La politica, regina smarrita
di Alberto Orioli
19 ottobre 2012
Carlo De Benedetti si mette in gioco per primo. In un pamphlet che ha il sapore di una conversazione davanti al "caminetto dello storia" ci sollecita a leggere il cambio di passo e di partitura imposto dalla crisi globale a tutto il mondo, Occidente in testa.
Con Mettersi in gioco (collana Vele Einaudi) De Benedetti guarda le nuove sfide globali e cerca le tracce delle tendenze secolari degli assetti economici lasciando gli orizzonti corti delle baruffe chiozzotte, siano esse italiane o europee. Il mondo è oggi il luogo del nuovo conflitto globale del lavoro, con tre miliardi di persone in cerca di occupazioni stabili e solo 1,2 miliardi di posti effettivamente disponibili. Il grande problema del momento è l'aumento delle diseguagalianze: per chi ne è colpito, diventa inevitabilmente un problema di ingiustizia e di diritti, dunque un grande tema per la politica.
È un problema per l'Occidente e per l'Europa: distanze sociali così marcate rischiano di rimandarci alla Londra di Dickens e alla prima rivoluzione industriale. Se negli Usa nel 2010 c'erano 46 milioni di cittadini finiti sotto la soglia della povertà, in Italia nel 2011 il 10% delle famiglie più ricche deteneva il 45% della ricchezza complessiva. Il libro parte da qui: dal rischio di Apocalisse per un'Occidente che mai prima d'ora aveva tanto sperperato le sue risorse e tanto bruciato le sue ricchezze. Ma non è un saggio declinista quello dell'Ingegnere. Tutt'altro. «Siamo su un terreno che si fa sempre più accidentato. E tocca spingere».
È un fluire accorato e preciso di citazioni "globali", dati ed esperienza che De Benedetti mette a disposizione del lettore per farne scaturire "una certa idea dell'Italia" (e delle democrazia) come lui stesso scrive citando Gobetti. Si mette in gioco De Benedetti: innanzitutto come figlio di Rodolfo, un ingegnere «apprendista meccanico», lima, olio di gomito e dignità metalmeccanica, diventato imprenditore tenace e pragmatico (cui ha dedicato una fondazione e una cattedra in Bocconi). Da lui deriverà un'idea nobile della manifattura e del lavoro di cui la politica ha smarrito le tracce e di cui invece ci sarebbe grande bisogno. Tocca a imprese, università, società civile mobilitarsi – dice De Benedetti – se la politica è assente su questi valori.
L'Ingegnere torna anche all'esperienza di presidente degli industriali di Torino dove già negli anni 70 suggeriva di sostituire lavoro obsoleto con investimenti per favorire «avanzamenti tecnologici». L'Italia di allora capì la svolta, ne derivò gran parte della prosperità degli anni 80: computer e saper vivere. Per l'Ingegnere è il periodo della Olivetti (poi di Omnitel) che in un decennio vede la produttività crescere del 500% e il volume delle vendite del 1300%. Allora fu la forza dell'innovazione a cambiare il corso delle economie; oggi potrebbe accadere di nuovo.
Oggi, come editore alla guida del Gruppo Espresso, si dice impegnato a puntare sulle potenzialità del web ma non senza la qualità e l'intelligenza del giornalista sentinella e guida nel caos anarcoide, nell'invasivo rumore di fondo e spesso anonimo della virtualità, «in cui prosperano le peggiori leadership populiste». «Il giornalismo non è destinato a morire nel XXI secolo, ma sarà un'infrastruttura sempre più portante delle nostre imperfette democrazie».
Qua e là un abbozzo di agenda di governo. La patrimoniale, la tassa sulle rendite finanziarie (con attenzione al suo carattere planetario): servirebbero per superare le diseguaglianze. E poi regole per disciplinare la finanza globale che quelle diseguaglianze ha creato. Gli eurobond, un fondo comune in cui sterlizzare i debiti sovrani, l'unione bancaria e una Bce con i poteri della Fed per rafforzare un'Europa in cui la Germania non può «fare politica solo dando ascolto agli umori delle birrerie». La detassazione completa per le assunzioni di lavoratori under 30 per superare «il genocidio generazionale» in atto da qualche anno e poi l'abbattimento della burocrazia che ostacolano la creazione e la crescita dell'impresa, unico vero agente di sviluppo. E gli imprenditori? Si mettano insieme e facciano rete tra loro; non solitari John Wayne, ma nuovi moderni borghesi operosi come lo è stato Steve Jobs.
La rappresentazione è quella di una partita a scacchi: servono due torri: i giovani, il loro talento, e gli imprenditori, con la loro temeraria voglia di futuro e di innovazione. Muove un alfiere, il giornalismo di qualità ai tempi dell'invasione di Internet. Ma ciò che servirebbe di più sarebbe recuperare la Regina smarrita, vale a dire la politica coraggiosa e visionaria.
Non sono sfide staccate tra loro. Se vince l'innovazione tornano gli investimenti, la ricchezza, si possono ridurre le diseguaglianze sociali. Se si punta sui giovani il Paese cambia prospettiva e non si ripiega su se stesso e accetta di seguire il flusso del mondo e della modernità. Se l'informazione fa sempre più da cane da guardia della democrazia si crea un'opinione pubblica consapevole e responsabile in grado di selezionare la miglior classe dirigente, gli uomini e le donne che potranno far ripartire il Paese. Ma la politica manca anche se farebbe davvero la differenza per vincere la partita.
Per De Benedetti la politica è ancora preda del disfacimento dei partiti tradizionali per ora sostituito solo con la raccolta contingente delle parole d'ordine di un populismo esasperato o di partiti burocratizzati e opachi.
Un fenomeno non solo italiano, ma almeno europeo. Ne discende una leadership debole e distante dalla dimensione delle reali sfide della contemporaneità. Sessant'anni fa il presidente americano Truman – cita De Benedetti – non esitò ad andare di fronte al Congresso per chiedere 400 milioni di dollari di aiuti alla Grecia, anche allora l'anello più debole di un'Europa martoriata dalla più spaventosa guerra di tutti i tempi. «Gli Stati Uniti devono aiutare questo popolo libero», disse Truman. E fu sufficiente. Oggi – scrive l'Ingegnere – i leader europei sono «nani dimentichi della lezione dei giganti». Con una aggravante: che la Grecia, oggi con le sue fiamme, è assai più vicina a noi di quanto non lo fosse allora per chi stava a Washington.
IN LIBRERIA DA MARTEDì
La riflessione sull'oggi
Nel volume Mettersi in gioco Carlo De Benedetti parte dalla constatazione che mai, come in questi anni, il mondo produttivo occidentale aveva vissuto una distruzione di ricchezza come quella cui si assiste oggi. Non è il caso - scrive l'autore - di scoraggiarsi: è doveroso non arrendersi e cercare strade nuove, avere una capacità di visione.
Le strade possibili De Benedetti scrive che si può rialzare la testa solo dedicando ogni risorsa all'ambizione di ricostruire il futuro. Paragona la situazione attuale a una partita a scacchi: dovremo poter contare su due buone torri d'attacco, un alfiere attento, e una regina che si svegli dal suo torpore: giovani, imprenditori, opinione pubblica e soprattutto una buona politica.
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