LA-U dell'OLIVO
Novembre 01, 2024, 01:21:30 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: Mariella GRAMAGLIA. Donne uccise un dramma della modernità  (Letto 3066 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Ottobre 20, 2012, 04:03:28 pm »

Editoriali

20/10/2012

Donne uccise un dramma della modernità

Mariella Gramaglia

Carmela Petrucci, liceale, diciassette anni, palermitana, si frappone fra la sorella e il suo omicida di 22 anni. Cerca di salvarla dal furore dell’ex fidanzato respinto. Le hanno trovate una accanto all’altra, le ragazze, riverse nell’androne di casa al ritorno da scuola.  

E’ la centounesima vittima di femminicidio nell’Italia del 2012. Femminicidio, parola una volta lontana, usata per le feroci esecuzioni di donne da parte dei trafficanti di droga messicani di Ciudad Juarez, è oggi entrata nel nostro lessico di europei sempre più incerti di noi stessi e della forza dei nostri valori.

Non è accaduto per bizzarria ed esotismo, ma per dolore, per sdegno, per sottolineare che viene un momento in cui ciò che non si voleva guardare diventa un’ossessione della coscienza, che ciò che ad alcuni pareva sopportabile – uno dei tanti dolorosi dettagli della cronaca – prende il corpo di un’emergenza democratica, di una ferita al patto sociale che ci unisce.

Infatti, molto spesso, non è di arretratezza che si tratta. La storia delle due sorelle palermitane somiglia da vicino, non solo geograficamente, a quella della catanese Stefania Noce morta il 27 dicembre 2011.

Ventiquattro anni, brillante studentessa di Psicologia, femminista militante, battagliera nel movimento degli studenti. Il ragazzo che la uccise, dopo un amore finito, non seppe dire altro che una frase pesante come un macigno: «L’amavo più della sua vita». E’ la contiguità, l’ossessione del possesso, la perversione blasfema dell’amore a fare di un uomo un assassino. Raramente si uccide una sconosciuta. Su una donna un uomo, un particolare uomo, proietta ciò che ha deciso di non essere: è da lei che pretende e si aspetta l’assoluta dedizione. Che può andare oltre la vita dell’altra, come racconta il dialogo teatrale di Cristina Comencini, che prende le mosse proprio dal grande vuoto che buca l’anima di molti ragazzi e che a Torino di recente, alle Officine Grandi Riparazioni, ha commosso tanti spettatori .  

I dati, le statistiche sono arnesi difficili da maneggiare. Tuttavia non credo ci sia un caso italiano, una ferita che riguarda solo noi, o principalmente noi. E’ un dramma della modernità, però, non dell’arretratezza, o meglio non solo dell’arretratezza. Su questo non possiamo darci consolazioni facili. Una zona buia dell’anima convive con l’epoca delle Cancelliere e delle Segretarie di Stato donna: sembra ignorarle e affondare nella preistoria. Nel 2009 in Finlandia, Danimarca e Norvegia ci sono state in media sette donne uccise ogni milione di cittadine. Un po’ di più che in Italia: da noi 6,57. Forse alcolismo e solitudine sono più potenti dell’emancipazione.

Negli anni fulgenti del primo Zapatero in Spagna (2004-2005) ci fu, invece, un calo significativo della violenza contro le donne: lui ci aveva creduto, aveva speso denari ed energie per la prevenzione, l’educazione, la promozione brillante di quel tipo di autorevolezza femminile che crede nel sostegno alle altre e che sola può far da argine al peggio.

Dunque la politica non è impotente. Se vuole. Le volontarie del «Telefono rosa», esaminando un campione di mille e cinquecento telefonate, hanno scoperto che il novanta per cento delle donne che le chiamano perché già colpite, picchiate, a rischio di vita, non denunciano il loro persecutore. I tempi del procedimento sono troppo lunghi, durano in media cinque anni, e nel frattempo la protezione per loro e per i loro bambini non è tale da rassicurarle. Qualcosa potrebbe essere cambiato. I centri di sostegno contro la violenza potrebbero essere rafforzati e infittiti.

E’ quello su cui preme anche la comunità internazionale, con la Convenzione di Istanbul che impone agli Stati più protezione per le vittime, sanzioni penali per i matrimoni forzati, robuste strategie di prevenzione.

La nostra ministra delle Pari opportunità Elsa Fornero l’ha firmata il 27 settembre scorso. Peccato che nella seduta del 20 settembre, in cui il Senato avrebbe dovuto dare solennità al suo mandato, la discussione fu sospesa alla maniera di una riunione di condominio: il vicepresidente Domenico Nania era sparito, Rosi Mauro non poteva perdere un aereo e il presidente Schifani tardava a farsi vivo in aula. Non era mai accaduto nella storia della Repubblica.

Brutto segno di un brutto Parlamento. Fornero è decisa a tornare alla carica il venticinque novembre prossimo, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Intende chiedere la ratifica della Convenzione e presentare il suo programma in materia di violenza sulle donne. Non disperiamo. La politica qualche volta può anche essere una cosa seria.

da - http://lastampa.it/2012/10/20/cultura/opinioni/editoriali/donne-uccise-un-dramma-della-modernita-WCPW2cbheGec8xj4day7SM/pagina.html
« Ultima modifica: Novembre 06, 2012, 04:52:03 pm da Admin » Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Ottobre 29, 2012, 10:50:58 pm »

Editoriali
29/10/2012

La battaglia degli uomini che amano le donne

Mariella Gramaglia

I più simpatici sono Cristofer e Gilberto, grembiulone, a rigatino sottile bianco e rosso, genere salumeria dall’igiene ineccepibile, sorriso accogliente. Alla prima prova di registrazione si impappinano, non riescono a trovare il ritmo del duetto. Poi funziona e si alternano disinvolti. «Noi aderiamo a uomini contro la violenza sulle donne». «NoiNo.org». «Aderisci anche tu».

 

Siamo a Bologna. La campagna, nata dalla fondazione del Monte (Banca del Monte di Bologna e Ravenna) e dall’associazione storica del femminismo bolognese «Orlando», vuole parlare al cuore degli uomini. Rivolgersi a quelli che non odiano le donne, che sono pronti a guardarsi dentro, a non nascondere le parti cattive di sé, ma anche a preservare la propria dignità e a segnare le distanze da chi, le donne, le fa soffrire.

Di quegli altri dicono: «Non sono più forti di noi, sono solo violenti».

 

La sorpresa più piacevole è che, fra gli attivisti e i testimoni, gli intellettuali siano un’esigua minoranza: uno scultore, un filosofo, Marco Cammelli, il banchiere illuminato che ha partecipato al laboratorio da cui è nata l’idea, e pochi di più.

 

I veri protagonisti? Dario, istruttore di boxe: «in palestra è forza, in casa, con la donna che hai al fianco, è violenza». Davide, barista. Maurizio, taxista. Bernardo, cuoco: «E’ un problema nostro, non delle donne». Virgilio, apicoltore: «Non voglio più essere complice». Luigi, commerciante: «Io non sarei nessuno senza mia moglie».

 

Nel gergo della Rete si dice che ora stanno lavorando al «community building». Hanno disegnato una mappa della città e del suo circondario e indicato con un puntino rosso «NoiNo» il luogo del negozio, dell’officina, del posteggio, dello studio, dove altri uomini, se vogliono, li potranno andare a trovare. Per raccogliere il materiale informativo, per appuntarsi al petto la spilletta che segnala una scelta, per discutere, magari per formare gruppi di sostegno reciproco in modo che la tentazione della violenza non si affacci più alla mente.

Naturalmente si sono fatti aiutare da professionisti della comunicazione («Studio talpa» e «Comunicattive»), ma ora intendono camminare soprattutto da soli e scommettere sulla macchia d’olio che si allarga. Quanto alle altre città, se vogliono imitarli, possono accomodarsi: l’idea è «copyleft», a disposizione di tutti, senza diritto d’autore.

 

Per realizzarla occorre anche un vocabolario, in cui cercare tre verbi.

Minacciare: «per farle temere un male futuro, per costringerla a fare qualcosa».

Umiliare: «avvilirla, mortificarla».

Picchiare: «colpirla, ferirla, percuoterla».

 

Dal far risuonare i tre verbi, accompagnati da un pronome femminile, non vaganti in un infinito senza complemento oggetto, comincia la riflessione e, magari, la via per qualcosa di nuovo.

Nulla nasce dal nulla, si sa. E’ dal 2006, dopo che tanti piccoli gruppi informali decisero di darsi un’identità comune, che è sorta in Italia la prima associazione di uomini che ha fatto della lotta contro la violenza verso le donne la sua carta d’identità. Si chiama «maschile plurale» (www.maschileplurale.it) e scrisse nel suo manifesto fondativo: «la violenza contro le donne ci riguarda e intendiamo prendere la parola come uomini». Per un po’ è stata osservata da alcuni con sospetto: sofisticata, intellettuale, persino un po’ snob. 

Ma il lungo lavoro è stato utile. Gli indizi del fatto che molti uomini non ne possano più di passare, con attenzione leggera, su stupri e femminicidi sono ormai molti. Un volto popolare della televisione come Riccardo Jacona («Se questi sono uomini», Chiare Lettere) ha gettato sul tavolo una carta forte: consideriamo questa tragedia – ha detto - come le stragi di mafia e di camorra. E aiutiamo i violenti a non sbagliare più, come già avviene in alcune strutture d’avanguardia a Bolzano e a Torino (associazione «Il cerchio degli uomini»).

All’inizio degli Anni Ottanta, a Boston ci fu una tale ondata di violenza sulle donne che alcune inventarono il movimento delle «lanterne verdi»: dove una passante o una vicina, impaurita e perseguitata, vedeva una lanterna verde alla finestra, poteva rifugiarsi e trovare un porto sicuro.

 

Quello di Bologna potrebbe diventare il movimento dei bottoni rossi: quando un uomo sente che il suo Mister Hyde sta prendendo il potere su di lui, vada in cerca di chi lo può aiutare. Di corsa. Prima di fare del male.

da - http://lastampa.it/2012/10/29/cultura/opinioni/editoriali/la-battaglia-degli-uomini-che-non-odiano-le-donne-m33ptSL6naWRMn0zavHAYJ/pagina.html
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #2 inserito:: Novembre 06, 2012, 04:52:45 pm »

Editoriali
05/11/2012

Usa, decideranno le casalinghe disperate

Mariella Gramaglia


Dalle star di «Sex and the city» a quelle di «Desperate Housewives». Dalla testimonianza della giovanissima vistosamente tatuata che ha votato – Barack Obama naturalmente! – per la prima volta nel 2008, al remake a più voci note di una canzone libertaria degli Anni Settanta, «You don’t own me» (tu non mi possiedi). Gli spot, gli appelli, i sostegni femminili al presidente uscente in questi ultimi giorni si succedono a ritmo frenetico.

Per la verità il messaggio fondamentale delle donne alle proprie simili non è tanto «votate Obama», quanto «andate a votare» e fate votare le altre quanto più è possibile.

Tutte sanno, infatti, che la vittoria del candidato democratico del 2008 si deve anche a quello che viene chiamato il «divario di genere nel voto». In parole semplici: i votanti sono stati più donne che uomini. Le prime hanno raggiunto il 60% degli elettori con uno scarto in cifre assolute di dieci milioni di suffragi. 

La maggiore partecipazione femminile al voto in America ha una storia antica, data dal 1976, probabilmente dall’onda lunga del femminismo e dei movimenti per i diritti, ma in alcune occasioni il divario maschi/ femmine è stato davvero notevole, soprattutto nelle aree sociali dove si va di meno ai seggi: i più giovani, i più poveri, le minoranze etniche. Nel fatidico 2008 le ragazze fra i 18 e i 29 anni che hanno votato sono state il 55%, mentre i maschi il 47%. E, nella stessa fascia d’età, erano a favore di Obama per il 52%, contro il 38% dei maschi (www.civicyouth.org).

Naturalmente, perché lo scarto sia decisivo, occorre entusiasmo e convinzione. Le signore sposate delle aree suburbane hanno una partecipazione al voto più stabile e meno soggetta a fiammate e spegnimenti. Sono assai spesso repubblicane, organizzano la campagna per Mitt Romney, e, come dichiara una delle loro leader, possono buttarsi a capofitto nell’impegno perché benedette da mariti meravigliosi». 

E’ l’agenda politica che divide i due sessi. Più uomini pensano che fra i primi dieci punti ci debba essere la riduzione del debito pubblico e quella delle tasse; più donne (giovani in particolare) puntano sulla riforma sanitaria, il lavoro e la parità salariale (il famoso «Lilly Ledbetter Fair Pay Act» del 2009, che si deve al presidente), l’accesso all’aborto, alla contraccezione, al sostegno sociale verso i genitori di bambini piccoli, la riduzione delle guerre e degli armamenti.

Malgrado siano passati trentacinque anni dalla sentenza della Corte suprema «Roe versus Wade», che di fatto affidava l’interruzione di gravidanza alla libera scelta delle donne, questo rimane sempre un terreno controverso, come lo è la nostra legge 194 fin dal lontano 1978. E la destra americana è davvero capace di uscite pirotecniche in proposito. Il senatore del Missouri Todd Akin, nell’agosto scorso, ha addirittura parlato di «stupro legittimo», nemmeno in seguito al quale ha senso consentire l’aborto. Sarà la donna stessa, infatti, a rinserrare (magicamente?) il suo corpo e a impedire che la gravidanza prosegua. Mitt Romney non ha potuto fare a meno di riprenderlo e virare la campagna elettorale su toni più moderati.

Ma, a complicare il quadro, sta la riforma sanitaria: assai importante, sebbene parziale. Sandra Fluke, studentessa nata nel 1981, è diventata un simbolo nel febbraio scorso ed è una testimone di Obama. Sostenendo l’importanza della contraccezione gratuita, era incorsa nella furia di Rush Limbaugh, popolarissimo giornalista di destra. Lui l’aveva definita «prostituta in senso tecnico», cioè interessata a fare sesso pagata. In questo caso dallo Stato. Diversamente dalla nostra vicenda Alessandro Sallusti-Renato Farina – forse perché lì nessuno ha messo in discussione la libertà del giornalista –, è stato Limbaugh ad avere la peggio: ha perso inserzionisti pubblicitari e ha dovuto fronteggiare un’opinione pubblica sdegnata.

Nell’ultima ora, più pacato Romney, meno trascinante Obama, le attiviste non hanno nuovi sdegni fiammeggianti su cui far leva. Tuttavia la maternità come libera scelta, la contraccezione, la cura della prima infanzia, restano degli «evergreen» della cultura democratica. E forse peseranno anche questa volta.

da - http://lastampa.it/2012/11/05/cultura/opinioni/editoriali/il-peso-del-voto-femminile-svlVN8DW1z7qyK8QrmrJ9J/pagina.html
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!