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Autore Discussione: LUCIANO FONTANA. Anime inquiete di un partito  (Letto 2337 volte)
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« inserito:: Gennaio 03, 2013, 06:09:48 pm »

IL PDL TRA SLOGAN E TEMI REALI

Anime inquiete di un partito

di  LUCIANO FONTANA

C'era una volta il partito di plastica. Un partito che aveva un leader e parole d'ordine capaci di mobilitare parti importanti della società. Prometteva la liberazione dall'oppressione di uno Stato costoso e invadente e da un Fisco nemico delle imprese e del lavoro produttivo. Interpretava i bisogni e le aspirazioni di un'Italia moderata, preoccupata dalla possibile vittoria della sinistra postcomunista.

Vent'anni dopo, la plastica, anche se invecchiata, resiste ma del partito si sono perse le tracce. È svanito in un vortice di obbedienza senza idee, estremismi verbali, vendette personali, promesse mai mantenute. Eppure di una destra moderna la democrazia italiana avrebbe sicuramente ancora bisogno. È difficile immaginare una competizione elettorale tutta giocata sul lato sinistro del campo: il Pd di Bersani con l'ausilio del sognante Vendola, i giustizialisti uniti sotto le insegne di Ingroia e Di Pietro, il Movimento 5 Stelle di Grillo.

La novità messa in campo dal premier uscente Mario Monti arricchisce di certo l'offerta politica ma incontra non poche difficoltà anche nel tentativo di dare rappresentanza a un elettorato di centrodestra deluso e in fuga verso l'astensione. Limiterà probabilmente il risultato del Pd di Bersani (rinviando a una contrattazione postelettorale i rispettivi ruoli nell'alleanza di governo) ma non susciterà una competizione vera tra un'Italia socialdemocratica e un'Italia moderata.

I dirigenti di ciò che rimane del centrodestra dopo scissioni, abbandoni ed espulsioni sembrano vivere in una dimensione che non ha più alcun contatto con la realtà. Per mesi hanno parlato di primarie, di nomi e simboli, mentre un solo interrogativo li lasciava con il fiato sospeso: Berlusconi si candiderà ancora? (Tutti sapevano che l'avrebbe fatto ma preferivano raccontarsi che non sarebbe stato così). Hanno tirato fuori alcuni conigli dal cappello, come l'offerta a Mario Monti di federare i moderati mentre lavoravano a buttare giù il suo governo. Hanno sfogliato l'album degli aspiranti leader a cui affidare le proprie sorti per arrivare infine alla scelta della rassegnazione: combattere la campagna elettorale in nome di vecchie parole d'ordine.

All'anticomunismo e alla promessa di riduzione delle tasse (ma in tutti gli anni del governo del centrodestra perché non sono state tagliate? Forse perché era impossibile visto che non si toccava nulla della enorme spesa pubblica?) si sono aggiunte bandiere più preoccupanti e lontanissime dalle scelte di quel Partito popolare europeo a cui il Pdl ancora appartiene: un populismo antieuropeo che fa concorrenza a Grillo e una campagna sul presunto complotto tecnocratico responsabile dell'uscita di scena del Cavaliere un anno fa. Una deriva resistenziale che tra l'altro sta radicalizzando anche la parte opposta del campo: la vittoria dei candidati targati Cgil e sinistra estrema nelle primarie del Pd ne è un esempio evidente.

Forse il tempo per una svolta è ormai irrimediabilmente perduto. Ma i dirigenti del Pdl avrebbero il dovere di non disperdere la fiducia che una parte ancora non piccola degli italiani ha riposto in Silvio Berlusconi. Fisco e temi etici (lo ha ricordato l'ex ministro Sacconi in un'intervista al Corriere del 31 dicembre scorso) sono, ad esempio, punti qualificanti di un programma di centrodestra che difficilmente può essere ancora incarnato dalla leadership di Silvio Berlusconi. Ci sono dirigenti un tempo giovani, diventati nel frattempo un po' più attempati, che dovrebbero trovare il coraggio di giocare la partita finalmente in prima persona senza la benedizione di un patriarca. Potrebbero cominciare ad occuparsi di nuovo di quelle piccole e medie aziende strangolate dalla crisi e dal blocco del credito da parte delle banche, di quei professionisti, imprenditori, artigiani, nucleo forte della stagione berlusconiana, rimasti senza bandiera politica e stanchi di processi Ruby e contese sulla giustizia.

Berlusconi è sicuramente ancora il più forte per capacità di mobilitazione e di conquista del consenso: ma la gara per la guida del Paese è in questo momento completamente preclusa al Pdl e ai suoi riluttanti alleati.

Un centrodestra moderno non si ricostruisce vagheggiando il ritorno di un passato che non c'è più. Lo «spirito del 94» (anno della prima vittoria elettorale del Cavaliere) allude a qualcosa che oggi nessuno sa bene cosa sia: la globalizzazione ha travolto le barriere tra gli Stati, i comunisti fanno parte del passato, anche se loro tracce restano nella cultura della sinistra. La Dc non c'e più, la lira è sparita e non tornerà, pena la distruzione economica del Paese. L'Europa è un'entità incompiuta, lenta e qualche volta dannosa ma condizionerà gran parte delle nostre scelte in tema di politica economica e sociale. Se lo «spirito del 94» è la resurrezione di un'agenda con riforme liberali e liberiste, rinchiuse in un cassetto negli anni dei governi Berlusconi, usino pure questa bandiera. Sapendo bene però che senza nuovi leader, programmi credibili e senso della moderazione la deriva estremista del centrodestra non produrrà niente di buono: tanti elettori sono già approdati ad altre sponde, altri lo faranno per disperazione.

3 gennaio 2013 | 8:54

da - http://www.corriere.it/editoriali/13_gennaio_03/Anime-inquiete-di-un-partito-fontana_d301dd76-556b-11e2-8f89-e98d49fa0bf1.shtml
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