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Autore Discussione: MATTEI dall'Italia al mondo.  (Letto 2187 volte)
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« inserito:: Ottobre 27, 2012, 11:55:44 am »

Orgoglio e petrolio: Mattei dall'Italia al mondo.

A cinquant'anni dalla scomparsa

articoli di Antonio Quaglio, Roberto Da Rin

27 ottobre 2012

Pochissimi italiani possono contendere a Enrico Mattei la palma di personaggio-simbolo di un Paese che ha raggiunto la modernità della democrazia economica attraverso tutte le luci e tutte le ombre del ventesimo secolo. Ed è questa la ragione per la quale il cinquantenario della scomparsa - il 27 ottobre - è un'occasione per parlarne ancora e molto: al di là del fatto che la sua creatura - l'Eni - sia oggi una delle poche multinazionali "non tascabili" su cui può ancora contare l'Azienda-Italia.
Nato ad Acqualagna nel 1906 - figlio di un carabiniere nel sottosviluppo di un'Italia centrale periferica - Mattei completa a fatica gli studi di ragioneria ma brucia le tappe nei laboratori chimici di una piccola conceria. La crisi del '29 lo costringe ad emigrare a Milano, dove matura altrettanto rapidamente le grandi scelte di una vita: l'impresa manageriale e innovativa (fonda un'azienda di grassi e saponi e mette a punto processi per l'industria zuccheriera), l'apertura ai rapporti internazionali (è agente commerciale di una grande gruppo tedesco); non da ultimo: un visione politica ispirata ai valori del cattolicesimo democratico. E quando la seconda guerra mondiale devasta l'Italia, Mattei non ha dubbi: nel '43 sceglie l'impegno antifascista.

Marcello Boldrini, statistico della Cattolica che poi gli succederà alla presidenza dell'Eni, lo ha già messo in contatto con i leader della nascente Dc: Amintore Fanfani, Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira. Ed è Mattei il prescelto per rappresentare la Dc nel Cln, direttorio militare della Resistenza al Nord. Arrestato, riesce a fuggire e opera soprattutto come tesoriere delle forze partigiane "bianche". Nella Milano appena liberata sfila in testa al corteo del Cln con il premier-partigiano Ferruccio Parri. Ma è già tempo della prossima avventura: l'Agip.
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L'autarchia fascista ha creato un "carrozzone" per esplorare le fonti energetiche della Pianura Padana, dove erano stati individuati giacimenti di metano. Ma l'Italia repubblicana, inizialmente ci crede poco e chiede a Mattei di liquidare l'Agip e la Snam, embrione di una rete distributiva di idrocarburi. Mattei disobbedisce: troppo forte l'istinto imprenditoriale, che convive con l'anima politica del parlamentare democristiano fino al 1953, l'anno di nascita dell'Eni. E il Mattei del mito già vivente è quello che, nel '49, scopre il petrolio a Cortemaggiore: la «potente benzina italiana». È quello che fa del «cane a sei zampe» - il nuovo logo dell'Agip - uno dei marchi del boom economico italiano nel dopoguerra. Il Mattei tuttora dibattuto dalla polemica storica è invece quello che interpreta nel modo più aggressivo l"economia sociale di mercato", molto dirigista e statalista, adottata dai governi centristi nell'immediato dopoguerra. È il politico-tecnocrate passato alla storia come "il più incorruttibile dei corruttori", il gestore della "rendita metanifera" che considerava i partiti alla stregua di taxi a pagamento; l'ideologo e il vero condottiero di quelle «partecipazioni statali» con cui l'industria privata ingaggiò duelli di crescente durezza (apice mediatico ne fu l'inchiesta in quattro puntate firmata personalmente da Indro Montanelli sul «Corriere della Sera» nell'estate del '62). Ma l'Eni di Mattei resta poco nei panni stretti del "grande fratello" della politica e dell'economia "miste" nell'Italia degli anni Cinquanta. Si proietta subito in una dimensione adatta alle ambizioni del suo "patron": il grande gioco del petrolio mondiale, dominato dalle Sette Sorelle americane.

Il presidente del neonato Eni - disprezzato come "petroliere senza greggio" - comincia a girare il Terzo Mondo africano e mediorientale armato di una formula di concessione ("75-25") molto più favorevole ai paesi produttori rispetto al "50-50" delle Sette Sorelle. Ma gli è di aiuto una dialettica politica abiule, velocemente sintonizzata sulle parole d'ordine di tutti i giovani nazionalismi anti-colonialisti. Nasce così la "diplomazia Eni" che miete accordi dal Marocco all'Iran, passando per Libia, Tunisia e per l'Egitto di Nasser. Fra ingegneria d'avanguardia e guerre (come quella del '56 attorno alla crisi di Suez), l'Eni di Mattei diviene un player planetario il cui successo è pari alla diffidenza che suscita: in Italia - dove la politica sta preparando la svolta del centro-sinistra - e soprattutto negli Stati Uniti, dove le mosse frenetiche di Mattei a cavallo di tutti i muri della Guerra Fredda vengono guardate con ostilità aperta quando raggiungono le frontiere dell'Unione Sovietica.

Quando la sera del 27 ottobre 1962 l'aereo di Mattei cade in fiamme a Bascapè, mentre sta atterrando a Milano-Linate in mezzo a un temporale, sono in molti a credere subito all'attentato. Soltanto 43 anni dopo, nel 2005, un'ultima perizia tecnica ordinata dai magistrati - sulla scorta di filoni giudiziari riguardanti fatti mafiosi - si concluderà con l'affermazione che l'aereo fu distrutto in volo da un'esplosione. Ma l'opinione pubblica italiana era già convinta che fosse andata così - che la malavita mafiosa avesse agito come braccio di uno o di tutti fra i molti avversari di Mattei - dopo lo straordinario film storico firmato nel 1972 da Francesco Rosi.
È tuttavia difficile immaginare che a Gian Maria Volonté sarebbe riuscito un "character" così magistrale se il modello non fosse stato quello unico di Mattei. Che ancora oggi milioni di italiani incontrano quotidianamente: ad esenpio nei motel e nella stazioni di servizio autostradali che l'Agip inventò in Italia (la stessa Autostrada del Sole ebbe l'Agip come socio fondatore); oppure nel giornalismo - moltissimo - che scaturì da «Il Giorno»: l'innovativo quotidiano che Mattei fondò nel 1956. Un giornale pensato al futuro come Metanopoli, alle porte di Milano: una "small corporate town" così diversa sia dalla Torino del Lingotto che dalla Ivrea dell'Olivetti.

Due anni fa, al Meeting di Rimini, Mattei è stato uno degli "eroi" di una delle mostre sui 150 anni dell'Unità d'Italia inaugurate personalmente dal presidente Giorgio Napolitano. Era dichiaratamente una mostra sul ruolo dell'"altra Italia" nella lunga e faticosa costruzione di un Paese: non l'Italia della tradizione laico-risogimentale, neppure quella del grande capitalismo industriale. Certamente non quella del regime fascista, ma neppure quella della lunga contrapposizione tra cattolici e comunisti. L'Italia che non perde la voglia di identità anche quando si misura fuori confine. L'Italia nata povera e divenuta non più povera. L'Italia che studia poco o disordinatamente, ma si guadagna sul campo lauree "ad honorem". Un'Italia con i suoi pregi e i suoi difetti, con i suoi ideali e i suoi errori, con le sue guerre vinte e quelle perse. Eternamente imperfetta, sia che la si guardi con le categorie dell'economia di mercato, sia con quelle dell'efficienza trasparente delle istituzioni politiche. Ma anche l'Italia che in ogni punto della sua sterminata "provincia" è capace di inventare grandi visioni, grandi aziende, grandi italiani. L'Italia di Mattei.

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