce e sparisce, fa la guerriglia. E poi quando io vedo che si crea un asse, che è evidente, tra Grillo e Dagospia…

Come fai a sostenerlo?
Pensa che cosa è successo quando Tze­tze ha postato una finta notizia che poi Dagospia ha rilanciato: Santoro sta alle Maldive e per questo perde ascolto, con le foto mie dell’anno precedente. Grillo si è scusato per quello? No, col cavolo. Cosa interessa a Grillo se io perdo ascolto o guadagno ascolto. Che fa il critico televisivo? Sono cose che non dovrebbero avere alcun valore nel suo orizzonte. Lui dovrebbe polemizzare, e anche ferocemente, con i contenuti che io porto avanti. Su Piombino avrebbero fatto una cosa giusta, ad esempio, a spiegare che ‘quell’operaio ha detto delle cacchiate così sesquipedali su un tema e non ha ottenuto replica, non c’è stato nessuno che gli ha contestato quello che diceva’. E invece no, è meglio dire che quello ha la tessera del Pd. Che poi non ce l’ha neanche! Ora se la va a fare, così il gossip torna perfetto. Perché in questo modo si evita di parlare di contenuti. Io credo che si debba al Movimento e Grillo in persona un grande rispetto. L’ho sempre trattato con rispetto, l’ho mai svillaneggiato? Ho detto ‘quello che fanno questi è una cosa devastante, sono fascisti?’. No, per me chi dice una cosa del genere, sbaglia clamorosamente, fa un errore di valutazione gravissimo.

Ti colpisce il fatto che il M5s con la campagna “Filmiamo e intervistiamoli noi”, abbia messo in discussione la figura dei giornalisti? Non credi che il pubblico abbia il diritto di mettere in discussione sia me che te?
Se lo fanno sul piano teorico di dire che la figura del giornalista è diventata inutile, potrebbero persino trovare le pezze d’appoggio nell’andamento della crisi del sistema dell’informazione. Quella che abbiamo fatto prima è un’analisi, non comporta una mancanza di rispetto nei confronti di Gomez o di Santoro. Noi ci dobbiamo confrontare su questa analisi e dimostrare che è sbagliata. Che sia sbagliata lo dimostrano loro da soli però, perché se lui va da Vespa lo riconosce…

Del resto la tv è ancora di gran lunga il primo mezzo di comunicazione e forse la fonte di informazione più dibattuta sul web.
Il punto fondamentale è che noi dobbiamo parlare del sistema dell’informazione, che comprende sia le vecchie forme sia le nuove. Quello che conta è il sistema. Cioè il fatto che quello che le informazioni che pubblico, da un post su blog sperduto, a una foto fatta con il telefonino che posto su Facebook, finiscono in un unico punto di organizzazione dei nostri cervelli che è quello della produzione di immagini, di notizie. Di cui fanno parte sia la televisione che il web. Quindi noi che cosa stiamo pagando? Il fatto che sono venti anni che, da una parte siamo stati bloccati dalla dimensione monopolistica di Berlusconi, e dall’altra dal ritardo riformistico di quelli che contestavano l’ex premier. Quindi tutto quello che era il sistema informativo è invecchiato alla velocità del suono. E al momento non ci sono risposte adeguate. Quando fai Servizio pubblico fuori dai canali televisivi nazionali, e raggiungi il 5% il 6% di share su televisioni che adesso fanno zero per cento – e l’avete provato con la vostra dura esperienza personale – vuol dire che hai fatto qualche cosa che doveva far scattare attenzioni imprenditoriali. Se ci fossero stati, significava che la vecchia struttura effettivamente barcollava, che prevaleva la centralità del prodotto. E invece non è successo niente.
Siamo dovuti tornare dentro l’alveo della tv tradizionale perché altrimenti non ce la facevamo a pagare i debiti. Questo è il punto centrale: non abbiamo trovato interlocutori, abbiamo dimostrato che la guerra si poteva fare, però dopo non potevi stare in questa guerra soltanto con i dieci euro. Qualcuno ancora si ostina a non capire che con quei dieci euro facevamo 7 o 8 puntate. Ne abbiamo fatte 27, altro che 10 euro. Però, dopo, dovevi per forza dare una solidità imprenditoriale e questo non c’è stato. Quindi o tornavi a Sky o tornavi a La7.

Però immaginando il futuro, la possibile soluzione è cercare di rendere la televisione e i programmi di approfondimento come Servizio Pubblico più interattivi? È quella la cosa che immagini?
Tu sei più avanti di me…

Nel caso specifico, molti in rete si sono arrabbiati perché tu non hai detto che l’operaio di Piombino era stato un candidato Pd. Tu però non lo sapevi. Se in quel caso o in un caso simile se ne fosse accorto dal pubblico qualcuno, avrebbe potuto segnalarlo e sarebbe stata la cosa migliore.
Sì, infatti non capisco perché questo non sia avvenuto. Sono i soliti errori. Se mi viene segnalata una cosa, che è comunque una domanda, io devo rivolgerla al signore che sta lì sulla torre: “Ma lei si è candidato?”. Va beh, 2008. Stiamo parlando di un’era zoologica e geologica completamente diversa da quella attuale. Poi insomma, “ha la tessera del Pd?”, e lui mi avrebbe detto “sì, però sono il rappresentante degli operai”. Sarebbe stato un fatto di onestà nei confronti del pubblico che stava guardando. Ci stava, perché no! L’avrei fatto volentieri. Però si deve avere anche questa fiducia in noi. È chiaro che se Dagospia scrive: “Santoro sta a New York” due giorni prima, e poi pubblica le foto dicendo che sto alle Maldive, è chiaro che c’è un elemento di disonestà.

È la differenza fra l’errore in buona fede…
La buona informazione è quella che si sbaglia e sbaglia in buona fede. Non fa un errore per conto terzi, o semplicemente per perdere copie o per le ragioni più strane. Ciò detto, tu hai fatto una domanda più profonda e la risposta è che è ovvio che noi dobbiamo cambiare tutto. Tutto, non poco. Dobbiamo ribaltare come stiamo facendo le cose. Devo dire che io sono stato pure attento a cambiare. Ci sono due elementi che mi impongono una certa prudenza nel cambiamento: il primo è che qui copiano tutti, e ricordo che la malattia di questo genere di programmi è l’omologazione degli ospiti più che gli aspetti formali. Ma se faccio una scenografia con i tubi innocenti, perché ho fatto a Bologna “Tutti in piedi”, e porto dentro uno studio quello che ho fatto lì, voglio segnare uno stacco netto sul piano dell’immagine da tutti gli altri programmi. Se metto le persone su piani differenti, in modo che uno sta giù, uno sta su, risponde a una mia filosofia di racconto. E poi tutti gli altri talk si precipitano a mettere le persone chi sopra chi sotto, mettere il montacarichi, i tubi innocenti entrano in qualsiasi scenografia, persino a Sanremo…

Se ti copiano vuol dire che sei bravo, del resto è un dovere professionale essere sempre più avanti. Anche se spesso è difficilissimo.
Però se ti copiano quando la Coca Cola è in una fase espansiva delle vendite è un conto, ma se questo effetto marmellata lo consolidi nell’opinione del pubblico è una cosa diversa. Lavorare sulle differenze è un elemento di ricchezza anche per i programmi che non hanno gli ascolti che abbiamo noi. Comunque, per loro è più facile costruirsi un loro pubblico. Invece noi ci siamo addensati sempre con l’idea dell’anno scorso, perché allora era il boom no? Era il momento delle vacche grasse e abbiamo sottovalutato il fatto che potesse avvenire una fase di penuria. Adesso dobbiamo riprendere. Noi stessi, rispetto a Samarcanda a Moby Dick abbiamo allentato l’elemento di ricerca sulla realtà, in fondo ci bastava mettere qualche persona che parlasse dell’elemento del giorno e avevamo risolto la serata. Questo non è più possibile. Ed ecco che dobbiamo fare uno sforzo noi. Il programma di Giulia nasce da una rottura che è anche di tipo epistemologico. Tronchiamo con un certo tipo di passato e segnaliamo la nostra voglia di andare in un campo aperto.
È chiaro: tu per fare un cambiamento profondo devi pure interrompere le trasmissioni per un po’. Devi raccogliere le idee, andare in giro per il mondo. Devi vedere. Il fatto che noi da anni lavoriamo in continuità con 30 – 32 – 33 programmi ogni anno certo non aiuta il cambiamento. Ed è per questo che l’anno prossimo mi sarei voluto fermare per dedicarmi a progetti nuovi. È venuto fuori Cairo, che è una macchina da guerra. E riuscito a fare cose prodigiose da questo punto di vista qui. Ti dice ‘per due anni stammi accanto’. E’ chiaro che io l’ho fatto, gli sono andato incontro sperando che lui capisse la mia vera natura, di persona che ha bisogno di pensare. Che negli ultimi anni si è realizzato soprattutto facendo Rai per una notte, Tutti in piedi ed esperimenti simili. Servizio pubblico il primo anno (…)

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Informazione, web, politica: parla Santoro. 3 – Come rinnovare la sfida?
Terza parte del colloquio con il giornalista e conduttore televisivo. "In questo momento fare una trasmissione critica allo stesso tempo nei confronti di Renzi e del Movimento 5 Stelle potrebbe comportare il rischio di una perdita di pubblico". Il rapporto con Marco Travaglio: "La mia stima per lui non è cambiata è rimasta intatta. L'anno prossimo ancora insieme? Ne discuteremo. Perché non pensare che ci possa essere un programma di Marco? Magari con il mio aiuto. Potremmo trasformare in ricchezza le nostre differenze"

di Peter Gomez | 10 maggio 2014

(…) Per fare un cambiamento profondo devi pure interrompere le trasmissioni per un po’. Devi raccogliere le idee, andare in giro per il mondo. Devi vedere. Il fatto che noi da anni lavoriamo in continuità con 30 – 32 – 33 programmi ogni anno certo non aiuta il cambiamento. Ed è per questo che l’anno prossimo mi sarei voluto fermare per dedicarmi a progetti nuovi. È venuto fuori Cairo, che è una macchina da guerra. E riuscito a fare cose prodigiose da questo punto di vista qui. Ti dice ‘per due anni stammi accanto’. E’ chiaro che io l’ho fatto, gli sono andato incontro sperando che lui capisse la mia vera natura, di persona che ha bisogno di pensare. Che negli ultimi anni si è realizzato soprattutto facendo Rai per una notte, Tutti in piedi ed esperimenti simili. Servizio pubblico il primo anno.

Saranno le prime elezioni, salvo quelle in cui ti avevano fatto fuori, senza di te, perché ci sarà Giulia.
No, ci sono state altre elezioni. L’hanno scorso è stata un po’ un’eccezione. Io le elezioni le lascio agli altri, sono facili. Quest’anno no, perché sembra che fino agli ultimi 10 giorni non importi a nessuno di capire chi votare. Durante le elezioni son tutti bravi.

Per tanti anni, prima del Movimento 5 Stelle, la tua trasmissione ha rappresentato quel pezzo d’Italia. In tanti tornavano a casa sempre solo per guardare Santoro che, in fondo, li rappresentava.
La transizione alla fase che stiamo vivendo adesso è stata ancora governata da quell’elemento che oggi noi vediamo come l’elemento in crisi. E intendiamo la parola crisi come qualcosa di fecondo, che cioè può produrre dei cambiamenti. Grillo è stato abbastanza estraneo agli elementi che hanno veramente ribaltato il Paese, che sono stati i referendum, la vittoria di Pisapia a Milano e quella di De Magistris a Napoli. Grillo è un fenomeno assolutamente minore fino a quel momento. Eppure sono stati questi fatti che hanno cambiato lo scenario della politica italiano. Poi Grillo ha raccolto, perché era l’unico che si era organizzato per farlo. Non è stato il protagonista di questo cambiamento. Fino a quel punto lui era un elemento fra gli altri che combatteva la sua battaglia.

Beh, però, aveva già organizzato i V Day, con tantissima gente. Ed era la gente che guardava Santoro e che leggeva i libri di Gomez e Travaglio.
Ma il V Day era veramente la fase di movimento di Grillo, quando si poneva elemento di stimolo dell’intero sistema. Quando diceva ‘voglio candidarmi alle primarie per dirigere l’intero partito democratico’. Si poneva come un elemento di rigenerazione del sistema. In questo Grillo e noi eravamo perfettamente allineati: la convinzione mia di una necessità di rigenerazione del sistema e i V Day erano perfettamente in sintonia, e in sintonia profonda. I momenti di difficoltà nascono quando loro si costituiscono come forza politica. Non sono più un movimento, non sono più stato nascente. Allora lì l’amore fra noi è finito. Sta nascendo un’altra cosa, bisogna vedere che cosa è.

La soluzione di tutto questo, che siamo solo giornalisti, non è quella di stare lontani da tutti? Per troppi anni c’è stato chi ci ha visti come l’alternativa al potere costituito. Non dovremmo essere più british nel giornalismo. Credi che il pubblico e i lettori vogliano questo? Io la penso così.
Noi vorremmo fare questo, ma la realtà italiana ti porta sempre ad un brusco risveglio. Quando tu agisci fuori dal terreno presidiato da questa o quella forza politica, in realtà ti prendi botte da tutti quanti. Quindi la tua diventa una vita molto complicata e corri il rischio di prenderle anche da pubblico. In questo momento fare una trasmissione critica allo stesso tempo nei confronti di Renzi e del Movimento 5 Stelle potrebbe comportare il rischio di una perdita di pubblico. Perché quelli di Renzi si incazzano con te, quelli 5 stelle pure. Perché poi è il pubblico che è italiano, eh. Noi possiamo essere pure britannici, ma se il pubblico è italiano poi non vai da nessuna parte. Infatti è qui la complessità della sfida. Qui viene il problema del rapporto tra me e Marco. È un rapporto di grandissima amicizia prima di tutto, di stima smisurata da parte mia nei suoi confronti sotto il profilo professionale. Questo è fuori discussione. Ma il vero punto è: cosa dobbiamo fare? Agire per il crollo del sistema o per la rigenerazione? Dobbiamo agire in un’ottica di riforme e quindi non possiamo sposare quello che fa Renzi, ma neanche quello che fa Grillo. Perché se lo facciamo, il ribaltamento di tutto nell’attesa della palingenesi portata da Grillo e da Casaleggio, diventa un errore tanto grave come quello di chi assume un atteggiamento di dipendenza nei confronti del Pd o delle sue strategie.

Tu hai l’impressione che Marco sposi…
No, io non ho l’impressione che Marco abbia perso la sua indipendenza. Sarebbe una banalizzazione, e nel caso dovrei ridimensionare la stima che ho nei suoi confronti e che, invece, è rimasta intatta. Io penso semplicemente che Marco sia portato a vedere tutto quello che sta fuori da questa piazza Tahrir come un elemento che non contenga tanti spunti positivi. La sua è una visione del mondo politico organizzato è pessimistica. Quindi la sua vicinanza con il Movimento 5 stelle è, se vuoi, anche un’opzione editoriale. Lui sente che la sua visione delle cose nei confronti dei pareri forti, di quello che resta dei partiti, ha molto più spazio all’interno di questa piazza Tahrir che si è venuta a creare. E’ come se lui pensasse che non che si può stare in mezzo, bisogna stare dentro quella piazza. Però, io vedo che stando dentro piazza Tahrir il rischio è che ci troviamo il fondamentalismo al governo. Questa è una differenza di analisi, non è una cosa banale che contrappone Santoro e Travaglio. Quando andremo a disegnare un nuovo programma, questa differenza di valutazione e di approccio è giusto che venga fuori, che ci si confronti e insieme tracciamo la strada di come deve essere fatto un format diverso da quello che stiamo facendo tutti e due in questo momento.

Discuterai con lui un nuovo programma.
Finiremo la stagione e poi ci porremo queste domande insieme.

Quindi è possibile che Marco se ha voglia partecipi a un programma dell’anno prossimo.
È possibilissimo. Ma potrebbe essere anche possibile per esempio che io abbia in mano delle carte in mano diverse dal programma. Perché non pensare che ci possa essere un programma di Marco? Magari con il mio aiuto. Perché queste differenze non le facciamo diventare un elemento di ricchezza, invece di farle diventare un elemento di contrapposizione? Questo suo grande talento, emerso anche in teatro perché non può avere un progetto televisivo più completo, può portarlo anche più avanti. Magari per lui potrebbe essere anche più interessante. Abbandonare questo cliché su cui abbiamo costruito fino ad adesso.

E se si riuscisse a organizzare con un finanziamento una redazione che, rispetto all’ospite istituzionale politico, ha un vero lavoro di fact checking? Non sarebbe questo l’elemento fondante per avvicinarsi all’imparzialità?
Noi abbiamo un sistema giudiziario che non riesce a pervenire a una certezza a distanza di 40 anni su qualunque elemento e dovremmo avere una giuria nostra in studio. Su alcune cose il processo di falsificazione è facile, a volte è solo l’idea che tu ti sei fatto di una realtà che prevale. È la tua idea è la tua interpretazione. Io temo moltissimo che la semplificazione possa venire per via autoritaria, quando sento dire ‘mi informo da solo. Però, a un certo punto, i flussi si dirigono tutti in una direzione. E i commenti pure. È strano, ci dovrebbero essere tanti fuochi di attenzione, invece io vedo che si stanno riducendo non si stanno moltiplicano.

C’è un meccanismo, però. Tu vedi quali sono i trend del giorno prima e su questi cerchi di elaborare degli articoli originali con un tuo punto di vista rispetto alle cose che il pubblico cerca in quel momento. E chiaramente finisci per alimentare quel flusso. È una tecnica editoriale.
Questo vale pure per il consumo individuale. Siccome io ho i miei seguaci, il mio piccolo gruppo di amici, la mia community su Facebook, e parlo di una cosa di cui gli utenti stanno discutendo in quel momento, il feedback è superiore. Però questo è un processo di omologazione. Da questo consumo più di élite, quindi a un dibattito ricco di prospettive, siamo passati al consumo di massa delle nuove tecnologie. Questo cambiando il cervello della gente, la percezione della realtà e contemporaneamente la politica. Questa è la sfida che ci troviamo di fronte. Noi che veniamo dai mezzi tradizionali siamo sorpresi da questo processo tumultuoso di semplificazione e per certi versi, come nel mio caso persino in dissenso, anche vogliosi di remare contro, di difendersi da questa semplificazione estrema. Sì, riprendere il mito che abbiamo sempre coltivato del giornalismo anglosassone non so dove ci possa condurre se non a Villa Serena tutti insieme a parlarne prima o poi.

Guarda per me la chiave è l’autorevolezza, la credibilità. Riportare con correttezza le notizie, dare spazio a opinioni diverse chiarendo però sempre qual è la propria.

Ma il problema con Grillo è: lui vuole l’autorevolezza dei suoi interlocutori o l’unica autorevolezza che coltiva è la sua? Grillo ha la sua mentalità e sostanzialmente resta un artista. E, come tale, fa fatica a riconoscere il talento degli altri. È una sofferenza. Secondo me, nel suo progetto politico c’è un’avventura che assomiglia a una tournée teatrale, si confondono questi due piani. Resta un comico, come spesso ci ricorda con grande onestà.

Se uno riesce ad essere semplicemente autorevole vedrà sempre ascoltata la propria voce.
La mia sfida a Grillo è stata letta male. Io gli ho fatto un grande in bocca al lupo, non me ne frega niente di quanti voti prenderà. La mia sfida è che comunque sul terreno della libertà di informazione io contrasterò queste tendenze illiberali in tutti i modi. Però non basterà opporsi e crearsi un nuovo Berlusconi, quando un nuovo Berlusconi non c’è. Lo contrasti costruendo qualcosa di autorevole. Però, per farlo, devo riconoscere l’importanza di quello che fa Il Fatto, che a sua volta deve riconoscere l’importanza di quello che facciamo noi. Non si tratta di fare lobbismo insieme, si tratta di mettere i dati davanti a sé e di saperli leggere.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/05/10/informazione-web-politica-parla-santoro-3-come-rinnovare-la-sfida/980049/
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« Risposta #8 inserito:: Luglio 19, 2014, 06:45:46 pm »

Ruby, cambiare la legge con il Pd e farsi assolvere.
Il delitto perfetto di Berlusconi

Di Peter Gomez | 18 luglio 2014

L’avevano votata per questo e alla fine per questo è servita. Silvio Berlusconi strappa un’assoluzione in secondo grado per il caso Ruby grazie alla legge Severino: il sedicente articolato anti-corruzione approvato nel 2012 da Pd e Pdl che, dopo aver permesso alle Coop di uscire per prescrizione dall’inchiesta sulla Tangentopoli di Sesto San Giovanni e a Filippo Penati di veder eliminate parte delle sue accuse, svolge ora egregiamente la sua funzione anche nei confronti dell’ex Cavaliere e neo Padre della Patria.

Spacchettare, mentre il processo Ruby era già in corso, il reato di concussione in due, stabilendo pene e fattispecie diverse per la concussione per costrizione e quella per induzione, ha significato spalancare la strada che ha portato il leader di Forza Italia al verdetto di secondo grado.

Niente di sorprendente, a dire il vero. Nel 2012, durante la discussione della legge, votata in nome delle larghe intese, più osservatori, compreso chi scrive, avevano fatto notare gli effetti deleteri delle nuove norme. E l’anno successivo, dopo aver visto finire nel caos decine di processi, anche l’ex procuratore antimafia e attuale presidente del Senato, Piero Grasso, aveva lanciato l’allarme. La nuova legge, secondo lui, andava subito modificata.

Stavano saltando dibattimenti su dibattimenti e, per Grasso, anche il processo Ruby sarebbe finito in niente. “Mi pare”, aveva detto Grasso, “ che con questo nuovo reato non sia più punibile l’induzione in errore o per frode (la telefonata in questura in cui Berlusconi sosteneva che Ruby fosse la nipote di Mubarak ndr). Il comportamento prevaricatore potrebbe essere punito come truffa, ma nel caso di Berlusconi non c’è nessun aspetto patrimoniale”.

Traduzione: con la vecchia norma l’ex Cavaliere sarebbe stato condannato di sicuro. Con la nuova no. Anche perché, come non ha mancato di far notare l’abile difensore di Berlusconi, l’avvocato Franco Coppi, le sezioni unite della Cassazione hanno alla fine stabilito che la nuova concussione per costrizione scatta quando non si può resistere in alcun modo alle pressioni. E che quella per induzione può invece essere punita solo quando chi riceve “pressioni non irresistibili” (in questo caso il funzionario della questura, Pietro Ostuni) gode anche di “un indebito vantaggio”.

Tutto insomma si tiene. Bisogna prendere atto che secondo la corte di appello non è possibile dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che Berlusconi conoscesse la minore età di Ruby (andare a prostitute maggiorenni non è reato). E che secondo la nuova legge fare pressioni in questura senza far balenare nulla in cambio lo è ancor meno.

Il sistema regge, si evolve e vince. Di nuovo Berlusconi la fa franca perché le regole del gioco sono mutate durante partita. Era accaduto nel 2001 quando grazie l’abolizione, di fatto, del falso in bilancio era finito in niente il processo All Iberian sui fondi neri della Fininvest. Era successo di nuovo con il caso della corruzione dell’avvocato David Mills, quando tutto si era prescritto a causa dell’approvazione della legge ex Cirielli che aveva dimezzato i termini oltre i quali i reati vengono eliminati dal colpo di spugna del tempo.

E avviene adesso, grazie a una norma su misura che, a differenza del passato più recente, è stata approvata pure con i voti del centro-sinistra. Segno che l’interesse non era ad personam, ma un po’ più generale. Quasi ad Castam così come era accaduto nel 1997 quando la riforma dell’abuso di ufficio, votata dal Polo e dall’Ulivo, aveva provocato assoluzioni a raffica tra politici di tutti gli schieramenti.

Così in questo clima che sa di antico si aspetta solo la chiusura stagione delle controriforme istituzionali: più firme per i referendum, più firme per le leggi di iniziativa popolare, parlamentari sempre nominati e consiglieri regionali e sindaci coperti da immunità solo perché scelti per sedere al Senato. Poi il presidente di turno, questo o il prossimo, concederà al leader di Forza Italia la grazia. Come negare un atto di clemenza a un Padre della Patria? In quel momento, e solo in quel momento, il delitto sarà davvero perfetto.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/07/18/ruby-cambiare-la-legge-con-il-pd-e-farsi-assolvere-il-delitto-perfetto-di-berlusconi/1065621/
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« Risposta #9 inserito:: Dicembre 07, 2014, 05:24:53 pm »

Giustizia & Impunità
Roma e le mazzette rosso-nere, per favore non parlate di mele marce

Di Peter Gomez | 5 dicembre 2014

A poco a poco, anche per chi non la voleva vedere, la verità sta venendo a galla. I casi di decine e decine di amministratori pubblici coinvolti in tutta Italia in inchieste contro la pubblica amministrazione non rappresentato episodi isolati, ma sono tasselli di un sistema. La seconda repubblica, esattamente come la prima, agonizza ferita a morte da tangenti e ricatti. Nei partiti si fa carriera se si ruba o almeno si accetta il gioco. Nei posti chiave finiscono quasi esclusivamente esponenti politici che il sistema ritiene affidabili: gente che ha il guinzaglio corto per quello che ha fatto o che per quello che ha dimostrato di non voler dire e fare.

La frase chiave per capire che accade in Italia l’ha pronunciata a Roma Salvatore Buzzi, l’ex carcerato presidente della Cooperativa rossa 29 giugno, ritenuto il braccio destro del boss di mafia Capitale, l’ex Nar Massimo Carminati: “Lo sai perché Massimo è intoccabile? Perché era lui che portava i soldi di Finmeccanica. Bustoni di soldi a tutto il parlamento. Quattro milioni dentro le buste. Massimo mi ha detto “È sicuro che li ho portati a tutti”. Pure a Rifondazione”.

Nelle prossime settimane capiremo quanto c’è di dimostrabile in questa affermazione. Già ora però sappiamo che la nostra politica fa di tutto per farla apparire non verosimile, ma vera. Dopo la nomina alla testa dell’autorità anti-corruzione, sull’onda dell’indignazione popolare per lo scandalo Expo, del bravo Raffaele Cantone, in parlamento le norme anti-tangenti sono state bloccate dal governo. Matteo Renzi chiede processi rapidi, ma non vara nemmeno la (blanda e cervellotica) riforma della prescrizione indispensabile per punire i reati dei colletti bianchi e continua a parlare di modifiche alle leggi sulle intercettazioni. L’obiettivo dichiarato è quello di renderle difficilmente pubblicabili. I suoi alleati di governo alfaniani domandano pure la drastica riduzione del loro numero.

Comunque la si guardi la volontà è chiara: nascondere lo sporco sotto il tappeto. E soprattutto salvare amici e colleghi: 48 ore dopo il blitz del Ros dei carabinieri su mafia, politica e appalti il senato ha negato l’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche nei confronti di un esponente dell’Ncd, ritenuto responsabile di una truffa ai danni dello Stato che ha portato a sperperare 150 milioni di euro dei contribuenti, e nei confronti di un parlamentare del Pd accusato di corruzione. Tranne il M5s, Sel e alcuni democratici tutti i senatori hanno votato no.

Così diventa assolutamente velleitario sperare che queste Camere modifichino la legge sulle fondazioni che, proprio come dimostrano le indagini di Roma, vengono utilizzate dalla politica per incamerare denaro senza avere l’obbligo di dichiararlo. E si può pure stare certi che resterà lettera morta pure la buona proposta uscita dalla Commissione antimafia di rendere applicabile anche agli indiziati di reati contro la pubblica amministrazione la legge Rognoni-La Torre sul sequestro dei beni. Le parole dei nostri politici sono molte, ma i fatti pochi e la loro volontà pressoché inesistente.

La corruzione è considerata come qualcosa di inevitabile. Non uno dei motivi principali per cui il nostro Paese, oggi di nuovo declassato da Standard & Poor’s, viene considerato inaffidabile e inadatto per accogliere investimenti. Anche chi non è direttamente coinvolto fa spallucce e accetta il rischio. Quando a Renzi chiedono se Buzzi fosse presente alla sua cena per raccolta fondi di Roma, lui dice di non saperlo. Ma aggiunge che gli elenchi ci sono e possono essere controllati. Buzzi, ovviamente c’era, mancano però gli elenchi. Quando i nostri giornalisti li hanno chiesti hanno ricevuto solo risposte imbarazzate e discordanti tra loro. La migliore? C’è la privacy, non abbiamo il consenso degli interessati. Altro segno evidente di come qui il problema non siano più le mele marce, ma tutto il resto del cesto.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/12/05/roma-mazzette-rosso-nere-per-favore-non-parlate-mele-marce/1253436/
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« Risposta #10 inserito:: Ottobre 14, 2015, 03:27:49 pm »

Giustizia & Impunità
Marino, l’uomo ladro lo fa l’occasione? Togliamogliela

Di Peter Gomez | 10 ottobre 2015

Visto che da sempre è l’occasione a fare l’uomo ladro è venuto il momento di ridurre drasticamente le occasioni. E se in molti giudicano buona l’idea di quei sindaci che, come Giuliano Pisapia a Milano e Dario Nardella a Firenze, hanno detto no alla carta di credito comunale per evitare alla radice di cadere in tentazione, noi dopo il caso di Ignazio Marino pensiamo invece che la strada maestra sia quella della tracciabilità e della trasparenza.

In Inghilterra lo hanno capito nel 2009, quando i sudditi di sua Maestà scoprirono che 392 deputati inglesi nelle loro note spese ci avevano messo di tutto: dvd a noleggio, attrezzi da giardino, colf, baby sitter, ma anche mutui e tasse di proprietà sulla casa. Risultato: ciascuno di loro fu costretto a restituire il maltolto. L’attuale premier David Cameron tirò fuori dal portafoglio 965 sterline.

L’allora primo ministro Gordon Brown staccò un assegno a tre zeri per rifondere quanto speso in pulizie e giardinaggio. Chi invece aveva fatto ricorso alle fatture false (per esempio David Chayrlor un deputato laburista che aveva stipulato un contratto d’affitto fasullo con la propria figlia) venne condannato a molti mesi di prigione perché, disse il giudice, quello era “l’unico modo per ristabilire la fiducia dei cittadini nel sistema parlamentare” dato che “i nostri rappresentanti svolgono un ruolo importante nella società ed è necessario che il loro comportamento sia sempre onesto”. Ma la vera svolta fu la pubblicazione on line dei dettagli di tutte le spese sostenute dai parlamentari mese per mese.

Cittadini e giornalisti da allora possono rendersi conto esattamente, e in tempo reale, di come viene impiegato il denaro dei contribuenti. In questo modo si è poi scoperto che c’era chi continuava a fare il furbo chiedendo il rimborso di biglietti di treno in prima classe (per i parlamentari inglesi è obbligatoria la seconda) o di camere di albergo a Londra, città dove possedeva la sua prima casa. I nuovi scandali, e la facilità con cui si viene smascherati, stanno così lentamente migliorando i comportamenti della classe dirigente britannica.

Anche in Italia tutte le spese dei sindaci, dovrebbero essere pubblicate. Ma la spazio di manovra lasciato ai primi cittadini dalla legge del 2013 è grande. Ogni giunta sceglie da sola il proprio grado di trasparenza. E a volte finge addirittura di esserlo. Così, come racconta oggi ilfattoquotidiano.it, su internet si trovano rendiconti di missione ultra-dettagliati come a Livorno, dove il sindaco Filippo Nogarin, segnala persino i 90 centesimi spesi per un caffè e lascia liberi i cittadini di stabilire se l’esborso sia stato opportuno o meno. Ce ne sono altri che riportano solo il dato aggregato come succede a Milano, Verona e Firenze. In certi casi i dati vengono aggiornati una volta al mese, in altri (Venezia) vengono pubblicati solo a fine anno. Peggio ancora va con le spese di rappresentanza. Una legge del 2011 obbliga solo a un rendiconto finale. Ma non stabilisce se si debba riportare pure il nome del fornitore e la data dell’evento.

Per questo, se si legge quello di Milano si capisce tutto o quasi, se si scorre quello di Napoli restano invece molte curiosità. In ogni caso nessuno batte la via suggerita dal buon senso. Pubblicare on line gli scontrini e le ricevute di tutte le spese rimborsate con le loro causali. E farlo con al massimo con 30 giorni di ritardo. Una soluzione semplice per ridurre di molto il diabolico impulso a pagare con carta di credito comunale un pranzo di famiglia, poi fatto passare per un incontro con una comunità di religiosi. Ma, come è noto, la semplicità in Italia è da sempre molto complicata da raggiungere.

Dalla rubrica ‘Fatti chiari’, il Fatto Quotidiano 10 ottobre 2015
Di Peter Gomez | 10 ottobre 2015

da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/10/marino-luomo-ladro-lo-fa-loccasione-togliamogliela/2114735/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-10-11
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« Risposta #11 inserito:: Settembre 10, 2016, 10:29:34 pm »

Il vero giornalista? Per molti lettori quello che scrive solo ciò che piace

Di Peter Gomez | 10 settembre 2016

Quando lavoravo a Il Giornale di Montanelli capitava spesso che mi dessero del fascista. Tra i miei primi servizi vi fu un viaggio in incognito su un autobus di leoncavallini diretto a Montalto di Castro dove si sarebbe dovuta costruire una centrale atomica. Rientrato in redazione scrissi un pezzo di cronaca che nei fatti era per loro lusinghiero: stando a quello che avevo visto, i miei compagni di viaggio erano dei giovani idealisti, molti dei quali minorenni, animati da sentimenti di sincero ambientalismo. Ragazzi che all’insaputa dei genitori (e preoccupati della loro possibile reazione) avevano deciso di tentare il blocco della centrale. La reazione degli autonomi milanesi non fu però tenera: per un paio d’anni il fascista Gomez si beccò insulti, monetine (e persino un ceffone in piena faccia) in occasione di ogni manifestazione della sinistra.

Quando poi Silvio Berlusconi entrò in politica e mi dimisi, con altri colleghi, da Il Giornale, i miei ex lettori cominciarono a darmi del comunista. Non piacevano le inchieste sul leader di Forza Italia, il fatto che ricordassi le sue bugie e che mi appassionasse la storia dei rapporti con Cosa Nostra. Gli articoli sulle tangenti rosse che pure pubblicavo su L’Espresso venivano invece ignorati. Il refrain sul comunista Gomez era un patrimonio comune di molti politici del centrodestra e di centinaia di migliaia di suoi elettori. Arrivavano telefonate e lettere anonime. Durante i comizi dell’ex Cavaliere c’era anche gente che, in favore di telecamere, diceva: “Io a Gomez e Travaglio mangio il cuore”. Una parte della sinistra guardava però l’ormai ex fascista Gomez con simpatia, anche se in virtù della mia passione per la cronaca giudiziaria venivo catalogato come dipietrista.

Poi sono nati i 5Stelle. Molti dei loro militanti si sono formati leggendo le mie inchieste e i libri che scrivevo con Travaglio. Nel centrosinistra scandali e ruberie si susseguivano e io tentavo di raccontare tutto puntualmente, animato dalla convinzione che corruzione e malaffare fossero uno dei nostri problemi principali. Così in molti iniziarono a darmi del pentastellato e pure i 5Stelle mi consideravano dei loro. Prima di definirmi (per qualche settimana) renziano, quando l’attuale premier, durante le primarie prometteva di voler trasformare la Rai nella Bbc o di voler rottamare la vecchia classe dirigente italiana. Bastava riferire con puntualità, sul sito che dirigo, i suoi interventi per ricevere elogi dai fan del giovane Matteo.

Durò poco. Giusto il tempo perché lui si dimostrasse quello che era: il solito politico a caccia di consenso. Far notare le sue bugie e contraddizioni, evitando di attaccare per partito preso il M5S, era la prova che fossi un grillino. Poi è arrivato il caso Virginia Raggi. Una mia considerazione (scontata) ha di nuovo ribaltato la scena: tra i principi fondanti del Movimento c’è la trasparenza. Negare, o giocare sulle parole, per non dire ai cittadini che un assessore è sotto inchiesta significa violare quel principio. Per coerenza chi lo ha fatto o si scusa e ammette l’errore oppure è meglio che se ne vada.

Risultato: sms di lodi dal Pd, un mio pezzo pubblicato su ilfattoquotidiano.it ripreso in prima pagina da Il Tempo (giornale di centrodestra) e molte proteste di militanti M5S (ma solo da una parte di loro). Non me ne lamento: se avessi voluto vivere tra gli applausi avrei fatto un altro mestiere. Ripensando però al mio piccolo caso personale, mi convinco sempre più che la strada italiana verso il cambiamento sia ancora molto lunga da percorrere.
Di Peter Gomez | 10 settembre 2016

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