L’intervista
«La riforma del lavoro di Renzi decisiva per far avanzare l’Italia»
ll ministro delle Finanze tedesco presenta il piano internazionale contro l’evasione fiscale: «Le compagnie internazionali non possono pagare meno tasse di un artigiano»Di Paolo Lepri, corrispondente da Berlino
Wolfgang Schäuble è molto soddisfatto. L’accordo sullo scambio automatico di informazioni fiscali che verrà firmato mercoledì a Berlino da più di quarantasei Paesi (sarà presente anche Pier Carlo Padoan) è un po’ una sua creatura. L’iniziativa - lanciata nel 2011 a Dublino da Germania, Italia, Gran Bretagna, Francia e Spagna - è arrivata finalmente al suo varo ufficiale, dopo un lungo lavoro compiuto nel Global Forum dell’Organizzazione per sicurezza e lo sviluppo economico (Ocse) da oltre un centinaio di nazioni, molte delle quali si aggiungeranno ben presto ai battistrada, gli «Early Adopters». Sarà vita dura, dal 2017, per gli evasori che nascondono all’estero il loro denaro. «Si tratta di un notevole successo», afferma il ministro delle Finanze tedesco in questa intervista rilasciata a Corriere della Sera, Times, El País e Les Echos alla vigilia della «Berlin Tax Conference». «Siete i rappresentanti dei principali Paesi europei» dice sorridendo, dopo le presentazioni, in una saletta vicina al suo studio nell’immenso palazzo di Wilhelmstrasse. Per quanto riguarda le vicende di casa nostra, la sua opinione è che la riforma del mercato del lavoro voluta dal governo Renzi «sia decisiva per fare avanzare l’Italia», una nazione amica che i tedeschi vogliono «forte e di successo». Da Schäuble viene anche un giudizio netto sulla situazione economica della Germania:«Una crescita dell’1,2-1,3% non è un fatto negativo. Non siamo assolutamente in recessione. L’unico pericolo è che se ne parli a vuoto».
Signor ministro, lei ha un’idea di quante tasse finora non pagate verranno scoperte, per esempio in Germania, dopo la firma di questo accordo?
«Mi sono sempre rifiutato di indicare una somma, perché ritengo che un ministro delle Finanze debba fare attenzione al fatto che la gente si fidi della serietà di quello che dice. Qualcuno parla di un numero a due cifre di miliardi, altri parlano di un numero a tre cifre di miliardi. Io dico che non lo so. Perché se sapessi esattamente quanto viene evaso, allora avrei le prove di chi è stato ad evadere le tasse. Non posso fornirvi nessuna somma. Ma siamo su rilevanti ordini di grandezza. Ci sarà poi un effetto preventivo, che già abbiamo visto da alcuni anni. Aumenta velocemente in Germania il numero delle persone che dicono di aver portato soldi all’estero all’insaputa dell’amministrazione fiscale (o affermano che questo è stato fatto dai genitori o dai nonni) e che adesso vogliono mettersi in regola.
Secondo alcune stime, l’ammontare dei patrimoni occultati all’estero da cittadini italiani sarebbe di almeno 200 miliardi di euro. Pensa che questa svolta nella cooperazione internazionale contro l’evasione possa apportare un contributo significativo al miglioramento dei conti pubblici italiani?
«Sono convinto che lo scambio automatico di informazioni diminuirà la possibilità di sfuggire in misura legale alle tasse. Riguardo alla quantificazione delle somme che si potranno incassare, non lo posso fare per la Germania e certamente nemmeno per l’Italia. Il mio consiglio è quello di non basare sul principio della speranza ma più su quello della realtà le nostre decisioni sulle politiche finanziare, di bilancio e strutturali.
Per questa ragione penso che il percorso che il governo Renzi sta compiendo da due settimane con la riforma strutturale della legislazione del mercato del lavoro sia decisivo per fare avanzare l’Italia».
Si potrebbe dire ipoteticamente che l’accordo di Berlino contribuirà al raggiungimento del pareggio di bilancio in Germania grazie anche alle autodenunce dei cittadini?
«Ho già dato al collega italiano il consiglio che vale anche per me. Dobbiamo realizzare la nostra politica finanziaria con presupposti seri e non ipotetici. Non ne abbiamo bisogno. Devo aggiungere che siamo attualmente nella discussione finale in Parlamento sul bilancio 2015. Se lo sviluppo economico dovesse rimanere così come appare in questo momento non ci sarà nessun pericolo per la nostra politica finanziaria. Le previsioni per la nostra crescita sono state recentemente ridotte, ma una crescita dell’1,2%-1,3% non è veramente un fatto negativo. Non siamo assolutamente in recessione. Il vero pericolo è che si parli a vuoto di recessione. Le prospettive economiche in Germania sono stabili. Non siamo in crisi. Abbiamo una previsione di crescita leggermente ridotta. Manterremo ferma la nostra linea, che rappresenta un’ancora per la fiducia».
Cosa è cambiato in questi ultimi anni nella valutazione del segreto bancario?
«Si è verificato un grande cambiamento in un tempo relativamente breve. Il segreto bancario non può continuare ad esistere nell’epoca dei mercati finanziari globalizzati, perché altrimenti sempre più soggetti fiscali evaderebbero i loro obblighi. In Europa tutto ciò è stato già fatto in larga misura a grazie al trattato Facta con gli Stati Uniti che ha accelerato il processo. Adesso stiamo proseguendo su questa strada a livello globale con lo standard sullo scambio automatico di informazioni al quale speriamo che un giorno partecipino tutti i Paesi del mondo più forti economicamente».
La crisi ucraina e il raffreddamento delle relazioni tra l’Europa e Mosca hanno influito sulla collaborazione della Russia in questo campo?
«La Russia collabora nel Global Forum, ma non fa parte dei firmatari. Presumo che questo sarebbe accaduto anche se non ci fosse stata la crisi ucraina. Per di più, anche gli Stati Uniti non firmeranno a causa delle difficoltà che si registrano nel Congresso sulle questioni legate alla reciprocità. Ma partecipano Paesi che vengono indicati come oasi fiscali. Singapore non è tra gli “Early Adopters” ma ha già annunciato che firmerà l’accordo. Anche la Svizzera lo farà presto. Altri Paesi come le isole Vergini, le Bermuda, le isole Cayman sono presenti. Si tratta di una iniziativa molto forte».
Il G20 ha dato via libera al piano d’azione Beps (Base erosion and profit shifting) con cui si vogliono colpire le multinazionali che spostano artificiosamente gli utili nei Paesi o nelle giurisdizioni dove il prelievo fiscale è minimo. Ci sono molte imprese globali che sfruttano tutti i metodi di risparmio fiscale, mentre invece la piccola e media impresa non lo può fare. Come si può arrivare anche a loro?
«È in primo luogo una questione di giustizia. Non bisogna avere l’illusione che riusciremo a risolvere tutto, ma penso che l’accordo sullo scambio automatico di informazioni e l’iniziativa Beps facciano sperare di poter limitare più efficacemente questi andamenti. Io accolgo chiaramente con soddisfazione il fatto che sia emersa una forte coscienza di questo problema nel dibattito pubblico americano. Il presidente Obama ha segnalato recentemente in varie occasioni che questi andamenti non sono accettabili. Anche gli Stati Uniti devono cooperare con gli altri. Questo richiede che all’occasione il principio della reciprocità debba essere applicato. Il problema non è così facile perché la questione di dove un’attività tassabile abbia luogo e con quale profitto non è così ovvia come sembra a prima vista. E per questo ci impegniamo con forza con questa iniziativa globale per raggiungere una sensibilità comune su come sia possibile attribuire un trattamento fiscale, per esempio, a quelle attività economiche che si producono esclusivamente su Internet. E questo non è tutto. Poiché i problemi sono così grandi è necessario agire. La conferenza di Berlino non li risolverà tutti, ma creerà una spinta positiva per andare avanti più veloci di quanto avremmo pensato forse ancora alcuni anni fa di fronte alle difficoltà esistenti. Si potrebbe anche aggiungere che in quest’epoca non è un male il fatto che ci siano nuovi accordi globali con i quali è possibile procedere tutti insieme. Abbiamo altre importanti preoccupazioni: i rischi geopolitici vanno in una direzione diversa».
È d’accordo con il suo collega dell’Economia Sigmar Gabriel che ha sostenuto recentemente che qualsiasi artigiano tedesco paga più tasse di Google o Apple?
«Questo è esattamente il punto. Ripeto che è una questione di giustizia. Noi siamo per la globalizzazione. Tutte le economie dipendono in modo decisivo per il loro successo dai mercati finanziari globali. Questo Sigmar Gabriel lo sa tanto bene quanto me. Ma quando la globalizzazione porta al fatto che chi opera a livello internazionale paga molte meno tasse di quelli che operano a livello nazionale, si pone una questione di giustizia. È il motivo per cui ci occupiamo di questo. Il problema non si risolve con la descrizione delle cose che non vanno bene, perciò lavoriamo per trovare le soluzioni».
I problemi finanziari della Francia sono noti. Però c’è ancora fiducia dei mercati perché anche la Germania la sostiene. Qual è il limite di questo sostegno?
«La questione non si pone. La Francia è un Paese grande e forte. Ogni Paese ha talvolta difficoltà. Come sanno tutti, anche la Germania ha un grande interesse per una Francia forte. Altrettanto per una forte Spagna e una forte Italia che raggiungano il successo. In Europa è così. Il successo di uno non è un danno per l’altro, mentre il problema di uno è anche un problema per tutti gli altri. Questo è il principio del processo di unificazione europea. Bisogna spiegarlo sempre di nuovo al proprio elettorato e alla popolazione. Faremo quello che dobbiamo fare nel nostro interesse comune. Di questo parliamo in modo aperto e con fiducia».
Riguardo ai rapporti tra Gran Bretagna e Germania, il governo tedesco è disponibile a sostenere alcune restrizioni della libertà di movimento in Europa?
«Il principio della libera circolazione delle persone e delle merci è un principio fondante dell’unificazione europea. Non può essere limitato. Una cosa del genere sarebbe incompatibile con i Trattati europei. Il problema, che tutti abbiamo in Europa, che può diventare più grande se si guarda agli avvenimenti in altri parti del mondo, deve essere risolto con uno sforzo comune europeo. Non può essere risolto ristabilendo i confini nell’Ue. Sarebbe impensabile».
27 ottobre 2014 | 07:20
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