economia
27/01/2013
Mps, storia di uno scandalo
Due filoni nel mirino dei magistrati: l’acquisizione di Antonveneta e le operazioni sui titoli tossici della banca. L’ipotesi di tangenti e le indagini sui manager dell’istituto. Falso in bilancio e ostacolo alla vigilanza i reati ipotizzati
gianluca paolucci
inviato a siena
L’acquisizione della banca Antonveneta è, secondo molti analisti, il «peccato originale» di tutta questa storia che ha portato a Giuseppe Mussari a dimettersi dalla presidenza dell’Abi, travolto dallo scandalo dei «titoli tossici» sottoscritti dalla banca senese quando lui era il numero uno di Mps.
L’operazione Antonveneta
Il 7 novembre 2007 Montepaschi annuncia l’acquisizione di Antonveneta dagli spagnoli del Santander. E’ una mossa storica per la banca senese, che prende l’istituto padovano in una fase in cui i suoi principali concorrenti cercavano aggregazioni. Un anno prima era nata Intesa Sanpaolo, Unicredit perseguiva la sua strategia di crescita all’estero e dalle ceneri della PopLodi di Fiorani era nato il Banco Popolare. La banca padovana era finita nel frattempo al Santander, che aveva preso parte allo «spezzatino» di Abn Amro, all’epoca controllante di Antonveneta. Siena paga circa 10 miliardi, un prezzo giudicato troppo elevato. E’ il prezzo per uscire dall’isolamento, si dirà allora. Solo più tardi emergerà che l’acquisizione venne decisa in fretta, senza una vera due diligence e a fronte di un valore reale, si dirà, molto inferiore.
Il vincolo del controllo
Per capire come si arriva da Antonveneta a oggi, è necessario spiegare alcune peculiarità della struttura di controllo della banca senese. La maggioranza delle azioni (nel 2007 il 56%) delle azioni è in mano alla Fondazione Mps. Il consiglio della Fondazione, 16 membri, è nominato da Comune (
, Provincia (5), Regione (1), Università di Siena (1) e Arcidiocesi (1). Dalla sua istituzione nel 1995, il mandato «politico» è chiaro: mantenere il controllo in mani senesi.
L’intreccio con la politica
Tra banca e Fondazione esisteva una rigida spartizione politica delle poltrone. Le poltrone della Fondazione di nomina politica erano spartite secondo criteri di «rappresentanza». La maggioranza, Pds poi Ds, lasciava una quota alle forze di minoranza, compresa Forza Italia, tenendo per sé la presidenza. Mentre la presidenza della banca era tradizionale appannaggio delle forze cattoliche. Giuseppe Mussari, allora giovane avvocato di area Pci-Pds-Ds, arriva alla presidenza della Fondazione nel 2001 in virtù di questa regola. Con il passaggio di Mussari al vertice della banca, nel 2006, alla Fondazione arriva il cattolico (ex Dc poi Margherita) Gabriello Mancini.
Casse vuote
Il pagamento di Antonveneta viene finanziato con un aumento di capitale da 6 miliardi euro, al quale si aggiunge l’operazione Fresh, un’emissione di titoli subordinati che più avanti torneranno in questa storia. La Fondazione, fedele al vincolo del mantenimento del controllo, spende 3,4 miliardi di euro. Nel frattempo però è scoppiata la bolla dei subprime. Le quotazioni dei titoli bancari vanno a picco in tutto il mondo. Il titolo Mps, che viaggiava intorno ai 4 euro a novembre 2007, nel marzo 2008 scende sotto i 2 euro. A questo punto, le casse della Fondazione sono vuote, ma la situazione è ancora sotto controllo.
La finanza allegra
Nella prima metà degli anni 2000 vengono realizzate una serie di operazioni di finanza strutturata, allora di gran moda. Ovvero, titoli, come obbligazioni, il cui valore è legato all’andamento di altri titoli detti sottostante, che posso essere altre obbligazioni, pronti contro termine, titoli su mutui come nel caso dei subprime e altro, in un grado di sempre maggiore complessità. Si tratta, tra le altre delle famigerate Santorini, Alexandria e Nota Italia. Il crollo di Lehman fa tremare le Borse e rende questi prodotti «tossici», tali da maturare forti perdite. Si pone l’esigenza di ristrutturarli. Trattandosi di veicoli spesso fuori bilancio, la ristrutturazione ha consentito di posticipare in avanti le perdite, facendo risultare in bilancio un avanzo, come nel caso di Santorini. Ma questo si capirà solo dopo.
La crisi e il crollo
La situazione precipita nel 2011. Nella crisi generale della finanza, Mps non se la passa bene. Ricorre ai Tremonti-bond per rafforzare il suo capitale, 1,9 miliardi. Nella prima metà dell’anno lancia un aumento di capitale da 2,4 miliardi. Sarebbero dovuti servire a rimborsare i Monti-bond. Condizionale d’obbligo, perché poi scoppia la crisi sul debito italiano. Il portafoglio della banca è pieno di titoli di Stato e la banca affonda. La Fondazione partecipa all’aumento e per farlo, fatto senza precedenti, s’indebita. Bankitalia, intanto, già da fine 2010 segnala una serie di pesanti anomalie nella gestione dell’area finanza della banca. Tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012 viene mandato a casa il direttore generale, Antonio Vigni. Nella primavera il rinnovo del cda lascerà fuori Mussari, che però nel frattempo si è insediato all’Abi, l’associazione della banche italiane, dove verrà riconfermato nel giugno 2012.
Le inchieste
Sono due, distinte ma intrecciate. La prima riguarda l’operazione di Antonveneta e vedrebbe indagati i vertici della passata gestione. In questo filone, gli inquirenti sarebbero alla ricerca di pagamenti «anomali», realizzati dalla banca o da intermediari, tali da far presagire il pagamento di mazzette. Al momento, peraltro, non risulterebbero importi miliardari, come ipotizzato da fonti di stampa. L’altro filone riguarda i derivati e gli altri prodotti strutturati fuori bilancio. Le ipotesi sono ostacolo alla vigilanza - per aver occultato a Bankitalia l’onerosità delle operazioni - e falso in bilancio e anche in questo filone sarebbero indagate una serie di figure di spicco degli ex vertici dell’istituto. Il legame è rappresentato dal Fresh del 2008. Se venisse provato che le operazioni sono servite a mantenere un piccolo utile tale da pagare la cedola sul Fresh, scatterebbero nuove accuse per i responsabili.
I correntisti
L’esposizione mediatica della vicenda, a un mese dalle elezioni, ha creato apprensione tra i correntisti della banca. In realtà, secondo quanto assicurato da Profumo e Viola, i 3,9 miliardi di Monti-bond dovrebbero essere sufficienti a coprire le eventuali perdite. L’operazione di pulizia dovrebbe anche eliminato il rischio di ulteriori «sorprese». Cruciale, nei prossimi giorni, sarà il mantenimento della linea di trasparenza inaugurata di recente per evitare fughe di notizie tali da creare altre turbative del mercato con conseguente fuga degli investitori dal titolo.
da -
http://www.lastampa.it/2013/01/27/economia/mps-storia-di-uno-scandalo-6Aov8UTp0qAoNnSDWfVfuJ/pagina.html