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Autore Discussione: JASWANT SINGH. Si chiama Afghanistan l'incognita che può infiammare l'Asia  (Letto 1968 volte)
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« inserito:: Agosto 10, 2012, 09:22:24 am »

10/8/2012

Si chiama Afghanistan l'incognita che può infiammare l'Asia

JASWANT SINGH

La dirigenza pachistana si trova a capo di un Paese devastato da innumerevoli difficoltà. Il Pakistan sta sprofondando in un abisso sempre più buio fatto di sospetti reciproci, omicidi politici e terrorismo sfacciato. E la dirigenza militare e giudiziaria - attiva anche in politica - si è dimostrata fondamentalmente debole e inefficace e non riesce a risollevare il Paese da un’economia stagnante ed un sistema politico paralizzato.

Il mondo è allarmato principalmente dalla complessa realtà dei due movimenti talebani - uno ha sede in Afghanistan ed è controllato dal potente Consiglio dell’Intelligence «Inter-Services»; l’altro, in Pakistan, è invece attore di una guerriglia sempre più violenta contro il governo pachistano. Se, come promesso, entro il 2014 gli Stati Uniti e la Nato ritireranno tutte le truppe dall’Afghanistan, i talebani non solo potrebbero riacquistare il potere là, ma manderebbero anche definitivamente in rovina il Pakistan.

Per fortuna a inizio luglio i camion della Nato per il rifornimento militare in Afghanistan hanno ricominciato a transitare attraverso il passo di Khyber, in Pakistan, che era stato bloccato per sette mesi in seguito alla morte di soldati pachistani per mano di truppe Nato. Il Segretario di Stato americano Hillary Clinton con una certa prudenza ha dichiarato: «Il ministro degli Esteri pachistano Khar ed io abbiamo riconosciuto gli errori che hanno portato alla morte di soldati pachistani. Siamo dispiaciuti per le perdite subite dall’armata pachistana». Le sue dichiarazioni di impegno per prevenire un evento del genere in futuro sono bastate al governo pachistano per riaprire il confine e consentire il transito dei rifornimenti Nato verso l’Afghanistan.

Questo incidente è ormai superato, ma è davvero possibile che le due parti in causa riescano in futuro a prevenire un peggioramento nei loro rapporti diplomatici? Una soluzione alla relazione di dipendenza reciproca con gli Stati Uniti e la Nato sarebbe molto importante per il Pakistan, la cui ricerca di un’identità nazionale e di una sicurezza territoriale si radica in una paura folle dei vicini. Michael Krepon del Centro Stimson, un gruppo di esperti sulla politica estera americana, osserva che le strategie ufficiali pachistane sostengono «l’isolamento e il declino» del Paese. Ma anche le tattiche americane non fanno che accentuare «la lontananza degli Stati Uniti dal Pakistan. Finché si porteranno avanti le politiche attuali, sorgeranno inevitabilmente nuovi motivi di scontro tra il Pakistan, i suoi vicini e gli Stati Uniti».

Il grande dubbio nell’Asia meridionale è se il ritiro delle truppe americane/Nato attenuerà o ingigantirà i problemi del Pakistan. Molto dipenderà da come i pachistani risolveranno i conflitti interni, e da come si evolverà la situazione in Afghanistan. Molti pachistani, tra cui Sartaz Aziz, ex ministro degli Esteri, non sono ottimisti.

L’assenza di una leadership efficace è però solo parte di un problema che affonda le sue radici nella storia del Paese. Come sostiene il giornalista pachistano Mir Mohammad Ali Talpur, «quando gli Stati sono stati formati su una base artificiale di nazionalismo forzato o di principi religiosi, come è stato per Pakistan, Israele e Jugoslavia, si evolvono inevitabilmente in Stati dominati dall’ideologia militare». Oltretutto, «il Pakistan si è scavato la fossa da solo quando ha affermato di essere l’erede della gloria dell’Islam, un bagaglio storico piuttosto pesante».

Poteva forse fare altrimenti? L’élite pachistana, continua Ali Talpur, «ha aderito ad un’ideologia statalista e militarista», e così «si è autoproclamata difensore dell’Islam» e «anche i fuorilegge della storia islamica» sono diventati eroi, in un’illusione di invincibilità e grandiosità che non è «in alcun modo in accordo con la realtà».

A fronte di questa situazione politica, i governi americani hanno reagito peggiorando le difficoltà dell’Asia meridionale e perseguendo i propri interessi nazionali, danneggiando la crescita naturale e omogenea dei Paesi della regione. Senza un’azione coordinata di Russia, Cina, India, Pakistan, Afghanistan e Iran, non si potranno trovare soluzioni a lungo termine; di sicuro non possono essere imposte unilateralmente da Stati Uniti e Nato.

A questo punto però sorge un problema: la presenza delle forze Usa e Nato in Afghanistan non favorisce lo slancio naturale e l’equilibrio della regione. Dopo tutto, l’Afghanistan può solo rimanere nella situazione in cui è, che le truppe americane siano sul territorio o no. Questa è anche la ragione per cui il futuro afghano rimarrà motivo di grande preoccupazione per il Pakistan (e per l’India). Come possono questi Paesi mettere d’accordo i loro interessi con quelli delle potenze occidentali?

Secondo Kamran Shafi, un ufficiale in pensione dell’armata pachistana, il suo Paese «ha perso la fiducia di molti alleati, se non tutti». In effetti, anche l’Arabia Saudita, una «sorella» per il Pakistan, ha estradato in India l’uomo pachistano accusato dagli indiani di essere una delle menti dei terribili attacchi terroristici di Mumbai nel novembre 2008. Promuovendo il terrorismo e usandolo come strumento politico, il Pakistan non dimostra nessuna intenzione di riguadagnare quella fiducia, senza la quale è irrealizzabile la pace, che manca nell’Asia meridionale dalla spartizione dell’India Britannica nel 1947.

L’Asia meridionale ora sembra condannata a una guerra lunga cento anni. Ma, a differenza della Guerra dei cent’anni europea, su questo conflitto aleggia lo spettro di una potenziale distruzione reciproca sicura. E con i potenti arsenali nucleari di Pakistan e India, questa guerra si potrebbe concludere davvero in fretta.


Jaswant Singh, ex ministro delle Finanze, ministro degli Esteri e ministro della Difesa indiano, è l’autore di Jinnah: India - Spartizione - Indipendenza Copyright: Project Syndicate, 2012.

Traduzione a cura di Clara Colombatto

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10417
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