L'Europa che Cameron vuole
di Sergio Fabbrini
25 gennaio 2013
È sorprendente il silenzio con cui è stato accolto, dai nostri principali leader politici, il discorso del primo ministro inglese David Cameron sul futuro dell'Unione Europea. Ma è anche singolare la reazione generalmente negativa che quel discorso ha suscitato nelle principali capitali europee, a cominciare dalla più importante (Berlino).
Le richieste di Cameron di rinegoziare alcuni degli accordi relativi al funzionamento del mercato comune sono state interpretate come l'ennesimo tentativo britannico di frenare il processo di integrazione europea. È così? Forse. Tuttavia in quel discorso Cameron solleva anche questioni di indiscutibile importanza. Quali?
Primo. Cameron riconosce che la crisi dell'euro non è una crisi come quelle del passato. Infatti, per rispondere alla crisi dell'euro, l'euro-zona ha dovuto dotarsi di strumenti di gestione e di prevenzione che hanno drammaticamente e confusamente accentuato l'integrazione fiscale, bancaria e budgetaria degli stati che hanno adottato la moneta comune. La crisi ha messo in discussione il compromesso di Maastricht, quindi celebrato a Lisbona: centralizzare nella Banca centrale europea il controllo della politica monetaria, lasciare al controllo dei singoli stati le politiche connesse a quest'ultima. Come ha ben scritto su questo giornale Giuliano Amato (Il sole 24 ore del 20 gennaio), l'esito di quel compromesso è stato l'incapacità dell'Unione ad affrontare la crisi finanziaria.
L'accentuazione della crisi, e le reazioni popolari alle scelte intergovernative dell'Unione, hanno spinto l'euro-zona a porsi il problema del governo politico della moneta. Cameron prende atto di questa trasformazione storica, riconoscendo che l'euro-zona è andata molto al di là di ciò che era stato concordato nel Trattato di Lisbona. L'Unione della moneta comune non ha più (se mai le ha avute) le caratteristiche di una cooperazione rafforzata (come, ad esempio, quella dell'accordo di Schengen). L'euro è un progetto politico oltre che economico, è la risposta alla riunificazione della Germania e all'esigenza di riequilibrarne la potenza economica e culturale. Per questo motivo, l'euro non può fallire, né può arrestarsi il processo di formazione di un'autorità politica democratica nell'euro-zona. E gli inglesi lo hanno capito.
Secondo. Cameron riconosce che tale trasformazione storica richiederà una diversa organizzazione costituzionale dell'Unione. A fronte di un'euro-zona sempre più integrata, come si dovrà relazionare l'area degli stati che non hanno adottato la moneta comune (10 destinati a diventare 11 con l'entrata della Croazia tra pochi mesi)? Non è pensabile che le istituzioni comunitarie possano continuare a funzionare come hanno finora funzionato.
Se i ministri dell'euro-zona (l'Eurogruppo) agiranno in modo coordinato all'interno del Consiglio dei ministri economici e finanziari (Ecofin), allora è probabile che si formerà una maggioranza permanente all'interno di quest'ultimo. E perché gli altri ministri dovrebbero accettarla? E come si concilia un "Euro Summit" sempre più coeso con un Consiglio Europeo (dei capi di stato e di governo) che dovrebbe avere un carattere deliberativo? Se il Parlamento europeo dovrà avere una voce nelle politiche dell'euro-zona, come dovranno comportarsi i parlamentari eletti in stati che non sono membri dell'euro-zona? Se la Commissione dovrà contribuire al governo dell'euro-zona, come dovranno comportarsi i commissari proposti da stati che non sono nell'euro-zona? Questi dilemmi istituzionali sono da tempo evidenti. Cameron li chiama con il loro nome obbligando gli europeisti a fare i conti con la realtà.
E la realtà ci dice che è finita l'epoca del progetto unico per l'Europa (con i suoi derivati, come l'Unione a geometria variabile, l'Unione delle cooperazioni rafforzate e degli opt-outs, l'Unione delle avanguardie e retroguardie).
L'Unione Europea è da tempo costituita da più Unioni, a loro volta espressione di storie nazionali, collocazioni geografiche e tradizioni culturali che non sono riconducibili ad un'unica organizzazione sovranazionale. Dopo le elezioni del Parlamento europeo del 2014 (e probabilmente dopo quelle di Westminster del 2015), occorrerà decidere di avviare la differenziazione delle basi costituzionali dell'Unione Europea.
Non si dovrà più ripetere l'esperienza della convenzione costituzionale di Bruxelles del 2002-2003, dove i rappresentanti degli stati membri si sono sfiniti reciprocamente per trovare una mediazione tra chi voleva andare avanti e chi indietro. La crisi strutturale degli ultimi cinque anni ci obbliga a perseguire una diversa strategia. Occorre partire da un accordo politico "pre-costituzionale" tra gli stati dell'euro-zona e gli stati che non vi fanno parte. Un accordo che consenta ai primi di dare vita ad un'aggregazione politica e ai secondi di rinegoziare i termini della partecipazione al mercato comune. L'Unione politica potrà approfondire le sue istituzioni, dotandosi di un sistema di governo sovranazionale insieme efficiente e legittimo, giustificato da un trattato costituzionale.
La Comunità economica potrà allargarsi ad altri stati (come la Turchia o i paesi balcanici), dotandosi di strutture di coordinamento per la governance del mercato comune che tengano in equilibrio gli interessi e l'influenza dell'euro-zona con quelli degli altri stati partecipanti. Non sarà facile costruire un'Europa differenziata. Ma il discorso di Cameron ci dice che sarà necessario farlo.
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http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2013-01-25/leuropa-cameron-vuole-064015.shtml?uuid=AbXvrvNH