La nuvola del lavoro
dic
05
“In Cina per portare lavoro in Italia”, ma i (nostri) giovani si sacrificano poco
di Fabio Savelli
Una pagina sul Corriere della Sera per lanciare una provocazione. “Cerchiamo persone che credano nella nostra follia, in cambio garantiamo che nessun talento sarà usato e gettato via”, è la frase-(spot)? NewCrazyColors, nome anglosassone, ma media impresa a conduzione (totalmente) italiana. Quartier generale: Monza, Brianza, la patria del mobile e dell’arredamento. Dipendenti oltre cento in tre sedi diverse.
Due di queste sono agli antipodi: una nella New York, ombelico del vecchio mondo. L’altra, avveniristica, e cromaticamente identica alla sede brianzola (per trasmettere l’identità aziendale) nella nuova frontiera del commercio mondiale: la Shanghai luci e ombre, capitale dei nuovi traffici, depositaria del lusso sfrenato, enclave dei grandi marchi della moda italiana e mondiale a caccia dei nuovi ricchi.
“Perché vogliamo bene a questo Paese e siamo stanchi di vederci così seduti, in attesa di un benessere che non ci appartiene più”, dicono i due soci Roberto Iannaccone e Roberto Casanova, replicando alla Nuvola a chi li ha giudicati temerari (a dir poco) per quella pagina sul Corriere, intrisa di annunci lavorativi per ruoli aziendali (finora) scoperti.
La loro storia? Self-made men, direbbero gli inglesi. Un passato da ex animatori sulle navi da crociera (ricordano qualcuno), poi la decisione di convertire quella professione stagionale in un’azienda in grado di offrire servizi nel turismo. Erano in tre, quando partirono. 1995. Preistoria.
I primi cinque anni con il freno a mano tirato, poi la scelta di uno dei soci di defilarsi e la riconversione al mondo dei concept store, del design d’interni per le grandi griffe della moda. Clienti come Prada, Dolce&Gabbana, Armani, Fendi, Ferragamo. La vendita di prodotti legati al design nudo e puro. E la sinergia con i grandi architetti di fama mondiale, come Rem Koolhaas, che ha progettato per Prada (e con NewCrazyColors) lo store di Prada aperto nel 2001 a Beverly Hills.
La crescita di fatturato che avviene in maniera esponenziale dal 2008 in poi, una crescita anti-ciclica con la Grande Crisi a mietere vittime nel mercato mondiale. Di recente lo sbarco sul mercato americano, la partnership commerciale con l’americana Coach, multinazionale nel campo degli accessori di fascia alta. Ecco. “La decisione di puntare sul mercato del lusso diventa la scelta vincente”, rileva Iannaccone.
In gergo i loro prodotti diventano su misura. Salgono di gamma. “Sculture”, le definisce lui stesso, attingendo al marketing emozionale. La ricerca spasmodica nel campo dei materiali, con la sinergia di università e centri di ricerca. “Gli investimenti nell’innovazione sempre crescenti”, dice Casanova, l’altro socio. “E il risultato è che abbiamo sempre più commesse da dover gestire in sempre minor tempo”, ammette.
Da qui le assunzioni, 17 l’anno scorso, altrettante quest’anno. Dai profili commerciali, a quelli squisitamente tecnici. Un personale cresciuto anche di statura (intellettuale), designer, ma anche artigiani e operai. La cifra del loro modello di business è quello che chiamano “industria dell’artigianato”. Sullo sfondo il made in Italy, la ricerca di reti distributive in Cina, “così lontana culturalmente dai nostri canoni organizzativi, ma terribilmente affascinata dal fashion e dal lusso”.
E ora il paradosso: “Stiamo progettando per i nostri clienti prodotti su misura per i punti vendita a Tokyo, Los Angeles, Berlino, Londra e Parigi. Ma ci mancano addetti, commerciali, artigiani. Soprattutto ci servono giovani, dove siete? Soprattutto perché il sabato non volete lavorare se c’è una sfilata d’alta moda il lunedì seguente?“. Ai nostri giovani il diritto di replica.
twitter@FabioSavelli
da -
http://nuvola.corriere.it/2012/12/05/apriamo-in-cina-per-portare-lavoro-in-italia-ma-i-nostri-giovani-si-sacrificano-poco/