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Autore Discussione: Roberto Mania. Lavoro, si chiude l'annus horribilis  (Letto 2131 volte)
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« inserito:: Gennaio 30, 2013, 07:37:27 pm »

   
Lavoro, si chiude l'annus horribilis

"Ma il prossimo andrà peggio servono investimenti e grandi aziende"

Repubblica.it ha chiesto a quattro esperti un'analisi degli ultimi dati Istat che hanno fotografato l'emergenza occupazione in Italia.

Ecco i commenti e le proposte del sociologo Luciano Gallino, dell'economista Pietro Garibaldi, del giuslavorista Pietro Ichino e del responsabile del Centro Studi di Confindustria, Luca Paolazzi

di Roberto Mania


ROMA - Il peggio deve ancora arrivare. Per l’occupazione il 2012 è stato un anno orribile, ma i prossimi non saranno affatto meglio. Non siamo ancora fuori dalla recessione e quando, prima, si allenterà la discesa del Pil e poi ripartirà l’economia, i tassi di crescita saranno talmente bassi (ben lontani dal 2%) da non essere in grado di produrre un significativo incremento dell’occupazione. Il tasso di disoccupazione ha toccato l’11,1 %, in un solo anno un balzo del 2,3 %. Ci sono quasi tre milioni di italiani che cercano lavoro e che non lo trovano. Il 36,5 % dei giovani non ha lavoro. E tra i tre milioni di precari quasi tutti sono giovani. Resta stabile l’occupazione di uomini e di donne nella fascia di età matura.
Non ci sono ricette magiche. Dalle risposte che quattro esperti (il sociologo Luciano Gallino, l’economista Pietro Garibaldi, il giuslavorista Pietro Ichino e il Chief economist della Confindustria, Luca Paolazzi) hanno dato alle domande di Repubblica.it, si capisce che chi cerca un’occupazione deve fare i conti anche con i difetti strutturali del nostro mercato del lavoro. Paghiamo le scelte non fatte nei decenni passati e la riforma Fornero non è affatto in grado segnare un cambiamento di rotta.

1) L’aumento della disoccupazione è certamente dovuto alla recessione che ha colpito l’Europa. Ci sono però delle specifiche cause italiane?

Luciano Gallino: "Sì, c’è una specificità italiana. E ha a che vedere con il deterioramento della struttura industriale, cominciata molti anni fa, e che ci vede agli ultimi posti in Europa quanto a presenze di grandi aziende. Che sono poi quelle che possono fare ricerca, sviluppo e formazione. Ma anche quelle che pesano sulle esportazione e sulla bilancia commerciale".

Pietro Garibaldi: "Da noi, come in Spagna e in Grecia, la disoccupazione è, drammaticamente, più che negli altri Paesi europei, una questione giovanile. E questo ha a che fare con il dualismo del nostro mercato del lavoro, tra lavoratori temporanei e permanenti, tra protetti e non protetti. Dall’inizio della recessione la distruzione di lavoro si è concentrata sui giovani precari. In questo senso siamo davvero tra i Paesi cosiddetti Pigs".

Pietro Ichino: "Il dato Istat non indica una diminuzione delle persone occupate, ma un aumento delle persone in cerca di occupazione: questo di per sé non è un dato negativo, se vogliamo che nel prossimo futuro aumenti il tasso di occupazione. Sta di fatto, comunque, che in Italia la situazione è aggravata dall’impossibilità in cui ci troviamo di stimolare l’economia con un aumento della spesa pubblica, o con un taglio drastico delle tasse compensate da un aumento del debito pubblico".

Luca Paolazzi: "Devono fare riflettere tre numeri: - 2,6%, +0,1% e + 37%. Sono, rispettivamente, le variazioni tra il secondo trimestre 2011 e il terzo del 2012 del Pil, degli occupati e dei disoccupati. Come si conciliano? La tenuta dell’occupazione si spiega nell’aggregato con la diminuzione delle ore lavorate (via cig, contratti di solidarietà, part time, meno straordinari); ma ciò comporta minor reddito. Il contemporaneo aumento di chi cerca un impiego va ricondotto, allora, al maggior attivismo per difendere il bilancio familiare. Una reazione che è prova di volontà di battere la crisi".

2) Quali sono le sue proposte per ridurre la disoccupazione, in particolare quella giovanile?

Luciano Gallino: "Tempo fa ho lanciato una proposta con successo pari a zero. Tuttavia continuo a pensare che servirebbero misure per la creazione diretta di occupazione. Un New Deal europeo per il lavoro. Penso, come altri in Europa, a un’agenzia statale per l’occupazione. È un’operazione che potrebbe essere finanziata o con l’emissione di obbligazioni mirate a quello scopo specifico oppure con una tassa patrimoniale. D’altra parte è in questo modo che la Germania ha costruito la sua ripresa dopo la guerra".

Pietro Garibaldi: "Servirebbe un canale unico di ingresso nel mercato del lavoro. È l’idea del contratto unico con tutele crescenti. Si potrebbe anche usare la leva fiscale senza però dimenticare i vincoli dei saldi finanziari. Per ridurre il costo del lavoro si potrebbe ricorrere a una svalutazione fiscale: meno oneri sul lavoro e più tasse indirette, cioè sull’Iva. Le buste paga diventerebbero un po’ più pesanti, crescerebbe la domanda e l’export, ma ci sarebbe la sollevazione dei commercianti e dei pensionati contro l’aumento dei prezzi".

Pietro Ichino: "Per ridurre la disoccupazione, in questa situazione, dobbiamo innanzitutto attivare servizi di formazione professionale mirata ai posti di lavoro che restano scoperti per mancanza di personale qualificato (i cosiddetti skill shortages): ne abbiamo censiti centinaia di migliaia. Occorre inoltre imparare ad attirare gli investimenti stranieri: se solo fossimo capaci di allinearci per questo aspetto alla media europea, avremmo un flusso di investimenti in entrata ogni anno pari a più di 50 miliardi, che significa centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Per l’occupazione giovanile è indispensabile un servizio di orientamento scolastico e professionale capillare ed efficiente, che da noi per lo più manca".

Luca Paolazzi: "Si guarda solo al tasso di disoccupazione dei giovani e poco su quello di occupazione, che è appena al 18,4%, venti punti sotto quello tedesco. La differenza è nel  collegamento tra studio e lavoro e in generale nelle competenze acquisite. Il potenziamento dell’apprendistato e i nuovi istituti di formazione sono una prima risposta".

La riforma del lavoro del ministro Fornero migliorerà la situazione?

Luciano Gallino: "Non c’è uno straccio di dato che confermi che interventi di quel tipo sul mercato del lavoro facciano accrescere il tasso di occupazione".

Pietro Garibaldi: "La riforma avrà pochissimi effetti sui livelli occupazionali. È positivo il contrasto alle false partite Iva. Ma si è scommesso tutto sull’apprendistato anziché introdurre il contratto unico. E perché l’apprendistato diventi  uno strumento utile si dovrà aspettare le leggi regionali e anche gli accordi sindacali. Un meccanismo molto lento".

Pietro Ichino: "La riforma Fornero per un verso flessibilizza il rapporto di lavoro regolare a tempo indeterminato, per altro verso pone norme di contrasto alle collaborazioni autonome in posizione di sostanziale dipendenza. Nell’immediato questi due interventi possono produrre la perdita di qualche posto di lavoro; ma essi preparano il terreno per una ripresa dell’occupazione più rapida e di qualità migliore, appena la congiuntura tornerà positiva".

Luca Paolazzi: "La riforma delle pensioni sicuramente sì: aumenta il tasso di occupazione nelle fasce di età più alte, senza penalizzare quelle basse, come dimostra l’esperienza passata. Quella del mercato del lavoro non ha fatto compiere certo il pieno salto dalla difesa del posto alla tutela, reddituale e formativa, delle persone".
 

(01 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

DA - http://www.repubblica.it/economia/2012/12/01/news/lavoro_si_chiude_l_annus_horribilis_ma_il_prossimo_sar_peggio_servono_investimenti_e_grandi_aziende-47858648/?ref=HREC1-2
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