Intervista
Saviano: 'Io, la politica, i partiti'
di Gianluca Di Feo
«La lista con il mio nome non è mai esistita, neppure come idea, come proposta di qualcuno. Se la sono inventata i media berlusconiani.
Le mie idee? Non mi schiero con nessun gruppo, non appoggerò liste, ma non per questo sono equidistante». Parla l'autore di 'Gomorra'
(07 giugno 2012)
«Non ho mai voluto candidarmi a parlamentare, mai ambito a nessuna carica politica, né di sindaco, né di ministro, nonostante abbia avuto molte proposte. Non intendo in nessun modo costruire liste, non intendo dare appoggi esterni, non intendo costruire consenso in modo da dirottare voti. Il mio ruolo e il mio lavoro li ho sempre visti da una prospettiva diversa: sono un narratore. Ragionerò, discuterò, farò il mio lavoro di raccontatore, reporter, scrittore, ma nulla che abbia a che fare con campagne elettorali».
Ancora una volta si trova protagonista, nella veste meno gradita: alfiere di un partito, schierato a sostegno del centrosinistra. Una discesa in campo proclamata da ripetuti articoli, da intere prime pagine, con tanto di vignetta che lo raffigura come un novello Lenin alla guida dell'assalto al Palazzo d'Inverno. E ancora una volta Roberto Saviano si scopre icona ignara: leader a sua insaputa di una formazione elettorale.
Un po' come fece Silvio Berlusconi quando nel primo incontro con Saviano rimase stupito per il look sgarrupato e ordinò al suo assistente di comprargli un paio di scarpe nuove. Ma nei sei anni trascorsi dal successo di "Gomorra" gli approcci dei partiti nei suoi confronti sono stati tanti. Silvio Berlusconi nel primo incontro con Saviano rimase stupito per il look sgarrupato e ordinò al suo assistente di comprargli un paio di scarpe nuove. Alcuni hanno fatto leva sulla sintonia nella lotta antimafia. Come quando nel 2006 Fausto Bertinotti, presidente nella Camera, lo accompagnò sul palco di Casal di Principe per il discorso che provocò la prima bordata di minacce e l'inizio della vita blindata. O come quando una sua intervista in cui parlava dell'impegno anti-camorra del vecchio Movimento Sociale, ricordando che Paolo Borsellino si riconosceva nella sua area, lo rese improvvisamente simpatico ad An: da Gianfranco Fini a Giorgia Meloni corsero a offrire una casacca. Persino la Lega, con il sindaco di Treviso Gianpaolo Gobbo, ipotizzò di candidarlo alle Europee. Più altalenante il corteggiamento del Pd. Massimo D'Alema gli prospettò un'investitura e un avvertimento: «Diventa sindaco di Napoli, ma se entri nella scena nazionale ti farai male...». Nella sfortunata campagna del 2008, Walter Veltroni a pochi giorni dal voto affrontò la terra dei casalesi. Ma lo scrittore disertò il palco e rispose con una lettera aperta chiedendo «più coraggio e più fatti».
Ne abbiamo parlato con lo stesso Saviano, in un'ampia intervista in edicola sul nuovo numero dell'Espresso, di cui qui anticipamo ampi stralci.
Di tante proposte avanzate negli scorsi anni nessuna l'ha mai tentata?
«In realtà non le ho avvertite come vere e proprie proposte, più come un modo per capire quali fossero le mie intenzioni. Per potersi tranquillizzare o eventualmente correre ai ripari».
Ma prima di questa campagna sulla "Lista Saviano" qualcuno l'avrà contattata per chiederle conferma...
«Mai nessuno. Non mi hanno cercato né i politici con cui sarei schierato, né i giornalisti che ne hanno scritto. Sarebbe bastato mandarmi una mail e aspettare la mia risposta. Ma nessuno l'ha fatto, perché una mia risposta avrebbe obbligato a essere netti, chiari, a non avanzare ipotesi. E hanno naturalmente ignorato le mie smentite, mandate alle agenzie di stampa e pubblicate anche su "l'Espresso"».
Eppure la questione sembra avere fatto presa anche tra i social network, dove ha un milione mezzo di fan su Facebook e 200 mila follower su Twitter. Persino in questa colossale arena virtuale di persone reali le sue smentite sono state accolte con perplessità.
«Lì la campagna sulla fantomatica "Lista Saviano" ha rafforzato una visione perversa che considera la politica sinonimo di schifezza: un coacervo indistinto di corruzione e faccendieri. Sono proprio i social network a dare il metro di quanto siano screditati non solo i partiti ma tutta la sfera della politica. Annunciare la mia presunta candidatura diventa strumento di diffamazione: una carica pubblica che dovrebbe essere ambita, voluta e autorevole, viene invece percepita come diffamante».
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