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Autore Discussione: PAOLO LEPRI - Schäuble e il dossier di Berlino: «Se crolla l’euro l’economia ...  (Letto 4926 volte)
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« inserito:: Giugno 25, 2012, 10:35:47 am »

INTERVISTA ALLO «SPIEGEL»

Schäuble e il dossier di Berlino: «Se crolla l’euro l’economia tedesca cadrà del 10%»

Il ministro tedesco dell' Economia: «No alla disintegrazione, ci saranno 5 milioni di disoccupati A rischio anche viaggiare»


BERLINO — È un vero incubo il futuro economico della Germania, e con lei di tutta l’eurozona, se la moneta unica dovesse crollare. A tracciare i dettagli di questo scenario pauroso è uno studio dei tecnici del ministero delle Finanze tedesco, il gigantesco palazzo della Wilhelmstrasse, già quartier generale di Hermann Göring e dell’amministrazione militare sovietica, dove ora regna Wolfgang Schäuble, uno dei protagonisti dell’europeismo tedesco. Il rapporto è stato rivelato, nei punti fondamentali, dal settimanale «Der Spiegel», che ha citato un funzionario del ministero, secondo il quale «di fronte a queste prospettive, anche un salvataggio dell’euro a caro prezzo appare come il minore dei mali».

IL DOCUMENTO - L’articolo dello «Spiegel», intitolato «Uno sguardo sull'abisso », è corredato da una serie di dati che confermano indicazioni «molto tetre» per tutti i Paesi dell’eurozona. In un grafico, una freccia nera indica l’aumento della disoccupazione nel primo dei due anni successivi alla eventuale fine della moneta unica, mentre una freccia rossa indica la contrazione dell’economia. E molti di questi valori percentuali, nei vari Stati, superano la doppia cifra, in particolare per quanto riguarda le nazioni più esposte, come per esempio l’Italia, dove il tasso di disoccupazione salirebbe al 12,3 per cento. Ma anche la locomotiva tedesca, e questo è il vero punto critico dello studio degli uomini di Schäuble, verrebbe pesantemente danneggiata. L’economia della Germania subirebbe una caduta del 9,2 per cento mentre il numero dei disoccupati salirebbe al 9,3 per cento.

DISOCCUPAZIONE - I senza lavoro supererebbero i 5 milioni, una cifra quasi doppia rispetto a quella attuale Il ministero della Finanze tedesco non ha smentito né confermato le rivelazioni dello «Spiegel », secondo cui il documento è stato tenuto fino a oggi riservato nel timore che i costi delle iniziative per salvare l’euro uscissero fuori da ogni controllo. «Non prenderemo parte a speculazioni su presunti rapporti segreti», ha detto una portavoce. Ma a fianco dell’articolo del settimanale di Amburgo, in una lunga intervista, è lo stesso Schäuble ad avvertire che una disintegrazione «sarebbe assurda» e che l’unione monetaria, non solo non è stato assolutamente un errore, come gli era stato chiesto, ma è stata la «logica conseguenza» dell’integrazione comunitaria. Il ministro, esponente di punta del partito cristiano democratico che fu di Helmut Kohl, avverte inoltre che una rottura della zona euro rimetterebbe in questione conquiste che sono ormai entrate nel patrimonio acquisito di tutti i cittadini, come il mercato unico e la libera circolazione.

PAREGGIO DI BILANCIO - Le rivelazioni sui calcoli che si sono fatti a Berlino sulle conseguenze di un collasso della moneta unica arrivano proprio in una settimana decisiva per il futuro europeo, con il vertice dei Ventisette che sarà chiamato il 28 e 29 giugno a trovare delle ricette in grado di contribuire a superare la crisi. In realtà, la linea cauta di Angela Merkel—convinta della necessità di non distaccarsi da un rigido controllo delle discipline di bilancio, contraria alla condivisione dei debiti con i Paesi meno virtuosi dell’eurozona, indisponibile a provvedimenti per stimolare la crescita che si traducano in nuove spese—è sempre partita dalla premessa, almeno a parole, di un impegno prioritario per la difesa della moneta unica. «La fine dell’euro — è stata una delle frasi più frequenti della cancelliera — sarebbe la fine dell’Europa». Intanto, sempre questa settimana, alla vigilia del summit di Bruxelles, Schäuble presenterà la nuova legge finanziaria che prevede nel 2013 il pareggio di bilancio. Questo dato era stato anticipato da alcuni istituti di ricerca, che avevano avvertito però nello stesso tempo delle pesanti conseguenze per i conti pubblici tedeschi di una escalation della crisi europea. In tutti i casi, insomma, la Germania non può dormire sonni tranquilli.

Paolo Lepri

25 giugno 2012 | 8:57© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/economia/12_giugno_25/se-crolla-l-euro-economia-tedesca-lepri_8438493c-be85-11e1-8494-460da67b523f.shtml
« Ultima modifica: Gennaio 09, 2017, 06:12:02 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 03, 2014, 05:36:55 pm »

L’intervista

«La riforma del lavoro di Renzi decisiva per far avanzare l’Italia»
ll ministro delle Finanze tedesco presenta il piano internazionale contro l’evasione fiscale: «Le compagnie internazionali non possono pagare meno tasse di un artigiano»


Di Paolo Lepri, corrispondente da Berlino

Wolfgang Schäuble è molto soddisfatto. L’accordo sullo scambio automatico di informazioni fiscali che verrà firmato mercoledì a Berlino da più di quarantasei Paesi (sarà presente anche Pier Carlo Padoan) è un po’ una sua creatura. L’iniziativa - lanciata nel 2011 a Dublino da Germania, Italia, Gran Bretagna, Francia e Spagna - è arrivata finalmente al suo varo ufficiale, dopo un lungo lavoro compiuto nel Global Forum dell’Organizzazione per sicurezza e lo sviluppo economico (Ocse) da oltre un centinaio di nazioni, molte delle quali si aggiungeranno ben presto ai battistrada, gli «Early Adopters». Sarà vita dura, dal 2017, per gli evasori che nascondono all’estero il loro denaro. «Si tratta di un notevole successo», afferma il ministro delle Finanze tedesco in questa intervista rilasciata a Corriere della Sera, Times, El País e Les Echos alla vigilia della «Berlin Tax Conference». «Siete i rappresentanti dei principali Paesi europei» dice sorridendo, dopo le presentazioni, in una saletta vicina al suo studio nell’immenso palazzo di Wilhelmstrasse. Per quanto riguarda le vicende di casa nostra, la sua opinione è che la riforma del mercato del lavoro voluta dal governo Renzi «sia decisiva per fare avanzare l’Italia», una nazione amica che i tedeschi vogliono «forte e di successo». Da Schäuble viene anche un giudizio netto sulla situazione economica della Germania:«Una crescita dell’1,2-1,3% non è un fatto negativo. Non siamo assolutamente in recessione. L’unico pericolo è che se ne parli a vuoto».

Signor ministro, lei ha un’idea di quante tasse finora non pagate verranno scoperte, per esempio in Germania, dopo la firma di questo accordo?
«Mi sono sempre rifiutato di indicare una somma, perché ritengo che un ministro delle Finanze debba fare attenzione al fatto che la gente si fidi della serietà di quello che dice. Qualcuno parla di un numero a due cifre di miliardi, altri parlano di un numero a tre cifre di miliardi. Io dico che non lo so. Perché se sapessi esattamente quanto viene evaso, allora avrei le prove di chi è stato ad evadere le tasse. Non posso fornirvi nessuna somma. Ma siamo su rilevanti ordini di grandezza. Ci sarà poi un effetto preventivo, che già abbiamo visto da alcuni anni. Aumenta velocemente in Germania il numero delle persone che dicono di aver portato soldi all’estero all’insaputa dell’amministrazione fiscale (o affermano che questo è stato fatto dai genitori o dai nonni) e che adesso vogliono mettersi in regola.

Secondo alcune stime, l’ammontare dei patrimoni occultati all’estero da cittadini italiani sarebbe di almeno 200 miliardi di euro. Pensa che questa svolta nella cooperazione internazionale contro l’evasione possa apportare un contributo significativo al miglioramento dei conti pubblici italiani?
«Sono convinto che lo scambio automatico di informazioni diminuirà la possibilità di sfuggire in misura legale alle tasse. Riguardo alla quantificazione delle somme che si potranno incassare, non lo posso fare per la Germania e certamente nemmeno per l’Italia. Il mio consiglio è quello di non basare sul principio della speranza ma più su quello della realtà le nostre decisioni sulle politiche finanziare, di bilancio e strutturali.


Per questa ragione penso che il percorso che il governo Renzi sta compiendo da due settimane con la riforma strutturale della legislazione del mercato del lavoro sia decisivo per fare avanzare l’Italia».

Si potrebbe dire ipoteticamente che l’accordo di Berlino contribuirà al raggiungimento del pareggio di bilancio in Germania grazie anche alle autodenunce dei cittadini?
«Ho già dato al collega italiano il consiglio che vale anche per me. Dobbiamo realizzare la nostra politica finanziaria con presupposti seri e non ipotetici. Non ne abbiamo bisogno. Devo aggiungere che siamo attualmente nella discussione finale in Parlamento sul bilancio 2015. Se lo sviluppo economico dovesse rimanere così come appare in questo momento non ci sarà nessun pericolo per la nostra politica finanziaria. Le previsioni per la nostra crescita sono state recentemente ridotte, ma una crescita dell’1,2%-1,3% non è veramente un fatto negativo. Non siamo assolutamente in recessione. Il vero pericolo è che si parli a vuoto di recessione. Le prospettive economiche in Germania sono stabili. Non siamo in crisi. Abbiamo una previsione di crescita leggermente ridotta. Manterremo ferma la nostra linea, che rappresenta un’ancora per la fiducia».

Cosa è cambiato in questi ultimi anni nella valutazione del segreto bancario?
«Si è verificato un grande cambiamento in un tempo relativamente breve. Il segreto bancario non può continuare ad esistere nell’epoca dei mercati finanziari globalizzati, perché altrimenti sempre più soggetti fiscali evaderebbero i loro obblighi. In Europa tutto ciò è stato già fatto in larga misura a grazie al trattato Facta con gli Stati Uniti che ha accelerato il processo. Adesso stiamo proseguendo su questa strada a livello globale con lo standard sullo scambio automatico di informazioni al quale speriamo che un giorno partecipino tutti i Paesi del mondo più forti economicamente».

La crisi ucraina e il raffreddamento delle relazioni tra l’Europa e Mosca hanno influito sulla collaborazione della Russia in questo campo?
«La Russia collabora nel Global Forum, ma non fa parte dei firmatari. Presumo che questo sarebbe accaduto anche se non ci fosse stata la crisi ucraina. Per di più, anche gli Stati Uniti non firmeranno a causa delle difficoltà che si registrano nel Congresso sulle questioni legate alla reciprocità. Ma partecipano Paesi che vengono indicati come oasi fiscali. Singapore non è tra gli “Early Adopters” ma ha già annunciato che firmerà l’accordo. Anche la Svizzera lo farà presto. Altri Paesi come le isole Vergini, le Bermuda, le isole Cayman sono presenti. Si tratta di una iniziativa molto forte».

Il G20 ha dato via libera al piano d’azione Beps (Base erosion and profit shifting) con cui si vogliono colpire le multinazionali che spostano artificiosamente gli utili nei Paesi o nelle giurisdizioni dove il prelievo fiscale è minimo. Ci sono molte imprese globali che sfruttano tutti i metodi di risparmio fiscale, mentre invece la piccola e media impresa non lo può fare. Come si può arrivare anche a loro?
«È in primo luogo una questione di giustizia. Non bisogna avere l’illusione che riusciremo a risolvere tutto, ma penso che l’accordo sullo scambio automatico di informazioni e l’iniziativa Beps facciano sperare di poter limitare più efficacemente questi andamenti. Io accolgo chiaramente con soddisfazione il fatto che sia emersa una forte coscienza di questo problema nel dibattito pubblico americano. Il presidente Obama ha segnalato recentemente in varie occasioni che questi andamenti non sono accettabili. Anche gli Stati Uniti devono cooperare con gli altri. Questo richiede che all’occasione il principio della reciprocità debba essere applicato. Il problema non è così facile perché la questione di dove un’attività tassabile abbia luogo e con quale profitto non è così ovvia come sembra a prima vista. E per questo ci impegniamo con forza con questa iniziativa globale per raggiungere una sensibilità comune su come sia possibile attribuire un trattamento fiscale, per esempio, a quelle attività economiche che si producono esclusivamente su Internet. E questo non è tutto. Poiché i problemi sono così grandi è necessario agire. La conferenza di Berlino non li risolverà tutti, ma creerà una spinta positiva per andare avanti più veloci di quanto avremmo pensato forse ancora alcuni anni fa di fronte alle difficoltà esistenti. Si potrebbe anche aggiungere che in quest’epoca non è un male il fatto che ci siano nuovi accordi globali con i quali è possibile procedere tutti insieme. Abbiamo altre importanti preoccupazioni: i rischi geopolitici vanno in una direzione diversa».

È d’accordo con il suo collega dell’Economia Sigmar Gabriel che ha sostenuto recentemente che qualsiasi artigiano tedesco paga più tasse di Google o Apple?
«Questo è esattamente il punto. Ripeto che è una questione di giustizia. Noi siamo per la globalizzazione. Tutte le economie dipendono in modo decisivo per il loro successo dai mercati finanziari globali. Questo Sigmar Gabriel lo sa tanto bene quanto me. Ma quando la globalizzazione porta al fatto che chi opera a livello internazionale paga molte meno tasse di quelli che operano a livello nazionale, si pone una questione di giustizia. È il motivo per cui ci occupiamo di questo. Il problema non si risolve con la descrizione delle cose che non vanno bene, perciò lavoriamo per trovare le soluzioni».

I problemi finanziari della Francia sono noti. Però c’è ancora fiducia dei mercati perché anche la Germania la sostiene. Qual è il limite di questo sostegno?
«La questione non si pone. La Francia è un Paese grande e forte. Ogni Paese ha talvolta difficoltà. Come sanno tutti, anche la Germania ha un grande interesse per una Francia forte. Altrettanto per una forte Spagna e una forte Italia che raggiungano il successo. In Europa è così. Il successo di uno non è un danno per l’altro, mentre il problema di uno è anche un problema per tutti gli altri. Questo è il principio del processo di unificazione europea. Bisogna spiegarlo sempre di nuovo al proprio elettorato e alla popolazione. Faremo quello che dobbiamo fare nel nostro interesse comune. Di questo parliamo in modo aperto e con fiducia».

Riguardo ai rapporti tra Gran Bretagna e Germania, il governo tedesco è disponibile a sostenere alcune restrizioni della libertà di movimento in Europa?
«Il principio della libera circolazione delle persone e delle merci è un principio fondante dell’unificazione europea. Non può essere limitato. Una cosa del genere sarebbe incompatibile con i Trattati europei. Il problema, che tutti abbiamo in Europa, che può diventare più grande se si guarda agli avvenimenti in altri parti del mondo, deve essere risolto con uno sforzo comune europeo. Non può essere risolto ristabilendo i confini nell’Ue. Sarebbe impensabile».

27 ottobre 2014 | 07:20
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Da - http://www.corriere.it/esteri/14_ottobre_26/riforma-lavoro-renzi-decisiva-far-avanzare-l-italia-1763a0dc-5d38-11e4-abb7-a57e9a83d7e3.shtml
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« Risposta #2 inserito:: Luglio 30, 2015, 10:20:18 pm »

«Europa, riforme troppo lente Un errore aspettare il 2017»
Monti: non preparo l’eurotassa. Schäuble? Evita di essere simpatico.
Sbagliato sostenere così spesso che l’Europa non deve fare la maestrina con la matita rossa

Di Paolo Lepri

Mario Monti è al lavoro. Non certo per imporci un’«eurotassa», ma per trovare le soluzioni migliori sulle modalità future di finanziamento dell’Unione Europea, «lasciando invariato - tiene a precisare - l’onere complessivo a carico di cittadini ed imprese derivante dalle fiscalità nazionali e dalle “risorse proprie” di pertinenza della Ue». È questo il mandato del «Gruppo sulle risorse proprie dell’Ue», da lui presieduto, istituito nel febbraio 2014 e che presenterà le sue proposte nella primavera prossima. Verranno discusse in una conferenza con le istituzioni europee e i Parlamenti nazionali che si terrà a Bruxelles nel giugno 2016. «Certo - aggiunge - chi vuole più Europa, e soprattutto un’Europa meglio funzionante, dice da anni che l’Europa dovrà avere un bilancio proprio, non dipendente interamente o quasi dal trasferimento di contributi nazionali, e che anche l’eurozona, con ancora maggiore urgenza dell’Europa dei 28, dovrà avere un bilancio proprio, una fiscal capacity».

La commissione da lei guidata opera in un quadro nel quale agisce anche il gruppo dei «cinque presidenti» che ha pubblicato un mese fa il suo rapporto. Non ritiene che gli obiettivi indicati dai Cinque siano troppo graduali?
«Sì, lo penso anche io. Il rapporto offre una prospettiva, ma rinvia a dopo il 2017 temi cruciali e di cui la crisi greca ha dimostrato ulteriormente l’urgenza. Questo, ovviamente, è per evitare di fare affrontare il dibattito su temi impegnativi per il futuro dell’Europa a due grandi Paesi, Germania e Francia, che avranno le elezioni proprio in quell’anno. Sono riti che francamente non ci possiamo più permettere, perché se vogliamo che l’Europa abbia una sua maggiore capacità di funzionamento e poi non deluda i cittadini non possiamo scaricare sul tavolo europeo tutti i vincoli delle politiche nazionali».

Insomma, non è il caso di perdere tempo.
«Certo. Il piano presentato recentemente dal presidente francese François Hollande e le dichiarazioni del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, pur con contenuti in parte diversi, vanno tutte nella direzione di una accelerazione del progetto di governance dell’eurozona, considerano la questione del bilancio proprio e anche il prolungamento istituzionale di questo, cioè l’equivalente di un ministro del Tesoro dell’eurozona, e addirittura di una controparte parlamentare per esercitare il controllo democratico. Qualcuno dice che questi passi sono tutti ormai inutili perché i cittadini rifiutano l’Europa? No, questa sarebbe una visione sbrigativa. Li considero passi necessari, anche se un po’ tardivi, perché più che rifiutare l’idea di Europa i cittadini sono smarriti e incattiviti per i non funzionamenti dell’Europa. Guardiamo l’attaccamento dei greci all’euro. La Grecia è il migliore esempio di successo della moneta unica. Non è un paradosso. L’ho detto nel 2011 e lo confermo oggi ancora di più. Quanto qualcuno tiene ad una cosa lo si capisce dai sacrifici che è disposto a fare pur di non perderla. Nessuno ha fatto tanti sacrifici quanto i greci, che sono disposti a farne ancora, per rendere la loro economia adatta all’euro, anziché dire addio alla moneta unica».

I tedeschi sono un ostacolo per un’Europa più forte ma anche più solidale?
«Per un’Europa più forte e meglio strutturata dal punto di vista istituzionale i tedeschi non sono un ostacolo. Anzi, sono tra quanti spingono in tale direzione. Dal punto di vista della solidarietà, però, sono quelli che da sempre hanno l’incubo (esagerato, non dico completamente infondato, ma esagerato nelle dimensioni) che un’Unione più avanzata e integrata finisca per essere una “Transfer Union” che preveda continue sovvenzioni della Germania ad altri Paesi. È importantissima l’opera pedagogica (che il governo tedesco non sempre ha fatto e che Angela Merkel all’inizio faceva poco e adesso mi sembra faccia di più) per spiegare in Germania che i cittadini e le imprese tedesche sono tra coloro che traggono maggiori benefici dal mercato e dalla moneta unica».

Qual è a suo giudizio il ruolo del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, favorevole ad una «Grexit» a tempo?
«Resta uno dei più convinti europeisti della Germania. È il ministro delle Finanze e si rende conto di quali siano gli stati d’animo dell’opinione pubblica tedesca. Certo, in questa fase del dibattito sulla Grecia si è avuta a volte l’impressione che quasi mirasse a vedere uscire dall’eurozona un Paese che troppe volte aveva dimostrato di non prendere sul serio le regole. Sicuramente è un uomo che non concede niente in termini di comunicazione per raccogliere simpatie in altre parti di Europa».
Non le sembra un po’ generico lo slogan di Matteo Renzi «cambiare l’Europa»?
«Quello che a me non piace è sostenere così spesso che l’Europa non deve fare la maestrina con la matita rossa. Così dicendo, con tutta l’autorità che ha un presidente del Consiglio in carica, si accredita di fronte all’opinione pubblica una visione riduttiva dell’Europa. Questo accade anche quando si afferma che bisogna dire basta all’Europa della burocrazia perché ci vuole l’Europa della politica. Per far funzionare l’Europa la competenza è indispensabile. Più politica in Europa ci vorrebbe proprio. Ma, per favore, non quella che in genere vediamo oggi negli Stati membri: una politica schiacciata sul brevissimo periodo e pronta ad immolare l’interesse generale sull’altare dei sondaggi».

Ritiene che il populismo e il nazionalismo siano un pericolo grave in Europa?
«Sarebbe stato necessario già da molto tempo che i vertici politici dell’Europa (mi riferisco ai capi di Stato e di governo riuniti nel Consiglio europeo) avessero discusso al massimo livello gli ostacoli e le minacce per l’integrazione europea derivanti in misura crescente dai nazionalismi e dai populismi. Mi ha invece sempre colpito, nei Consigli europei, l’assenza totale di discussione politica. Si passava il tempo a cercare di risolvere le crisi finanziarie del momento, senza guardare più lontano. Quando ero premier proposi a Herman Van Rompuy di convocare un Consiglio europeo dedicato alla sfida del nazionalismo e del populismo. Lui fu d’accordo e lo annunciò alla stampa. Qualche giorno dopo mi telefonò la cancelliera Merkel per dirmi che trovava buona l’idea, ma che avrebbe preferito che di questo tema impegnativo si parlasse una volta risolta definitivamente la crisi greca. Era il settembre 2012».

Quale è la sua reazione quando sente parlare di un’uscita dell’Italia dall’euro?
«I “no all’euro” appaiono sempre più radicati nell’insofferenza verso la Germania e nel disprezzo nei confronti della Merkel. Ora, chi ha questa posizione deve stare ben attento. Se si pensasse che uscendo dall’euro, e magari dalla Ue, l’Italia si affrancherebbe d’incanto dall’influenza e dal potere della Germania, si commetterebbe un errore madornale. L’unica entità che disciplina e sottopone a regole comuni tutti gli Stati, compreso il più grande e il più potente, è proprio l’Ue, e in essa l’eurozona. I Grillo e i Salvini devono riflettere: l’Italia che loro vorrebbero sarebbe esposta, molto più di oggi, ad una Germania super potente, senza remore, senza regole e senza arbitro».

29 luglio 2015 (modifica il 29 luglio 2015 | 09:12)
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Da - http://www.corriere.it/politica/15_luglio_29/europa-riforme-troppo-lente-errore-aspettare-2017-8889fd7a-35b3-11e5-b050-7dc71ce7db4c.shtml
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« Risposta #3 inserito:: Agosto 09, 2015, 10:35:03 am »

Il corsivo del giorno
Giornalisti «traditori»
La Germania fa autocritica

Di Paolo Lepri

Attenzione, c’è in Europa un governo che governa. Parliamo della Germania, dove il ministro della Giustizia socialdemocratico, Heiko Maas, d’accordo con Angela Merkel, ha rimosso dal suo incarico il procuratore generale Harald Range che non aveva bloccato un’inchiesta molto discutibile nei confronti di due giornalisti del blog Netzpolitik , accusati di «alto tradimento» per aver pubblicato documenti dei servizi segreti sui programmi di sorveglianza nel web. Almeno, questo è quanto si può concludere dagli ultimi sviluppi di questo caso che ha scosso un Paese da sempre molto sensibile ai temi della difesa dei diritti dei cittadini.

Ma le cose stanno veramente così, oppure l’intervento di Maas è arrivato troppo tardi? Forse non ha tutti i torti chi sostiene che il principale errore è stato quello di fare partire un’indagine assurda, rispolverando un’imputazione da Guerra fredda. A volerla era stato il capo dei servizi segreti interni, Hans-Georg Maassen, con l’avallo di un autorevole esponente del governo Merkel, il ministro degli Interni Thomas de Maizière, cristiano-democratico.

Questa vicenda, oltre a confermare una certa litigiosità della maggioranza di governo (dove un parlamentare cristiano-sociale, Hans-Peter Uhl, ha definito «eccessiva e sbagliata» la decisione di Maas), dimostra però che, anche se forse in ritardo, l’intervento del governo è arrivato, fuori da una logica di mediazione a tutti i costi. Non si può parlare di interferenza sulla magistratura, tra l’altro, perché quello di Range, nominato dall’esecutivo ed eletto dal Bundesrat, è un incarico sostanzialmente «politico». In secondo luogo va ricordato il grande ruolo che nella svolta hanno avuto la stampa e dei settori più moderni dell’opinione pubblica tedesca. Non dispiace mai quando queste voci vengono ascoltate.

6 agosto 2015 (modifica il 6 agosto 2015 | 07:53)
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Da - http://www.corriere.it/esteri/15_agosto_06/germania-giornalisti-traditori-c18eb258-3bfa-11e5-923b-31d1f7def042.shtml
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 28, 2015, 07:25:50 pm »

Il corsivo del giorno
La pericolosa censura delle critiche all’Islam

Di Paolo Lepri

Maryam Namizie non è una «incendiaria», come qualcuno l’ha voluta dipingere. È un’iraniana fuggita dal suo Paese dopo la rivoluzione khomeinista, una combattente per la difesa dei diritti umani. Certo, il suo impegno contro le leggi religiose e nelle organizzazioni degli ex musulmani è sempre stato netto, lontano dagli eccessi del «buonismo». Ma non per questo la sua testimonianza non può essere significativa e importante, in un mondo costretto a convivere con l’attacco del radicalismo islamico alle libertà fondamentali. Per chi ha la memoria corta dovrebbero bastare due parole, Charlie Hebdo.

Non tutti però la pensano così. A Namizie è stato impedito nei giorni scorsi di prendere la parola all’università di Warwick, una delle più prestigiose della Gran Bretagna. L’associazione degli studenti ha sostenuto che il suo intervento avrebbe potuto costituire una «incitazione all’odio». La prevista conferenza è stata così annullata. Si è voluto difendere, è stato detto, «il diritto degli studenti musulmani di non essere discriminati».

Queste parole suonano come un paradosso. Ritenere il diritto di critica una mossa tendenzialmente discriminatoria è il sintomo di un ingiustificato complesso di colpa. La militante anti-sharia ha già risposto, sottolineando che «è assurdo definire razzista chiunque critichi l’Islam».

È necessario riconoscere che nei confronti dell’Islam si verifica spesso un atteggiamento che si potrebbe chiamare di «eccesso di rispetto».

Lo storico Nial Ferguson sostiene che i «demoni» del ventunesimo secolo sono i fanatici religiosi (che in misura minore, aggiungiamo, esistono anche fuori dell’Islam). Se questo fosse vero, come purtroppo sembra, andrebbe abolito il termine «demonizzazione». Si tratta di una parola troppo usata.


@Paolo_Lepri
27 settembre 2015 (modifica il 27 settembre 2015 | 13:24)
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Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_settembre_27/pericolosa-censura-critiche-all-islam-4833c424-6509-11e5-b742-179fcf242c96.shtml
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« Risposta #5 inserito:: Ottobre 14, 2015, 02:47:16 pm »

Il corsivo del giorno
Il realismo attento di Angela Merkel la non buonista
«Sensato», una parola che più merkeliana di così non si potrebbe.
Non dispiace questo pacato richiamo alla necessità che la politica risolva i problemi

Di Paolo Lepri

È buona, o almeno molti tedeschi pensano che lo sia, ma evita di cadere nella trappola stucchevole del buonismo. Stiamo parlando di Angela Merkel, che ha detto di non «poter immaginare» l’eventualità di ospitare profughi a casa sua. Una affermazione, questa, che si adatta totalmente al suo stile antideclamatorio e realista. Il mondo si era invece abituato da tempo alla dolciastra gara di chi annuncia la volontà di svuotare con un cucchiaino il mare agitato dell’emergenza migranti. Lo ha fatto il premier finlandese Juha Sipilä, imprenditore liberale conquistato dal moderatismo compassionevole. Altri lo hanno imitato. Perfino un «cattivo» come Matteo Salvini ha fatto un passo in questa direzione. Precisando però di avere «un monolocale».

La donna più potente del mondo ha rispetto per chi ha fatto la scelta dell’accoglienza privata, ma pensa che il suo «dovere» sia quello di «fare tutto il necessario affinché lo Stato sia in grado di gestire la situazione in modo sensato». «Sensato», una parola che più merkeliana di così non si potrebbe. Non dispiace, comunque, questo pacato richiamo alla necessità che la politica risolva i problemi. Evitando le strizzate d’occhio e calcolando però costi e benefici di questa mancanza di protagonismo caritatevole. Sicuramente Angela ha fatto anche i suoi conti.

È una donna che governa sondaggi alla mano, compiuti continuamente da agguerriti gruppi di lavoro che occupano molte stanze della cancelleria. Al suo confronto Berlusconi era un dilettante. Perché se è vero che gli esempi di solidarietà aumentano, è anche vero che la sua popolarità è diminuita sensibilmente dopo la decisione di aprire le porte ai disperati. I cristiano-sociali, poi, sono in rivolta e invitano Orbán ad avvelenare le loro platee. Per risalire la china è meglio evitare in ogni caso il buonismo.

@Paolo _Lepri
13 ottobre 2015 (modifica il 13 ottobre 2015 | 10:59)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_ottobre_13/realismo-attento-angela-non-buonista-906be90e-7168-11e5-b015-f1d3b8f071aa.shtml
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