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Autore Discussione: Guido OLIMPIO.  (Letto 5761 volte)
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« inserito:: Settembre 15, 2012, 11:16:35 am »

La rete dietro l'attacco di Bengasi

Armi, soldi dal Golfo e «consulenti» dall'estero: i camaleonti della Jihad

Rivoluzionari di giorno, filo-qaedisti di notte.

Il mondo arabo sta cadendo nel caos


WASHINGTON - Si camuffano. Solo pochi ostentano l'appartenenza a correnti salafite. Non dichiarano di essere jihadisti, preferiscono invece il più generico «rivoluzionari». Formazioni come Ansar Al Sharia fanno da ombrello a nuclei più sfuggenti (le Brigate Abdul Rahman) con intrecci che possono portare lontano o vicino. Ci sono quelli che hanno contatti con la rete qaedista internazionale ed altri - come è avvenuto in Iraq dopo la sconfitta di Saddam - che sono dei lealisti pentiti. Tra questi ex membri dei Comitati rivoluzionari. È su questa nebulosa che si concentra l'attenzione delle forze di sicurezza come degli 007. Infatti, ieri notte a Bengasi, sono scoppiati scontri tra la Brigata Folgore (governativa) e i militanti di Ansar dopo che quest'ultimi si sono rifiutati di consegnare il loro arsenale, un'importante risorsa per fare cassa.

Gli estremisti possono contare su diverse fonti di finanziamento. La prima è il traffico di armi. Il capoluogo della Cirenaica ha un mercato (nero) fiorente di fucili, granate, lanciarazzi rubati negli arsenali di Gheddafi. La polizia non è mai riuscita a stroncarlo. Anzi c'è chi dice che il governo abbia lasciato fare nella speranza di esaurire le scorte. Resta il fatto che le armi libiche sono state trovate - solo per citare alcuni Paesi - in Nigeria, Siria, Tunisia, Mali e Sinai. Quelli che hanno attaccato il consolato Usa non hanno usato le doppiette bensì camioncini con mitragliere antiaeree. E ne hanno a volontà, da vendere a chi ha il contante pronto. Disponibilità che si porta dietro un'altra conseguenza: i baratti di materiale bellico facilitano la collaborazione tra estremisti che agiscono sull'intero quadrante regionale.

Un'immagine dei locali devastati dell'ambasciata Usa a Bengasi (Afp)Un'immagine dei locali devastati dell'ambasciata Usa a Bengasi (Afp)
Il secondo canale sono le offerte di cittadini e la zakat, l'obolo versato da ogni buon musulmano. È il 2,5% del proprio guadagno annuale. Quando si fa la somma il denaro è molto. Anche perché - aggiungono fonti mediorientali - è integrata dall'aiuto proveniente dal Golfo Persico, con soldi inviati da istituzioni o di privati. Flussi non tracciabili e dunque è facile smentirli. Quindi ci sono gli stipendi. Molti salafiti hanno il doppio cappello. Di giorno sono miliziani «ufficiali», inquadrati in qualche unità. Di notte ridiventano estremisti. Quanto è avvenuto alla sede diplomatica americana di Bengasi ne è la prova. La difesa era affidata alla «Brigata 17 Febbraio» guidata da Ismail Sallabi, salafita e fratello di un imam importante vicino al Qatar. Ma la notte dell'attacco non ha fatto da scudo. Spiegazione: «Gli assalitori avevano una potenza di fuoco superiore alla nostra».

Grazie alla disponibilità di fondi e uomini, i salafiti hanno curato l'addestramento. Con alcune «basi» più strutturate e punti d'appoggio. Le prime, segnalano fonti locali, si troverebbero nella regione della Montagna Verde, vicino al confine egiziano (area di Tobruk), infine a Derna, da sempre cuore pulsante del jihadismo libico. Meno identificabili i «campi volanti». Li aprono dove capita solo per qualche ora. Una caserma dismessa, un parco pubblico possono trasformarsi rapidamente in un luogo dove allenarsi. E le milizie nate durante la lotta contro il dittatore diventano una perfetta copertura per chi vuole prepararsi senza essere disturbato. Questa comunità radicale rischia di diventare un terreno ideale per eventuali interferenze esterne. Facendo da schermo o interagendo con possibili elementi qaedisti. Sulla presenza dei «professionisti» sono girate molte informazioni. Lo stesso ambasciatore americano Chris Stevens le aveva raccolte. Riferivano di emissari arrivati dal Pakistan. Con l'apparizione di un misterioso islamista britannico identificato solo con delle sigle. Pellegrinaggi sulla via della Jihad seguito da altri due coordinatori. Quindi di collusione con «Al Qaeda nella terra del Maghreb islamico», la formazione nata in Algeria e poi estesasi nella regione sub-sahariana.

Tutti segnali accolti con prudenza e anche scetticismo. La Libia non è il Pakistan, ci si conosce, i clan fanno la conta. E la comparsa di stranieri non può restare inosservata per troppo tempo. Ma se dovesse instaurarsi un clima di violenza diffusa i qaedisti troverebbero sicuramente nuovi spazi. L'obiettivo è quello di creare un bacino dove si muovono salafiti, seguaci di Al Zawahiri, laici scontenti e re-islamizzati. Meccanismi non sempre studiati a tavolino. Le dinamiche mediorientali spesso si innescano con un gesto di violenza cieca, magari con obiettivi limitati. E solo in un secondo momento si tramutano in fratture dalle conseguenze incalcolabili.

Guido Olimpio

14 settembre 2012 | 8:37© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/esteri/12_settembre_14/armi-soldi-dal-golf-consulenti-stranieri-camaleonti-jihad-oolimpio_064d5ba8-fe30-11e1-82d3-7cd1971272b9.shtml
« Ultima modifica: Settembre 23, 2015, 09:51:29 am da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 06, 2014, 04:32:41 pm »

Israele ha raggiunto in parte gli obbiettivi, ma ha subito anche molti colpi dai miliziani
Tunnel, imboscate esplosive (e sviste) Missione incompiuta contro Hamas
L’esercito ha sottovalutato le nuove tattiche del «fantasma» Deif

Di Guido Olimpio

Si spara e si cerca di definire la «vittoria» con i risultati ottenuti. Israele è convinto di aver neutralizzato i tunnel «noti». Questione di 24 ore, è la promessa. Il premier Netanyahu è apparso in tv per rivendicare i successi. Fonti militari sostengono che Hamas avrebbe perso nei combattimenti oltre 800 miliziani. Consistenti anche la riduzione dei razzi: almeno un terzo dei circa 10 mila a disposizione non esistono più. Per questo sarebbe diminuito il lancio degli ordigni a medio raggio. Si è anche parlato di un’intercettazione dove Mohamed Deif, alias il fantasma, capo dell’ala militare, avrebbe segnalato difficoltà. Capiremo se è davvero così, spesso gli annunci di missione compiuta si sono rivelati prematuri. Certamente Hamas ha sofferto colpi pesanti ma è riuscita anche a darne, come dimostrano gli oltre 60 soldati israeliani uccisi. Un numero che sommato ad un’analisi preliminare dovrebbe indurre lo Stato maggiore a un profondo riesame. Senza dimenticare che, dopo ogni campagna, Hamas ha rimesso in piedi il suo apparato migliorandolo.
Intanto i tunnel. Non sono stati una sorpresa. Tutti ne erano consapevoli. Ma - come ha rivelato l’intelligence Usa - a Tel Aviv non si attendevano un reticolo così ampio: sofisticati, estesi per chilometri, costruiti in cemento, con biforcazioni e uscite multiple. Ora i generali ammettono: li abbiamo sottostimati nonostante già un rapporto del 2006 ne indicasse la pericolosità. Lo Shin Bet e l’Aman, il servizio segreto militare hanno fornito la «fotografia» precisa? Solo in parte. Eppure sapevano che Hamas aveva impiegato oltre mille minatori divisi in squadre da 8 a 16, con turni di otto ore ciascuno per realizzare gallerie in grado di arrivare in territorio israeliano. Con una di queste hanno raggiunto la postazione di Nahal Oz, dove hanno ucciso 5 soldati.

Quest’ultimo episodio farà discutere a lungo. Un video di Hamas lo ha documentato. I guerriglieri, travestiti da soldati, sono sbucati dalla derivazione di un tunnel la cui sezione principale era stata distrutta. O si pensava che lo fosse. I mujahedin si sono avvicinati ad un piccolo complesso dominato da una torretta. Nessuno li ha fermati. I militari di guardia si sono fatti sorprendere. Le immagini hanno mostrato come gli uomini di Hamas siano entrati da un cancello lasciato aperto ed abbiano fatto fuoco sul nemico che dormiva. Dal filmato si ricava il sospetto che la routine delle posizioni attorno a Gaza possa essere talvolta pericolosa: ti abitui, perdi la «sensibilità» e viene meno lo stato d’allerta. Sui media israeliani gli esperti hanno parlato di «problema di disciplina» unito ad una colpevole disattenzione. E’ però anche vero che proprio questo tipo di installazioni fisse sono il bersaglio preferito di formazioni di insorti. Gli israeliani lo hanno imparato a loro spese durante l’occupazione della fascia di sicurezza nel Libano sud, quando i loro bunker erano presi di mira dai missili Hezbollah.

Sempre nell’azione a Nahal Oz i miliziani hanno cercato di catturare un soldato. Questo introduce un punto chiave. In ogni guerra ci sono dei prigionieri. Ma Israele, dopo ripetuti scambi con i palestinesi, ha finito per dare un valore spropositato a questo tipo di perdita concedendo un grande vantaggio all’avversario. Per Hamas basta prenderne uno ed è già una vittoria. Comprensibile che non si voglia abbandonare nessuno sul campo di battaglia. Però è stato un errore - storico - accettare il baratto o quantomeno presentare la prigionia come un incubo da evitare ad ogni costo.

Dal singolo alle macchine. A Gaza l’Idf non può sfruttare in pieno la sua capacità di manovra e neppure la superiorità aerea. Proprio il predominio del cielo ha costretto Hamas a lavorare sottoterra sviluppando capacità non comuni. Mohamed Deif ha creato piccole unità - i Morabitun - che hanno osservato a lungo le direttrici d’attacco usate dagli israeliani in passato. E lungo queste rotte hanno piazzato ordigni letali, come i barili-bomba da 80 chili nascosti sotto il terreno. Almeno 15 soldati sono stati falciati da queste trappole. Altre imboscate «esplosive» sono state piazzate nelle abitazioni, minate dalle fondamenta fino al tetto, con variazioni che hanno stupito i pur allenati genieri. Situazioni emerse a Jenin nella seconda intifada e a Falluja, in Iraq. Anni di insurrezioni in tutto il Medio Oriente hanno permesso di sviluppare tecniche non sempre contemplate dai manuali degli eserciti.

Deif, figura ormai leggendaria, semiparalizzato, privo di un occhio e sfigurato dopo essere sfuggito a quattro attacchi, ha studiato a fondo. Imitando gli Hezbollah, i suoi Murabitun hanno impiegato razzi controcarro contro edifici occupati dagli israeliani. L’esercito è stato attirato nei centri abitati, dove Hamas ha lasciato uomini pronti a saltare fuori da altre gallerie. Sono stati loro ad attivare cariche, a sparare razzi, a tentare azioni suicide rendendo complessa l’avanzata. Scontri seguiti dai pesanti bombardamenti israeliani costati la vita a oltre 1600 civili palestinesi.

Le spie del fantasma hanno tenuto d’occhio le aree all’esterno di Gaza dove di solito gli israeliani concentrano le proprie forze. Quindi hanno passato le coordinate alle batterie di mortai. E diversi militari sono stati raggiunti dal tiro preciso. Era accaduto anche in Libano, nel 2006.

Storie dimenticate in fretta, anche perché non c’erano molte alternative. E’ stato il «teatro» a fissare le condizioni di un conflitto dove a pagare il costo più alto sono stati gli innocenti. Ma anche questa non è purtroppo una novità, almeno in Medio Oriente.

3 agosto 2014 | 10:42
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/14_agosto_03/tunnel-imboscate-esplosive-sviste-missione-incompiuta-contro-hamas-90ac2864-1adb-11e4-b652-72373bf3d98f.shtml
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 17, 2014, 05:09:15 pm »

Un invito alla compattezza jihadista
Resta la frattura Baghdadi-Zawahiri
Il comunicato congiunto dei quaedisti a sostegno dell’Isis punta a dare il segno di una lotta comune.
Ma non si supera la frattura tra il «califfo» e l’erede di Bin Laden

Di Guido Olimpio

WASHINGTON - Il comunicato congiunto dei qaedisti del Maghreb (Aqim) e di quelli che agiscono nella Penisola arabica (Aqap) è un segnale importante rivolto ai seguaci del movimento jihadista. Una dichiarazione pubblica in supporto ai mujaheddin dell’Isis ma anche un invito alla compattezza. Quattro gli elementi da sottolineare nel messaggio lanciato sul web.

Primo. Davanti alla pressione militare in Siria e in Iraq, gli estremisti che agiscono sugli altri fronti vogliono mostrare la loro solidarietà. E non è escluso che lancino operazioni nelle loro rispettive aree per dare il senso di una lotta comune. Segnali in questo senso sono già emersi nello Yemen.

Secondo. Le fazioni yemenita e nord africana sono preoccupate della frattura all’interno della resistenza siriana, temono che una parte degli insorti - spinta dai finanziatori del Golfo - si unisca alla coalizione internazionale.

Terzo. Altra preoccupazione riguarda i clan sunniti, oggi corteggiati dagli Usa per partecipare alla campagna anti Isis. I militanti sanno bene che l’intervento delle tribù al fianco degli Stati Uniti sarebbe uno smacco per il Califfo.

Quarto. Non sembra esserci una rottura con la «vecchia» al Qaeda, guidata da Ayman al Zawahiri.

Da tempo il movimento jihadista è scosso dal contrasto che oppone il leader dell’Isis Abu Bakr al Baghdadi, il Califfo appunto, e al Zawahiri. Il primo non riconosce più l’autorità del secondo. Un contrasto antico che oppone la dirigenza ai militanti iracheni, rimproverati anche da Osama per i loro attacchi indiscriminati che hanno coinvolto dei musulmani.

Il dissidio è poi proseguito in questi ultimi due anni. Diversi gruppi regionali minori hanno deciso di schierarsi con i «fratelli» siro-iracheni, altri si sono limitati a attestati di solidarietà senza però rinnegare la gerarchia tradizionale di al Qaeda. Capi locali - tra questi un paio di Aqim - hanno invece aderito al progetto lanciato da al Baghdadi. Autorevoli ideologici, come il giordano al Makdisi, hanno sconfessato apertamente al Baghdadi E’ comunque prevedibile che l’offensiva degli Usa spingerà i qaedisti a serrare i ranghi. Tutto, però, in una realtà fluida e mai stabile.

16 settembre 2014 | 16:10
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/14_settembre_16/invito-compattezza-jihadista-resta-frattura-baghdadi-zawahiri-709cc650-3da4-11e4-8a05-562db8d64ccf.shtml
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« Risposta #3 inserito:: Settembre 19, 2015, 11:05:28 am »

Stati Uniti
Isis, alla Casa Bianca fornite informazioni «manipolate»
Militari sotto accusa. Secondo il New York Times alcuni relazioni destinate a Washington sarebbero state cambiate per fornire un quadro più positivo

Di Guido Olimpio

WASHINGTON - Come va la guerra contro lo Stato Islamico? Dipende da chi redige i rapporti. Il New York Times ha confermato che alcune delle relazioni trasmesse dal Comando centrale alla Casa Bianca e al Congresso sarebbero stati cambiate per fornire un quadro positivo delle operazioni in corso. Una vicenda che era emersa qualche settimana fa e che ora ha trovato prime conferme nell’indagine svolta dal Pentagono.

I dubbi sulla missione
Diversi funzionari dell’intelligence avrebbero fornito agli inquirenti le prove delle presunte «manipolazioni»: documenti che dimostrano come alcuni alti ufficiali del Centcom - che dirige le operazioni dall’Iraq all’Afghanistan - abbiano enfatizzato i risultati della missione contro i jihadisti. In particolare alcuni report sui raid e sulle condizioni dell’esercito iracheno, presentato con valutazioni positive. L’inchiesta è comunque ancora alla fase iniziale, dunque sono possibili altre sorprese con code polemiche. Molti osservatori, in questi mesi, hanno sollevato dubbi sull’efficacia del contenimento deciso dal presidente Obama, sollecitando un maggior impegno con lo schieramento di unità terrestri e una cadenza maggiore delle incursioni aeree.

La rivolta delle «spie»
Il 9 settembre sul sito Daily Beast è comparso un articolo che raccontava come 50 agenti abbiano accusato, con dichiarazioni scritte, il Centcom di aver alterato le analisi sulle attività in Iraq e in Siria allo scopo di dimostrare che tutto andava bene. Un messaggio recepito e rilanciato dalla Casa Bianca che ha più volte sottolineato i successi nella lotta al Califfo. Evidenti le conseguenze: se l’attuale strategia affidata alle incursioni aeree funziona non c’è bisogno di altro. Di tutto questo si parlerà oggi al Senato dove è atteso per un’audizione il responsabile del Centcom, il generale Lloyd Austin. I congressisti avranno non poche domande da fare.

16 settembre 2015 (modifica il 16 settembre 2015 | 09:28)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_16/isis-casa-bianca-fornite-informazioni-manipolate-a9625df6-5c20-11e5-83f0-40cbe9ec401d.shtml
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 23, 2015, 09:51:10 am »

Siria
La base di Putin svelata dai satelliti
Presenza russa nel nord della Siria vicino alla roccaforte di Assad: lo confermano le immagini. Il Cremlino difende l’alleanza: «Senza di lui ancora più profughi»

Di Guido Olimpio

I russi allargano la loro presenza in Siria. Le foto satellitari segnalano l’attività sul terreno. Vladimir Putin in persona conferma l’assistenza umanitaria, tecnica e militare. E aggiunge che continuerà a farlo perché senza l’aiuto ad Assad ci sarebbero molti più profughi ed è impossibile battere il terrorismo. Anzi, invita l’Occidente a collaborare.

Le ultime informazioni aggiungono tasselli al mosaico russo nel Paese mediorientale. Il cuore è sempre la regione di Latakia, con l’aeroporto di Jableh. Le immagini riprese da un satellite e rilanciate dal sito «Foreign Policy» mostrano spazi per accogliere altre strutture, qualche piazzola per gli elicotteri, una via d’accesso in più. Ancora poco, dicono gli esperti, ma è solo l’inizio. Fonti Usa sostengono che Mosca ha schierato 200 fanti di marina, una mezza dozzina di tank T 90, 35 blindati, 15 pezzi d’artiglieria e sistemi antiaerei S-22. Molto materiale che è arrivato via nave - Latakia, Tartus - e con i grandi velivoli An 124 Condor. Almeno 15 i voli che hanno attraversato lo spazio iraniano e iracheno.
L’intelligence statunitense ritiene che entro poche settimane Mosca possa dispiegare 1.000-1.500 soldati, truppe che dovranno fare da scudo alla regione costiera, da sempre feudo degli alawiti. E’ dunque probabile che arriveranno gli equipaggiamenti necessari al contingente. Chi sta di guardia sul Bosforo fotografa il passaggio delle navi militari russe con le stive piene, il cosidetto Syria-Express. A seguire sono attesi gli aerei d’attacco: si è parlato di Mig e Sukhoi 24. L’obiettivo finale è la creazione di una base avanzata che dovrebbe dare una mano allo schieramento siriano e prevenire quelle incursioni israeliane che hanno distrutto in passato armamenti importanti.

Non è escluso che i russi possano spingersi più a est. Per il centro studi americano ISW vi sarebbero piccoli nuclei attorno a Slinfah, località che è la porta sul corridoio di Latakia e spesso attaccata dagli insorti, anche nelle scorse settimane. Indiscrezioni hanno poi svelato che diversi bus carichi di russi sono arrivati nella cittadina di Hama, elementi che si sono insediati nel club ippico, ora trasformato in caserma. I media siriani hanno invece parlato di un convoglio di aiuti per i civili. Il Cremlino vuole rafforzare l’amico Assad, cercare di fermare il declino del suo apparato e tentare di proporlo come il male minore, visione condivisa anche da qualche esponente europeo. L’ex negoziatore finlandese Martti Ahtisaari ha rivelato al Guardian che nel 2012 Mosca aveva offerto un piano che prevedeva negoziati con l’uscita di scena - ad un certo punto - del dittatore ma che gli occidentali avrebbero detto no in quanto sicuri che la fine del regime fosse prossima. Progetto che è riemerso di recente, tra mosse tattiche per dare tempo al raìs e intenzioni vere per trovare un compromesso. Quanto ad Assad ieri ha ribadito che, prima di qualsiasi soluzione politica, dobbiamo battere i terroristi. Che nel suo vocabolario del presidente vuole dire chiunque si opponga.

Magari tutto sarà al centro di un incontro, a breve, tra Russia e Usa all’Onu. Per ora non è previsto ma i russi non lo hanno escluso. Il portavoce della Casa Bianca ha commentato: «Quando il presidente stabilirà che sia nel nostro interesse avere una conversazione al riguardo con Putin, (Obama) prenderà il telefono e lo chiamerà».

@guidoolimpio
16 settembre 2015 (modifica il 16 settembre 2015 | 08:18)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_16/base-putin-svelata-satelliti-1f67cb54-5c39-11e5-83f0-40cbe9ec401d.shtml
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« Risposta #5 inserito:: Novembre 24, 2015, 06:36:41 pm »

Distrutte le altre armi? o la versione data dalle forze dell’ordine non È corretta?
Francia, il blitz dopo gli attentati e il mistero di quell’unica pistola
Rinvenuta solo una calibro 9 nell’appartamento di Saint Denis: eppure gli agenti che hanno preso parte al blitz hanno parlato di cinquemila colpi esplosi e di uno intenso conflitto a fuoco

Di Guido Olimpio

Senza cercare complotti o inseguire speculazioni, ma la domanda è legittima: i terroristi di Saint Denis hanno tenuto testa alla polizia con una sola pistola? Secondo le notizie trapelate sui media francesi gli investigatori hanno recuperato nell’appartamento solo una calibro 9. Non vi sarebbero tracce di Kalashnikov e munizioni di altro tipo. Sono andate distrutte a causa delle esplosioni? Per ora non c’è risposta precisa, anche se dopo così tanti giorni si doveva trovare qualcosa.

Cinquemila colpi esplosi
Le forze speciali, nella loro ricostruzione, hanno parlato di 5 mila colpi esplosi, hanno mostrato uno scudo segnato dalle pallottole, hanno raccontato che i militanti si erano protetti con una sorta di scudo mobile, una protezione definita «un sarcofago». Secondo la versione ufficiale gli agenti sono stati accolti da un tiro nutrito, tanto è vero che è stato ucciso anche uno dei loro cani, Diesel. La storia della pistola segue quella non meno confusa sulla fine di Hasna. Prima è stata presentata come una kamikaze, poi si è detto che è rimasta coinvolta dall’esplosione della carica attivata da un complice per ora non identificato.

Tre scenari
A questo punto restano tre scenari: 1) I fucili c’erano ma sono stati inceneriti dal blitz. 2) C’era solo la pistola e le autorità hanno fornito una versione non corretta. 3) La confusione è legata al caos del momento e alla situazione di grande tensione. O magari alla necessità di coprire aspetti investigativi. Speriamo che la polizia possa far chiarezza su un episodio importante.

23 novembre 2015 (modifica il 23 novembre 2015 | 23:03)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_novembre_23/francia-attentati-parigi-mistero-pistola-unica-26b7fbba-9229-11e5-98d3-3899a469cdf7.shtml
« Ultima modifica: Novembre 24, 2015, 06:40:52 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #6 inserito:: Novembre 24, 2015, 06:40:29 pm »

Gli Usa lanciano l’allerta globale su tutti i voli per il pericolo terrorismo
I terroristi continuano a pianificare attacchi terroristici in diverse regioni.
Il Dipartimento di Stato dirama una nota per i cittadini americani


Di Guido Olimpio

WASHINGTON - Allarme su allarme. Il Dipartimento di Stato americano che lancia un avviso globale sui rischi di attacchi. La percezione è l’insicurezza totale. Ma come nascono queste situazioni di emergenza? All’origine due fattori. Il primo è la possibile raccolta di informazioni su possibili gesti terroristici. Ossia l’intelligence e la sicurezza intercettano segnali preoccupanti, di solito si tratta del “chatter”, le “chiacchiere” tra militanti che parlano di fare questo o quello. Non sono minacce specifiche ma potenziali. In certe situazioni — come in Belgio — c’è invece un pericolo immediato. Il secondo fattore di allerta è legato all’ambiente esterno e al momento: tensioni in un certo paese, rivolte, situazioni suscettibili di provocare violenze e dunque di coinvolgere anche turisti o viaggiatori. Doveroso consigliare di stare lontani. Il problema è che il ripetersi degli allarmi è controproducente.

Primo. È impossibile per una società vivere in queste condizioni per un periodo prolungato. Ora c’è il focus su Parigi-Bruxelles ed è naturale che sia così, ma come pensare di rimanere in stato d’assedio permanente?

Secondo. A volte alcuni dei dati raccolti sono generici. Nella loro nota gli americani hanno inserito Isis, al Qaeda, Boko Haram come potenziali assalitori. Tutti. Fazioni che hanno l’aspirazione a colpire in modo costante. Può essere oggi, domani o tra sei settimane.

Terzo. È necessario rendere consapevole l’opinione pubblica senza rincorrere ogni minimo episodio, non va data alcuna pubblicità alla miriade di segnalazioni, spesso infondate. Se c’è un fatto concreto le autorità e i media informino i cittadini, negli altri casi andiamo oltre.

Quarto. Suggerire che certi monumenti, siti e aree pubbliche possano essere dei target è inutile. Il terrorismo è una bestia antica, sappiamo che cerca attenzione prendendo di mira dei simboli. Cosa serve ricordarlo a meno che non esistono informazioni concrete? E’ più pericolosa la pizzeria vicino al rudere o il bar nei pressi dello stadio? Questo per dire che molti di questi moniti fanno il solo il gioco dei criminali e non aggiungono un briciolo di sicurezza. Siamo consapevoli del momento, non serve altro.

24 novembre 2015 (modifica il 24 novembre 2015 | 14:16)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_novembre_24/gli-usa-lanciano-l-allerta-globale-tutti-voli-il-pericolo-terrorismo-ba9f8200-929f-11e5-b7a6-66411f67f00e.shtml
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« Risposta #7 inserito:: Dicembre 02, 2015, 07:41:21 pm »

La guerra diplomatica
La lunga storia dei traffici di petrolio tra l’Isis e la Turchia
È provato che anche il regime di Assad, attraverso intermediari, mantiene rapporti con lo Stato Islamico: i lealisti acquistano gas, petrolio, energia elettrica

Di Guido Olimpio

WASHINGTON - La risposta asimmetrica decisa da Mosca dopo l’abbattimento del suo cacciabombardiere da parte dei turchi si sta sviluppando su più livelli. Con mosse militari, economiche e propagandistiche favorite dall’atteggiamento ambiguo mantenuto da Ankara in questi anni. Erdogan è stato accusato anche dagli occidentali di far poco per fermare il flusso di jihadisti e di aver mostrato tolleranza verso il Califfo. La storia dei traffici di petrolio tra Isis e turchi è solo un tassello. Da tempo si conoscono certe vie del greggio e alcune arrivano proprio in Turchia. Non è una novità. È un affare che coinvolge dai singoli villaggi a organizzazioni strutturate. Il punto è che nella regione e nei paesi confinanti sono molti coloro che fanno soldi con questo contrabbando. Ed è provato che anche il regime di Assad, attraverso intermediari, mantiene rapporti con lo Stato Islamico: i lealisti acquistano gas, petrolio, energia elettrica. Quanto al fatto che la coalizione non colpisca le cisterne è un rilievo vero solo in parte.

Nelle ultime settimane Usa e Francia hanno distrutto centinaia di camion usati dal Califfo per esportare greggio (ci sono i video). In precedenza c’è stata una certa cautela in quanto il settore coinvolge non solo militanti ma anche ambienti non strettamente collegati ai jihadisti. Migliaia di persone vivono grazie a questo. L’altro aspetto riguarda l’azione militare dei russi contro i ribelli turcomanni attestati nel nord della Siria. Da giorni Sukhoi hanno preso di mira queste formazioni sponsorizzate e armate da Ankara: sono gli stessi insorti responsabili dell’uccisione di uno dei piloti abbattuti. E’ dunque una rappresaglia di Mosca ma con implicazioni più ampie poiché il Cremlino (con Assad) cerca di contrastare il progetto turco di creare una fascia di sicurezza nella regione di confine. Non è casuale che in queste ore ci siano scontri feroci tra i curdi YPG e fazioni ribelli a nord di Aleppo. I primi, nemici di Ankara, avrebbero goduto dell’appoggio dell’aviazione russa. Dunque è una partita a tutto campo che riserverà altre sorprese.

2 dicembre 2015 (modifica il 2 dicembre 2015 | 16:25)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_dicembre_02/mosca-accusa-turchia-erdogan-si-arricchisce-traffico-petrolio-isis-b99bf27e-9904-11e5-b97b-fc1ba153ceec.shtml
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« Risposta #8 inserito:: Dicembre 02, 2015, 07:47:59 pm »

Gli Usa lanciano l’allerta globale su tutti i voli per il pericolo terrorismo
I terroristi continuano a pianificare attacchi terroristici in diverse regioni.
Il Dipartimento di Stato dirama una nota per i cittadini americani


Di Guido Olimpio

WASHINGTON - Allarme su allarme. Il Dipartimento di Stato americano che lancia un avviso globale sui rischi di attacchi. La percezione è l’insicurezza totale. Ma come nascono queste situazioni di emergenza? All’origine due fattori. Il primo è la possibile raccolta di informazioni su possibili gesti terroristici. Ossia l’intelligence e la sicurezza intercettano segnali preoccupanti, di solito si tratta del “chatter”, le “chiacchiere” tra militanti che parlano di fare questo o quello. Non sono minacce specifiche ma potenziali. In certe situazioni — come in Belgio — c’è invece un pericolo immediato. Il secondo fattore di allerta è legato all’ambiente esterno e al momento: tensioni in un certo paese, rivolte, situazioni suscettibili di provocare violenze e dunque di coinvolgere anche turisti o viaggiatori. Doveroso consigliare di stare lontani. Il problema è che il ripetersi degli allarmi è controproducente.

Primo. È impossibile per una società vivere in queste condizioni per un periodo prolungato. Ora c’è il focus su Parigi-Bruxelles ed è naturale che sia così, ma come pensare di rimanere in stato d’assedio permanente?

Secondo. A volte alcuni dei dati raccolti sono generici. Nella loro nota gli americani hanno inserito Isis, al Qaeda, Boko Haram come potenziali assalitori. Tutti. Fazioni che hanno l’aspirazione a colpire in modo costante. Può essere oggi, domani o tra sei settimane.

Terzo. È necessario rendere consapevole l’opinione pubblica senza rincorrere ogni minimo episodio, non va data alcuna pubblicità alla miriade di segnalazioni, spesso infondate. Se c’è un fatto concreto le autorità e i media informino i cittadini, negli altri casi andiamo oltre.

Quarto. Suggerire che certi monumenti, siti e aree pubbliche possano essere dei target è inutile. Il terrorismo è una bestia antica, sappiamo che cerca attenzione prendendo di mira dei simboli. Cosa serve ricordarlo a meno che non esistono informazioni concrete? E’ più pericolosa la pizzeria vicino al rudere o il bar nei pressi dello stadio? Questo per dire che molti di questi moniti fanno il solo il gioco dei criminali e non aggiungono un briciolo di sicurezza. Siamo consapevoli del momento, non serve altro.

24 novembre 2015 (modifica il 24 novembre 2015 | 14:16)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_novembre_24/gli-usa-lanciano-l-allerta-globale-tutti-voli-il-pericolo-terrorismo-ba9f8200-929f-11e5-b7a6-66411f67f00e.shtml
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