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« Risposta #2 inserito:: Settembre 29, 2007, 10:25:25 pm » |
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Il sangue e l'indifferenza
Umberto De Giovannangeli
Le immagini di violenza e di morte irrompono nelle nostre case. Ma non riempiono le piazze. Quanto è distante la Birmania da noi? Da noi democratici, da noi popolo della sinistra, dal nostro (sopito?) diritto-dovere all’indignazione? Stavolta, per favore, non s’intenti un processo all’informazione. Da giorni quotidiani e telegiornali aprono con le sconvolgenti notizie che giungono dalla Birmania. Mostrano giovani colpiti a morte, percossi brutalmente. Mostrano l’esecuzione a freddo di un videoreporter giapponese. Quelle immagini raccontano di un popolo eroico che sfida un potere sanguinario.
Quei monaci scalzi che rivendicano diritti, giustizia, libertà e per questi valori rischiano la vita, avrebbero dovuto scaldare i nostri cuori, smuovere le nostre coscienze, modificare l’agenda politica. Riempire le piazze. Così non è. E sì che ciò che sta accadendo in questi giorni, in queste ore in Birmania non si presta ad equivoci: lì è chiaro dove sia il Bene e dove il Male; lì è evidente che l’unica «trincea» su cui assestarsi è quella della tonache in rosso. Rosso speranza. Ma anche rosso sangue.
Quei ragazzi che sfidano a mani nude soldati in assetto di guerra riportano alla memoria altri ragazzi che osarono sfidare in altre piazze regimi pronti a tutto pur di spazzare via ogni vento di libertà. Fu così per piazza Tienanmen. Quanti morti dovranno passare perché l’indignazione torni a riempire le nostre piazze? Certo, gli appelli non mancano. Le parole di condanna si sprecano. Come i moniti. Ma il «silenzio» delle nostre piazze resta assordante. E lo è tanto più a fronte della considerazione, questa sì ridondante in scritti e interviste di politici di ogni colore e levatura, che dobbiamo imparare a muoverci in un mondo sempre più globalizzato. Il «silenzio birmano» dice che questa percezione fa fatica a farsi strada tra una politica appassionata a regole e schieramenti, e un’«antipolitica» che pratica il diritto all’indignazione per gli abusivi dei voli di Stato ma non si riscalda per gli eroi disarmati della «Primavera birmana». Non si tratta di impartire lezioni di coerenza ma di riflettere sulle ragioni di questo «silenzio». Si dice: viviamo nell’epoca delle immagini, dove conta molto identificarsi con una storia, con un volto. Ma la Birmania una storia, un volto nei quali riconoscersi l’ha «forniti»: il volto, la storia di una donna straordinaria, Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace, paladina dei diritti civili, da anni segregata agli arresti domiciliari dalla Giunta militare. Quel volto dolce e al tempo stesso determinato, è immortalato in una grande foto che campeggia sulla Piazza del Campidoglio a Roma. Ma non basta una foto per riempire una piazza. E allora c’è da chiedersi se la Birmania non metta le coscienze in movimento perché non militarizza gli schieramenti, non alimenta polemiche «anti» o «pro», perché chiede «solo» coerenza tra valori condivisi e comportamenti conseguenti. E forse proprio per questo la Birmania è scomoda. Perché non offre alibi ad una politica rinchiusa sempre più in se stessa, e ad una antipolitica che fa fatica ad elevarsi oltre un autoliberatorio «vaff...». Perché è lo specchio di una preoccupante «cloroformizzazione» delle coscienze.
La diplomazia dei popoli, si è detto e a ragione, spesso si è rivelata più lungimirante, coraggiosa e anticipatrice di quella degli Stati. Lo è stata per la sua intelligente radicalità, per la capacità di denuncia di atteggiamenti ambigui o renitenti propri della realpolitik. Lo è stata per il rifiuto della delega, per essersi posta e aver posto al centro dell’agire collettivo il tema, davvero globalizzante, dei diritti individuali e di popolo che vanno difesi sempre e comunque. Lo è stata la «bella politica». La Birmania e i suoi eroi disarmati chiedono di riattualizzare questo protagonismo. Di provarci. almeno. Chiedono impegno, participazione, solidarietà, valori e sentimenti capaci di vivere ben oltre una sciarpa esibita e di dichiarazioni allarmate che durano il tempo di un lancio di agenzie.
Pubblicato il: 29.09.07 Modificato il: 29.09.07 alle ore 8.55 © l'Unità.
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