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Autore Discussione: MONI OVADIA.  (Letto 11870 volte)
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« inserito:: Settembre 23, 2007, 04:17:42 pm »

Bandiera rossa riderà. Con Moni

Maria Grazia Gregori


Sta per andare in scena l’utopia. Anzi La bella utopia come dice il titolo dello spettacolo. Un’utopia come la nascita del comunismo e la rivoluzione bolscevica: un grande sogno ma anche persecuzioni, sangue, gulag. Parola obsoleta, oggi, quella di utopia. Parola di cui sembrano essersi perse le tracce, che evoca inquietudine, smarrimento ma anche speranza. Questa utopia comunista trova il suo narratore in Moni Ovadia (in scena al Teatro Strehler di Milano da mercoledì 26) che la definisce «il più grande ideale di liberazione mai partorito dalla mente umana senza ricorrere alla fede, alla religione, a qualsiasi forma di credenza». A questa utopia Ovadia ha dedicato un libro pubblicato da Einaudi Lavoratori di tutto il mondo, ridete, che ha ispirato questo spettacolo (di cui è sottotitolo ideale) dove rivoluzione, ideali, tragedia, satira, risate, sgomento, dolore sono mescolati insieme.

Proprio in un momento in cui la parola, anzi l’idea stessa di utopia è guardata con sospetto, tu realizzi uno spettacolo che pone al suo centro non tanto un’utopia astratta quanto un’utopia che per molti è stata reale come quella rappresentata dal comunismo e dalla rivoluzione russa. Una provocazione?
«È proprio perché si ha quasi vergogna a pensare a questa parola che ho voluto fare questo spettacolo. Perché se non esiste l’utopia si è solo dei servi. Certo bisogna guardare criticamente a questa idea di utopia proprio come scrive Claudio Magris in un libro bellissimo Utopia e disincanto. La storia del comunismo non è stata solo una storia di orrori come sostiene un certo revisionismo di stampo televisivo. È stata anche una storia di uomini, di sacrifici, di sangue, di ideali. Un’utopia a due facce e il disincanto con cui guardare a questa utopia è quello dell’umorismo che ci permette di prevenire la violenza. Come dico sempre: coniugare Karl Marx con Groucho Marx. Del resto Marx, che per me è uno dei più grandi uomini che abbiano calpestato la terra, era un fine umorista. Ci raccontano che quando ormai viveva appartato, chi andava a trovarlo poteva sentirsi dire a bruciapelo una delle sue fulminanti, celebri battute “se devo dire la verità forse non sono tanto marxista”».

Insomma tu dici che la rivoluzione russa, il comunismo, hanno avuto una doppia personalità, che sono stati - per così dire - schizofrenici…
«In un certo senso… Il comunismo è stato Stalin ma anche Majakovskij e Mejerchol’d, il maestro teatrale di noi tutti. Ma Stalin che era un uomo e non un dio, è stato condannato da Kruschev prima a porte chiuse e poi pubblicamente. E anche da noi il comunismo ha avuto persone, a partire da Gramsci, che hanno onorato e onorano il nostro paese… In questo mio spettacolo come nel mio libro voglio riprendere il filo di questa utopia con quel disincanto di cui dicevo prima. Lo faccio come so fare io, con lo sguardo urticante dell’umorismo ebraico ma anche con la consapevolezza che se fossi vissuto a quei tempi sicuramente sarei stato fucilato. Lo faccio attraverso un personaggio, l’ebreo Rabinovic, ironico, beffardo ma…»

Ma… si potrebbe obiettare che il capitalismo in fin dei conti ha vinto.
«Sia chiaro non ho nessun rimpianto per quel sistema, al contrario di quanto pensa Galli Della Loggia che mi ha attaccato più volte sul Corriere, ma rimpiango i molti uomini eroici che ci sono stati. So che la bandiera rossa, come dice il grande poeta Evtušenko, è stata allo stesso tempo sorella e assassina. Ma dovrei forse dare come modello ai giovani uno come Corona? Quei giovani che non leggono più Marx, che, come scriveva Furio Colombo su l’Unità, sono pronti per offrire un lavoro a costo zero? Dovremmo dire anche noi che "Life is now" come sostiene uno slogan pubblicitario? No, "life is yesterday, today and tomorrow". E poi mi chiedo: siamo sicuri che il capitalismo ha voluto dire libertà e non piuttosto una nuova schiavitù, magari più dorata?»

Che cosa ti proponi con questo spettacolo?
«Vorrei dare un piccolo contributo, uno sguardo di pietas umana a questa grande e tragica vicenda che è stata il comunismo. Che la differenza tra chi è stato comunista e chi è stato nazifascista è che fra i comunisti ci sono stati dei personaggi straordinari, fra i nazifascisti no. Vorrei anche rivolgermi agli "apostati": che lo dicano che sono stati comunisti, non è una vergogna. E al Partito Democratico che sta per nascere: se non saprà riscaldare i cuori rischierà di essere la caricatura di un partito moderato, formato dai "carini" di sinistra. Perché l’utopia non solo è possibile ma necessaria. Si chiedeva Gedali, protagonista dell’Armata a cavallo di Babel’: "Dov’è la dolce rivoluzione?". E si rispondeva: "Vogliamo un’Internazionale di brava gente". Anche noi ne abbiamo bisogno».

Come dirai tutto questo nel tuo spettacolo?
«Lee Colbert, la mia orchestra, Maxim Shamkov e io lo diremo cantando, raccontando storie, mentre alle nostre spalle passeranno immagini di archivio, e sulla scena ci saranno disseminati i resti dell’iconografia sovietica di quegli anni a cura di Elisa Savi, che è anche costumista».

Una riflessione per chiudere?
«Due fra quelle che ho posto all’inizio del mio libro e che mi sembrano particolarmente in sintonia con lo spettacolo. La prima è una storiella ebraica: "se lo zar avesse potuto vedere i Gulag avrebbe visto coronato il suo sogno: lager pieni di ebrei e comunisti"; la seconda la dice Trockij: "sono certamente le vittime a far progredire l’umanità". Muoiono le ideologie ma non le utopie, le idee».

Pubblicato il: 23.09.07
Modificato il: 23.09.07 alle ore 13.07   
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 04, 2009, 10:13:38 am »

L'inutile logica delle armi

di Moni Ovadia


Bizzarra tragica guerra, questa fra Israele e Hamas. La sproporzione dei mezzi rende questo conflitto atrocemente sghembo.
Un esercito fra i più potenti del mondo, esercito di un Paese avanzato, scatena un uragano di bombe e missili su un territorio popolato prevalentemente da povera gente - 50% bambini e fanciulli - devastandone case edifici e mietendo centinaia di vite. Scopo della tempesta di fuoco costringere alla resa la dirigenza politica del nemico, peraltro democraticamente eletta.

Simmetricamente Hamas non riuscendo ad esprimersi con la politica sceglie lo stillicidio del lancio di missili rudimentali o obsoleti i quali, anche se raramente centrano il bersaglio, quando ci riescono fanno danni e talora morti.

Se ci fermiamo al quadro attuale c’è poco di utile che si possa dire, il linguaggio delle armi è ottuso. Pertanto è meglio gettare lo sguardo oltre questo orizzonte asfittico. Israele che cosa domanda? Il riconoscimento del proprio diritto all’esistenza, messo in discussione o addirittura negato da molti Paesi arabi e islamici, e piena sicurezza per i suoi cittadini. Questa è ovviamente una condizione non negoziabile. Finora i governi israeliani l’hanno garantita sostanzialmente per mezzo della loro soverchia forza militare. Le trattative quando hanno avuto luogo, in particolare quelle con i palestinesi, o non sono andate a fondo o sono state trattative di facciata.
La domanda da porre è: la politica israeliana ha una seria alternativa da proprorre alla deterrenza delle armi? In caso affermativo perché non elabora un prorio piano credibile sulla base delle risoluzioni 338 e 242 dell’Onu invece di affidarsi a dichiarazioni sospette di disponibilità a grandi sacrifici? Il piano del principe saudita Abdallah potrebbe essere un’ottima fonte di ispirazione.


03 gennaio 2009
da unita.it
« Ultima modifica: Febbraio 16, 2009, 11:24:37 am da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 12, 2009, 01:13:56 am »

Rischio pacificazione senza pace

di Moni Ovadia


L'orrore che viene dalla "terrasanta" ha il corpo tecnologico di armi micidiali, ci pietrifica, ci carica di colpa, ci ferisce con l'insulto dei corpicini inerti, con la brutalità degli occhi terrorizzati di un infanzia la cui vita è sospesa, ma ha anche il volto di un missile di "scarsa" efficienza che demolisce un ospizio per vecchi. La litania della violenza non deve tuttavia paralizzare la nostra capacità di pensare in termini politici. Se ciò accadesse la deriva dell'odio e della morte sarebbe inarrestabile. Le responsabilità del tragico status quo non sono univoche, ci sono responsabilità dei paesi arabi, di parte della dirigenza palestinese, ma è mia persuasione che il bandolo della matassa stia nella classe politica israeliana che governa da quasi tre lustri.

Da che Rabin è stato assassinato, nessun politico israeliano al potere ha creduto nella soluzione dei due stati sovrani sulla base delle risoluzioni dell'Onu. Tutti i leader, ciascuno a suo modo, hanno optato per il mantenimento dello status quo, con lo strumento della deterrenza militare al fine di logorare ogni prospettiva di soluzione definitiva. La propaganda ha sempre cercato il colpevole nell'altro campo. Prima era Arafat, adesso è Hamas.
Sharon ha abilmente preparato il piano per disgregare ogni possibilità di uno stato palestinese sovrano. Il ritiro unilaterale da Gaza non concordato con Abu Mazen ha umiliato il presidente dell'Autorità e gli ha fatto prdere le elezioni.

La riduzione di Gaza ad una prigione a cielo aperto ha rinforzato Hamas e spaccato la sociertà palestinese già in gravissime difficoltà. Ho l'impressione che questi politici israeliani miopi mirino alla "two Bantustan solution": uno in Cisgiordania federato con la Giordania e uno a Gaza sotto tutela egiziana. Ovvero una pacificazione senza pace.


10 gennaio 2009
da unita.it
« Ultima modifica: Gennaio 20, 2009, 09:19:50 am da Admin » Registrato
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 20, 2009, 09:20:21 am »

Berlusconi? Un'altra figuraccia

di Moni Ovadia


Ho scritto già diverse volte che una differenza sostanziale fra il far ridere e il saper far ridere.
Berlusconi fa molto ridere, ma non ha la più pallida idea di come si sappia far ridere. Noi non parliamo del risus che abundat in ore stultorum, parliamo del ridere vertiginoso che fonda un’identità rischiosa come per esempio quella ebraica del deserto o della diaspora bimillenaria.
Solo una profonda cognizione del dolore permette di ridere sull’orlo della propria tomba e sull’orlo dell’abisso del male assoluto.

Berlusconi è un uomo che ha dedicato la vita alla narcisistica  glorificazione della propria mediocrità, che produce fiumi di danaro senza scrupoli morali. Che cosa può capire di lager, di persecuzioni e di umorismo urticante che ci fa accedere alla filosofia del paradosso. E' meglio che si limiti a raccontare storielle su tette e chiappe che sono la sua grande specialità.

Eviterà cosi di fare figure miserabili che feriscono e rendono volgare ciò che dovrebbe essere sacro.
Lui e il più grande comico involontario che questo paese abbia avuto nella sua storia repubblicana.

Quando lui racconta le sue storielle goffe, c’è una folla intorno a lui che ride, ma questa e solo l’apparenza perchè quello non è un ridere autentico, è un atto di miserabile servilismo. Personalmente in quanto educato all’umorismo ebraico che sgorga da un sapere altissimo e profondo, preferisco non dare sentenze senza appello per un uomo.

C’è sempre tempo e modo di capire, quindi se il nostro presidente del consiglio vuole crescere in quest’arte, frequenti i teatri dove ci sono grandi affabulatori e narratori. Una cura intensiva di Dario Fo nei suoi momenti migliori potrebbe compiere il miracolo.

Se intendesse seguire il modesto consiglio di un saltimbanco quale sono io, assista a quegli spettacoli con un sapiente travestimento. Non riconosciuto, senza guardie del corpo e senza folle plaudenti, finalmente troverà in se, quell’uomo fragile che è la parte migliore di noi tutti e persino la sua parte migliore.


19 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 20, 2009, 09:21:11 am »

La bolla rosa di Silvio

di Silvia Ballestra


Che bello - e che piccolo - il mondo a misura di Silvio Berlusconi!
Se Obama non vuole rinunciare al suo Blackberry perché vuole restare in contatto con l'americano vero e la vita vera ("Non voglio vivere in una bolla"), Silvio non riesce a uscire dalla sua, di bolla, rosa e profumata d'un suo minuscolo mondo ridanciano e rassicurante. Ah, se davvero la vita fosse così semplice come nelle istantanee di Silvio! Il Brasile? Quando Lula viene in visita in Italia, Berlusconi gli fa trovare i calciatori brasiliani del Milan (sarà per questo poi che non ci rendono Battisti? Perché tanto ci considerano dei deficienti?).

Non dissimile il siparietto con Chavez e la modella venezuelana (si sa che quel paese è un grande produttore di gnocca). Per non parlare di Obama, il presidente abbronzato.

Per non dire della agghiacciante barzelletta sui lager nazisti raccontata ancora l'altro ieri: l'ambasciatore israeliano Gideon Meir, critico televisivo così solerte, scriverà una lettera di protesta? Probabilmente no, perché Silvio ha raccontato anche l'altra di storiella: quella sui palestinesi che usano i bambini come scudi umani, barzelletta che agli israeliani in questo momento piace assai (salvo scoprire che tre sorelline muoiono bombardate in diretta durante una telefonata del papà medico palestinese con una tv israeliana: scudi umani pure quelli?).

Che mondo facile sarebbe se tutto fosse a misura di Silvio! Brasile: calcio e samba. Venezuela: belle ragazze. Medio Oriente: barzellette varie.

Cecenia e giornalisti uccisi in Russia: colbacco e gesto del mitra.

Niente complessità e niente conflitto, una risata e passa tutto, guerre e crisi economiche, per l'uomo che non deve chiedere mai, felice nella sua bolla.
Che per disgrazia - che noia e che spavento - è anche la nostra.




19 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #5 inserito:: Gennaio 31, 2009, 06:21:58 pm »

Perchè negano la Shoah

di Moni Ovadia


Esponenti dei cattolici scismatici del cardinale Lefevre hanno abbracciato la fede negazionista. I moderati delle loro file invece di chiedere scusa alle vittime della shoah, hanno chiesto scusa al Benedetto XVI per aver disturbato il manovratore nel suo caritatevole tentativo della quadratura del cerchio: riaccogliere nel seno di Santa Madre Chiesa nemici giurati del Concilio Vaticano Secondo senza pretenderne il pentimento, essere amico degli ebrei continuando a considerarli il popolo che persevera nell’errore del rifiuto di Cristo e affermare la via cattolica come unica verità possibile.

Da più parti si grida allo scandalo: perché? In fondo le uscite negazioniste dei lefebvriani più onesti sono una manifestazione di coerenza. Il papa che li ha espulsi dal seno della Chiesa, Giovanni Paolo II, affermò con forza che Auschwitz è il Golgota della nostra era. Ora, così come duemila anni prima sulla croce salì un ebreo, duemila anni dopo sulla «stessa» croce è salito il popolo ebraico con più di un milione di bambini. Su quella croce vi sono saliti anche Rom e Sinti, antifascisti, menomati, omosessuali, slavi, testimoni di Geova, vagabondi, prostitute, ambulanti e delinquenti comuni. Vi salirono anche cattolici e cristiani, ma non in quanto tali, solo in quanto oppositori.

I carnefici nella stragrande maggioranza avevano ricevuto educazione cattolica o cristiana. Questo fatto innegabile rappresenta un buco nero nel processo plurisecolare di evangelizzazione dell’occidente e segnatamente dell’Europa delle radici cristiane. Wojtyla lo aveva capito, anche i lefebvriani lo sanno: per riaffermare senza ambiguità il «nulla salus extra Ecclesia», bisogna azzerare il significato della Shoah, ovvero negarla con qualche artificio dialettico. La palla passa nel campo di Benedetto XVI: o i lefebvriani o gli ebrei, tertium non datur.


31 gennaio 2009
da unita.it
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« Risposta #6 inserito:: Febbraio 15, 2009, 12:15:45 am »

Moni Ovadia


La pace si fa mito


La pace fra israeliani e palestinesi non è mai stata così lontana. Questo è il dato che emerge dalle ultime elezioni israeliane.

Qualcuno in circostanze così disperanti potrebbe essere tentato di aggrapparsi scaramanticamente all’idea che il momento più oscuro è quello che precede l’alba e che un miracolo è sempre possibile, ovvero che un governo pesantemente orientato a destra potrebbe far digerire al paese un accordo coi palestinesi impossibile per una leadership di centro-sinistra. Ritengo che una simile eventualità non sia più neppure un sogno ma un mito come quello dell’araba fenice.

Il leader del Likud Bibi Nethanyau ha escluso, senza subordinarlo ad alcuna condizione, ogni pur minimo spostamento dello status quo  e, con l’inevitabile appoggio del partito razzista di Liberman, avrebbe facile gioco nell’imporre come condizione non negoziabile ad un governo di unità nazionale con Tzippi Livni, il rifiuto di ogni concessione territoriale. L’opposizione, allo stato delle cose, è inesistente grazie al vergognoso  comportamento di Ehud Barack e di tutti i dirigenti del Mapai che non hanno saputo trovare niente di meglio che misurarsi in una gara muscolare con il centro e la destra per contendersi con loro il palio del peggiore in campo mettendo in vendita l’anima per un pugno di inutili voti. La sinistra pacifista israeliana, pur con le migliori e più nobili intenzioni non ha voce se non per i suoi militanti, ma ha tempo per riflettere sul proprio futuro. A questo punto la palla passa nel campo della comunità internazionale.

Sapranno, Usa, Onu, UE e gli altri attori della governance mondiale rifiutare le aperte dichiarazioni di illegalità del primo ministro in pectore dello stato d’Israele e condannarla senza mezzi termini come inacettabile per una democrazia o continueranno a raggirare con atroce ipocrisia il sempre più abbandonato popolo palestinese.

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #7 inserito:: Febbraio 21, 2009, 06:30:23 pm »

Un obiettivo chiaro

di Moni Ovadia


Il tracollo del Pd alle elezioni sarde è un argomento dal quale avrei voluto volentieri esimermi di parlare perché per affrontarlo mi tocca essere perentorio e schematico, attitudine che per formazione mi mette in serio imbarazzo, ma oggi sento il dovere, come cittadino di questo Paese, di fare una riflessione semplice e ferma per dare un contributo pur piccolo che sia al fine di uscire dal pantano in cui l‘’intera opposizione rischia di precipitare. Ho creduto con sincera partecipazione che il Pd fosse un progetto dotato della potenzialità per inaugurare una nuova era nella politica italiana e ne ho preso le distanze non perché volessi abbandonare la barca quando cominciava a fare acqua, ma per non essere complice di una deriva avviata a monte dell‘’agire politico.

Il comportamento ondivago e fondato sulla "ideologia" dell‘’ essere gentili e dialoganti. Con chi? Con il politico più estremista, autoreferenziale, intollerante, demagogo e calunniatore di tutta la storia repubblicana. Con lui e con il movimento di suoi cortigiani, dipendenti e clientes che chiamano "Partito delle libertà". Quali? Quella di distruggere la Costituzione? Quella di varare leggi razziste? O quella di negare il ruolo dell‘’opposizione chiedendole di approvare lo scempio? Quando governava Prodi loro cosa facevano? Quello che suggeriscono agli altri?

Col cavolo! Facevano i picconatori e i demolitori. Prendiamo esempio. "Etologicamente" parlando, il sentimento primario nei confronti del berlusconismo è: o entusiasmo o ripulsa totale. Le posizioni terze sono di marginalità nel paese, soprattutto nell‘’elettorato popolare. C‘’è un solo modo per rimettere in moto l‘’energia e il tono dell‘’opposizione: avere un obiettivo chiaro, fare uscire l‘’Italia dall‘’orgia del potere della palude berlusconiana e mettersi al lavoro per tutto il tempo necessario a conseguire la meta.

21 febbraio 2009
da unita.it
« Ultima modifica: Febbraio 24, 2009, 11:38:32 am da Admin » Registrato
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« Risposta #8 inserito:: Marzo 21, 2009, 06:07:20 pm »

Indecenza al governo

di Moni Ovadia

Il sussulto di dignità dei 170 del Pdl ha dato prova del fatto che l'Italia detiene il primato del peggior governo in carica del mondo avanzato. La singolare e contraddittoria intervista di Mario Vargas Llosa al Corsera con le sue bizzarre definizioni-ossimoro (caudillo democratico) su Berlusconi, a mio parere, non fa che confermarlo a dispetto delle sue stesse opinioni .

Ronde, sitema di delazione xenofobo, impronte digitali della discriminazione razzista, numerus clausus per gli studenti extracomunitari, demolizione della scuola pubblica, minacce da banana republic agli studenti democratici, il tutto condito da giri di valzer con i rigurgiti fognari della cosiddetta cultura di destra, ovvero fascisti, nazistoidi e nazisti.

Serve altro per dare la pagella di "laboratorio del peggio" al governo di Berlusconi senza, per amor del cielo, demonizzarlo? Queste porcherie sono bene o male rubricate nella stampa nazionale, ma è scorrendo la stampa di provincia che si viene a conoscenza del sistema di vessazioni di stampo nazi-fascista ormai istituzionalizzate e di routine contro rom e sinti.

L'Arena di Verona del 6 marzo ha riportato un manifesto dell’Anac (Associazione degli Antropologi Culturali) dal titolo "La civiltà violata" - stilato a seguito di immotivate irruzioni della polizia nelle abitazioni di cittadini italiani rom e sinti, nelle province di Padova, Treviso e Verona, a scopo di schedature arbitrarie - per denunciare: "il ripiegamento autoritario e razzista che mina le basi della coesistenza dal punto di vista antropologico… assistiamo ad un imbarbarimento crescente della produzione legislativa orientata sempre più ad una prassi di violenza fisica quindi anche simbolica contro gli stranieri, i "diversi", i socialmente deboli, le libertà individuali". Con le stesse sinistre modalità cominciarono i nazisti ed i fascisti.  Non lo dimentichiamo mai!

21 marzo 2009
da unita.it
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« Risposta #9 inserito:: Marzo 28, 2009, 04:00:35 pm »

Quei cattolici

di Moni Ovadia

Sab, 28/03/2009 - 08:15


L’Italia è un paese che continua ineluttabilmente ad essere tenuto in iscacco da “quei cattolici”. Perché non mi riferisco ai cattolici tout court? Perché sarebbe oltremodo ingiusto e anche sbagliato generalizzare. I cattolici come comunità di credenti sono quanto di più variegato e diversificato si possa immaginare e costituiscono una ricchezza culturale e spirituale per il nostro paese. Ho avuto modo di constatarlo direttamente in numerose occasioni.

“Quei cattolici” ai quali mi riferisco sono soprattutto dei conservatori incalliti, spesso degli ultraconservatori che usano il cattolicesimo come un’arma di potere per affermare una visione teocratica ed intollerante del mondo ed in primo luogo della politica attraverso la quale vogliono imporre a tutti il loro credo: “ nulla salus extra ecclesia”.

Quando i parlamentari votano leggi liberticide come quella sul testamento biologico ingiungono a gran voce a tutti i partiti di lasciare libertà di coscienza per ogni parlamentare cattolico o supposto tale, mentre negano la stessa libertà di coscienza a chi vuole decidere per la propria vita con criterio diverso dai loro dogmi. Noi atei, agnostici, liberi pensatori, diversamente credenti, cristiani e cattolici democratici saremmo disposti a batterci con tutte le forze per garantire a “quei cattolici” il diritto di vivere e morire secondo i dettami della loro fede, loro invece ci considerano miscredenti nell’errore quando non eretici. Un tempo ci mandavano al rogo, oggi, faute de mieux, ci negano il diritto più sacro.

In altri paesi d’Europa si potrebbe lavorare per una mediazione alta, in Italia non illudiamoci, lo Stivale è il bunker di “quei cattolici”, gli italiani, quando dipende da loro, per ciò che attiene alle questioni eticamente sensibili, dispongono di sovranità limitata. C’è un solo modo per acquistare piena sovranità si chiama referendum abrogativo.

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« Risposta #10 inserito:: Maggio 24, 2009, 11:31:48 am »

L’opposizione si opponga


di Moni Ovadia
Sab, 23/05/2009 - 08:17



Il dado è tratto. L’ultimo attacco di Berlusconi al parlamento è la sua dichiarazione di intenti: il governo di un solo uomo con le istituzioni ridotte a sancire e ratificare le decisioni del sovrano o se preferite del Duce. Il suo è stato un discorso in perfetto stile mussoliniano come hanno rilevato diversi commentatori e come ha mirabilmente illuistrato il nostro giornale con una felicissima prima pagina. Un intero paese, il nostro, subordinato ai problemi, ai deliri e ai furori di un padrone.

Nell’ opposizione ormai sembrano averlo capito tutti, ma solo alcuni ne denunciano l’estrema  gravità con il pathos che il momento chiama. E’ sconcertante constatare che, allo stato delle cose, non sembra esserci da parte di tutta l’opposizione un progetto unitario e mirato per contrastare con la massima determinazione la sistematica demolizione della democrazia messa in atto con deliberato accanimento da un piccolo uomo la cui forza dipende unicamente dalle debolezze, dai narcisismi e dalle patologie di chi dovrebbe contrastarlo.

Come non capire che la devastazione del governo di Berlusconi e cortigiani non è questione di destra e sinistra e che sta a monte della politica per come la si intende abitualmente. Il berlusconismo ha congelato la politica in un altro tempo, in un altro spazio ed è inutile illudersi di mettere realmente mano alle vere questioni socio-politico-culturali della nostra società reale finquando un solo uomo con il suo potere - fosse anche di estrema sinistra - condiziona ogni gesto, ogni dichiarazione, ogni comunicazione, ogni orizzonte della vita pubblico-privato del nostro paese.

L’Italia si è staccata dal continente democrazia occidentale, per diventare è un sub continentino che va alla deriva verso un passato di vergogna ridicolmente tragico. E’ ora che tutta l’opposizione si opponga.

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #11 inserito:: Novembre 29, 2009, 06:46:13 pm »

Basta la parola

Moni Ovadia

Alcuni anni orsono, a seguito del grande successo del film «Train de Vie» di cui avevo curato la versione italiana dei dialoghi, ricevetti la proposta di curare anche i dialoghi italiani di un film di produzione tedesca intitolato «Commedian Harmonists». La pellicola racconta la storia e le tribolazioni di un gruppo vocale formatosi a Berlino alla fine degli anni '20 del secolo scorso. L'ensemble, dopo le iniziali difficoltà proprie di ogni impresa di quel tipo, riusci a conquistare una straordinaria fama anche all'estero e i Commedian Harmonists divennero delle superstar proprio negli anni in cui saliva al potere il partito nazista. Il gruppo musicale, i cui componenti erano per metà ebrei cominciò a subire progressive vessazioni e alla fine fu costretto a sciogliersi. I componenti ebrei emigrarono. Il film, molto bello a mio parere, ha avuto un grande successo nei paesi di lingua tedesca ma non in Italia dove è stato equivocato, e persino accusato di essere un film revisionista. L'accusa, ingiusta, si basava sul fatto che il film mostra solo i primi due anni del potere nazista, quelli del nazismo dal volto ambiguo, la cui vera violenza è ancora sottotraccia, la cui natura genocida non è ancora sbocciata e la vocazione antisemita non ancora legalizzata. La legislazione antisemita sarà varata solo nel '35. Questo episodio mi è tornato alla mente leggendo e ascoltando la propaganda, i provvedimenti comunali e il progetto politico generale nei confronti di rom, clandestini e stranieri della Lega Nord. Leggete i loro proclami e le loro farneticazioni sostituendo alla parola clandestino, o rom la parola ebreo. Ritroverete lo stesso clima del primo nazismo. Ora, fate un ulteriore sforzo e pensate cosa farebbero se l'Italia si trovasse in un contesto più drammatico come un conflitto armato.

28 novembre 2009
da unita.it
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« Risposta #12 inserito:: Marzo 07, 2010, 06:49:44 pm »

Augias un gesto coraggioso

di Moni Ovadia


Il disprezzo per le regole e per i valori istituzionali esibito sfrontatamente da una destra proterva e irresponsabile marca l’ennesimo sprofondamento della soglia della decenza civile nel nostro povero piccolo Paese. Non colpisce tanto il cialtronesco dilettantismo - lo definiamo così per essere buoni - di una corte dei miracoli al soldo di un padrone, ma disgusta l’arroganza con cui si pretende di ignorare regole che non hanno colore politico e che rappresentano il quadro istituzionale garante di equità democratica. Ovviamente è chiaro a tutti che per il bene della democrazia la competizione elettorale deve avere in campo tutte le forze politiche nessuna esclusa. Ma come si può tollerare di vedere nei teleschermi rappresentanti di un ceto politico che invece di vergognarsi e scusarsi con gli elettori per le gravi inadempienze e chiedere con modestia che si trovi una soluzione per il bene del confronto democratico, esibiscono i loro grugni da oligarchi impuniti concionando, pretendendo e impartendo lezioni a destra e a manca? Fortunatamente non tutti in Italia cedono a questo desolante affresco di volgare mediocrità, ci sono anche oggi persone capaci di affermare un’altra civiltà privata e pubblica. Vorrei a questo proposito segnalare il gesto di coraggio compiuto dallo scrittore e giornalista Corrado Augias per protestare contro l’oscuramento delle trasmissioni di confronto politico con la scusa del rispetto della par condicio, in realtà con il malcelato intento di non disturbare il manovratore. Augias in testa alla trasmissione di cui è conduttore su Rai 3 ha letto una propria dichiarazione di poche righe adamantine in difesa di uno dei pilastri della democrazia: la libera informazione. Lo ha fatto con sobrietà ma con esemplare fermezza ed è stata una boccata di aria fresca e pura nell’ ammorbante atmosfera che respiriamo.

06 marzo 2010
da unita.it
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« Risposta #13 inserito:: Marzo 11, 2010, 09:06:11 am »

Foer, perché mangiare animali è lo stesso che divorare uomini

di Moni Ovadia


L’ultimo libro di Jonathan Safran Foer, pubblicato da Guanda (pagine, 363, euro 18) è un’opera grandiosa e sconvolgente e, per quando vale il mio giudizio, da leggere assolutamente e da far leggere al maggior numero di persone possibile. Per dare a questo volume intitolato: Se niente importa - sottotitolo - perché mangiamo gli animali? - un inquadramento minimale, si può dire che è un «saggio» sull’alimentazione nelle sue ricadute etiche e filosofiche, ma è anche una denuncia, una perturbante opera morale e insieme una perorazione potentissima a favore di una scelta di vita vegetariana. Se non avessi già scelto di orientarmi in direzione del vegetarianesimo sarei diventato vegetariano già a pagina 30 di questo libro. Anche io ho di recente licenziato un piccolo scritto costruito sul fil rouge di un accorato appello a favore di un’alimentazione priva di violenza e di sangue e segnalo al lettore di questi miei commenti che è in ragione di questa coincidenza che mi è stato chiesto di recensire una pietra miliare di questo calibro, mirabile, vuoi per maestà dell’argomentare, vuoi per altissimo pregio letterario che avrebbe meritato ben altro chiosatore.

Jonathan Safran Foer, a mio parere, è non solo grandissimo scrittore, ma anche un profondo pensatore morale. Già un altro grande della letteratura ebraico-americana, l’ultimo esponente letterario della lingua yiddish, Isaac Bashevis Singer, aveva lanciato un terribile monito: «Nei confronti degli animali siamo tutti nazisti, per gli animali Auschwitz continua per sempre». Jonathan Safran Foer attraverso le sue parole, incise nella materia dell’orrore con la forza incontrastabile di una scrittura sacra, dipana davanti a noi lo sterminio di cui, in quanto esseri umani, in stragrande maggioranza, siamo responsabili diretti, complici, volontari, o indifferenti e distratti, di una violenza atroce e spietata, in gran parte gratuita, inutile, e tossica per i nostri corpi e le nostre anime.

Il lettore che eventualmente si fidi della mia appassionata sollecitazione non si aspetti di incontrare uno di quei libri provocatorii ed aggressivi nei confronti degli onnivori, né tantomeno una di quelle operazioni-provocazione impiantate su un sensazionalismo di maniera, mirante a suscitare facili rigurgiti di pietà o di commiserazione. Qui siamo di fronte a ben altro. Non c’è nessuna retorica dell’intimidazione o del ricatto nello scrittore. L’impressionante e documentata vastità delle informazioni che Safran Foer sottomette alla nostra responsabilità è sorretta da un’incessante interrogazione alla ricerca di senso e di intelligenza.
L’argomentare ininterrotto e rischioso ci chiede di riconoscere contraddizioni, paradossi e verità inquietanti, coniuga l’appello all’ascolto delle ragioni dell’anima con l’ascolto della ragione dell’intelletto. È un’assillante pungolo a riconsiderare la questione della relazione con la vita e con noi stessi attraverso lo sguardo della nostra pervertita relazione con il mondo animale, per come lo intendiamo genericamente, ma anche con tutto il creato e le sue creature viventi, come non sappiamo più pensarlo, perché la routine dell’alienazione ci ha espropriati dell’interiorità.

Il nucleo radiante di questo cammino di Jonathan Safran Foer è un insegnamento della nonna, un’ebrea perseguitata e sopravvissuta che ha conosciuto l’inferno sulla terra e che ridotta allo stremo delle forze dalla persecuzione, sfinita e devastata dalla fame, seppe astenersi dal mangiare un pezzo di carne di maiale per non trasgredire un comandamento, spinta da questa incrollabile convinzione: «Se niente importa, allora perché vivere?».

Jonathan Safran Foer muove dall’intuizione che il grande ammaestramento donatogli da sua nonna nulla ha a che fare con il fanatismo e tantomeno con la religione. È la prescrittiva religiosa ebraica stessa a consentire la trasgressione dei comandamenti se la vita è in pericolo. Il «se niente importa... » attiene alla dignità della vita e ancor più alla dignità del senso stesso della vita. Assillato da questo monito etico, definitivo come il più memorabile dei versetti biblici, Jonathan Safran Foer costruisce il suo cammino nella nostra relazione con l’animale attraverso un respiro creativo che attinge alla molteplicità delle cifre letterarie: dalla riflessione filosofica, alla enumerazione, dall’invenzione grafica, alla graficità liturgica, dalla lettera alla testimonianza, dalla critica letteraria alla citazione e questa molteplicità converge in un fiume di parole che cambia definitivamente non solo il nostro sguardo sui nostri infelici e brutalizzati compagni di pianeta, ma anche lo sguardo intimo sulla nostra relazione con il carnefice che nutriamo in noi nel nostro seno oscuro.

10 marzo 2010
da unita.it
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« Risposta #14 inserito:: Novembre 21, 2010, 11:38:46 am »

Quella voglia di Centro

Moni OVADIA

Il risultato delle elezioni primarie del centro-sinistra a Milano permette di trarre indicazioni preziose per il futuro dell'opposizione riformista, nella città, ma anche nell'intero paese. I giochini autoreferenziali non pagano e al proposito non ci possono essere più dubbi. Il grande sconfitto di questa tornata è stato il capo della segreteria politica di Bersani, Penati. Penati era già riuscito nel doppio capolavoro di farsi sconfiggere alle provinciali contro lo sconosciuto Podestà, e di farsi fare cappotto, alle regionali, contro Formigoni. Come? Spostandosi sempre più al centro fino a sconfinare nei territori della destra e nel paraleghismo, persino nell'uso dei colori dei manifesti elettorali. Ora, l'elettore moderato avrà anche i suoi difetti ma non è necessariamente scemo e non si fida delle imitazioni. Malgrado questa e altre severe lezioni permane tuttavia in una parte del PD una fascinazione centrista e passionale, oserei dire erotica. Detta fascinazione è altro rispetto ad una ragionata politica di alleanza con i partiti del centro. Le alleanze serie si tessono con chi è diverso da te ma con cui puoi condividere prospettive e progetti sulla base di un mutuo riconoscimento. Lo sbavare per il centro è patologia politica che si cura andando con decisione al centro. Abbiamo assistito con soddisfazione a due esemplari guarigioni: quella di Paola Binetti che non attrae più la morbosa attenzione dei media e quella di Francesco Rutelli che finalmente potrà svolgere il ruolo di mediazione che gli compete. Il centrismo ossessivo, ancorché democratico, non è cultura politica, è ideologia, come lo sono in politica tutte le vocazioni fideistiche. Non serve l'ideologia per conquistare l'elettore centrista, bisogna dimostrargli che una sinistra seria e moderna può rappresentare anche lui, meglio della destra.

20 novembre 2010
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