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Autore Discussione: FABIO BORDIGNON. - Grillo-Di Pietro, finché morte non ci unisca  (Letto 2343 volte)
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« inserito:: Novembre 06, 2012, 04:58:00 pm »

L'ANALISI

Grillo-Di Pietro, finché morte non ci unisca

di FABIO BORDIGNON

IL PARTITO è morto, afferma il leader-fondatore. No, è il leader ad essere morto, gli rispondono i maggiorenti della stessa formazione. Mentre, inatteso (ma fino ad un certo punto), arriva il tentativo di rianimazione ad opera dell'attore politico a lui più vicino per stile e messaggio politico (ma anche il più diretto avversario). Tra i tanti elementi che avvicinano Antonio Di Pietro e Beppe Grillo, a colpire, in questa fase, è soprattutto l'intreccio che si sviluppa attorno alla più radicale delle antinomie: quella tra vita e morte. La democrazia è "grigia", afferma Adam Michnik, ma il furore rivoluzionario ammette solo due colori: il bianco e il nero. Così, Grillo e Di Pietro, protagonisti delle due grandi "crisi" conosciute dal sistema politico italiano negli ultimi vent'anni, tendono a tagliare il mondo a metà. Da una parte "il sistema", da abbattere in quanto irrimediabilmente corrotto, dall'altro il popolo, il paese reale, o almeno la parte migliore di esso: l'Italia dei valori, per l'appunto.

Di Pietro, da magistrato, offre un contributo cruciale alla caduta della Prima Repubblica, e "mani pulite" diventa anche il manifesto del suo percorso politico. Il nuovo "sistema", cui si contrappone il popolo che si raccoglie attorno all'ex-pm, è quello berlusconiano. Di Pietro offre uno sbocco politico alla protesta e alla mobilitazione contro il nuovo "palazzo", rappresentato dal potere del
Cavaliere. La principale linea tracciata da Di Pietro, per rappresentare la propria separazione manichea dell'Italia, è quella tra legalità e illegalità, tra moralità e corruzione. Attorno a questa linea corrono altri (per molti versi paralleli) principi di divisione: ad esempio, quello che oppone verità e menzogna, realtà e finzione, utilizzati per attaccare il sistema dell'informazione (colpevole, in questi giorni, di un killeraggio mediatico).

Grillo, in un certo senso, riprende gli argomenti (e lo stile) propri della galassia No-B (dal girotondismo fino al popolo viola), ma è abile (da un certo punto in poi) a riversarli contro l'intero modello della Seconda Repubblica. La fase discendente della parabola berlusconiana offre a Grillo e al suo MoVimento la finestra di opportunità per giocare al meglio il ruolo dell'outsider. Mettendo in campo un'altra tra le più ricorrenti coppie della retorica populista: quella tra dentro e fuori (dal palazzo del potere). Per questo, abbandona ogni tentativo di ammiccamento all'area di centro-sinistra (si pensi alla provocatoria auto-candidatura alle primarie del 2009) e respinge il corteggiamento dello stesso Di Pietro, assieme al quale ha condiviso diverse battaglie (sostenendo, ad esempio, la candidatura degli indipendenti Luigi De Magistris e Sonia Alfano nelle liste IdV, alle Europee del 2009). Grillo preferisce la corsa solitaria e la contrapposizione frontale al cartello Pdl-Pd-meno-elle. Una strategia non nuova, se inquadrata come tentativo di radicale posizionamento "terzista": si pensi allo slogan "Roma Polo-Roma Ulivo", utilizzato dalla Lega negli anni Novanta. Essa, tuttavia, diventa estremamente redditizia, dalla seconda metà del 2011, di fronte all'inedita grande coalizione che si forma a sostegno del governo tecnico e al progressivo sgretolamento della Seconda Repubblica. Una crisi che sembra riportare l'orologio italiano indietro di vent'anni.

Il nuovo scenario, tuttavia, appare segnato da molteplici difficoltà per Di Pietro e la sua formazione. Per molti versi, la crisi dell'IdV precede la ferita aperta dall'inchiesta di Report. Alla sua base possiamo individuare alcune principali (e tra loro interrelate) ragioni.

1) Innanzitutto, Di Pietro calca la scena politica ormai da oltre quindici anni: il primo incarico da ministro (nel governo Prodi) risale al 1996. Il suo movimento è diventato a tutti gli effetti un partito, per quanto fluido e personale. La sua posizione è poco propizia, dunque, sia sull'asse vecchio vs nuovo, sia su quello dentro vs fuori. Allo stesso tempo, non può fare leva sulla contrapposizione tra giovane e vecchio: come invece sta facendo Matteo Renzi, ma anche lo stesso Grillo, quando richiama la giovane età dei suoi candidati e, più in generale, dei suoi follower nella rete.

2) L'esperienza politica di Di Pietro, inoltre, è chiaramente riconducibile ad una precisa parte politica. Nonostante il travagliato rapporto con il Pd e le altre forze dell'area, nonostante i ripetuti allontanamenti e tentativi di riconciliazione: Di Pietro appartiene alla storia del centro-sinistra nella Seconda Repubblica. Il che costituisce indubitabilmente un limite, in una fase in cui l'alterità rispetto ai vecchi schemi della politica viene proposta come garanzia di estraneità rispetto ai circuiti del potere.

3) Ulteriori sfide, per l'IdV e il suo leader, sono poi rappresentate dalla comparsa di nuovi attori politici, che (proprio perché "nuovi") possono cavalcare in modo più credibile l'indignazione e la domanda di rinnovamento della politica presenti in ampi settori della società. Al di là della simpatia personale, dei reciproci, ripetuti attestati di stima, Di Pietro e Grillo sono, inevitabilmente, competitors nel mercato politico. Sebbene il recente allargamento dei consensi per il M5S intercetti molte preferenze in uscita dal centro-destra (si vedano, a questo proposito, le analisi su www.demos.it), lo zoccolo duro del MoVimento è costituito da delusi del centro-sinistra e, tra questi, soprattutto da ex-simpatizzanti dell'IdV (una relazione confermata dai flussi calcolati dall'Istituto Cattaneo, per le maggiori città al voto nell'ultima tornata amministrativa e alle regionali siciliane).

4) A ciò va aggiunto che, oltre ad essere strettamente ancorata ad una precisa "era" politica, giunta al suo epilogo, l'esperienza politica di Di Pietro rimane intrecciata a quella del soggetto che ha maggiormente caratterizzato tale stagione. Se il presidente dell'IdV, come ha sottolineato Ilvo Diamanti, è il co-fondatore, insieme a Berlusconi, della Seconda Repubblica, la (possibile) fine del berlusconismo pone, quasi automaticamente, seri interrogativi circa il futuro del dipietrismo.

5) Infine, Di Pietro, oltre ad avere posto l'antagonismo nei confronti del "regime" berlusconiano al centro della propria mission politica, per alcuni aspetti ne ha riprodotto il modello. Anzitutto per quanto attiene alla forma-partito e al ruolo assegnato, al suo interno, al leader. L'IdV è probabilmente, dopo Forza Italia, l'attore politico che maggiormente si è avvicinato all'idealtipo del partito personale (secondo la nota formula di Mauro Calise). Un partito che inizia e finisce con il suo leader. Il modello di maggiore successo della Seconda Repubblica, che ancora contraddistingue la maggior parte delle forze politiche (incluso il M5S). Con l'uscita di scena del suo "inventore", tale modello giunge ad un passaggio cruciale, e nello stesso percorso dell'IdV ha già esibito diversi punti di debolezza. Basti pensare al nodo legato alla selezione della classe dirigente: dai clamorosi abbandoni di De Gregorio e Scilipoti fino alle indagini connesse alla gestione dei finanziamenti pubblici a livello locale.

Alla luce di questi elementi, è più facile comprendere le recenti mosse di Di Pietro, nel tentativo di riposizionarsi in un quadro politico in rapida evoluzione: la scelta di schierarsi all'opposizione rispetto al governo Monti e di alzare i toni del confronto politico, mettendo nel mirino lo stesso capo dello Stato; l'assunzione di un atteggiamento sempre più critico nei confronti del Pd; la riscoperta della strategia referendaria (contro la riforma dell'articolo 18 e contro "la casta"); l'insistenza sui temi economici e del lavoro, abbinata alla ricerca di nuove sponde a sinistra (passando dalla "foto di Vasto" alla "foto del Palazzaccio" con Vendola, Ferrero, Diliberto e Bonelli).

Più che il frutto di una strategia ben precisa, l'insieme di queste scelte è parsa come un tentativo di arginare la possibile emorragia di voti verso il M5S. Così, Di Pietro, che si "rivede" nell'azione del leader a 5 stelle e si considera grillino ante-litteram ("quello che fa lui, l'ho fatto io dieci anni fa", ha dichiarato nel suo discorso conclusivo all'ultimo meeting di Vasto), si ritrova a rincorrere l'ex-comico. E a sintonizzare il proprio stile e il proprio repertorio su quello del leader del M5S. Così, se l'anti-politica di Grillo fa ampio ricorso al binomio vita vs morte ("I partiti politici sono morti. I cittadini si devono staccare dai morti finché sono in tempo", comunicato politico numero 19), Di Pietro arriva a descrivere i componenti dell'attuale maggioranza come "morti viventi" e posta un video, sul proprio sito, in cui Bersani, Casini, Alfano e Monti vengono rappresentati come zombie.

Tuttavia, per chi taglia il mondo a metà, il superamento della linea di confine può essere molto veloce: lo stesso Di Pietro, intervistato da Il Fatto Quotidiano, ha descritto l'ultima puntata di Report come possibile necrologio del suo partito. Perché, per un partito personale, non c'è vita oltre il suo leader. Del resto, è inevitabile leggere lo scandalo relativo alle proprietà immobiliari della famiglia Di Pietro come la nemesi di chi, vent'anni fa, scoperchiò il vaso di Pandora del finanziamento ai partiti. Mentre l'immagine del Di Pietro-politico, imbarazzato ed esitante di fronte alle domande dell'intervistatore, è stata subito accostata agli interrogatori del Di Pietro-magistrato all'epoca di Tangentopoli.

Per questi motivi, il pronto soccorso di Grillo, che ha difeso Di Pietro "candidandolo" addirittura al Quirinale, non appare del tutto "disinteressato". (L'inusuale approccio "garantista", peraltro, era stato usato dal capo del M5S nei confronti della Lega, nella campagna elettorale della scorsa primavera). Esso si presenta, piuttosto, come l'abile tentativo di impossessarsi della preziosa pietra custodita dall'ex-pm, in passato esaltato da Grillo come Kryptonite della politica. Perché ad ogni de profundis, in politica, corrisponde un vuoto da colmare e, spesso, una eredità da raccogliere.

(04 novembre 2012) © Riproduzione riservata

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