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Autore Discussione: MARIANGELA MELATO -  (Letto 13348 volte)
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« inserito:: Gennaio 11, 2013, 05:18:58 pm »

ADDIO A MARIANGELA MELATO - il ricordo

Mariangela, modello femminile unico

Nella professione e nella vita. Amava le missioni impossibili

Di Maurizio Porro


Perdonate la confidenza ma era davvero un’amica da tanti anni, era una donna forte stufa di questa definizione, un modello femminile unico nella professione e nella vita. Milanese purosangue, scapigliata, abitante zona Giamaica, è stata per anni protagonista sullo schermo, in teatro e anche alla tv, dove poche sere fa è riapparsa in “Filumena Marturano” mentre già stava priva di forze in ospedale.

L’aveva sempre detto: voleva ogni volta cambiare, amava le missioni quasi impossibili e Ronconi la soddisfece facendole fare una vecchia di oltre 350 anni (“L’affare Makropoulos”) ma anche una bambina di 9 in un testo di Henry James.

Lei odiava la routine: così da attrice brillante, debuttante con Fo, e poi trionfante nella commedia alla Wertmuller in coppia con Giannini passa dopo tanto cinema anche nazional popolare al suo amatissimo teatro. Fu l’unica a lavorare con tutti i Maestri: da Visconti che la scelse per la “Monaca di Monza” al “Nost Milan” con Strehler fino al sodalizio con Ronconi che vanta momenti di teatro memorabili, dall’Orlando Furioso a ”Nora alla prova” di Ibsen, l’ultimo spettacolo dell’attrice, un sera a Mestre, prima di una caduta che si rivelò rovinosa.

Piaceva molto al pubblico Mariangela e tutti la chiamavano così, fece anche il musical con Garinei e Giovannini e l’ultima volta a Milano fu proprio nel suo show biografico “Sola me ne vo” allo Smeraldo, ora anch’esso defunto. Ma soprattutto la Melato era una donna viva, vitale, spiritosa capace di passare dalle canzonette a Madre Coraggio e non si possono non citare due grandi spettacoli allestiti con il suo amato Elfo di De Capitani e Bruni, “Un tram che si chiama desiderio” di Williams e “L’anima buona di Sezuan”. Il resto, da oggi, è silenzio, ma rimane la memoria storica dei film, dei video, della sua inconfondibile voce: e del resto la citazione non è a sproposito perché Melato è l’anagramma di Amleto.

11 gennaio 2013 | 11:50

da - http://www.corriere.it/spettacoli/13_gennaio_11/mariangela_melato_ricordo_porro_9f774960-5bdc-11e2-b348-07f13d8a1ca0.shtml
« Ultima modifica: Gennaio 13, 2013, 04:48:39 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 11, 2013, 05:19:53 pm »


PROTAGONISTE

Mariangela Melato: "Visconti? Avevo 17 anni, ricordo il suo cappotto di cashmere"

È morta a 71 anni la grande attrice. Ecco l'intervista che abbiamo pubblicato nel dicembre del 2011 nella quale ci ha raccontato del provino con il grande regista, dei pronostici in dialetto di sua madre, e di molto altro. Le immagini della carriera

di Isabella Bossi Fedrigotti - 16 dicembre 2011

Con Visconti andò così. «Stava facendo dei provini a Roma per La monaca di Monza e io volevo esserci a tutti i costi. Avevo 17 anni, dissi alla mamma che andavo al cinema con un'amica e, invece, presi il treno per Roma. Incontrai il mitico Luchino e mi parve bellissimo, affascinantissimo, elegantissimo nel suo cappotto scuro. Avendomi a un certo punto presa sottobraccio, sentii per la prima volta cos'era il cashmere! Feci dunque il provino e poi Visconti chiese: "Te li taglieresti i capelli?" che io portavo lunghi, diritti, con la frangia sugli occhi, alla Juliette Greco, insomma. "Anche i piedi, signor conte" gli risposi pronta. E fui scritturata. Nella notte ripresi il treno per Milano e a casa la mamma me le diede di santa ragione. Poi, però, venne alla prima, e Visconti fu gentilissimo con lei. Li sentivo parlare, lui, il gran signore dall'italiano meraviglioso che, in dialetto milanese, per metterla a suo agio, diceva: "L'è bela, la tusa, l'è bela, però la gha anca du ball", e la mia mamma, che si esprimeva quasi solo in dialetto, morta di soggezione, si sforzava di rispondergli in lingua: "Sì… effettivamente… signor conte… la ragazza ha le palle…". Invece con Renzo (Arbore, ex fidanzato storico e ora di nuovo molto presente, ndr) la mamma andava giù piatta in milanese. S'immagini: lui, napoletano di Foggia, non capiva un'acca. Alla prima di El noss Milan con Strehler (del quale mi aveva pronosticato pessimista: "El te ciapa no, quel Strehler lì"), lei gli stava seduta accanto e pretese di spiegargli la trama, facendolo naturalmente in dialetto».

Mariangela Melato, innumerevoli anni di carriera teatrale e cinematografica alle spalle parla e parla - un regalo per l'intervistatore il cui spauracchio sono le risposte a monosillabi - nella sua meravigliosa casa romana non sotto i tetti, ma sopra i tetti. Ha il dono, non frequentissimo tra i famosi, della simpatia: non se la tira, non si vanta, non posa, non è compresa di sé, non adduce spossatezze da diva, bensì è felicemente normale, e cioè intelligente, spiritosa, curiosa, semplice, sapiente. In più è bella, non dimostra i suoi anni, ha conservato una pelle luminosa e la sua insolita, calda voce fonda, in teoria così inadatta alla recitazione. Ed è piena di foga. «Sapevo fin da piccola che questo era il mio mestiere, anche se mi vedevo diversa da tutte le altre che lo facevano: senza seno, senza sedere, magretta, gli occhi troppo distanti e il vocione. E invece è andata bene ogni volta, tutti i numerosi provini che ho fatto nella mia vita sono andati a buon fine, un po' come quello con Luchino Visconti.

E i ruoli, i lavori che sceglievo, anche quelli più ostici, miracolosamente hanno sempre avuto successo. Ricordo, per esempio, una Fedra di Racine che decisi di interpretare, in versi, sia pure mirabilmente tradotti da Giovanni Raboni. Perfino Ronconi - regista con il quale ci capiamo a occhiate - si era mostrato perplesso quando gliene parlai. Per non dire di Renzo (sempre Arbore, ndr), cui a volte piace fare il fesso: "Che storia sarebbe?" mi chiede. "Mah, una storia antica, greca, che finisce male, e io sono vestita di nero da capo a piedi e recito in rima". "Neanche morto ti vengo a vedere!". Poi però venne e fu un trionfo di pubblico».

All'inizio del nuovo anno rivedremo la Melato diretta da Ronconi, in Nora alla prova di "Casa di bambola", ispirato al testo di Henrik Ibsen (il ruolo per cui è finalista al premio Ubu 2011) e, poco dopo, in Il doloredi Marguerite Duras, un monologo, il primo per Mariangela che ha sempre preferito avere intorno altri attori per appoggiarsi reciprocamente. E dopo? «Mi aspetto ancora qualche buon lavoro che mi piaccia». Il cinema? «Sa, almeno in Italia è un po' difficile alla mia età, non ho visto non ricordo ruoli belli per attrici anziane- e soltanto la parola mi fa venire un groppo in gola. Potrei fare qualche nonna, qualche zia e, francamente, non ne ho voglia. Ho lavorato con i migliori registi per cui ho l'impressione che oggi sarebbe tutto un po' inferiore rispetto a quel che ho fatto». Spiega che se non fosse riuscita a diventare attrice avrebbe potuto fare la stilista, dice di avere gusto e sentimento per gli abiti, per la loro capacità di seduzione. E lei come si veste per piacere? «Ah, non certo con scollature e tacchi alti - sono vent'anni almeno che non ne compro. Ho la presunzione di voler piacere per come sono, vestita in modo pudico, adatto alla mia mancanza di giovinezza. "Andate a cercare altrove" direi agli uomini cui piacciono le donne con il tacco dodici». E loro? «Naturalmente vanno» e Mariangela ride: le infinite storie, gli innumerevoli personaggi che ha interpretato devono averle insegnato non poco.

Il futuro? Per quello suo, personale, dice che quel che è fatto è fatto. «Penso di essermi comportata bene, prima di tutto con me stessa. Non ho mai avuto protettori di alcun genere e con un po' di ironia me la sono cavata nelle situazioni, diciamo "scabrose", che sono capitate anche a me. Ce la si può fare, insomma, pur senza andare a letto con regista o produttore. Per il futuro nostro, comune, mi dispiace molto, invece, che il mondo sia così poco ospitale, così difficile per i ragazzi. E per mondo intendo, ovviamente, la natura, le città, la società, ma anche il lavoro, quello mio nel caso specifico».

da - http://www.iodonna.it/personaggi/interviste/2013/mariangela-melato-401211068989.shtml
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 12, 2013, 05:09:07 pm »

L'intervista - Un legame d'affetto e d'amicizia durato 42 anni

Arbore, l'amore di una vita: «Cominciò tutto la sera che Battisti cantò per noi»

Lo showman: «Mai un litigio, neppure da separati. L'ultima visita. Abbiamo duettato con una canzone anni 40»


ROMA - L'ultima volta che lui è andato a trovarla, l'altro ieri in clinica, hanno cantato insieme. «Era una vecchia canzone degli anni 40, mi pare si intitoli "Americano non posso cantar". E lei era felicissima, perché si ricordava tutte le parole... e mi prendeva in giro perché io invece...».

La voce si interrompe per la commozione. Renzo Arbore fa fatica a parlare, il dolore per la perdita di Mariangela Melato è troppo grande e le parole, di tanto in tanto, si spezzano, lasciando il posto alle lacrime.
«E pensare che con una canzone ci siamo fidanzati: fu una sera, quando Lucio Battisti ci fece ascoltare per la prima volta un brano che non era stato ancora pubblicato: "Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi...". Mariangela ed io, in quel periodo, eravamo entrambi reduci da una piccola relazione amorosa, ma quella sera, ascoltando quella canzone...».

È iniziata una lunga storia d'amore e di amicizia che è durata 42 anni.
«Una storia di sentimenti, di solidarietà, complicità, confessioni reciproche... Mai un litigio, neanche quando ci siamo separati».

Perché la separazione?
«Una separazione momentanea. Perché?... Perché sono cose che accadono nella vita delle persone. Lei era partita per l'America... Forse, chissà, la lontananza... Però nulla era stato scalfito nei nostri sentimenti più profondi e abbiamo poi ripreso il nostro rapporto su basi diverse, ma con lo stesso amore di sempre. Le sono stato vicino fino all'ultimo momento per come ho potuto, per quello che ho potuto».

L'ha vista lottare contro la malattia.
«Ha combattuto come una leonessa contro il male. Tre anni e mezzo con un coraggio titanico, senza un cedimento, come una virago, una guerrigliera che ogni mattina, al risveglio, ricominciava da capo e prendeva in mano la situazione con un'energica positività. Perché questo va detto, va data una speranza alle persone che, come lei, sono colpite da questa malattia: con la forza di volontà, con la positività è anche possibile sconfiggerla».

E poi la Melato ha lavorato fin quasi alla fine...
«Anche grazie all'équipe di ottimi medici che le ha consentito di tornare in palcoscenico con spettacoli grandiosi come Casa di bambola , Il dolore e persino Filumena Marturano in televisione recentemente. Ricordo quando anni fa questo personaggio le fu proposto proprio da Eduardo De Filippo: Mariangela, essendo milanese, non si sentiva in grado di interpretarlo. Poi l'ha fatto non come personaggio napoletano, ma universale, per i valori che rappresenta».

Una milanese doc e un uomo del sud.
«Già... - abbozza un sorriso - una meneghina e un sudista! Lei mi ha insegnato tanto della cultura milanese e me l'ha fatta amare. Quando andai a casa sua, una casa di ringhiera, Montebello al 7, così dicono a Milano (la via dove abitava la famiglia Melato, ndr ), ho avuto la fortuna di conoscere suo padre, che era un "ghisa"... E la mamma era una santa donna di ringhiera. Rammento che, quando andai a vedere Mariangela in quella sua straordinaria interpretazione di El nost Milan , siccome lo spettacolo era in stretto dialetto, mi fu messa vicino apposta la madre, che avrebbe dovuto tradurmi le frasi incomprensibili. Il problema, però, era che la signora non me le traduceva in italiano, ma in milanese!».

E il «sudista» non trasmetteva la sua cultura alla «meneghina»?
«Certo! Nelle nostre bellissime vacanze a Capri tante volte le ho insegnato le canzoni napoletane. Le amava moltissimo e si commuoveva ascoltandole, perché intuiva la verità dei versi. Ma amava parecchio anche la cucina...».

Mariangela sapeva cucinare?
«Macché! Per niente... Ero io che cucinavo. Invece sapeva cantare benissimo e anche ballare, aveva nel sangue lo swing di una donna di colore. Quando assistevi alle sue performance, ti dimenticavi che fosse bianca».

Qual era la caratteristica di lei che l'affascinava di più?
«Il suo rigore, la sua serietà sia in privato, sia nella professione. Non si è mai adattata alle comode leggi dello star system, ha sempre fatto le scelte più difficili: basta dare un'occhiata alla sua carriera. Mariangela viveva il suo lavoro come una missione per arricchire il suo pubblico, per migliorarlo, renderlo consapevole. È stata una persona che ha speso tutta la sua vita per la cultura, quella vera: anche in questi ultimi giorni di sofferenza, sul suo letto c'erano tanti libri».

Era credente?
«A modo suo lo era».

Come avrebbe voluto salutarla per l'ultima volta?
La voce si spezza di nuovo: «Non me lo chieda».

Emilia Costantini

12 gennaio 2013 | 17:00© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/13_gennaio_12/arbore-intervista-su-melato_20e4875c-5cbd-11e2-bd70-6c313080309b.shtml
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 12, 2013, 05:13:27 pm »

Mariangela, come te nessuno mai

di Boris Sollazzo

11 gennaio 2013


Non è un ricordo, questo, ma una lettera d'amore. Se uno dovesse pensare a un modo di salutare per l'ultima volta Mariangela Melato, dovrebbe farlo come il sodale con cui costituì la coppia più atipica, sexy e affiatata del cinema moderno italiano, Giancarlo Giannini. Precisamente dovrebbe salutarla piangendo, urlando e insultandola, come nel finale di «Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agosto». Non voleva essere lasciato quel marinaio proletario da quella splendida borghese pedante e sensuale, non vogliamo essere lasciati noi dalla sua arte, dal suo talento, dalla sua bellezza.

Dalla «Bisbetica Domata» in teatro, dai suoi ruoli impossibili al cinema, da quegli occhi in gioventù vibranti e ruvidi, duri e liquidi e in vecchiaia – ma è mai davvero invecchiata? - profondi e irresistibili (non ci credete: guardatela nella foto in cui mostra il Ciak d'Oro nel 2012, stretta tra Sergio Castellitto e Pedro Almodovar). Mariangela Melato ci fa un torto a lasciarci così, come una combattente fino all'ultimo contro una malattia dura e implacabile, ma troppo presto.

Mariangela Melato, al di là del freddo elenco di tutto ciò che ha fatto, era semplicemente un'attrice totale ma, soprattutto unica. E lo era nella più ampia accezione del termine, perché con Monica Vitti, nel cinema italiano degli ultimi 40 anni, è stata l'unica a saper essere protagonista femminile drammatica e comica, l'unica a saper essere mattatrice di cinema e teatro e non elegante appendice di primattori maschili. Sapeva essere campionessa in un collettivo, come al cinema, come sul palco prodursi in one woman show di incredibile potenza.

Impossibile dimenticare, sul grande schermo, il sodalizio con Giannini, ovviamente, sotto l'egida della direzione di Lina Wertmuller: Mimi Metallurgico ferito nell'onore («vergine... nel senso dell'oroscopo?»), Film d'amore e d'anarchia (e chi se la scorda la sua Salomé?) e il già citato Travolti da un insolito destino... che la fece apostrofare dal manesco Giancarlo addirittura come "bottana industriale". Ma lei è stata faro anche del miglior Elio Petri, da «La classe operaia va in Paradiso» a «Todo Modo», la vista sui set di Nino Manfredi («Per grazia ricevuta»), Vittorio De Sica («Lo chiameremo Andrea»), Mario Monicelli («Caro Michele» e «Panni sporchi»), Luigi Comencini («Il gatto») e la figlia Cristina («La fine è nota»), Sergio Citti (nello straordinario Casotto, anche grazie a lei, e Mortacci), Giuseppe Bertolucci («Segreti Segreti» e «L'amore probabilmente»), Pupi Avati (che la scoprì al cinema con «Thomas» e gli indemoniati e che la ritrovò in «Aiutami a sognare»), Sergio Rubini («L'amore ritorna», il suo penultimo lungometraggio), Claude Chabrol («Sterminate Gruppo Zero»).

Ma Mariangela Melato era, in tutto, eclettica e priva di schemi, cosicché molti di noi non potranno non ricordarla, con un sottile brivido d'eccitazione, anche come icona camp in Flash Gordon o nel cinema di (vario) genere di Salce, Corbucci, Steno, Festa Campanile (recuperate «Il petomane», gioiello dimenticato e straniante: lì, con Tognazzi, c'è il meglio del cinema italiano più grande e sottovalutato). E, ovviamente, è impossibile non citare quel capolavoro che fu «Il pap'occhio» di Renzo Arbore, forse l'amore più grande della sua vita.

Ma fa una rabbia, Mariangela, pure sapere che non ti rivedremo su quel palco che era la tua casa, in quei teatri che hai fatto tremare interpretando, per esempio, «Casa di bambola», forse nell'adattamento più bello, o nelle donne straordinarie e laceranti di Euripide – Fedra e Medea -, per non parlare del sodalizio con Luca Ronconi che dall'«Orlando furioso» a «Nora alla prova» (in cui i primi infortuni che l'hanno fatta assentare dalle scene sono state le prime avvisaglie della malattia) l'ha valorizzata alla grande. E anche qui, però, non si buttava solo sui classici, ma cercava il popolare, come in «Alleluia brava gente».

Studiò pittura all'Accademia di Brera, fece la vetrinista alla Rinascente per pagarsi gli studi di recitazione: c'era anche questo in quello stare sulla scena da protagonista gentile e determinata, la forza di chi aveva ottenuto tutto con il talento ma anche con la fatica, di chi un compromesso, umano ed artistico, non l'aveva mai accettato. Di chi fino all'ultimo giorno dei suoi 71 anni di vita ha lottato, come una leonessa.

Mariangela Melato era, infine, una donna straordinaria. Una che, a chi scrive, concesse un'intervista lunga, interessante e dolcissima, nonostante la testata per cui lavorassi fosse sconosciuta, probabilmente, anche a chi la editava. Era come la sua bellezza: gentile, nobile, stordente, profonda, sensuale, originale, complessa. Invecchiando, forse, era diventata ancora più affascinante e brava, più consapevole e forse finalmente priva di quel barlume d'incertezza che ogni tanto si accendeva nei suoi occhi, segno d'umiltà ed ennesima fonte di charme di una donna indimenticabile.

Le dissi, sfacciato come mai dopo allora, alla fine di 40 minuti di chiacchierata, quanto fosse bella e che, pur diciottenne (lei ne aveva, allora, cinquantacinque), l'avrei rapita e portata sulla famosa isola deserta nell'azzurro mare d'agosto. Sorrise e rispose. «Bella io? Più che altro strana». Inconsapevole e irresistibile. Per dirla alla Mimì Metallurgico, era femmina. E femminista, senza ideologie, ma nell'interpretare donne forti, emancipate, combattive. Com'era lei, d'altronde.

Mariangela, è giusto che tu lo sappia: questa partenza non te la perdoneremo mai.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2013-01-11/mariangela-come-nessuno-130957.shtml?uuid=Ab0fEMJH
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 13, 2013, 10:39:10 am »

spettacoli

11/01/2013 - l’ intervista pubblicata su “la stampa” il 23 luglio 2011

Il primo amore di Mariangela Melato: “Lui mi portò a teatro, poi il palco ci separò”

Addio alla Melato signora della scena

A 18 anni l’attrice inizia a recitare attraversando l’Italia. “Fu un grande amore, volevo una vita agabonda”

Maria Giulia Minetti


Bella, bellissima anche ora che è «on the wrong side of the sixties», sul lato sbagliato dei sessant’anni, come dicono le americane, che considerano i decenni della vita ammissibili fino a metà e inconfessabili via via che scendono verso il decennio successivo (ma per lei, che è nata il 18 settembre del 1941, è in vista la risalita).

«Bella? Ma no, ero strana. Adesso poi...» e scuote la testa. Invece Mariangela Melato è un miracolo, con quei suoi occhi obliqui, gli zigomi alti e stretti e l’allure da ragazza. Un miracolo la donna e un miracolo l’attrice, diva al cinema e a teatro, meravigliosa nella commedia e nella tragedia, con una recitazione che è limpida naturalezza anche costretta nelle regole deformanti della dizione ronconiana, sfida terribile per ogni interprete. Sarà perché alle regole, alla disciplina, lei è disposta dalla nascita, dal sangue teutonico che le scorre in corpo: «Mio padre era di origini tedesche, duro e sensibile insieme. Io gli assomigliavo. Mia madre, milanese allegra, estroversa, mi rimproverava. “I tudesch in andaa via - diceva -, ma la raza l’è restada”. I tedeschi erano andati via, ma la razza è rimasta».

Con un carattere del genere, magari il suo primo amore è stato il teatro. Gli uomini sono venuti dopo, è così? 

«No: per tutti gli anni dell’adolescenza, il teatro non mi ha mai neppure sfiorato la mente, né il primo amore fu un ragazzo.
La prima passione fu invece l’arte visiva. Sono nata in una famiglia dove l’arte in genere non era coltivata. Mio padre faceva il vigile urbano, mia madre la sarta. Si andava poco anche al cinema. Ricordo qualche domenica pomeriggio al Fossati, che adesso è diventato il Piccolo Teatro Studio. Come avrei potuto immaginarmi che da grande ci sarei tornata per recitare!».

Mi stava parlando della sua passione per l’arte visiva... 

«Sono cresciuta nel quartiere di Brera: era quasi inevitabile imbattersi nella pittura, nella scultura. Meno certo era che me ne innamorassi furiosamente. Ma fu un colpo al cuore: andai alla Pinacoteca con un gruppo di amici e restai sbalordita.
Un mondo meraviglioso! Pensai: “Questa è la mia porta del paradiso”. Poi, subito dopo, ho scoperto la fotografia».

A Brera? 

«All’epoca c’era il bar Jamaica - c’è ancora, ma i tempi sono cambiati - e lì capitavano tutti gli artisti della città. Era pieno di fotografi, tra gli altri. Veniva Ugo Mulas, mi ricordo. Veniva Mario Dondero, matto come un cavallo. Diventammo amici. Lui non aveva orari, non capiva le convenzioni. Una volta, stavo ancora coi miei, suonò il campanello alle quattro di notte: “Dai Mariangela, vieni giù, andiamo a fare un giro”». 

Ma il primo amore, quello in carne e ossa, quando arriva? 

«Il primo amore è stato proprio un fotografo. No, non Dondero (ride). Uno della mia età, appena un po’ più grande. Io avevo cominciato a lavorare in Rinascente, facevo le vetrine. Sempre arte visiva, se ci pensa. Nel frattempo avevo allargato i miei orizzonti, la danza, la musica, la letteratura. Per farla breve, a un certo punto ho pensato: forse è il teatro che unisce tutto. E mi sono presentata all’esame per essere ammessa alla Scuola dei Filodrammatici. Avevo 18 anni, mi ha accompagnato il mio primo amore».

Era contento della sua scelta? 

«Non è stato contento dopo, quando ho fatto l’attrice. Perché è stata una storia lunga, è durata tanto. Ma poi io mi sono messa a girare, sa, le tournée, le scritture in altre città. A Milano ci stavo sempre meno. A lui non piaceva... Non che mi abbia mai detto: o me o il tuo lavoro, ma le cose non funzionavano più bene».

Lei ha mollato lui o viceversa? 

«Abbiamo mollato tutti e due. Io fremevo per andarmene, per badare a me stessa, per essere senza fissa dimora, lui sta tuttora a Milano.
Gli uomini sono più antichi delle donne, la moglie gli piace a casa, tanto meglio se non è indipendente, tanto meglio se le serve un sostegno. Io sono il contrario. E dunque, amori ne ho avuti, ma non mi sono mai sposata. Di più, non ho mai convissuto. Come dice splendidamente Rita Levi Montalcini: io ho sempre avuto bisogno di una moglie, non di un marito. E, come vede, sono finita zitella!».

È stato un grande amore il suo primo amore? 

«Sì, è stato un grande amore, ma non “il” grande amore. Il primo amore è forse quello che ti fa più soffrire perché sei più delicata, più fragile, ma non per questo è il più importante. Nella vita, se hai fortuna, c’è tempo per altri amori, altrettanto e diversamente intensi.
Non che sia facile. Non credo che possa succedere più di tre volte. Tre volte è già molto più di quanto accada di solito. A tanti non succede neppure una volta».

Nel primo amore, però, c’è la scoperta del sesso. 

«Non è detto. Si può fare sesso anche prima del primo amore. Ma il punto è un altro: nel primo amore il sesso non è così importante.
Nel primo amore conta di più il coinvolgimento sentimentale. Il sesso lo capisci meglio dopo. Ha bisogno di conoscenze tecniche e di consapevolezza. Non credo che uno giunga al primo amore consapevole di quello che c’è dentro il sesso. Della vera profondità del sesso.
Bisogna arrivare a trent’anni per saperla misurare».

da - http://www.lastampa.it/2013/01/11/spettacoli/il-primo-amore-di-mariangela-melato-lui-mi-porto-a-teatro-e-il-palco-ci-separo-QeJhpU4zWQpoBPwDzNCnbP/pagina.html
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« Risposta #5 inserito:: Gennaio 13, 2013, 04:49:19 pm »

L'attrice e il «questionario di proust»

«La mia paura più grande? Ammalarmi»


Mariangela Melato rispondeva così nel 2005: «Giorni infelici? Ne ha avuti tanti ma non mi hanno domata»

Nel 2005 Mariangela Melato ha accettato di sottoporsi al «questionario di Proust» di Paolo di Stefano per il settimanale "Io Donna". Ecco le sue risposte.

Il tratto principale del suo carattere?
L’onestà.

La qualità che preferisce in un uomo?
La dolcezza.

E in una donna?
La dolcezza.

Il suo migliore amico?
Ne ho più d’uno.

Il suo principale difetto?
La testardaggine.

La persona a cui chiederebbe consiglio in un momento difficile?
Almeno due, anzi tre.

Il suo sogno di felicità?
Un po’ di serenità.

Il suo rimpianto?
Non poter tornare indietro: rifarei quasi tutto.

L’ultima volta che ha pianto?
Ieri, ahimè, ho pianto per troppa tensione.

Il giorno più felice della sua vita?
Credo che debba ancora arrivare.

E il più infelice?
Ne ho avuti una bella sequela, ma non mi hanno domata.

La persona scomparsa che richiamerebbe in vita?
Mio papà. So che faccio un torto a mia madre, ma la prima risposta è quella che conta.

Quale sarebbe la disgrazia più grande?
Ammalarmi e non poter fare il mio mestiere.

La materia scolastica preferita?
Italiano.

Città preferita?
Sono divisa tra Roma e Milano.

Il colore preferito?
Bianco.

Il fiore preferito?
Le rose bianche.

L’uccello preferito?
I passerotti piccolissimi, degli altri ho paura.

Bevanda preferita?
Vino rosso.

Il piatto preferito?
Mangio disordinatamente di tutto. Ma il riso mi piace in tutti i modi.

Il suo primo ricordo?
Ero a scuola per la prima volta e ricordo una smisurata differenza tra me e gli altri. Mi sentivo molto diversa e inadeguata.

Libro preferito?
“Il giovane Holden”.

Autori preferiti in prosa?
Pirandello su tutti.

Poeti preferiti?
Tanti: Penna, Quasimodo, Eliot. La Merini è fantastica.

Cantante preferito?
Otis Redding è stato il mio idolo per anni. Poi: Ray Charles, Sinatra e Billie Holiday.

Sport preferito?
Ginnastica artistica.

I suoi eroi?
Le persone semplici che sopportano una vita insopportabile.

I suoi pittori preferiti?
Gli espressionisti. Poi: Boldini e in genere i figurativi.

La trasmissione televisiva più amata?
Quella di Arbore: Renzo riesce a fare tutto con grazia e classe.

Film più amato?
“Quarto potere”.

Attore preferito?
Marlon Brando tra gli uomini. Tra le donne: Bettie Davis e Alida Valli.

Canzone che fischia più spesso sotto la doccia?
Canticchio canzonette allegre, più con i ritmi che con le parole. Ultimamente: “Sola me ne vo’ per la città”.

Se dovesse cambiare qualcosa nel suo fisico, che cosa cambierebbe?
Gambe più lunghe. Per il resto, mi è andata bene anche se non sono una modella. Ho imparato ad apprezzare anche le mie imperfezioni.

Personaggio storico più ammirato?
La storia non mi interessa minimamente.

I nomi preferiti?
Nomi semplici: mi fanno pena le Samantha.

Quel che detesta di più?
L’arroganza e la volgarità.

Se potesse parlare a quattr’occhi con l’uomo più potente del mondo?
Non credo che possa servire.

Il dono di natura che vorrebbe avere?
Qualche volta vorrei essere invisibile.

Il regalo più bello che abbia mai ricevuto?
Le cose che mi piacciono di più le ho comperate io.

Come vorrebbe morire?
Con la sensazione di avere finito.

Stato d’animo attuale?
Con mille dubbi e paure.

Le colpe che le ispirano maggiore indulgenza?
Sono sempre molto indulgente.

Il suo motto?
Andare avanti.

Mariangela Melato era nata a Milano nel ’45. Nel cinema aveva cominciato recitando con Petri (“La classe operaia va in paradiso”, 1971), con De Sica (“Lo chiameremo Andrea”, 1972) e con Lina Wertmüller (“Mimì metallurgico ferito nell'onore”, “Film di amore e d'anarchia”, “Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare di agosto”), poi anche con Bertolucci, Comencini, Salce, Steno, Monicelli, Avati, Brusati e altri. Anche in teatro aveva lavorato con i maggiori registi, da Strehler a Ronconi, ottenendo notevoli riconoscimenti di pubblico e di critica.

Paolo Di Stefano

12 gennaio 2013 | 17:34© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/spettacoli/13_gennaio_12/questionario-proust-melato_e670444e-5cd0-11e2-bd70-6c313080309b.shtml
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