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Autore Discussione: Vito MANCUSO. Martini, un uomo di Dio  (Letto 3706 volte)
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« inserito:: Settembre 04, 2012, 04:56:37 pm »

Martini, un uomo di Dio
   
di Vito Mancuso, la Repubblica 1 Settembre 2012

Chi è stato Carlo Maria Martini? Si può rispondere dicendo un cardinale per lungo tempo papabile, l’arcivescovo per oltre vent’anni di una delle più grandi diocesi del mondo, il presidente per un decennio del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee.

Un biblista all’origine dell’edizione critica più accreditata a livello internazionale del Nuovo Testamento (The Greek New Testament), il rettore di due tra le più prestigiose istituzioni accademiche del mondo cattolico (Università Gregoriana e Istituto Biblico), un esperto predicatore di esercizi spirituali a ogni categoria di persone, un gesuita di quella gloriosa e discussa Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola, un autore con una bibliografia sterminata in diverse lingue, e altre cose ancora. Ma la risposta che coglie la peculiarità della sua persona si ottiene dicendo che fu un uomo di Dio. Il tratto essenziale della sua persona e del suo messaggio è tutto contenuto nel titolo del primo documento programmatico che egli indirizzò alla diocesi di Milano all’inizio del suo episcopato nel 1980: La dimensione contemplativa della vita. A questo obiettivo egli ha educato con i suoi insegnamenti, e ancor più con tutta la sua persona, con la voce, lo sguardo, il portamento. Accostare Martini significava infatti intravedere quanto di più alto può dimorare nel petto di un uomo, ovvero l’intelligenza che serve incondizionatamente il bene e la giustizia e che non cessa mai, neppure di fronte alle assurdità e alle tragedie del vivere, di nutrire una singolare speranza nel senso e nella direzione della vita. Se l’espressione “nobiltà dello spirito”, tanto cara a Meister Eckhart e a Thomas Mann, significa qualcosa, questo è il tentativo di descrivere l’esperienza suscitata dall’incontro con persone come Martini, profondamente uomini ma anche così diversi da ciò che è semplicemente umano, del tutto trasparenti ma non privi di silente mistero.

Martini è stato tra gli esponenti più significativi di ciò che viene solitamente definito cattolicesimo progressista, quell’ideale cioè di essere cristiani non contro, ma sempre e solo a favore della vita del mondo. In questo egli ha rappresentato uno dei frutti più belli del Concilio Vaticano II e di quella stagione che credeva nel rinnovamento della Chiesa in autentica fedeltà al Vangelo di Cristo, senza più nessun compromesso con il potere. Ora che egli è morto, quella stagione si allontana sempre di più e si fanno sempre più rare, nel mondo cattolico italiano, le voci profetiche. Ma proprio a proposito di profezia, è necessario sottolineare la sua libera autodeterminazione di affrontate la morte in modo del tutto naturale, senza sondini nasogastrici o altri apparecchi del genere messi a disposizione dalla tecnica, nella piena fiducia di chi sa che sta per entrare in quella dimensione eterna che la fede chiama “casa del Padre”.

Mi sia concesso infine un ricordo personale di colui che é stato il mio padre spirituale. Se io infatti iniziai a vivere seriamente la fede cristiana, fu prevalentemente a causa sua: in quanto vescovo della mia diocesi, egli faceva risplendere nella mia giovane mente di liceale l’ideale cristiano. Ciò che mi conquistò, fin dai suoi primi discorsi che leggevo o ascoltavo, fu il linguaggio. Prima ancora delle cose che diceva, ciò che catturava la mia giovane attenzione era il modo con cui le diceva, del tutto privo di retorica ecclesiastica ma al contempo così diverso rispetto al linguaggio quotidiano, un modo di parlare che sapeva far percepire un altro mondo senza essere “dell’altro mondo”. Le sue parole erano semplici ma severe, comprensibili ma profonde, elementari ma arcane, e soprattutto riferite sempre alle cose e alle situazioni, mai dette per se stesse, per far colpo sull’uditorio. Io ero poco più di un ragazzo e certamente allora non avrei saputo dire nulla delle caratteristiche del suo linguaggio, ma ne percepivo dentro di me l’autenticità esistenziale, avvertivo uno stile diverso, per nulla ecclesiastico ma non per questo privo di sacralità, anzi tale da farmi sentire che c’era veramente qualcosa di sacro nell’esistenza concreta degli uomini che andava servita con rettitudine, intelligenza e amore. E questo Carlo Maria Martini ha fatto, in fedeltà a Dio e agli uomini, per tutta la sua lunga vita.

(3 settembre 2012)

da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/martini-un-uomo-di-dio/
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 23, 2013, 12:13:12 pm »

L’infallibilità con scadenza
   
di Vito Mancuso, da Repubblica, 14 febbraio 2013


Ieri il portavoce della Sala Stampa vaticana, il gesuita padre Lombardi, ha dichiarato che dalla sera del 28 febbraio prossimo Joseph Ratzinger non sarà più infallibile. Ora, se è già difficile capire come un essere umano possa giungere a essere infallibile, forse ancor più difficile è comprendere come possa all'improvviso cessare di esserlo. È stato però lo stesso padre Lombardi a chiarire bene la questione.

E ha sottolineato che l’infallibilità “è connessa al ministero petrino, non alla persona che ha rinunciato al Pontificato”. L’attuale pontefice cioè è infallibile in quanto papa Benedetto XVI, perché, da papa, gode della particolare grazia legata al suo stato di Romano Pontefice, che la teologia chiama precisamente “grazia di stato”. Non è per nulla infallibile invece in quanto individuo di nome Joseph Ratzinger, il quale, da uomo come noi, può sbagliare nelle cose ordinarie della vita, per esempio nei giudizi sulle persone (e non penso ci possano essere dubbi sul fatto che su qualcuno dei collaboratori non abbia sempre visto giusto), nei giudizi po-litici, e persino in quelli biblici e teologici. Ratzinger era del tutto consapevole di tutto ciò, visto che scrisse nel suo primo volume su Gesù che “ognuno è libero di contraddirmi”, e che cosa spinge un papa a dire che ognuno è libero di contraddirlo (persino quando scrive su Gesù!), se non precisamente la consapevolezza della sua umana possibilità di sbagliare? Ma se le cose stanno così, in che cosa precisamente consiste l’infallibilità papale e da dove viene?

L’infallibilità che spetta al Romano pontefice è il penultimo dei dogmi dichiarati dalla Chiesa cattolica. Venne proclamato dal Concilio Vaticano I con la Costituzione dogmatica Pastor aeternus del 18 luglio 1870, in un’Europa che il giorno dopo avrebbe visto lo scoppio della Guerra franco-prussiana tra il Secondo Impero francese e il Regno di Prussia e in una Roma che quasi già preavvertiva l’arrivo delle truppe piemontesi pronte a dare l’assalto alla capitale dello Stato pontificio. Il papa regnante era Pio IX, che sei anni prima aveva pubblicato una vera e propria dichiarazione di guerra al mondo moderno, il famoso Sillabo ossia raccolta di errori proscritti. Ad essere assediata quindi, prima ancora che lo fosse la capitale dello Stato pontificio, era la mente cattolica, che assisteva all’inarrestabile processo che l’andava privando di quel primato morale e spirituale che deteneva da secoli. Si spiega così il desiderio di accentramento attorno alla figura del papa e del suo primato da cui scaturì il dogma dell’infallibilità pontificia. Esso dichiara che il Romano pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando definisce una dottrina in materia di fede e di morale, gode di infallibilità. E che per la fede cattolica non si tratti di un semplice optional, ci ha pensato il Vaticano I a renderlo chiaro: “Se poi qualcuno, Dio non voglia!, osasse contraddire questa nostra definizione: sia anatema”. Anatema, per chi non lo sapesse, è sinonimo di scomunica.

Dal 1870 a oggi il dogma dell’infallibilità è stato usato solo una volta, per la precisione da Pio XII nel 1950 quando proclamò il dogma dell’Assunzione in cielo della Beata Vergine Maria in corpo e anima. Ma nonostante l’uso parsimonioso, la questione dell’infallibilità divenne rovente lo stesso a causa del celebre teologo svizzero Hans Küng che, precisamente per aver criticato l’infallibilità pontificia con un libro che fece epoca dal titolo Infallibile? Una domanda (1970), venne privato da Giovanni Paolo II della qualifica di teologo cattolico.

È credibile oggi un dogma come quello dell’infallibilità papale? A mio avviso esso finisce piuttosto per allontanare dal sentimento religioso. Io penso infatti che per la coscienza sia la stessa nozione di infallibilità a risultare oggi improponibile, quando le stesse scienze esatte si dichiarano consapevoli di presentare dati sempre sottoposti a possibile revisione e come tali dichiarabili solo “non falsificati” e mai assolutamente veri. Viviamo in un’epoca in cui la stessa nozione teoretica di verità risulta poco credibile, tanto più se si tratta di verità assoluta, dogmatica, indiscutibile. Ratzinger lo sa bene, e non a caso da tempo accusa quest’epoca di “relativismo”, ma non è colpa di nessuno se le cose sono così, è lo spirito dei tempi che si muove e si manifesta nelle menti dopo un secolo qual è stato il ’900, e occorre prenderne atto se si vuole continuare a parlare al mondo di oggi.

Anche alla luce del fatto che un papa, Onorio I, venne dichiarato eretico dal concilio ecumenico Costantinopolitano III, Küng proponeva di sostituire a infallibilità il concetto di indefettibilità, intendendo dire con ciò che la questione sottesa all’infallibilità non riguarda la ragione teoretica, ma la volontà, “il cuore” come direbbe Pascal, ovvero che la Chiesa non verrà mai meno al compito bellissimo di essere fedele al suo Signore e al primato del bene e dell’amore che ne consegue. A me pare una proposta più attuale, più umile, più evangelica.

(14 febbraio 2013)

da - http://temi.repubblica.it/micromega-online/linfallibilita-con-scadenza/
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