12/9/2012
Andamento lento per l'Europa
MARCO ZATTERIN
L’andamento lento ha rivoluzionato il calendario europeo e forse la sua storia. Non è stata l’estate della resa dei conti, la Grecia non è uscita dall’Eurozona, non s’è avuto il tracollo minacciato dalla crisi bancaria spagnola e nemmeno il contagio che avrebbe dovuto contagiare e stendere l’Italia. Una sistematica revisione degli appuntamenti ha posticipato le decisioni di settimana in settimana, in modo non dissimile da come fece il console romano Fabio Massimo che, sapendo Annibale più forte, attese lungamente prima di attaccarlo. Stancò il nemico, temprò le legioni e vinse un esercito logorato, guadagnandosi il soprannome di Cunctator. Ovvero il Temporeggiatore.
L’Europa non è ancora a questo punto, la vittoria è possibile ma lontana. Ha le mani legate dalla congiuntura, una situazione sociale a rischio, e una frammentazione economica che i più ottimisti vedono finire l’anno prossimo. Eppure, almeno sinora, ha evitato il peggio, lasciando sbollire la rabbia dei mercati, appoggiandosi ala volontarismo istituzionale della Bce. Ha atteso. Ora c’è un clima di calma relativa su cui tentare di ricostruirsi.
La campagna elettorale greca, a metà giugno, ha evidenziato la necessità di chiedere una revisione delle condizioni, o almeno dei tempi, per il piano di salvataggio da 130 miliardi concesso da Ue e Fmi. Chiuse le urne, si è detto che la troika Ue-Fmi-Bce sarebbe partita «immediatamente» (il presidente della Commissione Barroso) per Atene per un check up su riforme e conti pubblici. La missione è decollata il 22 luglio, ha atteso l’insediamento del governo. «Possibile una riunione dei ministri Ue a cavallo fra agosto e settembre», aveva predetto il numero uno dell’Eurogruppo, Juncker. Niente. La troika è tornata in fretta e s’è impegnata a riprendere il dossier in settembre. Finirà il lavoro in ottobre, pare non in tempo per il summit dei leader del 18, che vedrà cosa fare del dossier ellenico in novembre. Tre mesi e mezzo oltre il previsto.
Senza fretta pure il salvataggio della banche spagnole. Il Consiglio Ue del 28 giugno ha stanziato «sino a 100 miliardi» per sanare gli istituti tracollati.
Trenta dovevano essere usati entro luglio per i più aggravati, gli altri sarebbero stati pagati in novembre, dopo la fine dei controlli del caso. Pochi giorni fa s’è deciso che le banche che stanno peggio saranno tenute in piedi con un prestito ponte locale. Senza intoppi, si va a dopo i Santi. Quando, ci si augura, sarà partito anche il salva-Stati permanente Esm, il quasi fondo monetario Ue, e tutto sarà più facile.
Detto che anche Draghi con i suoi annunci a tutto campo ha dato ossigeno all’Europa, ecco che per occuparsi di Grecia e Spagna si arriva a un passo dal Natale. Con aria soddisfatta, un pezzo grosso del Consiglio ha ammesso che il vertice informale dell’Eurogruppo che si apre venerdì a Nicosia «doveva decidere tutto e non deciderà nulla». L’andamento lento e temporeggiatore ha svuotato l’agenda e comprato tempo prezioso, soprattutto se lo si pesa alla luce dell’odierno supermercoledì dell’Unione. La Corte di Karlsruhe dovrebbe sdoganare l’Esm, dalle elezioni olandesi si attende un’affermazione pro Europa, la Commissione Ue pronuncia il suo discorso programmatico e vara l’attesa proposta per attribuire la supervisione bancaria esclusiva alla Bce.
Sono elementi su cui impostare nuovamente il cantiere di Bruxelles, condominio litigioso, simbolo dei «due passi avanti e uno indietro», maratoneta e mai centometrista. Funziona così, da sempre. Il cancelliere tedesco dell’unificazione, Helmut Kohl, paragonava il processo di integrazione al Danubio, che curva e si rigira come se non dovesse mai arrivare, invece ce la fa e regala vita al continente. Metafora ideale per questo 12 settembre che, se tutto andrà come previsto e ci sarà la volontà politica per valorizzarlo con impegni comuni e riforme nazionali, si candida a «data da ricordare». Per l’Unione e il progresso degli europei.
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