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Autore Discussione: Barbara Tomasino. Intervista a Maurizio Cattelan ...  (Letto 2014 volte)
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« inserito:: Febbraio 03, 2013, 11:48:05 am »

 Intervista a Maurizio Cattelan: "In politica devono cambiare le modalità, non le persone.

Beppe Grillo come Silvio Berlusconi, un ottimo showman" (FOTO)

Barbara Tomasino, L'Huffington Post  |  Pubblicato: 02/02/2013 18:33 CET  |  Aggiornato: 02/02/2013 18:33 CET


“Intorno ai miei lavori si è spesso sollevato un polverone mediatico sensazionalistico che ne ha impedito una lettura approfondita, che andasse oltre alla barzelletta. Mi sembra che la stessa cosa avvenga in politica: si leggono dichiarazioni a caratteri cubitali sui grandi scandali, ma raramente si esaminano i programmi. Il risultato è una analisi superficiale dei contenuti: questo vale sia per l'arte sia per la politica. Suonerà provocatorio, ma cosa succederebbe se invece di scegliere una faccia potessimo votare esclusivamente i contenuti dei programmi?”.

Così parla all’Huffington Post Maurizio Cattelan, uno degli artisti contemporanei più influenti del panorama internazionale. Iconoclasta, incline alla provocazione e dotato di raffinato acume, Cattelan ha annunciato – nel 2011 – il ritiro dalle scene all’apice del successo. Ma se gli chiediamo chi oggi nel panorama politico possa considerarsi un innovatore dotato di spirito di provocazione, l’artista ammette la mancanza di un vero cambiamento, soprattutto nei modi in cui la politica si declina.

Nel 1999 ha appeso al muro il suo gallerista, oggi secondo lei chi andrebbe attaccato al muro tra i candidati premier (Berlusconi, Bersani, Monti, Grillo, Ingroia)?

In democrazia la responsabilità sta nelle mani di chi vota, i candidati non sono altro che l’espressione delle scelte degli elettori. Quello che più mi colpisce è la mancanza di una risposta spontanea a ciò che stiamo subendo, l’apparente incapacità di scendere in piazza e reagire. Dall’era delle ideologie sembriamo piombati nell’era glaciale: siamo diventati spettatori della nostra stessa rovina. Parafrasando un lavoro di Joseph Beuys del 1972, oggi si potrebbe dire “La Crisi siamo Noi”: sembra non riguardarci direttamente, eppure siamo proprio noi ad affondare.

Le novità in ambito politico oggi sono rappresentate da Renzi, Grillo e Ingroia, ma si tratta di vera innovazione o di stanche riedizioni della vecchia classe politica?

Sono le modalità a dover cambiare, non tanto le persone, ma non vedo grandi trasformazioni da questo punto di vista. Idealmente mi affascinano le potenzialità della democrazia diretta: possiamo esprimere il televoto nei reality e nei talent show, ma non sui temi davvero rilevanti. Abbiamo a disposizione una tecnologia immediata e veloce, eppure ci nascondiamo ancora nelle cabine elettorali ogni cinque anni. Come se per comunicare urgentemente usassimo una raccomandata invece di scrivere un sms.

Pensa che il vaffa di Grillo abbia la stessa valenza del suo dito medio davanti alla Borsa di Milano? Cosa ne pensa del M5s?

Trovo che Berlusconi abbia più elementi in comune con Grillo di quanti non ne abbia io. Entrambi sono ottimi showman…personalmente non credo di essere alla loro altezza in materia d’intrattenimento! In generale, la cultura televisiva mi sembra radicata in ogni ambito, come se tutto il paese fosse governato da un telecomando.

Da dove nasce secondo lei la crisi? E’ partito tutto dalla finanza, quindi da New York?

Gli Stati Uniti e tutto l’Occidente hanno goduto del benessere di una crescita spropositata, con il tacito consenso di tutti. Non sarebbe potuta durare per sempre: tutti sanno che la crescita è la parte ascendente di un ciclo, di cui una crisi è l’inevitabile conclusione. Negli Stati Uniti c’è stato un momento in cui moltissimi investivano perché chiunque poteva trarne profitto con facilità. Credo che l’avidità sia stata il motivo scatenante della situazione in cui viviamo ora.

Lei ormai abita prevalentemente negli Stati Uniti, com’è l’Italia vista da lì? Sente la nostalgia o c’è qualche aspetto del suo paese che le manca particolarmente?

Vivo in una condizione di continuo desiderio verso ciò che non ho, mi manca tutto e niente allo stesso tempo. È un’inquietudine che ho imparato a trasformare in curiosità. Per questo non posso dire di avere rimpianti, piuttosto mi sento un osservatore esterno a tutto, sia all’Italia che agli Stati Uniti.

Gli ultimi due papi sono stati molto conservatori: gay, aborto, eutanasia, sono temi etici su cui la chiesa si esprime con molta forza. Secondo lei la chiesa avrebbe bisogno di fare un passo in avanti per essere in sintonia con la società o è sufficiente andare su Twitter?

La Chiesa fa il suo lavoro, che il mezzo sia Twitter o la Santa Messa poco importa. Personalmente credo che il problema non sia la pagliuzza nel loro occhio, ma la trave nel nostro: su questi temi non abbiamo un punto di vista indipendente e laico, degno di uno stato sovrano.

Lei non ha mai fatto parte della schiera di intellettuali/artisti di sinistra radical chic, come mai?

Sarà perché non mi sono mai considerato né un intellettuale né un artista!

Le piace l’America di Obama?

Non sono nemmeno sicuro che esista: è come se fossero in atto due forze contrapposte. Obama è stato il motore di un sentimento di rinascita e ricostruzione. Tutti, americani e non, abbiamo creduto nell’ideale di cambiamento e di progresso che ha rappresentato con il suo programma di governo. Questo ideale si scontra però con una periodo storico di riflusso, inevitabilmente conservatore, che spinge in tutt’altra direzione. Il risultato è uno stallo solo apparente: non possiamo percepire il cambiamento perché è ancora in seme, ma credo che in futuro se ne coglieranno i frutti.

Quanto sono intrecciate arte e finanza? Quanto si sente la crisi in un mondo, quello dell’arte, che conta un giro d’affari imponente?

Ogni mercato ha il suo Gordon Gekko e quello dell’arte non fa eccezione. Sui giornali si parla sempre più spesso di art bubble e forse è già all’orizzonte l’esplosione di quest’ennesima speculazione. Ci sarà qualche esemplare testa tagliata, così com’è stato per gli hedge funds, ma non credo che avrà un grande impatto fuori del mercato dell’arte, in fondo è un mondo relativamente chiuso.

Lei ha annunciato il ritiro dal mondo dell’arte nell’aprile 2011, come mai ha preso questa decisione?

Non ero soddisfatto, avevo cominciato a sentirmi lontano dalle cose che facevo, come se fossi sotto una qualche anestesia. Se avessi continuato a lavorare probabilmente avrei finito per ripetermi: ho sempre creduto che sostituire le idee con lo stile potrebbe essere considerata una forma di morte precoce. Ho preferito non correre questo rischio e andare in pensione mi è sembrata una buona soluzione.

Nel frattempo si è impegnato in una nuova avventura, la rivista Toiletpaper, di cosa si tratta?

È un campo di ricerca, un laboratorio dove io e Pierpaolo diamo vita alla nostra più turpe fantasia, la produzione frenetica di immagini. Il risultato è una rivista fatta di ventidue foto, senza testo. Quello che mi affascina di questo formato è la velocità di creazione: nel giro di una giornata di shooting possiamo concretizzare anche venti, trenta idee.

Un’anticipazione sul prossimo futuro di Maurizio Cattelan?

Qualcuno una volta disse che essere miserabili o essere grandi richiede lo stesso sforzo. Mi impegno verso il secondo obiettivo, ma non escludo di ricadere nel primo!

da - http://www.huffingtonpost.it/2013/02/02/intervista-a-maurizio-cattelan_n_2605089.html?utm_hp_ref=italy
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