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Autore Discussione: PAOLO MASTROLILLI. La guerra inevitabile in Siria  (Letto 1685 volte)
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« inserito:: Agosto 05, 2012, 07:40:10 pm »

5/8/2012

La guerra inevitabile in Siria

PAOLO MASTROLILLI

Certe volte capita di dover dare una chance alla guerra. E’ triste, cinico e devastante, soprattutto per le migliaia di persone che ci rimettono la vita, ma sembra essere il destino della Siria.

Dopo le dimissioni di Kofi Annan come inviato speciale, sui giornali abbiamo letto che l’Onu è un fallimento, la diplomazia non funziona, Obama sbaglia a tenersi in disparte e sperare di guidare l’auto dal sedile posteriore, come ha fatto in Libia. Analisi logiche, che forse prescindono dalla realtà dei fatti. Il commento più sincero è quello che abbiamo sentito in un briefing dall’ambasciatore francese all’Onu, Gérard Araud, presidente di turno del Consiglio di Sicurezza: «A questo punto le divergenze politiche sono inconciliabili».

Perché Araud ha allargato così mestamente le braccia? Le Nazioni Unite, tanto per cominciare, non sono il governo del mondo: sono uno strumento a disposizione dei governi del mondo, per trovare il consenso su come risolvere le crisi. Sono mesi che il segretario generale Ban Ki-moon ripete la richiesta di dimissioni ad Assad,ma non è lui che può imporle. Alle volte i governi si mettono d’accordo, come nel caso della Libia, e Gheddafi cade. Altre volte, come capitò a Bush figlio in Iraq, non si trova l’intesa e seguono i guai. Inutile immaginare di sostituire l’Onu con un’Alleanza delle democrazie o qualche altra trovata meritevole, perché ad esempio all’invasione dell’Iraq si opposero proprio Francia e Germania, che certamente farebbero parte a pieno titolo di qualunque associazione delle democrazie. Il problema è l’interesse nazionale che sopravvive, e solo in pochi casi può essere attenuato fino a trovare intese diplomatiche efficaci al Palazzo di vetro.

In Siria è successo che dopo l’esperienza libica, Russia e Cina si sono opposte a qualunque soluzione. PerchéMosca è rimasta bruciata dall’intervento contro Tripoli, vuole conservare un ruolo da ex superpotenza in Medio Oriente e prevenire un effetto domino in Iran, vende armi a Damasco, e teme insieme a Pechino di poter diventare il prossimo teatro di simili rivolte. Gli Usa, spinti soprattutto da Francia e Gran Bretagna, hanno accettato prima di passare all’Onu e poi di nominare Annan, per due motivi: primo, vedere se era possibile coinvolgere il Cremlino nella soluzione del problema, offrendogli anche la palma di salvatore della stabilità internazionale, se avesse convinto Assad a farsi da parte; secondo, crearsi la copertura per quanto sarebbe avvenuto dopo, nel caso del probabile fallimento dellamediazione. E così è andata.Hillary Clinton è volata a Mosca per fare l’accordo, ma Putin ha deciso di non cedere di un millimetro. Altrettanto hanno fatto le potenze regionali come Arabia, Qatar e Turchia che armano i ribelli anti regime alawita, e la diplomazia si è trovata senza strumenti di pressione. Obama è rimasto sul sedile posteriore perché ha una campagna presidenziale da vincere, non vuole scatenare un conflitto adesso, e finora l’opposizione siriana non ha dato le garanzie necessarie che aiutarla non significhi consegnare il paese agli estremisti.

Ora però la crisi ha fatto un passo verso il baratro e Washington non può permettersi che al Qaeda o simili decidano l’esito. Oggi, infatti, il New York Times scrive che dipartimento di Stato e Pentagono stanno già lavorando al dopo Assad. Se la Russia e gli altri alleati di Damasco non lo capiscono, cambiando linea per consentire un accordo, toccherà alla guerra per procura di fare il suo corso.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10406
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