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Autore Discussione: FATTORI, giornalista gentiluomo - Il suo stile antiretorica e competenza  (Letto 2693 volte)
Admin
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« inserito:: Settembre 23, 2007, 04:04:09 pm »

23/9/2007 (8:59)

Fattori, giornalista gentiluomo

Il suo stile antiretorica e competenza

ALBERTO PAPUZZI


Quando nel 1984 tornai alla Stampa, dopo un’esperienza nella casa editrice di Giulio Einaudi, Giorgio Fattori, ricevendomi nel suo studio di direttore, mi disse di non potermi offrire al momento una posizione più alta di quella di redattore al desk, ma mi suggerì di non avere arrière pensée. In quella preoccupazione si specchiava la sua personalità di gentiluomo. E questo mi sembra nel ricordo il suo tratto originale: alto, elegante, trasmetteva un’idea di sicurezza e di forbitezza, accompagnate da un certo distacco e anche da un sostanziale disincanto, per aver frequentato in lungo e in largo il mondo del giornalismo. Per questo sua finezza di modi che, accompagnata a un’assoluta fermezza nelle decisioni, poteva apparire un segno di freddezza, Montanelli gli aveva appiccicato il soprannome di «Findus», mentre i due giornalisti della sua generazione con i quali forse aveva più amicizia, Enzo Biagi e Lamberto Sechi, lo chiamavano «Robespierre». In realtà, sul piano giornalistico, il titolo che avrebbe meritato è quello di fenomeno.


La sua è stata una carriera esplosiva, come poche se ne sono registrate nella stampa italiana. Nato nel 1925, il suo ingresso nel giornalismo è del ‘42, a poco più di 17 anni, come cronista della Gazzetta dello Sport. Si occupa di varie e diverse discipline: calcio e ciclismo, nuoto (seguendo anche le Olimpiadi), canottaggio (sulla cui pratica scrive un libro). È in possesso di una visione nitida, rifugge dalla tradizione retorica, è molto attento al dato tecnico, in un’epoca in cui era uso celebrare le gesta epiche dei campioni. Questa dimostrazione di competenza lo porta alla direzione di Sport Illustrato: siamo nel ‘48, non ha ancora 24 anni. Per quanto i tempi fossero molto diversi da oggi, per quanto quella fosse la stagione di un ricambio generazionale, tuttavia la sua attitudine a tenere il timone dei giornali è un caso eccezionale. Nel ‘57 entra come caporedattore in una testata che ha lasciato il segno nella storia del giornalismo italiano: L’Europeo. È il settimanale su cui Tommaso Besozzi aveva svelato la verità sulla morte di Salvatore Giuliano, ucciso da Pisciotta, non in un conflitto coi carabinieri. Un anno dopo, a 33 anni, Fattori è nominato direttore dell’Europeo, che compete nella guerra dei settimanali con L’Espresso, la testata della politica, e con Epoca, la testata delle famiglie. La scelta di Fattori è di battere la strada della grande cronaca, avendo a disposizione un drappello di giornalisti in possesso di una scrittura estremamente efficace, da Oreste Del Buono a Giorgio Bocca, da Oriana Fallaci a Lietta Tornabuoni.


Tutto diventa cronaca, dalla politica e dalle guerre agli spettacoli cinematografici, per i quali si affida all’estro e al sarcasmo di Giuseppe Marotta. L’Europeo di Fattori è una raffinata scuola di reportage e interviste. Dopo quasi dieci anni, questo direttore per vocazione e temperamento torna a scrivere, inviato speciale della Stampa dal ‘66. Ed è subito un caso: infatti è il primo giornalista italiano a mettere piede nella Cina di Mao, per raccontare le contraddizioni della rivoluzione culturale. È un viaggio da cui tira fuori un libro, Abc della Cina, che ha un buon successo. I suoi ultimi servizi sono le corrispondenze dalla guerra vietnamita. Poi è vicedirettore al Messaggero, passa per la redazione di Panorama, quindi lascia la professione militante, forse un po’ stanco e deluso da una stagione, gli anni Settanta, che ha visto la stampa sferzata dalla crisi: accetta di occuparsi delle edizioni librarie di Sonzogno e Etas, rimettendo efficacemente in sesto alcuni bilanci. Questa capacità di riportare in salute sistemi editoriali che soffrono di anemia convince Gianni Agnelli a offrirgli la direzione della Stampa, che registra un calo di vendite per tante ragioni che dipendono anche dagli effetti d’una crisi più generale. Fattori prende in mano il giornale il 6 novembre ‘78 e lo lascia il 10 febbraio ‘86.


Lo rivolta come un guanto, inventa inserti e supplementi, tiene in pugno la redazione, riporta in crescita la diffusione, sul piano politico rimane fedele - ma con britannico distacco - alla tradizione antifascista, laica e democratica. Quando se ne va i conti sono tornati a posto. Missione compiuta. È l’ultima impresa di quello che è stato forse l’ultimo direttore monarca, non per investitura divina ma per cultura giornalistica. Poi diventa presidente di Rcs, ma se ne va, fedele a se stesso, quando lo stato del gruppo non lo convince più.

da lastampa.it
« Ultima modifica: Settembre 23, 2007, 04:09:09 pm da Admin » Registrato
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